Il sole era ancora cocente, e gli Apache si rifiutarono di darci dell’acqua. Però vennero davanti a noi e se la gettarono abbondantemente sui corpi nudi, mostrandoci il piacere che l’acqua fresca procurava loro, mentre noi avevamo la gola riarsa.Non avevo mai provato la sete, credetemi è un’esperienza che non vorrei ripetere per nulla al mondo. Le labbra mi diventarono come gomma, la lingua arida mi si attaccava al palato. Per un po’ cercai di richiamare la saliva in bocca, ma poi tutto fu inutile, ero troppo disidratata. La bocca asciutta anelava un sorso di liquido.Una delle donne fece l’errore di gridare. Eppure l’esperienza ci aveva insegnato ormai che ogni protesta ci procurava guai peggiori, torture peggiori, e che quindi era meglio stare in zilenzio. Ma quella donna non ce la faceva più a resistere alla sete. Non perchè fosse più debole di noi, ma era incinta di otto mesi. E francamente aveva resistito anche troppo nelle sue condizioni.Si chiamava Peggy, era giovane e bella. Aveva lunghi e meravigliosi capelli castano rossiccio e la pelle bianca come il latte. Era già incinta quando si era messa in viaggio, e molte amiche l’avevano sconsigliata di venire. Ma Peggy era una donna dalla volontà forte, e aveva detto al marito, alle amiche e a noi, che preferiva far nascere il bambino in una nuova terra piuttosto che all’est, in quegli stati della costa atlantica già presi nel vortice delle grandi agitazioni politiche.Il suo medico era stato contrario e si era opposto vivacemente alla sua partenza, ma la donna non aveva cambiato idea. Ora però ero certa che stava rimpiangendo di non aver dato ascolto ai consigli di chi, più saggio di lei, l’aveva sollecitata a rimanersene a casa.Le nostre sventure erano già abbastanza dolorose, anche senza il problema di un nascituro, fra le tante cose degradanti che ci venivano imposte. Gli apache non avevano certo servizi igienici, nè si curavano delle nostre necessità fisiologiche, e alcune di noi, costrette dal bisogno e altre dalla paura, si erano gà urinate e defecate addosso. Peggy era una di queste e si indeboliva lentamente. Io la osservavo spesso, perchè il suo pancione era molto evidente e le si sollevava ritmicamente.Ero sicura che soffrisse, e non solo nel fisico. Il pensiero stesso di compromettere la vita del nascituro, una vita innocente, e per di più il primo figlio, era talmente orribile che doveva gravarle nella mente più di ogni altra cosa.Un indiano fra i più cattivi del gruppo, dopo essersi tolto come molti altri il perizoma, conscio della sua posizione di potenza di fronte a noi, andò davanti a Peggy e cominciò a schernirla.Le fece vedere un grande mestolo di acqua fresca, poi ne bevve qualche sorso e versò il resto nella sabbia, facendo schizzare apposta delle gocce sui piedi legati di lei. Fu allora che la donna non ne potè più e si mise a strillare.· Pietà, pietà, dammi un po’ d’acqua – urlò con quanta voce aveva. – Se non per me, almeno per il bambino! Non fare morire il mio bambino! Ti prego!! – e continuò a urlare le sue invocazioni.Il giovane guerriero sbottò in una risata sguaiata, deridendo così la la donna che chiedeva di aver salva la vita, e che implorava pietà per il nascituro. L’indiano godeva della sua sofferenza, come tutti del resto, ma pareva più sadico degli altri.Nessuna persona normale torturerebbe una donna incinta, e si farebbe beffe di lei, infischiandosene della sua condizione. Quella vista ci deprimeva, ma nessuna di noi poteva muovere un dito in suo favore.Il guerriero si mise allora a dondolare il grosso fallo davanti alla sua faccia, e Peggy commise l’errore di racogliere un residuo di saliva e di sputarla sull’organo. L’atto lo rese furibondo e certamente scattò in lui un piano di vendetta contro Peggy. Se avesse saputo cosa le toccava, la donna non avrebbe provocato l’indiano, ma evidentemente non si era resa conto del male che poteva farle.Gli occhi del guerriero mandavano saette. Ero sicura che avrebbe messo in atto cose orribili per farle scontare quel gesto di insolenza. Mi si stringeva il cuore al pensiero della sorte di Peggy, e sono sicura che le altre condividevano il mio sentimento; ma purtroppo, anche se non fossimo state legate, non avremmo potuto intervenire. Ci era già difficile tirare avanti in quelle condizioni, con i cactus spinosi che ci laceravano la schiena, prive di acqua e di cibo.Scommetto che se ci avessero liberate per andare a soccorrere Peggy, la debolezza ci avrebbe sopraffatte, a parte il predominio degli indiani che avrebbero avuto facilmente ragione di noi. L’incidente fra Peggy e l’indiano aveva richiamato l’attenzione degli altri guerrieri che avevano formato un cerchio attorno alla donna e osservavano il compagno che si apprestava a fargliela pagare. Ridevano tutti, e si massaggiavano i falli enormi, mentre incitavano il protagonista a offrire un bello spettacolo, uno spettacolo che li eccitasse, che li aiutasse a masturbarsi fino all’orgasmo.Quando la minaccia di pericolo si addensò sulla testa di Peggy questa prese a gridare sempre più forte, e ciò portò inevitabilmente gli indiani a estremi di crudeltà e di brutalità.Quello che aveva ricevuto lo sputo aveva ovviamente il diritto di dare una lezione alla donna che aveva osato tanto, e gli altri rispettarono tale priorità, e attesero pazientemente che il giovane cominciasse.Prima di tutto le slegò le mani, ma gliele tenne ferme durante l’operazione. Peggy tentò di lottare, e ricevette un colpo sulla bocca che le spaccò le labbra aride e le provocò un rivolo di sangue. A quel punto i suoi lamenti divennero incontrollati e provai tanta pena nel vederla soffrire così. E non era che il principio delle cose orrende che le avrebbero inflitto. Prevedevo il peggio per lei.L’indiano la trascinò nel centro della radura sabbiosa e la gettò a terra di malagrazia, la fece rovesciare come una frittata sulla padella, e le legò le braccia in fuori fissate a due paletti piantati nella sabbia. Il ventre doveva premerle sulla sabbia rovente perchè lei gridò. Gli altri risero e si massaggiarono i cazzi pulsanti. Evidentemente avevano capito quale speciale tortura il compagno stava per mettere in atto, e a giudicare dalle espressioni e dal volume delle erezioni, dovevano essere ansiosi che il giovane stallone desse il via al rituale. Questi non ebbe bisogno di incitamenti e andò avanti. Le slegò le gambe e gliele divaricò al massimo. Poi legò giascuna caviglia ad altri paletti infissi nel suolo.Così era distesa al sole, prona, nuda, braccia e gambe larghe, in una posizione infelice, oscena, degradante.Il guerriero era già notevolmente ecitato e poche gocce di liquido preorgasmico gli si stavano formando sulla punta del fallo, si accoccolò alle sue spalle e le afferrò le chiappe fra le mani, guardando ridendo tra le natiche allargate della povera Peggy che gemeva disperata. A quel punto mi resi conto che l’atto infame, che il suo capo aveva perpetrato sulla povera Nancy, aveva fatto proseliti. Forse la soffernza atroce provata dalla giovane figlia di Mary aveva fatto capire loro che quell’atto sessuale poteva diventare una vera forma di tortura, oltre che una fonte di piacere. Tremai e rabbrividii per la povera Peggy: prenderlo nel culo, e per di più in quella posizione e nelle sue condizioni sarebbe stata una prova al di la di qualsiasi sopportazione umana. Nel caso di Peggy poi, l’atto sembrava particolarmente disgustoso, sia perchè era incinta, sia perchè era legata e impossibilitata a difendersi.Il guerriero si inginocchiò sulla sabbia calda, affondando ginocchia e gambe nel soffice terreno, si mise in posizione e si preparò a penetrarla nel sedere. A quel punto Peggy comprese quello che stava per accadere, e così le sue grida si fecero più acute. Il guerriero apache e i suoi compagni risero, facendosi beffe della povera donna, pregustando il grande divertimento che di lì a poco si sarebbero concessi.L’apache non poteva indugiare oltre, con l’eccitazione sessuale che aveva, e cominciò a spingere la sua grossa erezione tra le natiche allargate della donna. Ma Peggy dietro doveva essere molto stretta e quel grosso cazzo indiano non riusciva ad entrare. Le vidi contrarre le natiche, e compresi che doveva avere irrigidito i muscoli per rendere impossibile ogni penetrazione. La posizione completamente prona l’aiutava a stringersi e a negare l’accesso, ma, di contro, sarebbe stato terribilmente doloroso nel momento che lui fosse riuscito a penetrarle dentro il culo. L’apache la percosse violentemente sulle reni e su un lato della testa e pensai che l’avesse fatta svenire. Ma non fu così, perchè la donna continuò a gridare e a strattonare sui legami che l’avvincevano.L’indiano sputò la propria saliva calda sulla mano e poi cominciò a fregarsi furiosamente il cazzo pulsante, rendendolo lucido sotto il sole pomeridiano. Poi sputò altra saliva sul dito e lo ficcò nel buchetto di Peggy, facendola urlare di dolore.Stava lubrificando il canale del retto per il suo organo, questo era chiaro. E non lo faceva per alleviare il dolore alla donna, ma per avere più facile accesso in quello stretto buco vergine. La picchiò ancora sulla faccia già contusa, senza un’apparente ragione, se non per confermare il suo dominio e il suo controllo della situazione. Credo che Peggy fosse talmente fuori di se dal dolore da non sentire quell’ultima botta, alla quale non reagì. L’indiano si rimise in posizione, il suo cazzo lucido di saliva palpitava di desiderio, quando il glande fu a contatto dell’orifizio anale, bastò una spinta secca per scivolare dentro. Peggy ebbe una contrazione violenta, si tese come una molla e poi cominciò a scuotersi tutta come fosse stata sui carboni ardenti, urlando con tutto il fiato che aveva in corpo. L’apache si andava abbassando lentamente, le labbra stirate in un ghigno satanico di lussuria, e il cazzo andava scivolando dentro il culo della povera donna che sicuramente si stava sentendo impalare e stirare fino all’inverosimile. Le sue urla atroci ci risuonavano nei timpani, i suoi movimenti convulsi ci riempivano d’orrore, tirava forsennatamente sui legami che le serravano i polsi e batteva i piedi istericamente sulla sabbia, per quel poco concessole dalle funi che la trattenevano. Inoltre la sabbia rovente doveva sicuramente bruciarle la vulva e il pancione e questo si andava a sommare al dolore della violenta sua prima inculata.Il guerriero mostrava di godere di quel contatto perchè la sua faccia irradiava soddisfazione durante le ritmiche spinte nello stretto budello.Gli altri indiani cominciarono a saltellare e a urlare, mentre si masturbavano. Un paio di loro si elettrizzarono tanto a quella vista che vennero immediatamente. Essi erano davanti al corpo legato di Peggy e il loro sperma bagnò la nuca, i bei capelli ramati, e le snelle spalle della donna. Quando vide gli altri venire, il guerriero che stava inculando Peggy si scatenò come un animale selvaggio. I colpi divennero frenetici, gli assalti impetuosi, il cazzo riuscì a guadagnarsi altro spazio dentro il retto, la sfondò completamente, e nuove urla assordanti scaturirono dalla gola della povera ragazza crocifissa al suolo. L’apache andava su e giù, lacerandole lo sfintere e affondando quel grosso pezzo di carne nel profondo delle bellissime natiche di Peggy.La poverina giaceva ormai immobile, singhiozzante, impotente, nè avrebbe potuto fare altrimenti così legata, e accettava l’asta pulsante che la invadeva con tanta violenza. Il guerriero non impiegò molto a venire. Gli vidi irrigidire i muscoli delle natiche che divennero come due gocce luccicanti, tanto erano dure. Gli altri guerrieri cominciarono a godere, a uno a uno. E poichè attorniavano la coppia, schizzavano i loro fluidi sui corpi dei due.Qualcuno bagnò il guerriero intento a inculare la donna, ma questi, anzichè irritarsi, si stimolò di più. Ne raccolse un poco nella mano tesa, come acqua dalla fontana, e se la spalmò sul torace e sui capezzoli. Quel tocco in più di erotismo gli bastò per fargli raggiungere il culmine del piacere. Cominciò a gridare e il suo corpo fu scosso da fremiti pazzeschi. Gli era iniziato l’orgasmo.Continuò a pompare con brutalità, infliggendo ancora dolore alla povera sventurata, e intanto spruzzava i caldi fluidi nell’intestino di lei. Doveva averla riempita perchè parte di essi colò fuori e le bagnò le natiche. Peggy aveva smesso di gridare e accettava ormai l’atto passivamente. Quando ebbe riversato fino all’ultima goccia di sperma, tutto finì. L’indiano si ritirò dal retto della donna prona con un osceno rumore di risucchio, e mostrò il suo organo tutto imbrattato di sangue e ancora cosparso sulla punta di depositi di sperma. Dalla sua espressione pareva che avesse fatta la migliore scopata della sua vita. Se una traccia di delusione c’era, essa era nei suoi occhi, forse perchè l’atto era durato troppo poco, mentre un godimento così meraviglioso avrebbe dovuto durare tutto il giorno. Effettivamente, dopo aver visto che cosa fece in seguito a Peggy, sarebbe stato molto meglio se avesse continuato ad incularla per settimane.Ma purtroppo, come il suo capo che aveva torturato Nancy e poi l’aveva data in pasto alle formiche e gli avvoltoi per finirla, questo giovane guerriero aveva i suoi progetti personali per Peggy. La slegò mani e piedi e la tirò su, in posizione eretta. Peggy piegava le ginocchia e compresi che doveva essere debolissima. La mancanza di acqua, il nascituro che le consumava il poco che il suo organismo poteva dargli, e ultima la brutale violenza anale, dovevano averla ridotta uno straccio. Non oppose alcuna resistenza, e si lasciò trascinare per i capelli verso un enorme cactus, proprio davanti a noi.Era una pianta gigantesca, alta più di due metri e dall’aspetto minaccioso, cresciuta solitaria, staccata dalle altre. Aveva due grossi rami arcuati che partivano dai lati, e uno piò piccolo che a metà del tronco sporgeva in fuori nella parte anteriore. Così come era cresciuto, quel cactus costituiva un perfetto strumento di tortura che la natura aveva fornito inconsapevolmente agli apache per i loro disgustosi e perversi atti di malvagità.Il guerriero spinse Peggy contro il cactus, la donna pareva sul punto di svenire per dolore e sete, ma i suoi occhi erano aperti, e credo che capisse che cosa l’apache le stava facendo. Poi l’uomo le allargò le gambe, e aiutato da un paio di compagni, la issò a cavalcioni del ramo centrale che sporgeva davanti, questo ramo le spinse il grosso ventre in su, in modo grottesco. L’indiano la spinse, facendole poggiare la schiena contro il cactus, le legò le braccia ai due rami laterali e poi le corde furono passate attorno al suo corpo, sulle tette gonfie, e ne risultò una linea deformata, sgradevole a vedersi. Le tirò le caviglie all’indietro e le legò insieme, strette dietro il tronco della pianta, in modo che il ventre fosse costretto a spingersi in avanti contro il cactus spinoso. Il sangue colava sulle cosce della sventurata e il dolore doveva essere insopportabile, ma Peggy aveva gli occhi fissi nel vuoto e uno sguardo spento.Provavo una pena indicibile per lei e mio malgrado cominciai a piangere silenziosamente. Grosse lacrime mi rotolarono sulle guance, ma quello era tutto quanto potevo fare.Il cactus era proprio davanti a noi, e per due giorni fummo costrette a guardare la lenta morte di Peggy.Quando morì, la tolsero di lì e la portarono via. Non so dove, ma probabilmente la buttarono nel deserto, carcassa buona per i corvi e gli avvoltoi.A quel punto noi sopravvissute eravamo terrorizzate. Pareva evidente che una alla volta avremmo fatto la stessa fine, magari con sistemi diversi da quelli adottati per le prime due vittime. E una tale prospettiva ci raggelava.Per due giorni fummo lasciate, se così si può dire, tranquille. Ci lasciarono in pace a guardare l’agonia di Peggy, forse sazi di torture e atti sessuali, fino all’alba del quarto giorno. Avevamo tutte la pelle della schiena piagata per le punture dolorose dei cactus e molte a causa di ciò non riuscivano a chiudere occhio. L’odore dei nostri stessi escrementi ci ricordava continuamente lo stato di degradazione a cui eravamo giunte, e inoltre la sete e i morsi della fame non ci davano tregua e disperavamo di poter rivedere ancora un altro giorno in quelle condizioni.Quella mattina, stranamente, ci diedero da mangiare. Si resero conto, evidentemente, che se non ci tenevano in vita, non saremmo state più utili ai loro scopi. Come si sarebbero divertiti con un branco di donne morte? Ci diedero acqua a volontà e un po’ di cibo. Ricordo quanto fu delizioso quel primo sorso di acqua fresca, e il guerriero che me la diede mi parve anche gentile.Ma m’illudevo. Lui come gli altri covava pensieri di torture e di morte, e mi sfamava per poi divertirsi. Comunque, con la fame e la sete che avevo, accettai riconoscente quello che mi dava, e non volli analizzare le ragioni per cui lo faceva. Bevvi l’acqua con avidità, e me la sentii scendere giù a dissetare l’arida gola e le membrane riarse.Ci fu data anche una specie di pappa di cereali, che in altre condizioni avrei trovata rivoltante ma che in quel momento accettai come una leccornia, e dei pezzetti di carne secca. Mi bastò quel poco per ridarmi forza, come se la linfa vitale mi avesse rinvigorito il corpo, ritemprato i nervi e la mente. Ringraziai persino l’indiano che mi aveva sfamata, anche se la quantità del cibo era da animale da gabbia. Stavo ormai perdendo il poco orgoglio che mi rimaneva. Credo che mi sarei curvata a baciargli i piedi, se quello fosse stato il prezzo da pagare per avere acqua e cibo. Dopo fummo slegate una ad una e potemmo camminare in un ampio cerchio. Probabilmente consideravano che, oltre al cibo, ci occorreva un po’ di esercizio fisico, per essere in buona forma per il loro uso e abuso.Quella mattina scelsero anche una nuova vittima. Si chiamava Tina, ed era la bella vedova di Mark, che era stato il migliore amico di mio marito. Tina e Mark ci avevano fatto spesso compagnia, e durante il viaggio verso l’ovest la nostra amicizia si era rinforzata.Era una bella donna di circa trent’anni, con bei capelli neri e un corpo molto attraente, anche se era un tipo esile e senza curve appariscenti. Fu presa quella mattina, e come nei casi precedenti, non potei reprimere l’ondata di disgusto che mi prendeva ogni volta che una di noi veniva usata come cavia.La donna fu condotta nella piccola radura, davanti a noi. Gli indiani traevano il massimo piacere se sfogavano i loro istinti schifosi su una di noi mentre le altre erano costrette a guardare. Sapevano che questo ci infondeva paura, perchè ci dibattevamo nel dubbio di conoscere a chi sarebbe toccato dopo.Tina era una donna timidissima, gentile, tranquilla. Fino a quel momento non si era abbandonata a isterismi, come le altre. Sperai che si mantenesse calma, per modo di dire, e che si sottraesse a una brutta fine. Sempre meglio sopportare qualsiasi degradazione sessuale o di altro genere e uscirne vive, anzichè morire nel deserto di morte atroce e farsi mangiare da corvi e avvoltoi. Immaginai che Tina avesse quei pensieri nella mente e che perciò si lasciasse trascinare nella radura senza protestare o perdere il controllo.Le avevano legato le mani dietro la schiena e pensai che presto l’avrebbero violentata e scopata. Avevo ragione.Furono scelti due giovani guerrieri, secondo una procedura segreta e misteriosa che non capii, e quelli dovevano lavorarsi la ragazza. Uno le andò davanti, l’altro dietro.Non ero sicura all’inizio delle loro intenzioni, ma mi ci volle poco per capire che mentre uno le avrebbe infilato il suo lungo aernese nella fica, l’altro le avrebbe rotto il culo.Ero comunque perplessa, non avevo mai pensato che una cosa del genere si potesse fare, essere prese cioè contemporaneamente da due uomini, e viste le dimensioni dei due membri, sudai freddo per la povera Tina. L’avrebbero storpiata sicuramente. Già prenderne uno solo, davanti o dietro, era un’esperienza terrificante, due insieme poi, l’avrebbero ridotta molto male. I due non si curarono affatto degli effetti devastanti che la doppia violenza avrebbe causato alla donna. Tina stava in piedi, calma, apparentemente ignara del pericolo incombente.Il guerriero davanti a lei, dopo essersi tolto il perizoma, cominciò a baciarle e a morderle le grosse tette. Tina aveva il seno molto sviluppato e le sue due mammelle erano le più grosse che avessi mai visto. Non che io andassi in giro a fare paragoni tra il seno di una e quello di un altra, ma Tina lo aveva bello grosso e non si poteva fare a meno di notarlo a prima vista.Più di una volta avevo sorpreso mio marito a guardarla con ammirazione, e non le guardava certo la bocca o i denti. Naturalmente non ci avevo badato perchè eravamo amici e mio marito non avrebbe mai osato farle delle proposte, tanto più che Mark era un suo carissimo amico.Per farla breve, le sue tette erano una magnificenza e questo fu appunto l’effetto che fecero al guerriero indiano che aveva avuto la fortuna di poter usare la parte anteriore del suo bel corpo. Lavorava con impegno, baciava, leccava e mordeva le rotondità con foga e bramosia.Finora Tina aveva controllato le sue emozioni, era impossibile dire se temeva per la sua vita, o se godeva delle attenzioni erotiche che le stavano dedicando. La sua faccia non forniva indizi sul suo vero stato d’animo. Ero convinta che, anche se non provava piacere, era brava a non opporsi e a non offrire ai due stalloni ulteriori motivi per torturarla, come probabilmente progettavano.Intanto l’apache davanti si dava da fare sempre più a succhiarle e maltrattarle le tette. Poi cominciò a morderle i capezzoli e questo finalmente produsse un sospiro sulle labbra di Tina e un fremito le percorse il corpo. Ma anche in questo caso era difficile dire se il sospiro era di piacere o di soffernza. Il fatto è che in molte circostanze piacere e dolore sono strettamente uniti ed è difficile distinguere le due sensazioni.Poi il guerriero catturò i grossi seni nelle sue mani e prese a massaggiarli, impastarli, strizzarli, pizzicarli. L’altro dietro, anche lui nudo, si era finora limitato a guardare con interesse, mostrando una vistosa erezione che sfiorava appena, con la punta, le natiche di Tina. Lei, però, spingeva il corpo avanti, ogni volta ritraendosi, forse temendo la presenza di quel grosso arnese vicino al suo fondoschiena.E così l’indiano non riuscendo più ad aspettare che il compagno davanti si decidesse, dopo essersi inumidito frettolosamente il membro con la saliva, glielo appuntò tra le natiche forzandola nell’ano. Tina si afferrò, con le mani adunche ad artigli, alle spalle di quello che le stava davanti e lanciò un urlo animalesco rivolta con la faccia verso il cielo, arcuandosi e spingendosi contro il guerriero che le strizzava le tette. Sapeva di non potersi opporre e si limitava ad urlare con quanto fiato aveva in corpo, mentre il guerriero alle sue spalle faticava ad introdurglielo tutto dentro. Afferrato alle sue anche, spingeva con ferma determinazione, dava colpi micidiali infischiandosene del dolore che infliggeva alla sua vittima, e lentamente si introduceva nel culo di Tina, boccheggiante, che piangeva come una fontana.Mi resi conto che, anche per la mia amica, quella doveva essere la prima volta per lei a essere presa in quel modo, e mi venne da pensare che sarebbe toccato anche a me, prima o poi, subire quell’esperienza infame. Ebbi un attimo di paura, che mi fece presagire gli orrori che si addensavano sulle nostre teste, e lo sfintere mi si serrò in un moto involontario di autodifesa.Tina intanto continuava a soffrire per il vergognoso atto sessuale che l’apache stava perpetrando su di lei. Il maschio alle sue spalle era riuscito, con caparbietà e spinte cattive a introdurglielo tutto dentro il retto e il dolore atroce che sentiva lo si poteva leggere chiaramente sul suo volto. Era una maschera agonizzante di sofferenza, e inoltre, la vergogna di subire quell’atto contronatura davanti a tutte noi, le doveva sicuramente bruciare ancor di più. Non gridava più, per non dare a quei due bastardi la soddisfazione delle sue urla, ma le si leggeva chiaro in faccia che avrebbe voluto farlo con tutte le sue forze.Quello che stava davanti, visto ciò, decise di non indugiare oltre, perchè voleva condurre l’azione all’unisono col compagno. Così lasciò perdere i giochi con le tette di Tina e affondò in lei con violenza, iniziando subito a darle stoccate selvagge.A quel punto la donna non resse più allo strazio, e lasciato da parte ogni timore, cominciò a urlare a squarciagola, contorcendosi disperatamente per quel poco che le era concesso dalla stretta dei due.I due apache diedero l’avvio al ritmo erotico, e fu evidente che dovevano avere una lunga esperienza, lavorando in coppia, perchè erano ben collaudati. Quando il guerriero davanti affondava nella fica, l’altro si ritraeva dal culetto, e viceversa. E così di seguito, senza perdere tempo e senza sbagliare un colpo, e io fui certa che Tina stesse soffrendo le pene dell’inferno per quella copula bestiale, e che l’atto era per lei oltremodo degradante per le circostanze in cui veniva compiuto.Credo che Tina, a quel punto, avesse deciso saggiamenete che era meglio adeguarsi alla situazione e non aizzarli maggiormente, sperando che poi non l’avrebbero ammazzata. Difatti, da quel momento in poi, si limitò a dondolare legggermente le anche, cercando di ammorbidire i colpi più rudi, accettando in silenzio qulla violenza degradante e piangendo in silenzio.Quando i due non riuscirono più a contenere la passione erotica, con la stessa precisione delle stoccate, cominciarono a venire insieme. Gemiti di piacere uscirono dalle loro labbra, e subito dopo liberarono i loro succhi dentro il corpo della mia amica che rabbrividì di disgusto.I due guerrieri, scaricatisi in lei, ritirarono i membri ancora eretti e pulsanti, procurandole sicuramente altro dolore, e lasciarono la donna. Ma libertà e sollievo furono brevi per Tina. Dopo averla usata come desideravano, i guerrieri vollero darle una lezione. Ovviamente essi non volevano farci illudere che fossimo per loro solo oggetti di piacere, e se qualcuna di noi lo aveva pensato, dovette ricredersi.Trascinarono Tina sopra il falò al centro dell’accampamento, che a quell’ora era uno strato di carboni ardenti. La costrinsero ad inginocchiarsi e la legarono a due pali bassi che servivano per girarci sopra lo spiedo con la cacciagione, con le mani ancora legate dietro la schiena e le ginocchia aperte, fissate alla base dei pali. Le fissarono poi delle corde ai gomiti e le tirarono, distendendole le braccia dolorosamente e fissando le funi all’estremità alta dei pali. Poi il guerriero che l’aveva presa davanti, quello che si era trastullato con le sue grosse tette, strinse in un cappio ogni capezzolo e poi tirò le funicelle alla base dei pali e le bloccò. Tina urlò per il forte dolore stavolta, perchè le funi le tiravano in fuori i capezzoli, quasi glieli volessero staccare dalle carnose rotondità dei seni. Mi sentii rabbrividire a quella vista, conscia della sua sofferenza.Tina era costretta in una posizione che non le permetteva alcun movimento, poi gli indiani ravvivarono il fuoco in modo che le fiamme andassero direttamente sotto la vagina e le tette. Tina lanciò grida strazianti. Il calore del fuoco le bruciava la carne. Non c’è nulla di peggio dell’odore di carne bruciata, e quella esperienza me lo dimostrò.Tina fu sottoposta a quella atroce tortura per diverse ore, finchè il dolore e gli spasimi terribili non la fecero svenire.Alla fine la tolsero dalla orribile posizione e la ributtarono tra noi, che eravamo legate saldamente, con le corde, da quattro giorni. In un certo senso fui contenta per lei. Dopotutto non l’avevano uccisa, come le altre due, e questo mi fece sperare che forse avevano rinunziato a fare una strage inutile. Spravvivere alla tortura era già molto meglio che finire dilaniata nel deserto.Ero sicura che gli Apache avevano in serbo mille modi per ucciderci, ma speravo di non vederli mai attuati. Tina rimase priva di sensi molto a lungo, e solo dopo il tramonto rinvenne. Era abbastanza vicina a me e così potei parlarle.· Come ti senti? – le chiesi, pensando che la mia domanda era stupida dopo tutto quello che aveva passato.· Male. – mi rispose, guardandosi il corpo pieno di ustioni, soprattutto sul seno e all’inguine.· Sei davvero coraggiosa, Tina – disse Mary singhiozzando, più per la gioia di vedere Tina in se che per altro.· E comunque sono viva – aggiunse Tina con una smorfia di dolore. – Mi fa male dappertutto, soprattutto dietro, dove quel bastardo me l’ha infilato. Spero che crepi! -· Sei stata in gamba, cara – le dissi per rincuorarla.· Ecco, li ho studiati in questi giorni, e so che le altre sono morte perchè hanno opposto resistenza – disse Tina con aria esperta.· Si, cara, l’ho notato anch’io – le dissi per farle capire che ero d’accordo.· Spero che le altre si comportino allo stesso modo – concluse. – Sarei addolorata se ci fossero altre morti. -· Lo so, Tina, ma tutto quello che abbiamo visto in questi quattro giorni dovrebbe insegnarci molte cose sul loro modo di agire. Quindi non ci resta che sperare. – le dissi.Impiegai molto quella notte per addormentarmi. Mi tormentava un pensiero: quando sarebbe venuto il mio turno? Ero già stata violentata dal capo, e questo probabilmente mi metteva in fondo alla lista delle donne da aggredire.Ero quasi contenta di avere fatto la prima esperienza con quei selvaggi nel mio carro, durante l’assalto alla carovana, e speravo che non si sarebbero più curati di me.
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