IntroduzioneEra la mattina di Natale e la chiesa era zeppa, sua moglie seduta accanto a lui non aveva occhi se non per il libretto dei salmi. D’un tratto si era voltata e gli aveva detto a mezza bocca “Vuoi startene fermo con quelle dita? Che diamine hai in mano?” – “Niente” rispose lui, tuffando la mano in saccoccia.A christmas taleLa sera prima aveva nevicato come non capitava da decenni. Tutti al pub non facevano che ripetere che era un anno disgraziato, e lui annuiva da dietro il bancone con gli occhi fissi sulla pendola.”Bah.” mormorò a un certo punto sputando sulle assi del pavimento. Cominciò a tirare la campanella vigorosamente per sovrastare la bolgia “Via ragazzi, fuori di qui! Si chiude, vi dico! Fuori tutti!”.Stava passando lo straccio a terra quando sentì alle sue spalle la porta aprirsi, un antipasto di bufera nevosa andò a posarsi sulle assi bagnate, sciogliendosi istantaneamente. “E’ chiuso” disse lui senza voltarsi.”A me non pare, la porta si è aperta” Si era raddrizzato con lo scopettone in mano e ora la guardava ferma sulla porta. Aveva già visto quella faccia.Aveva le mani intirizzite.”Io dormivo tranquilla quando Frank mi arrivò addosso. Non lui soltanto, oh no, anche quasi tutto il suo letto e la sua amante”- l’aveva fatta sedere senza storie e ora la guardava attentamente, interdetto, davanti ai bicchieri pieni. Se avesse avuto un cappello se lo sarebbe rigirato tra le mani. “Semplicemente sfondò il pavimento, ci credi? Li sentivo scopare da ore al piano di sopra, e all’improvviso mi ritrovo i resti del mio soffitto sparsi per la stanza, un letto messo di sbieco e due tizi col culo all’aria che bestemmiano, ‘dannate case inglesi’ dice lui, come se si trattasse di un fatto d’architettura insomma” – rideva. ‘La sua risata è come una fontanella ‘aveva pensato’ fresca e pulita come una fontanella’. Poi si era dato del coglione.”La sua tizia era nuda e incazzata dura, non faceva che ripetere che lui era il solito stronzo, che era stato stronzo, e che lo sarebbe stato finchè non sarebbe crepato. Poi se ne andò sbattendo la MIA porta, come fosse stata la sua. In effetti ora che ci penso, non lo aveva inquadrato niente male” – non ci credeva. Lei era lì che se la rideva, asciugandosi gli occhi con la manica del cappotto, nella sua bettola. Non ci credeva, semplicemente.”Allora non era come oggi che arriva la polizia tanto in fretta, mia madre era così stanca che potevo sentirla russare dall’altra stanza. E i miei fratelli chissà dove diavolo erano. Fatto sta che mi ritrovo la camera sfasciata e Frank col pisello ancora di fuori che annaspa sul pavimento. Io ero restata seduta nel mio letto con le manine che tiravano il lenzuolo per tutto il tempo. Mi guarda e mi fa ‘Ragazza, quanti anni hai?’ ‘Dodici’ dico io. Mi guarda ancora meglio, standosene lì nudo bruco e risoluto come se fosse stata la situazione più normale del mondo, e poi dice “Scusa per il soffitto” e se ne va dalla MIA porta, come fosse stata la sua – si era fermata per bere un sorso e continuava a fissarlo da sopra il bicchiere. Le guance rosse per la risata. Due occhi neri come il peggior peccato.”Lo rividi due anni dopo mentre andavo ad alzare qualche penny nel negozio di dolci, in Nichols Street. Avevo questo enorme pacco di amaretti tra le mani e nel frattempo mi erano cresciute le tette. Mi ballonzolavano da tutte le parti perché portavo questo bustino logoro di mia madre largo di tre misure. Chi diavolo ce li aveva i soldi per uno nuovo” non se ne stava accorgendo ma aveva portato le mani al petto, come a controllare che tutto quel taffettà cangiante fosse al suo posto e non fosse tornato il busto dai lacci allentati.”Insomma ero lì che arrancavo, quando mi ritrovo intorno questi stronzetti vestiti tutti uguali. Succedeva una volta su tre, da anni. Avevano quell’età che non sapevano se rubarmi i dolcetti o scoparmi, fatto era che bastava dargli un amaretto ciascuno e tirarmi giù la scollatura, in quest’ordine. Ma quella volta era spuntato Frank da dietro un angolo, che senza dire una parola li aveva presi tutti a calci nel culo. Poi mi aveva guardata come se fossi a un fottuto provino. ‘Tu cresci bene, ragazza’ aveva detto alla fine, come se fosse normale. Come se fosse normale ricordarsi di me. Come se ne avesse il diritto”‘Ha la faccia liscia e precisa come una mappa del tesoro’ stava pensando. La vedeva bere e raccontare. Lo aveva visto fare un milione di volte, ma mai nessuno aveva avuto l’urgenza che aveva ora lei. Come se le sue parole fossero lische che l’avrebbe strozzata se non le avesse sputate tutte e in fretta. Non si toccava mai i capelli, come di solito fanno le donne. Lei parlava e beveva, semplicemente.”Quando pensi sia durato? Erano tempi di merda, mi pare tu abbia l’età per ricordartene. La gente si accoppava in pieno giorno per qualche scellino, e chi diavolo pensi avesse bisogno di me? Così, in un giorno più merdoso degli altri mi annodo meglio i capelli e mi mordo le labbra fino a farle diventare rosse, e comincio a passeggiare avanti e indietro per Commercial Street pensando che una fica dolente si può sopportare, ma uno stomaco con i crampi da fame no.Era una settimana circa che battevo quando sento qualcuno alle mie spalle che dice ‘Cambiato genere di dolcetti in vendita, vedo’. Io mi giro per mandarlo a fare in culo ma quando incrocio i suoi occhi sto zitta. Perché aveva lo sguardo più comprensivo che avevo incontrato da sempre, e c’era anche di più lì dentro. C’era tanta di quella roba lì dentro da farti piegare le ginocchia all’indietro.Poi Frank sospira, e come se gli fosse toccato per forza mi prende per mano e mi porta via di lì.””Quando gli avevo detto che conoscevo un vicolo mi aveva risposto che lui non era un cane e che quindi non scopava per strada. Mi aveva portato in un buco che chiamava casa, arrampicato su tante scale che non si arrivava mai. E a ogni gradino mi scivolava via la paura perché lui non aveva mai lasciato la mia mano. Credo di aver cominciato a volergli bene da quel momento, per come mi faceva sentire al sicuro con quella mano enorme e calda che serrava la mia. La gente parla tanto d’amore come se fosse la cosa migliore. Beh, amico mio. Io credo che l’amore sia una roba per chi ha le vene intere. Per chi ha le vene spezzate non c’è niente come il sentirsi al sicuro.”Aveva stornato lo sguardo per un attimo, e magari per colpa di quella verità che conosceva bene o forse per come ora la vedeva rimboccarsi il bicchiere, lui all’improvviso ci credeva che lei fosse proprio lì, e non era più come l’aveva vista prima. Era come se fosse diventata reale di colpo.”C’eravamo spogliati e io avevo cominciato a menarglielo, ma lui aveva la faccia in ombra e io non ero più tanto sicura di me, c’era qualcosa che non andava. Lasciai perdere con la mano e glielo presi in bocca, forse più per non guardare ancora quella macchia che era la sua faccia che per altro. Era qualche minuto che lo succhiavo quando mi sento una mano sulla testa, le sue dita tra i miei capelli che mi scostano e mi trascinano piano fino a stargli di fronte. E da quell’angolo buio la sua voce che dice ‘davvero ti pagano per questo?’. Aveva un tono incomprensibile. Non sapevo cosa dire, e in un attimo avevo benedetto quell’oscurità perché mi sentivo avvampare senza nemmeno capire il perché. Sapevo solo che non volevo più essere lì.Lui mi prende per le spalle e mi stende sul letto lentamente, e io giro la testa per la vergogna e sento che sto per piangere, ma non voglio. Poi comincia a parlare piano, e ogni parola che dice me la sento sulla pelle perché ha la bocca a un centimetro dal mio corpo. Sento le sue parole che mi scivolano addosso sul volto e che cominciano a scendere fino a prendere mille direzioni differenti. Sento l’umido e il caldo del suo respiro che mi percorre palmo a palmo. E io strizzo ancora di più gli occhi, perchè sento che ora sto piangendo, ma non lo voglio sapere. ‘Sei bella, ragazza. Sei così bella che sei abbacinante. Magari è questo che ti spaventa. Magari ti spaventano i cazzi degli uomini. Magari pensi che startene sulle tue mentre li maneggi ti lasci qualche sorta di salvezza. Il fatto è che non sai scopare, bella mia. Mi ti immagino prenderli contro una staccionata, e questo per quella gente la fuori è abbastanza. Loro non meritano di meglio e nemmeno io, ma l’idea che ti porti addosso tutta questa grazia benedetta e non sai usarla mi fa incazzare. E’ una carognata bella e buona”.Poi mi scivola dentro e comincia a muoversi pianissimo, ancora, ancora e ancora. E a un certo punto mi sembra quasi che quei colpi siano musica, così lenti e infiniti. Una musica che sente solo lui e che mi sta’ trasmettendo mentre dondola su di me, mi tocca e mi bacia. Rigiro la testa e sento la pelle tirare sotto la scia delle lacrime asciutte, lo guardo in faccia e lui è lì sopra di me, e io capisco all’improvviso. Come un bang, spalanco gli occhi, la mia bocca si schiude. Gli vedo le labbra che cominciano a sorridere, mentre si tuffa di nuovo su di me.””Avrei imparato a conoscere quella soffitta molto bene, fino quasi a sentirla nell’anima come casa mia. Ma non lo era. Quella era la casa di Frank. E come tutto ciò che possedeva Frank, dal suo cuore fino al più sudicio dei suoi bicchieri, apparteneva solo a lui.Però ci passavo giornate intere lì dentro, rannicchiata addosso a lui a far l’amore oppure a ridere fino a rotolare come scemi sul pavimento. A volte stavamo zitti e basta.Poi arrivava il momento che cominciava a guardare fuori dalla finestra come se avesse voluto incenerire il vetro. E io sapevo che lui era già da un’altra parte, in quella specie di mondo senza perdono che aveva dentro. Così lo baciavo piano sulle spalle e andavo via.”Aveva detto queste ultime parole a voce bassa, e ora che taceva del tutto il silenzio si era fatto così pesante tra quelle pareti di legno, che sembrava quasi fisico. Si sentiva la baracca cigolare sotto le raffiche del vento. Si sentiva la pendola che faceva Tic e poi Toc.E lui non sapeva più cos’era peggio, se continuare ad ascoltare la miseria e il dolore di quella vita, o dover affrontare tutto quel silenzio, che ormai aveva quasi una faccia e un nome.”Frank a volte spariva per mesi senza dire niente, ma tornava sempre. A volte tornava ferito, a volte tornava con un panciotto nuovo, quel che non cambiava mai era il modo: in silenzio e alle spalle, come i ladri e gli assassini. Il tempo passava e lui era ancora lì con me, era l’unica cosa che sapevo veramente. Ogni tanto cominciava a squadrarmi da cima a piedi finchè non arrossivo. Non che gliene fregasse niente se arrossivo o no, lui continuava a squadrarmi, finchè non se ne usciva con roba tipo “Ti sei smagrita, e sei pallida, cristo”. Inutile rispondergli che era difficile essere paffuti e floridi saltando i pasti, passando le giornate a battere e vivendo nelle stamberghe, perché lo sapeva già. Così me ne restavo in silenzio e lo guardavo allontanarsi borbottando che era una carognata, una carognata bella e buona. Era tornata a sorridere, uno di quei sorrisi esausti, di chi non ci può fare proprio più niente.”Ci ho messo anni a capirlo del tutto, ed era così facile invece se ci si pensa col senno di poi. Allora io lo vedevo come una creatura selvatica che aveva accettato la mia presenza, ma lui invece seguiva ogni mio passo, e mi toglieva dalla strada tutti i ciottoli che poteva. Fino a portarmi un giorno di fronte al Criterion Theatre e a spingermici dentro a zampate nel culo.Fino a ripetere le battute con me, con quell’accento da bastardo irlandese impenitente. Fino a riannodarmi i lacci del bustino dopo aver fatto l’amore, e controllare che non ci fosse troppa polvere sulla mia gonna prima di salire in scena.E può sembrare che io fossi completamente stupida a non capire che mi amava, parlandone così, ma lui tutte queste cose le ha fatte negli anni e senza farsi accorgere. Lui le ha fatte silenziosamente.””Il resto della storia la sai già. La sa tutta Londra. E’ scritta in ogni dannato giornale con cui dopo due giorni ci si incartano i carciofi al mercato. Di come sono cominciati ad arrivare gli applausi, i bei vestiti, gli inviti a cena.E i soldi.E mentre io cambiavo casa e taglio di capelli, Frank se ne è andato. Aveva fatto tutto quel che poteva per me, non c’erano più carognate belle e buone da ripulire.Per quanto io lo cercassi ogni giorno, con le mani cariche di soldi da spendere per un bisbiglio o un indizio, Frank se n’era andato, col suo solito modo di sparire da ladro o da assassino.””Una sera di qualche anno dopo ero tornata al Criterion. Alla fine della rappresentazione avevo aspettato che la strada fosse sgombra. Esco dalla porta di servizio e riconosco una faccia, a una ventina di metri di me. Sorrideva e mi squadrava da cima a piedi. E applaudiva, lentamente, senza far rumore, senza sbattere i palmi.E io grido “Frank!” ma lui non c’è già più. Così comincio a correre e a chiamarlo, sempre più forte, “Frank! Frank! Frank! Frank! Frank!”. Lo chiamo così a lungo che alla fine il suo nome perde di senso, è solo un suono che rimbomba per le strade. Lo strillo di un uccello abbattuto.Non aveva nessuna lacrima negli occhi, e lui pensò che in qualche modo non aveva perduto del tutto il suo uomo, perché ora era lei ad avere uno sguardo pieno di cose, tante di quelle cose da farti piegare le ginocchia all’indietro.”Io l’ho odiato per questo, sai? Per ogni giorno che mi son sentita come se mi avessero tolto l’anima a morsi, per il ricordo di come fosse gentile nel fare l’amore. Per quelle braccia che avrebbero potuto spezzarmi, per quelle mani che avevano ucciso, con cui mi sollevava da terra e mi appoggiava come se fossi di cristallo. Per quella paura nei suoi occhi verde liquido, mentre mi spogliava e diceva soltanto ‘Sei bianca e liscia come un miracolo’. Per i suoi baci leggeri che erano ovunque. Baci gemelli staccati e continui, un alfabeto morse sul mio corpo. Un S.O.S. fatto con le sue labbra.Io non potevo capire quanto amore avesse dentro, anche nel lasciarmi andare.””Come un oasi in mezzo alla merda era far l’amore con lui, ecco tutto. E ora io lo odiavo per come mi aveva passato le mani addosso, per come le faceva salire dalla punta dei piedi fino alla punta dei capelli, andando e tornando. Una marea benedetta.Lo odiavo per come mi ero sentita ogni volta che l’avevo toccato, come se stessi accarezzando un animale selvatico dalle mani gentili e dagli occhi attenti, per come gli finivo tra le gambe, per assaggiare, e leccare e desiderare, con la sua mano tra i miei capelli, e il suo odore che sapeva di muschio e cose buone.Per come era stato nella mia bocca mentre lo vedevo tremare e muoversi a ritmo, per tutte quelle volte che era stato nella mia bocca e non pensavo ad altro, se non forse che lo amavo.Fare l’amore con lui era guardarlo fisso mentre mi inchiodava al letto, era guardarlo farlo lentamente, con i denti a mordere il labbro inferiore, come fosse un esame particolarmente difficile da superare.Fare l’amore con lui era come mi levava la paura di dosso e mi lasciava solo brividi e canzoni nelle tempie. Era la sua mano che bloccava le mie sopra la testa, era lui dentro di me che si muoveva come un oceano maledetto da tutti. Erano le nostre grida amorose che rimbalzavano sulle pareti.Per tutto questo io ora lo odiavo.Non potevo capire. Non potevo capire.E ora che lo capisco forse è anche peggio.”Sembrava infinitamente stanca e triste, stretta nel suo vestito costoso.Buttò giù il suo bicchiere vuoto come se avesse amato vederlo in pezzi. Come se avesse voluto vedere in pezzi tutto quanto.”Questo è ancora il mio posto, credici” – disse.”Per questo ora sono nella tua bettola, e per questo cinque anni fa ho saputo che Frank è finito sotto i coltelli nella notte di Natale.Non son notizie che si leggono sui giornali che incartano i carciofi. Io lo so perché questo è ancora il mio posto”.Lo guardò, infilando una mano nella borsa, e lui fece no con la testa. Rimase immobile per un secondo, portò una mano al collo mentre gli si avvicinava tra il milione di fruscii della sua gonna, e lo baciò, senza una parola di più.Appoggiò la mano sul tavolo come a sorreggersi, girò i tacchi e fu fuori, sotto la bufera. Lui era ancora lì seduto come un coglione con le dita sulle labbra, quando vide qualcosa brillare sul tavolo.EPILOGOEra la mattina di Natale e le scalinate della chiesa erano zeppe, sua moglie era in piedi accanto a lui, una mano sul suo braccio, e l’altra a salutare i presenti. D’un tratto si era voltata e gli aveva detto a mezza bocca “Per l’ amor del cielo, affrettiamoci, questi stivaletti mi stanno uccidendo”.Camminavano verso casa quando lui vide i suoi occhi di carta che lo fissavano. Aveva un vestito da regina e sembrava terrorizzata. “Bah!” disse sua moglie “E’ proprio finita l’epoca del buon teatro. Mai vista una Lady Macbeth più scostumata di quella!” indicando il cartellone, “E smettila con quelle dita, che diavolo hai in mano, insomma!” – “Niente” rispose lui, con la mano in saccoccia.”Signorina Cameron, signorina Cameron, un ultima domanda! Abbiamo notato che non indossa più la sua spilla portafortuna, come mai?””L’ho persa”.
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