Fui svegliata al mattino da un grido che mi fece sobbalzare. Mi ero addormentata con la paura di risvegliarmi con un coyote affamato accanto, e quel grido agghiacciante di donna mi scosse i nervi. Alzai la testa e con orrore vidi che tutte le donne erano tornate ai loro posti, eccetto Mary, che era stata legata in una posizione orribile davanti a noi e veniva usata da diversi guerrieri come bersaglio per esercitazioni di tiro.Evidentemente Mary aveva fatto qualcosa di male durante la notte, perchè quello che capeggiava il gruppo era lo stesso guerriero che se l’era inculata, il giorno avanti.Mary lanciava grida acute ogni volta che una freccia la colpiva, e ovviamente questo nuovo tipo di spasso indiano non le piaceva. Non parliamo poi della orribile posizione in cui era stata messa. Mary aveva le mani legate sopra la testa, alla congiunzione di un treppiedi fatto di lunghi pali. L’attaccatura delle cosce e il suo inguine poggiavano su un basso cactus spinoso, alto un metro circa, e i piedi, che non toccavano terra, erano legati insieme, alla base del cactus.In quella posizione il corpo tendeva a scivolare continuamente verso il basso e la vagina premeva sempre più sul cactus, infilandosi nelle spine. Questo da solo bastava per torturarla. Infatti piccoli rivoli di sangue cominciarono a scorrerle lungo le cosce, segno evidente che le spine del cactus le stavano tagliuzzando la tenera carne.Ma i folli desideri degli apache non si fermavano lì. Essi erano alla continua ricerca di piaceri sessuali sempre più depravati. Avevano frecce enormi, prive della punta acuminata. In tal modo le frecce non uccidevano Mary, ma le causavano un forte dolore a ogni colpo. Le punte smussate le colpivano la carne formando una specie di cavità rotonda. Mary gridava ogni volta che una freccia le feriva la carne morbida e bianca, rimanendovi infilata per pochi secondi prima di cadere sulla sabbia. Ogni indiano faceva a gara col compagno nel tirare frecce sempre più vicine al centro del bersaglio, che erano i capezzoli. Poi tutti scoppiarono in fragorose esclamazioni: uno di loro era stato il primo a colpire il capezzolo destro di Mary. La donna urlò dal dolore quando la freccia le lacerò il capezzolo infilandosi nella rotondità carnosa del seno. Fu forse l’abbondanza della carne a far pensare che la freccia le fosse penetrata più delle altre. Ma in effetti anche quella cadde sulla sabbia.Mary era sconvolta dallo spasimo. L’espressione della sua faccia faceva pena e, pensando anche a quello che aveva passato il giorno prima, quando era stata sodomizzata brutalmente, nel vederla torturata così mi si stringeva il cuore. Però mi chiedevo che cosa avesse spinto gli indiani a riprendere le loro crudeltà. Poichè tutte le altre donne se ne erano tornate tranquille vicino a me e non avevano subito torture, Mary doveva avere fatto o detto qualcosa per provocarli.Eppure io e lei ne avevamo parlato in precedenza e lei aveva convenuto che era prudente non farli arrabbiare. Ma poteva darsi che lei non ne avesse colpa, e che gli indiani l’avessero semplicemente trovata più attraente delle altre e quindi scelta per farne il bersaglio delle loro deviazioni sessuali.Dopo che il primo ebbe centrato il capezzolo, esso divenne l’oggetto della loro follia. Si misero in fila e ognuno tirò quattro o cinque frecce cercando di colpire il capezzolo. Mary lanciava grida sempre più patetiche. Avrei voluto correre da lei, ma nè io nè le altre potevamo fare nulla.Mary poteva contare soltanto sulle sue forze per sopportare la tortura da sola. Agli indiani non diceva nulla, nessuna parola offensiva. Ma le grida erano raccapriccianti, specialmente quando veniva colpita al seno. Il sangue le scorreva ora abbondante lungo le cosce, perchè il corpo, a causa dei suoi movimenti convulsi, era scivolato ancora più in basso e le spine del cactus le si infilavano sempre più profondamente nella carne. Era per noi tutte una vista disgustosa, che ci dava la nausea allo stomaco.Ogni volta che una freccia affondava nella tenera carne, le lasciava un segno circolare orribile a vedersi. E sapevo che per fare quel segno il colpo doveva essere molto doloroso. Anzi molto più doloroso di quanto Mary lasciava immaginare coi suoi strilli e le sue lacrime. E tutte quelle contusioni che le sciupavano il corpo non sarebbero scomparse tanto presto.La tortura continuò per un pezzo. Un paio di volte Mary lasciò cadere la testa di lato e io pensai che fosse svenuta. Poi una freccia la colpì all’inguine, appena sopra la vulva sanguinante, e lei si riscosse, ma l’espressione sulla sua faccia era di profonda angoscia. Mi cadde una lacrima. Volevo soccorrerla e non potevo, e quella condizione di prigionia mi fece montare la rabbia.Alla fine parvero stanchi di quel gioco crudele, e dopo un breve confabulare, formarono un cerchio attorno a Mary. In quel momento pensai che l’avrebbero liberata. Ma d’un tratto vidi uno di loro sollevare un braccio e mollarle un violento ceffone in faccia, che la fece urlare di nuovo. Mi chiesi perchè la torturassero così. E continuavo a dirmi che Mary doveva aver fatto qualcosa per provocare la loro vendetta.I guerrieri fecero a turno a schiaffeggiarla sulla faccia e poi sulle tette già martoriate dalle frecce. Uno poi le diede un pugno sullo stomaco e Mary sobbalzò violentemente sul cactus che la teneva inchiodata agli inguini, rimase senza fiato. Sapeva sopportare anche troppo bene, e ammirai la sua resistenza di fronte a tanti atti di crudeltà. Poi, non ancora soddisfatti, gli indiani la violentarono a turno. Le slegarono le caviglie e la sollevarono di colpo dal cactus, mentre lei lanciava un urlo stridente di sofferenza, e potei vedere che la sua carne più intima era malamente tagliuzzata e sanguinava abbondantemente.Tagliarono il cactus alla base e lo tolsero da sotto a Mary, la lasciarono però legata per i polsi, sospesa ai pali, il corpo dondolante e indifeso, bersaglio dei loro assalti. I guerrieri si misero in fila davanti a lei, mostrando erezioni enormi. Sulle prime non fecero nulla. Si limitarono a farle vedere di quali armi erano dotati. Era una sorta di tattica del terrore. Se me li fossi trovati davanti io, pensai, e senza aver subito tutte le crudeltà che Mary aveva sopportato, già una parata di membri come quella mi avrebbe sicuramente fatta diventare folle di terrore.E Mary non doveva certo essere in uno stato d’animo tanto diverso dal mio. Aveva sopportato troppo dolore fisico e troppa umiliazione. Per non parlare degli spasimi che ancora dovevano darle le numerose contusioni sulla pelle e le ferite alla vagina. Non era nelle condizioni di accettare sesso di nessun genere in quel momento, per come aveva conciato il pube, anche se era il polo di attrazione di tutti i guerrieri.Appesa com’era, aspettava passivamente le violenze che sicuramente avrebbe ricevuto di lì a poco da quei maschi eccitati. Così dopo la parata, il primo si fece avanti e con rapidità le infilò l’asta pulsante nella vagina sanguinante.Il contatto fu stabilito senza sforzo, perchè il sangue faceva in un certo senso da lubrificante. A me però diede il voltastomaco. Avrebbero almeno potuto ripulirla, prima di prenderla, ma a quelli, evidentemente, il sangue non disgustava affatto. Era finito il tempo dei modi civili. Ringraziai il cielo che a scegliere me fosse stato quello stregone. Dovevo probabilmente a lui se gli altri guerrieri mi avevano lasciata in pace. Quando l’indiano diede la stoccata per penetrarla a fondo, Mary lanciò un lungo grido straziante e cercò di afferrarsi alle corde che le segavano i polsi per tentare di sfuggire al dolore sicuramente lancinante che provava al basso ventre. Purtroppo lei non stava beneficiando dello stesso trattamento mio, e adesso veniva trattata come una bestia. D’altra parte quel branco di selvaggi non aveva nessuno che gli dicesse di smettere. Il potere illimitato che avevano su di noi dava loro alla testa.Mentre stavano allineati davanti a Mary, quello che l’aveva presa le dava stoccate violente, incurante del sangue che spargeva, e apparentemente al colmo dell’eccitazione. I suoi movimenti frenetici continuarono con ritmo incalzante, mentre le sue natiche muscolose rilucevano al sole e il suo membro sporco di sangue andava avanti e indietro come un pistone. Mary cominciò a mandare alti lamenti, e mi resi conto che la sua vagina doveva darle un dolore tremendo. Chissà se Mary aveva goduto di molto sesso col defunto marito, mi chiesi, e chissà se ce l’avrebbe fatta a sopportare quella sfilza di cazzi che attendevano il loro turno, come una fila di spettatori al botteghino di un rodeo.La sua espressione era di estrema sofferenza, una ridda di emozioni e smorfie grottesche si alternavano sulla sua faccia, contorcendole i lineamenti. Ma adesso predominavano paura e disgusto. Le augurai soltanto che il dolore l’avesse portata al punto della totale insensibilità, in cui nulla poteva farle più male.I guerrieri che assistevano alla scopata del compagno diventavano sempre più nervosi, man mano che il protagonista manifestava, con la voce e con i gesti, il crescente piacere erotico che provava. La loro impazienza era tale che parevano sul punto di strappare via il compagno per prendere il suo posto. Ma questi era egoista e voleva restare affondato in Mary il più a lungo possibile, per puro piacere personale.Il primo della fila in attesa si spazientì e decise di partire all’azione, andandosi a piazzare dietro a Mary. A quel punto compresi che l’avrebbero montata da due parti, davanti e dietro.Non sapevo come l’avrebbe presa Mary, era già stata sodomizzata il giorno prima e forse anche durante la notte, e sicuramente l’ano le doveva essere rimasto sensibile e dolorante, e questa nuova effrazione sicuramente l’avrebbe fatta soffrire enormemente, ma speravo che fosse tanto saggia da non ribellarsi. Altrimenti avrebbero ricominciato a picchiarla e a farla soffrire come prima e forse anche ad arrivare a ucciderla.Il guerriero dietro a Mary si prese in mano il cazzo e se lo bagnò di saliva. Dopodichè non perse tempo. Si appuntò tra le sue natiche e cercò di infilarglielo con un colpo solo. Mary oscillò sotto la spinta e la vidi rattrappirsi sofferente, mentre ci guardava con occhi allucinati. L’indiano alle sue spalle diede una seconda spinta fortissima e glielo infilò nel culo. Tutto di colpo. Il dolore dovette esser tremendo e arrivarle direttamente al cervello, perchè non mi è capitato mai più, in vita mia, di vedere un volto con una tale espressione di dolore stampata sopra. Con una smorfia grottesca che le deformava orribilmente la faccia, Mary si morsicò a sangue la lingua per non gridare, e dovette sentirsi trapanare fino nello stomaco da quel membro che le si infilò di botto nell’intestino. Poi si abbandonò come morta, ma vedevo che era ancora sveglia. Pareva in trance, o comunque lontana dal presente. Se non sentiva più niente era una fortuna per lei. La doppia violenza che stava ricevendo era sicuramente una punizione sufficiente per completare la dura prova cui era sottoposta. Poi pensai che dopo averla chiavata fin quasi a renderla incosciente, avrebbero potuto ricominciare con le torture.I due guerrieri si misero a ridere in modo quasi satanico quando ebbero armonizzato il ritmo dei colpi, come un’altalena che andava avanti e indietro nella sua fica e nel culo. L’azione simultanea e combinata faceva si che mentre l’uno affondava nella vagina, l’altro si ritirava dal retto, e appena quello dietro spingeva, il compagno tirava via il suo membro quasi fino alla punta, e così di seguito.Infine quello che aveva protratto l’azione a lungo, non potè trattenere più l’orgasmo. Irrigidì le natiche, tese i muscoli, la sua pelle ramata luccicò al sole. E poi lanciò un tremendo grido di piacere. Poche rapide stoccate e si fu scaricato completamente. Il suo corpo tremò, fu scosso da brividi mentre finiva di allagare la fica di lei. Doveva aver avuto un orgasmo eccezionale. Quando si ritirò da Mary aveva il cazzo tutto imbrattato di sangue e ancora eretto. Appena si fu staccato da lei, il guerriero di turno si sostituì immediatamente a lui e, con una sola stoccata, affondò in Mary. La donna non ebbe neppure il tempo di tirare il fiato, ammesso che fosse cosciente di quanto le facevano. La sua espressione era vacua, assente, e faceva pensare che lei fosse indifferente a tutto.Intanto quello dietro continuava a dare colpi su colpi finche mostrò segni palesi di eccitazione. Poco dopo che l’altro guerriero ebbe penetrato Mary davanti, venne anche lui e con frenetiche spinte le scaricò la sua porzione di veleno nelle viscere. Il piacere sembrava non finire mai, ma alla fine anche lui, sia pure a malincuore, si ritirò per cedere il posto a un altro.La giostra di partecipanti andò avanti, finchè tutti ebbero provato l’ebbrezza di scopare Mary, davanti o nel culo. Quando tutti furono venuti, non avendo desiderio forse di ricominciare il tiro al bersaglio, o forse stanchi e appagati, sciolsero la donna e trascinarono il suo corpo inerte fino al nostro gruppo, dove la legarono a un cactus, a poca distanza da me. Mary era svenuta.E intanto il sole stava per tramontare,segnando la fine del nostro sesto giorno di prigionia. Praticamente per un giorno e mezzo Mary era stata tra le grinfie degli apache, e fui contenta che fosse svenuta. Era un modo per non sentire il dolore. Nella notte avrebbe recuperato un po’ le forze, e mi augurai che l’indomani ne avesse abbastanza per sopportare gli spasimi del suo corpo offeso e contuso. Il mattino seguente fui nuovamente svegliata da un urlo. Lo aveva emesso una delle ragazze verso l’estremità del gruppo, che aveva ricevuto un calcio al ventre da un indiano. Non credo che avesse fatto nulla. Era semplicemente un modo per svegliarci. E questo vi dice quanto erano crudeli.Girai la testa e vidi Mary che aveva appena aperto gli occhi. – Mary, come stai? – le chiesi. – Oh, mi sembra di avere fatto un viaggio all’inferno – mi rispose, sentendo tutti i postumi dei maltrattamenti del giorno precedente. – Che cosa hai combinato per farli incattivire così? – domandai spinta dalla curiosità. – Niente – – Niente? – ansimai, incredula. – Niente – mi ripetè. – Mentre tu dormivi ci hanno passato in rassegna. Parlottavano fra di loro, e ci esaminavano. Poi uno si è avvicinato a me e mi ha tirata in piedi con uno strattone. Il resto lo sai. – – Deve essere stato tremendamente spaventoso per te – le dissi. – Altrochè! Specialmente in principio. Le frecce mi hanno fatto terribilmente male e il dolore che provavo stando seduta su quell’accidenti di cactus, te lo lascio immaginare. Ma quando il dolore è arrivato al massimo, non mi è importato più di nulla. Quando quel… quel porco maledetto me l’ha infilato… si dietro intendo, non ho capito più nulla e credo di essermi sentita male. So che devono avermi violentata ancora, ma francamente non ricordo niente. – – Beh, infatti parevi in trance! – le dissi, ricordando la sua faccia di pietra, gli occhi assenti durante tutta la terribile violenza. La mia ipotesi si era rivelata giusta. Mary era rimasta insensibile a tutte le cose che le avevano fatto da un certo momento in poi. Altrimenti la sua esperienza sarebbe stata molto più penosa. – Guarda in che stato è il mio corpo – mi disse, guardandosi la tenera carne piena di contusioni, lo sperma che le chiazzava il corpo e ormai seccatosi. – Immaginavo che stamane saresti stata un disastro. Però sono contenta che non hai sentito tutte le scopate che ti hanno imposto. – Me lo immagino. Sono stati in tanti? – mi chiese, guardandosi con espressione disgustata, non ricordando buona parte dei fatti. – Sei o sette davanti e altrettanti dietro. – – Accidenti, non ricordo nulla. – – Tanto meglio – le dissi. – Non sono cose che fa piacere ricordare, comunque. – – E pensare che al mio povero marito, avevo sempre negato quella parte di me, che adesso mi hanno ridotto come una caverna, di quanto me lo sento largo. – – Dimentica tutto, è meglio – le consigliai. – Cosa pensi che faranno stamane? – mi domandò portando la sua attenzione verso l’estremità del gruppo di prigioniere, dove un guerrero cominciava a tirare in piedi ogni donna. – Non lo so. Forse ci sottoporranno a sesso collettivo, o tortura collettiva, dato che ci fanno alzare tutte assieme. – dissi con scarso ottimismo.Dopo i primi giorni la speranza di cavarcela era sempre più debole in me, e temevo che i selvaggi, dopo essersi divertiti con noi, ci avrebbero sterminate tutte. Erano passati sei giorni e purtroppo nessun bianco era apparso all’orizzonte. Eravamo al centro del vasto deserto e l’occhio spazzava in ogni direzione per molti chilometri. Apparentemente i guerrieri erano in posizione molto vulnerabile, così allo scoperto, ma se non se ne preoccupavano, dovevano sentirsi al sicuro.Quando fummo tutte in piedi, e legate l’una all’altra in fila, mi resi conto che c’erano cambiamenti in vista. Difatti erano in procinto di lasciare l’accampamento e di spostarsi. Non immaginavo dove ci avrebbero portate. Però l’accampamento principale della tribù non doveva essere tanto lontano. Intanto gli indiani distrussero il falò, con calci e pedate. Poi sparsero sassi e sabbia attorno per cancellare le orme e qualsiasi segno della loro presenza sul luogo.Raccolsero le tende in un baleno, e mi sorprese la sveltezza con cui lavoravano. In dieci minuti la zona non aveva più tracce della nostra sosta là.Due guerrieri si misero in testa e due in coda alla fila delle donne. Mary e io eravamo circa a metà della colonna e ne fummo contente; ci dava la sensazione di essere un po’ più al sicuro. Il resto dei guerrieri ci sorvegliava ai lati e controllava la colonna facilmente. D’altronde non credo che qualcuno avesse intenzione di fuggire. Dove potevamo andare in quel deserto, nude e senza viveri.Per il momento gli indiani, pur col terrore che ci infondevano, erano una speranza di vita perchè ci davano da bere e quel poco di cibo per sostenerci.Quando fummo in marcia la paura del futuro ritornò in me, più prepotente di prima. Le speranze cui mi ero aggrappata nell’accampamento mi stavano abbandonando. Dopo un paio d’ore di quell’inferno di calore una donna, mi pare si chiamasse Susan, si sentì male e cadde sulla sabbia. Non ci avevano dato un sorso d’acqua e quel giorno il sole era più caldo del solito. Era quasi un miracolo che non ne fossero svenute di più.Un indiano scese da cavallo e, senza un briciolo di pietà, le mollò una pedata al fianco. La donna gridò dal dolore, ma nessuna di noi tentò di farla rialzare. Sapevamo che un gesto simile l’avremmo pagato con violente percosse, come minimo. Può sembrare terribile che nessuna facesse nulla, ma si stava diffondendo il principio che ognuna doveva badare a se stessa, e ognuna rispettava il comportamento delle altre. Se una si cacciava nei guai, o faceva arrabbiare un indiano, doveva accettare la punizione, e le altre facevano da spettatrici, loro malgrado, come era successo con Tina e con Mary.Susan doveva cavarsela da sola, perchè noi non potevamo fare nulla per lei.Tentò di rimettersi in piedi, ma era troppo debole. Aveva sicuramente bisogno d’acqua, forse più di noi, e senza non ce la faceva. Gli apache continuarono a darle calci violenti, ma di acqua neppure l’ombra.Frenai a fatica la voglia di gridare che aveva bisogno di bere. Se lo avessi fatto, probabilmente mi avrebbero privata della mia porzione di liquido quotidiano, e allora sarebbero stati guai grossi per me. Così tenni la bocca chiusa, come le altre. La situazione era terribile, lo so, ma se avevo sopportato la vista di Tina e di Mary torturate nel modo più spietato, potevo ben sopportare di vedere svenire una di noi per sete.Quando i guerrieri si stufarono di tirarla e di vederla ricadere, ci fecero disporre in cerchio, come a formare una specie di accampamento. Deposero tutta la loro roba, e io ne fui felice. L’incidente di Susan li aveva convinti a fare una sosta, pensai, e almeno le avrebbero dato un po’ da bere.La sosta ci fu, è vero, e si protrasse per diverse ore. Ma quel bivacco improvvisato servì solo a farci assistere forzatamente alla fine della graziosa Susan.La sua colpa era di essere stanca e assetata, ma gli indiani non sopportano la debolezza, e mentre a noi diedero un po’ di cibo e mestoli d’acqua, Susan fu allontanata dal gruppo e lasciata morire in modo atroce. Fu sepolta nella sabbia, le braccia legate dietro la schiena, e ricoperta fino all’inguine. La peluria pubica occhieggiava appena fuori dallo strato sabbioso, e il suo corpo era mezzo sepolto, mezzo esposto.Vicino a lei vi era un grosso scheletro di bue e la seppellirono in modo che la sua vagina fosse vicina alla bocca dell’animale morto. Dal mio punto di osservazione la vedevo di profilo e pareva che il bue addentasse il suo sesso esposto. Lo scenario, nel suo insieme, era terrificante e il peggio era che Susan, così debole per mancanza di acqua e di cibo non poteva neppure gridare. Aveva aperto la bocca e faceva sforzi per emettere dei suoni, ma non le uscì che un suono soffocato. Ero in pena per lei, ma non potevo soccorrerla se non volevo mettere a repentaglio la mia stessa vita.Due guerrieri si allontanarono a cavallo, mentre gli altri se ne rimasero in attesa, seduti a gambe incrociate, in attesa che Susan fosse uccisa forse da qualche animale selvaggio del deserto, o peggio, da un avvoltoio.Il loro sadismo si manifestava in ogni atto: volevano farci assistere alla sua morte, una morte lenta e terribile.Volevano farci capire che ogni nostro tentativo di ostacolarli, sia pure a causa di debolezza fisica o svenimento, allungando così il nostro viaggio che poteva durare giorni o ore, avrebbe ottenuto un solo risultato: fare la fine di Susan.Dopo un po’ tornarono i due guerrieri che si erano allontanati, arrivarono urlando e sghignazzando come allegri e fieri di aver fatto chissà cosa. Avevano due sacchetti di cuoio legati da un laccio, smontarono da cavallo e si avvicinarono alla povera Susan. Mentre lei li guardava con occhi inorriditi, non riuscendo a capire cosa volessero farle, uno dei due le versò, nella vagina e poi in mezzo alle natiche, un liquido biancastro che prelevò da una specie di fiaschetta, sembrava latte. Poi l’altro aprì il primo sacco e fece rotolare davanti a lei il suo contenuto. Inorridii a quella vista. Era un serpente lungo circa cinquanta centimetri e col corpo scuro, grosso all’incirca tre centimetri, si srotolava e si attorcigliava forse spaventato, ma quasi subito si avvicino a Susan, sembrava fiutasse qualcosa, forse il liquido che l’altro guerriero le aveva insinuato nella vagina. Susan era letteralmente terrorizzata e cercava di contorcersi per quanto le permetteva la scomoda posizione. Strillava adesso, anche se flebilmente, e supplicava i due aguzzini di toglierle quel serpente, ma loro non le diedero ascolto. Il serpente aveva forse fiutato l’odore del latte, si agitò e cominciò a muoversi più velocemente, aveva capito che l’odore che sentiva proveniva dalla figa di Susan.Il serpente iniziò ad avvicinarsi sempre più alla figa e con un guizzo mise dentro la testa. Susan era in preda al panico, vedeva il serpente che piano piano entrava dentro di lei, continuava a gridare e si agitava istericamente, cercando di liberare i polsi dalle corde che la tenevano, ma inutilmente. Il rettile entrò tutto dentro di lei. I due guerrieri guardarono soddisfatti la scena e scoppiarono in una grande risata. Poi l’altro guerriero aprì l’altro sacco e lo avvicinò alle natiche della povera ragazza. Mi mancò il fiato al pensiero di quello che stavano per farle. Mi morsi il labbro sconvolta, ma non potevo fare assolutamente nulla per fermarli.Un altro serpente, molto simile al primo, sgusciò fuori e cominciò a srotolare le sue spire vicino alle natiche della ragazza. Susan capì quello che volevano farle e cominciò a strillare, stavolta come un indemoniata agitandosi convulsamente, poi, piangendo calde lacrime, li supplicò di lasciarla andare: avrebbero potuto chiederle quello che volevano, ma non avrebbe potuto accettare un serpente nel suo sedere. L’apache sembrò pensarci, sghignazzo come fosse allucinato, poi prese il serpente per il collo e lo portò vicino al culo di Susan, il serpente sentendo l’odore del liquido che le avevano spruzzato cercava di sgusciare dalle mani dell’indiano per infilarsi nel buco che odorava di quel qualcosa che lui prediligeva. L’indiano gli permise di infilarsi con la sola estremità della testa mentre Susan cacciava uno strillo acuto, poi, tenendolo in modo che non potesse entrare di più lo mollò piano piano fino a che il serpente si introdusse con tutta la testa nell’ano della ragazza. Susan lanciò un urlo disumano di paura e dolore. Infine l’apache lo lasciò andare del tutto e vidi che il serpente, muovendosi sinuoso, sparì completamente nel retto di Susan. Lei gridava a squarciagola e si agitava, tentando di liberarsi dai legami che le bloccavano i polsi, sentiva sicuramente i serpenti che si muovevano dentro di lei, e doveva essere una sensazione spaventosa e disgustosa. A quel punto i due guerrieri si allontanarono e la lasciarono a contorcersi al sole.La morbida pelle di Susan divenne molto presto rossa e increspata, man mano che il calore agiva in profondità. Aveva smesso di agitarsi e solo qualche fremito ogni tanto denunciava la presenza dei due serpenti che si muovevano al suo interno. All’improvviso, come sbucato dal nulla, un serpente a sonagli uscì dal foro dell’occhio nel teschio del bue. Tirò la coda dentro il teschio e si attorcigliò pronto a colpire. Il suono dei suoi sonagli minacciosi echeggiava nel deserto; un suono di tormento e di morte.Susan tentò ancora una volta di gridare aiuto, ma ormai nessun suono le usciva più dalla bocca. Era prevedibile quanto sarebbe successo. Il serpente scattò in avanti e la morse proprio nella vena giugulare, al collo. La morte della ragazza fu quasi istantanea, nell’attimo stesso in cui il veleno le entrava nel sangue.Il serpente si riattorcigliò subito e scivolò via. Naturalmente il nostro coro di grida spaventate, contribuì alla sua fuga.Uno spettacolo rivoltante, un completo disprezzo della vita umana. Mi crebbe il terrore di morire.Sapevo che un passo falso, una svista, una mossa nella direzione sbagliata, mi avrebbe portata a fare la stessa fine di Susan. Non appena Susan ebbe esalato l’ultimo respiro, Cane Giallo ci fece riprendere la marcia nel deserto.Pensai che intendevano raggiungere un determinato punto prima di notte, e Susan aveva fatto perdere loro del tempo. Ma i loro sorrisi perversi mi dissero che, tutto sommato, il ritardo era stato compensato dal piacere sadico della morte di Susan.Andammo avanti dunque, e siccome ci rifocillarono, camminammo spedite, con energie abbastanza fresche. Naturalmente, visto quanto era capitato a una di noi perchè aveva mostrato debolezza, ci sentivamo spronate a camminare di buon passo. Per il resto della giornata non vi furono altri problemi. Attraversammo il deserto e, quando il sole stava per tramontare, la temperatura divenne più sopportabile e la marcia più comoda. Ci fermammo quando era già buio.Capii che la sosta più lunga del previsto, a mezzogiorno, ci aveva fatti arrivare al nostro punto di arrivo oltre l’ora stabilita dagli indiani. Comunque non persero tempo per accendere il fuoco e montare le tende.Noi fummo legate a grossi alberi, sebbene nessuna si sarebbe sognata di avventurarsi, stanca e sfinita per giunta, in quelle terre brulle e solitarie. Dovevamo adeguarci alla situazione e assecondare gli indiani nel bene e nel male. Ci riposammo attorno al fuoco. Di notte la temperatura calava bruscamente nel deserto e il calore della fiamma ci faceva piacere. – Ehi, Mary, cosa credi che ci faranno ancora? – domandai alla mia amica, rompendo il silenzio di tutta la giornata.Non avevo mai parlato durante la marcia per non beccarmi un colpo in testa, o peggio essere lasciata nel deserto a morire. – Non so – mi disse Mary con voce sommessa. – Ma spero di non essere prescelta, di qualunque cosa si tratti. – – Oh, ne hai già passate abbastanza, tu! – – Sento dolore in ogni punto dove le frecce mi hanno colpita – mi disse, accennando con il mento alla condizione pietosa del suo corpo. – E inoltre la lunga marcia non ha fatto bene al resto. Ho la vagina ancora ferita e mi sta facendo soffrire tanto, per non parlare dell’ano. – – Ti fanno molto male? – – Non più male di quanto pensavo – mi rispose. – Ma la paura che ho addosso è persino più forte del dolore, se afferri l’idea. – – Si, ti capisco – le dissi. – Anch’io ho una fifa maledetta. Finiranno con lo sbarazzarsi di noi, lo sento. Perchè sennò ci avrebbero portate qui, lontane dall’accampamento? Io avevo sperato che restassero là, dove avrebbero potuto trovarci. -All’improvviso un ululato di lupi interruppe la nostra conversazione. Ci guardammo l’una con l’altra. – Non è un po’ presto per quelli? – domandò Mary, ricordando che le altre volte avevamo udito i lupi solo in piena notte.Erano circa le sette di sera, e la visita dei lupi ci spaventò e ci fece rabbrividire. Senza accorgercene fummo accerchiate da un branco numeroso di lupi della prateria. I guerrieri si misero all’erta, ma non fecero nulla per scacciarli. Non capii il perchè. In fondo dovevano temere per la loro vita, non meno di noi.Poi pensai che forse erano una razza speciale di lupi con cui gli indiani avevano familiarità e dei quali si fidavano. Altrimenti, perchè se ne stavano là senza fare nulla?.Due lupi si staccarono improvvisamente dal branco e avanzarono nel nostro cerchio di donne, annusandoci. Io ero raggelata dalla paura quando uno avvicinò il muso a Mary e poi a me. Forse il nostro odore non fu di suo gradimento, per fortuna, e l’animale proseguì ad annusare le altre. Si fermò davanti a Kathy, una graziosa rossa, e là indugiò, assieme al compagno, fiutandola minuziosamente. Pareva che indicassero ai guerrieri la donna da scegliere per sbranarla.Gli apache, come se comprendessero i loro ululati e la speciale preferenza dedicata a Kathy, si precipitarono là, tirarono la donna in piedi, la sciolsero dai legacci che la univano a tutte noi, ma non le liberarono le mani dietro la schiena.Kathy aveva la faccia impaurita e si guardava attorno nervosamente non capendo cosa volesse dire tutto ciò, mentre la trascinavano presso il falò e la facevano inginocchiare e poi piegare carponi. I selvaggi non si scambiarono parole, nè dissero nulla ai lupi che parevano lavorare in combutta con loro. I due animali si avvicinarono a Kathy e ricominciarono a fiutarla da capo a piedi.Ero allibita e incredula, quei selvaggi volevano dare una di noi in pasto a quegli animali, forse per renderseli amici. Era assurdo, inumano, terribile.Un guerriero si mise accanto alla donna, a braccia conserte, ma munito di lancia, come se montasse la guardia a un rituale animalesco.Il lupo più grosso spiccò un salto e montò sulla schiena di Kathy, come se assumesse la posizione di accoppiamento, appoggiato contro il sedere di lei. Kathy lanciò un urlo di paura raccapricciante. Non credevo ai miei occhi.Non mi sarei mai sognata che un lupo della prateria, o qualsiasi altro animale potesse montare o chiavare una donna. Ma quella creatura vagante nella notte fece proprio così. Si mise a spingerla in basso con sempre maggior forza, mentre Kathy gemeva come impazzita dal terrore e infine lanciò un grido altissimo. Probabilmente fu allora che il grosso e tozzo pene del lupo le penetrò nell’ano. – Oh, non posso crederci! – esclamò Mary davanti a quello spettacolo che eravamo costrette a guardare. – Neppure io – dissi. – Ma come fanno quei selvaggi a starsene lì senza fare nulla! Guarda, se la sta inculando! E’ orribile! – gridai, gridai con tutta la mia voce, ma i guerrieri non mi udirono.Si erano ammassati quasi tutti attorno ai lupi e si godevano la scena di perversione.Il lupo che aveva montato Kathy la stava realmente sodomizzando adesso. Andava avanti con ritmo costante, e Kathy ululava come se fosse la sua femmina, ma i suoi ululati non erano certo di piacere, erano ululati di dolore e di disgusto. Era comunque una scena orribile, non volevo guardare e tentai più volte di chiudere gli occhi; ma finivo con l’immaginare cose peggiori di quelle reali e così li riaprivo.La bestia si muoveva in lei con sorprendente precisione e con ritmo cadenzato. Poi l’altro lupo, che era rimasto a guardare, aggirò la donna e si mise a fiutarle le tette che oscillavano a causa delle spinte che la ragazza riceveva. Kathy riprese a gridare più forte di prima, ma non si mosse minimamente dalla sua posizione carponi. Sapeva che un movimento improvviso avrebbe inferocito i lupi che l’avrebbero sgozzata su due piedi. Il lupo indugiò ad annusarle le mammelle, quasi ne volesse provare l’aroma prima di mangiarle.Poi cominciò a leccare il seno sinistro e Kathy, per paura e per disgusto, girò la testa dall’altra parte. Aveva cessato di urlare, forse per il terrore di essere azzannata e dilaniata e subiva in silenzio i colpi che il primo lupo le dava contro le natiche e le leccate del secondo. Intanto il lupo che la montava continuava le sue spinte come se quella fosse la sua migliore esperienza sessuale nella sua vita da bestia. Spingeva, si ritirava, spingeva, con velocità impressionante, e a ogni colpo Kathy sobbalzava dal dolore.Poi come a un segnale, il lupo davanti le azzannò con forza il seno destro, e il sangue cominciò a sgorgare, mentre Kathy urlava con tutto il fiato che aveva in corpo. Appena scaturì il sangue, il lupo che la montava si staccò da lei e passò davanti. I due lupi ingaggiarono una lotta, non sapevo per che cosa, o per chi.Ebbi presto la risposta. Il lupo che aveva montato Kathy finì per avere la meglio. Era molto grosso e la sua mole valse a spaventare il compagno e a farlo allontanare dalla ragazza urlante e sanguinante. Pensavo che sarebbe tornato a chiavare, il che tutto sommato sarebbe stato meglio. Invece si scagliò contro di lei selvaggiamente e le dilaniò la gola con le grosse zanne.Un urlo di raccapriccio sfuggì dalla gola di molte di noi. Kathy morì quasi subito. Non fece in tempo a spirare che il branco dei lupi si strinse attorno a lei. Il suo corpo fu il loro pasto finchè non ne restarono le ossa. I guerrieri in circolo ridevano, godendosi lo spettacolo cruento e orribile.I lupi, alla fine, sazi di carne e sangue umani, lasciarono l’accampamento e scomparvero nella prateria buia.Non riuscimmo a chiudere occhio quella notte, quasi tutte sconvolte dalla fine della nostra compagna. Sapevamo che in qualunque momento la stessa sorte poteva capitare a ciascuna di noi.
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