Quella mattina quando ci svegliammo stranamente faceva molto freddo, eravamo rimaste in poche ormai, e una ragazza di nome Ruth aveva una bruttissima tosse. Si era evidentemente raffreddata nella notte e non stava bene.Il suo tossire dovette svegliare uno degli apache che le andò vicino e le gridò qualcosa. Io non capii che cosa ma immaginai che nel suo dialetto le avesse detto qualcosa tipo “Piantala con questa tosse o te ne pentirai”.Ruth si spaventò terribilmente, ma non poteva impedire i colpi di tosse. Aveva il corpo infreddolito e la tosse e gli starnuti erano involontari. Secondo me gli indiani non erano abituati alle malattie, neppure ai disturbi lievi come un raffreddore, e la cosa li sconvolgeva. Ruth, nello sforzo di controllarsi, soffocava e sputava, e tutto sommato faceva più rumore di prima. E soprattutto senza tregua. Allora i guerrieri la presero e la trascinarono lontano dal gruppo. Io ebbi un tuffo al cuore, perchè ero certa che un’altra di noi stava per morire.Ruth era terrorizzata più delle altre, e commise l’errore di strillare. Questo non fece che accendere di più i desideri smodati e crudeli dei guerrieri, che erano decisi, ora più che mai, a darle una buona lezione.Mentre la portavano via, notai che Ruth aveva un bellissimo corpo, forse il più bello del gruppo. Aveva le curve giuste, nei posti giusti ed era una donna affascinante. Aveva lunghi capelli neri e lisci, occhi di un azzurro vivo, che parevano farsi luminosi, capaci di trasmettere messaggi di amore e di passione.Quanto al seno, esso era veramente notevole: gonfio, turgido, grosso, ma niente affatto cadente. I capezzoli erano dritti e sporgenti, ben modellati, e persino rivolti un poco verso l’alto. Ruth aveva avuto tre figli, era un miracolo che avesse quella linea e il ventre piatto e liscio. I figli non erano venuti con lei in quel viaggio, perchè ancora troppo piccoli. Ora, dopo quanto era accaduto, ero certa che Ruth preferiva averli lasciati all’Est, in buone mani.Così Ruth si lasciò trascinare via, il corpo perfettamente simmetrico, le tette procaci, le curve sensuali. Era una visione da togliere il fiato, ma purtroppo il suo bellissimo corpo era destinato a essere preda di quel branco di bruti assetati di sesso.Ruth, prima ancora di tutte noi, appena l’avevano trascinata via, aveva perso il suo equilibrio psichico. In precedenza era stata molto tranquilla, ma avendo provocato le ire di quei selvaggi con la sua tosse, temeva di essere uccisa, o peggio di essere abbandonata nel deserto, preda di animali vaganti. Fu condotta su una rupe a circa quindici metri da noi, e dalla nostra posizione potevamo vedere chiaramente cosa le facevano. Fu spinta su per il pendio, cadde parecchie volte, si ferì le ginocchia, sanguinava. Spiccava il suo sedere rotondo, sodo, che dondolava in modo sensuale durante la salita. I selvaggi che la seguivano si leccavano le labbra, pregustando il piacere che avrebbero avuto, qualunque cosa pensassero di farle. Quando la donna era quasi in cima alla rupe, un indiano le infilò il manico di una lancia nell’ano e lei gridò così forte che il suono echeggiò nel canyon da una parte all’altra. Ruth stava subendo una tortura straziante, ma noi non potevamo fare nulla in sua difesa. Se si fossero accontentati di scoparla, non c’era nessuna migliore di Ruth per farlo. Il suo corpo pareva fatto apposta per attirare l’attenzione. Se non affascinava la sua pelle lattea, gli occhi ammaliavano, e se non erano gli occhi, le sue natiche dondolanti accendevano l’immaginazione, o infine le sue tette grosse e provocanti. Insomma aveva tutto per piacere, e quei selvaggi ne avrebbero approfittato, ora che l’avevano portata lontano, su quella sporgenza rocciosa.La rupe formava una specie di palcoscenico, ma lo spettacolo che avrebbe dato non era gradito a un pubblico costretto a guardare anche quello che non voleva guardare. E non era soltanto per le torture, quando una donna strilla come strillava Ruth, è impossibile chiudere gli occhi e fingere che non succede nulla. Il nuovo giorno cominciava molto male.Ruth era ora distesa supina, circondata dai guerrieri. Erano in tre e, per quanto potevo vedere, avevano enormi erezioni. Mi chiedevo che cosa le avrebbero fatto, ma vagamente capivo che intendevano assalirla sessualmente tutti insieme. Fu una vista disgustosa.Ruth fu messa distesa sul fianco e trattenuta ferma, immediatamente l’indiano che dirigeva la seduta si buttò davanti a lei. Cominciò a baciarle bocca e collo, nonostante la sua resistenza. Io avrei voluto gridarle di stare calma, di non ribellarsi, perchè se continuava a fare così sarebbe stato peggio. Ma naturalmente rimasi muta, temevo troppo la furia di quelle bestie.La donna si dibatteva e urlava isterica, e il guerriero che le stava davanti la colpì con un pugno allo stomaco. Ruth sbiancò in volto e ansimò, come se non riuscisse a respirare. Gli altri due diedero pacche sulla schiena del compagno per congratularsi con lui di averla zittita. Il pugno nello stomaco era stato efficace perchè adesso Ruth non gridava più. Però guizzava come un pesce e rendeva difficile all’indiano che le stava davanti infilarle il grosso cazzo nella fica, e più si dibatteva, più l’altro voleva prenderla. Allora l’uomo portò il braccio indietro e poi le diede un secondo pugno in fondo allo stomaco.Questa volta Ruth emise un urlo lacerante, poi giacque immobile. Doveva aver capito che più si mostrava ostile, peggio era per lei. A quel punto l’indiano cominciò a penetrarla; Ruth ebbe un sussulto, ma non disse nulla. E lui diede inizio alla scopata. Dalla faccia dell’indiano si capiva che il sesso di Ruth doveva essere una vera delizia. La donna aveva partorito tre figli, ma era possibile che la sua vagina fosse ancora stretta. Comunque l’indiano era in estasi e aveva un largo sorriso che gli spaccava la faccia.Il ritmo intenso delle stoccate continuò come se l’uomo fosse digiuno di sesso da mesi. Ruth stava ad occhi chiusi e subiva in silenzio l’assalto al suo sesso, solo qualche tremito e qualche smorfia della sua faccia tradivano il fatto che l’indiano le stava facendo sicuramente male. Improvvisamente uno degli altri due che finora avevano aspettato, proprio quello che le aveva infilato il bastone nell’ano durante la salita, non potendo contenersi più, scivolò dietro a Ruth e sdraiatosi alle sue spalle cercò di penetrarla nel sedere. Non vidi che se lo fosse bagnato con la saliva, come avevano fatto altri, e immaginai l’insopportabile dolore che avrebbe procurato a Ruth.L’apache si aggrappò alle anche della donna e cominciò a spingere come un forsennato per infilarsi nel suo culetto. Ruth riaprì gli occhi e, intuendo le intenzioni dell’indiano, cominciò a girare la testa da una parte e dall’altra, come in cerca di aiuto. Era chiaramente terrorizzata da quello che i due volevano imporle e riprese a guizzare, cercando di impedire la seconda penetrazione. Il guerriero dietro spingeva e sbuffava, ma Ruth doveva essere sicuramente molto stretta da quella parte, perchè si vedeva chiaramente che ancora non era riuscito a forzarla.Quando finalmente ci riuscì lo capimmo tutte immediatamente, Ruth ebbe uno scatto incontrollato e si arcuò in maniera spasmodica mentre un urlo disumano e raccapricciante le sfuggiva dalla gola. L’apache continuò a forzarla introducendosi dentro di lei e la donna ora si muoveva convulsamente cercando di sottrarsi a quell’atto doloroso, e intanto urlava con quanto fiato aveva in corpo. I due guerrieri, che stavano ora davanti e dietro, sembravano molto soddisfatti di essere riusciti a farla soffrire ancora e usavano il corpo di lei in modo animalesco, furibondo. Prenderci per la loro soddisfazione sessuale, come e quando lo desideravano, poteva essere anche sopportabile. Ma qui all’umiliazione e alla vergogna si aggiungeva la tortura, e questa era più difficile da sopportare. Ruth cercava adesso di contenersi e faceva del suo meglio per stare zitta, mentre i due falli la scanalavano a più non posso, senza darle tregua, solo la sua faccia trediva il dolore tremendo che stava provando. Il terzo guerriero, rimasto in piedi, cominciò a masturbarsi mentre guardava quello che stavano facendo i suoi due compagni. Mi stupì che si contentasse di così poco. Ma non durò a lungo. Dopo che si fu stimolato con la mano, si inginocchiò vicino alla testa di Ruth, le tirò il collo indietro in modo che la bocca fosse quasi a contatto col pene. Il corpo della donna dondolava a causa delle spinte che riceveva da due parti, ma l’indiano che si era inginocchiato le tenne il collo fermo e guidò il il cazzo nella sua bocca. Ruth non oppose resistenza. Inutile lottare, doveva accettare l’inevitabile. Aprì la bocca e prese il grosso pezzo di carne che la infilò fino alla gola.Cominciò a succhiarlo come se fosse l’unico modo per sopravvivere. E forse lo era. Noi tutte speravamo, e certamente lo sperava anche lei, che se accontentava i tre nel modo migliore poteva non essere uccisa. Una possibilità remota, forse, tenuto conto che avevano già ucciso diverse donne senza ragione. Comunque s’impegnò nell’atto, succhiando e cercando di respirare alla meno peggio e il trattamento doveva piacere all’indiano che aveva un sorriso estatico sulla faccia. Tutti e tre davano segni di chiara soddisfazione per il piacere che traevano dal corpo della povera sfortunata e lentamente la loro eccitazione crebbe e fu evidente che stavano per arrivare al culmine del piacere. Difatti all’improvviso liberarono il loro sperma nei rispettivi ricettacoli. Ruth accettò tutto, nel suo bel corpo maltrattato, nè avrebbe potuto fare diversamente. Lo sperma che le riempì la bocca cominciò a colarle agli angoli delle labbra, ma in poca quantità. La donna fece il possibile per inghiottirlo, temendo probabilmente le ire dell’indiano se lo avesse sputato. L’indiano si dimenava furiosamente mentre veniva in fondo alla sua gola, e altrettanto facevano i compagni. Ognuno stava traendo il massimo piacere e il massimo appagamento dalla ragazza inerme.Il momento terribile stava per arrivare. Quando la furia dell’orgasmo si placò, i tre si ritirarono lentamente dal corpo di Ruth. Lei parve emettere un sospiro di sollievo, ma io temevo che adesso l’avrebbero uccisa, dopo aver deciso quale sistema di tortura usare per lei. Infatti, appena l’ebbero abbandonata, con l’aria di essere sazi di lei, si diedero subito da fare.Su quella rupe vi era un tronco d’albero morto. Da esso si dipartivano vari rami secchi. Fu là che trascinarono Ruth. Capii che l’avrebbero usato per qualche tortura orrenda, e ben presto vidi di che si trattava.Prima legarono assieme i piedi della donna che adesso gemeva disperata, poi le legarono le ginocchia unite alla base del tronco. Le spinsero il corpo contro l’albero e Ruth lanciò un urlo altissimo, uno dei rami spezzati più bassi le si era infilato nella vagina. Vidi il sangue colarle e capii che il ramo secco doveva averle lacerato la tenera carne e causato un dolore indicibile. Ruth roteava gli occhi dall’uno all’altro in cerca di aiuto, non sapeva che, legata a quell’albero, era già condannata a morte.Poi le infilarono le mammelle in due cappi di fune; strinsero il cappio e fissarono l’estremità della corda all’albero. I seni erano strizzati alla base, ma la fune non era cortissima e poteva ancora muovere il corpo; ma questo non fu il peggio. Uno degli indiani tirò la cima dell’albero verso il basso, cosicchè il tronco si piegò ad arco, e con esso si arcuò all’indietro anche il corpo di Ruth. A quel punto le legarono le mani tese all’indietro, fissando la corda a un paletto infisso nel terreno a poca distanza dietro di lei. Quando lasciarono la cima dell’albero questi cercò di raddrizzarsi, ma le braccia e i seni di Ruth furono messi in una trazione terribile. La curvatura dell’albero produceva una spinta naturale che minacciava di strapparle le mammelle. Era una scena rivoltante e immaginai il tremendo dolore di Ruth. Ma ancora una volta noi eravamo impotenti. Non seppi trattenere il pianto.Ruth era condannata.La lasciarono morire così. Quando i guerrieri cominciarono ad allontanarsi, Ruth si rese conto che la sua sorte era segnata e si mise a gridare. Non furono lamenti, o esclamazioni di dolore, ma urla forti, prolungate. Urla che squarciavano la quiete della regione, che rimbombavano nel canyon, sui versanti delle montagne. Dopo dieci minuti che lei urlava da spaccarsi i polmoni, gli indiani si stufarono e le diedero un’altra lezione. Ripresero il tiro al bersaglio, come avevano fatto con Mary. Con una differenza però: questa volta usavano frecce vere, con punte affilate.La prima freccia fu quasi mortale, perchè si infilò in una mammella molto vicina al cuore. Io mi sentii svenire, e ricominciai a piangere. Ma appena mi ripresi mi convinsi che era meglio per Ruth morire alla svelta piuttosto che rimanere appesa là, su quella rupe isolata, preda di animali del deserto. Così almeno la faceva finita prima, non doveva sopportare ore, giorni di sole cocente, la sete, la fame, le formiche, i serpenti, gli avvoltoi che le avrebbero dato una morte lenta.La seconda freccia le si infilò nella coscia, il sangue cominciava a scorrere a rivoli. Il terzo guerriero fu di una crudeltà inaudita, mirò con attenzione e scagliò la freccia con grande precisione. Il dardo si infilò profondamente fra le natiche di Ruth, squarciandole sicuramente lo sfintere. La povera ragazza emise solo un breve lamento pietoso: non aveva neanche più fiato per gridare, e credo fosse prossima a spirare ormai. All’improvviso udimmo rumore di cavalli in corsa, e il mio cuore battè profondamente. Ero sicura che fosse lo stregone e le sue squaw che venivano a salvarci.Mary e io ci scambiammo un’occhiata, pensando la stessa cosa. L’avevo convinta che sarebbe stato lui a salvarci alla fine. Oh, lei era stata scettica in principio, ma siccome aveva bisogno di credere in qualcosa, nella tremenda condizione in cui era, aveva finito col condividere la mia speranza.Ma ci aspettava una delusione: nel gruppo a cavallo che che si avvicinava non c’era lo stregone. Erano due donne indiane, ma vestite in maniera totalmente diversa da quelle che avevano accompagnato lo stregone. Prima di tutto erano quasi nude. Avevano soltanto un drappeggio di pelle attorno ai fianchi che copriva l’inguine, ma in molti casi metteva in mostra la peluria pubica. Il seno era coperto da una fascia di pelle, tanto stretta da nascondere appena i capezzoli. Naturalmente, al minimo movimento, la fascia si spostava e metteva in mostra gran parte del seno.C’era qualcosa di strano in quelle squaw, e fui invasa dalla paura quando si avvicinarono all’accampamento. I guerrieri, che ormai ci tenevano prigioniere da sette giorni, mostrarono di conoscerle e le salutarono con allegria. Lo considerai un cattivo segno. Se fossero state loro nemiche, forse ci avrebbero liberate. Ma siccome si abbracciavano con gli indiani, avevamo ben poco da sperare da quelle due donne.Subito dopo vennero verso di noi, tenendosi sottobraccio l’una con l’altra. Anche questo mi parve strano. Inoltre parevano più che amiche, e una si mise persino a carezzare il seno della compagna, davanti a noi. Mi convinsi che erano lesbiche, le quali avendo saputo di noi, erano venute a darci un’occhiata. La nostra situazione era già critica, ma il pensiero che una di quelle sozze indiane mi mettesse le zampe addosso e mi brancicasse, mi fece rabbrividire e mi gelò le ossa come mai avevo provato.Le squaw andarono avanti e indietro, come un generale che ispeziona le truppe. Si soffermarono a esaminare ciascuna di noi con cura, qualcuna toccò il petto, qualche altra si avvicinò alle nostre bocche. Era evidente che volevano sceglierne una per i loro sollazzi. Eravamo rimaste in cinque, tutte le altre erano morte. Anche Ruth, che era spirata ormai da qualche minuto.Finora me l’ero cavata passabilmente, e pensai che fosse venuto il mio turno di subire cose orribili. Delle quattro donne superstititi con me, una era Mary, l’altra era Tina, poi c’era un donnone di trentacinque anni di nome Sara e infine l’ultima era la figlia della donna sepolta viva nella sabbia il giorno precedente.Era un gingillo, dolce e carina, e se n’era stata quieta fino allora. Ma in quel momento era impaurita, temeva di essere scelta come oggetto sessuale dalle lesbiche.E fu infatti lei che scelsero. Volevano carne giovane e fresca e la ragazza non aveva più di diciotto anni. Sua madre doveva averla ritenuta idonea ad affrontare il lungo viaggio, e l’aveva condotta con se quando era partita col marito verso il “favoloso” west. In un certo senso preferii che sua madre fosse già morta, altrimenti avrebbe assistito all’assalto delle squaw lesbiche sulla figlia.. Le due giovani indiane tirarono la ragazza in piedi. Questa aveva ancora le mani legate dietro la schiena ed era quindi indifesa. Non fece atti di ribellione, e Mary e io ne fummo contente per lei. Non volevamo un altro assassinio, così di prima mattina. Fu condotta nella piccola radura vicino al falò del giorno prima, e fu scaraventata a terra. La squaw che sembrava comandare possedeva un paio di tette enormi; le si avvicinò e, senza cerimonie, le ficcò una tetta in bocca. La ragazza, per paura di offenderla, non la rifiutò ma cominciò a succhiarla con impegno. Sapeva che era in gioco la sua vita e preferiva compiacere la squaw piuttosto che essere violentata dai guerrieri. Così la leccò, le tirò il capezzolo, le succhiò la carne turgida, le diede piccoli morsi, quel tanto da mandare la donna in un vortice di passione. E mentre la giovane, devo dire con molta serietà, si occupava della sua tetta, l’indiana cominciò a tremare in tutto il corpo.L’altra squaw si buttò sulla sabbia vicino alla ragazza e cominciò a succhiarle a sua volta una tetta. La ragazza, credo si chiamasse Ann, si elettrizzò quando la calda bocca le racchiuse il capezzolo. La sua faccia rispecchiava piacere, e credo che la cosa fu una sorpresa anche per lei. La ragazza non aveva provato altro sesso finora che le violenze degli apache, e anche se aveva avuto qualche flirt con coetanei, là nell’est, non aveva sicuramente mai sperimentato l’amore lesbico. Comunque mostrava di godere, specialmente quando la seconda indiana cominciò a succhiarle per bene le mammelle. D’un tratto, la donna che si era adagiata sulla sabbia vicino alla ragazza, le infilò un dito nella vulva e prese a titillare il clitoride.Ann scosse il corpo, e la sua espressione passò dal timore al puro piacere. Infine le spuntò il sorriso e con esso i segni del godimento erotico. Era il primo sorriso che vedevo in sette giorni, e malgrado le circostanze mi fece piacere.La ragazza intanto continuava a succhiare la tetta dell’indiana, che sottoposta a intense stimolazioni, era diventata tutta rossa e bagnata di saliva. La squaw a terra ficcò fino in fondo il dito nella vagina della ragazza. Ann sobbalzò un poco per quell’assalto violento di quella squaw assetata di sesso, ma parve contenta di quell’intrusione che non era il duro e grosso cazzo di un uomo. Continuò a succhiare avidamente la tetta, mentre l’altra la chiavava col dito nella fica.La giovane prese a dimenarsi avanti e indietro, sbattendo l’inguine contro il dito dell’indiana. Era una visione erotica, e i guerrieri avevano formato un circolo attorno alle lesbiche e alla bianca, e fissavano le loro effusioni con bramosia. Comunque era quasi un sollievo vedere del sesso che non includeva dolore, e Mary e io speravamo che tutto finisse bene, senza che la ragazzina subisse torture o venisse ammazzata.Dopo tutto non ne vedevamo la ragione, perchè lei stava facendo il possibile per compiacerle. Ma non si poteva mai dire come sarebbe andata a finire, perchè gli indiani erano capaci di tutto.D’un tratto la squaw che si faceva succhiare le tette, afferrò la testa della ragazza e la spinse in basso, sul suo ventre piatto e giù nell’incavo tra le cosce. La ragazza capì che cosa voleva e cominciò a leccarle le grandi labbra con la lingua, mentre l’indiana le teneva la testa bloccata con entrambe le mani. Devo ammettere che quella intimità fra donne, una cosa che non avevo mai vista in vita mia, era una esperienza molto stimolante. Mary e io guardavamo con interesse, e, credetemi o no, cominciai a sentirmi bagnata. – Mary, sai che mi eccita parecchio – le confidai. – Lo so, eccita anche me – disse Mary, con occhi luccicanti come non le avevo visto mai in quei giorni di prigionia.La tensione che ci aveva accompagnate fino a quel giorno si stava allentando e ci sentivamo molto più rilassate.La squaw sdraiata a terra, intanto che Ann continuava a leccare il sesso dell’altra, sfilò il dito dalla vagina ormai fradicia della ragazza. L’afferrò per le anche e la costrinse a mettersi su di un fianco, poi, standole dietro, le passò il braccio attorno ai fianchi e la infilò nuovamente nella fica, ma con l’altra mano stavolta.Il dito della mano destra, completamente bagnato degli umori di Ann, si andò ad annidare tra le natiche della giovane e prese a titillarle il buchino.Ann sicuramente non gradiva questa carezza, perchè mentre andava incontro col bacino al dito che la scanalava davanti, contemporaneamente agitava il sedere e stringeva le natiche nel tentativo di sottrarsi ai tocchi lascivi della squaw. L’indiana fece una risatina chioccia, poi tenendola ben ferma col dito completamente infilato nella sua fessura, spinse con l’altro fino a infilarglielo tutto in fondo al sedere.Ann mugolò qualcosa, forse un rifiuto disperato, contro l’inguine della squaw che le teneva la testa tra le cosce, ma aveva i polsi legati dietro la schiena e non potè evitare che l’indiana alle sue spalle le sprofondasse tutto il dito nel culo. Dopo un po’ comunque si calmò e la squaw cominciò a scanalarla contemporaneamente nei due buchi. Naturalmente sia io che Mary, eravamo preoccupate ancora dell’incolumità della ragazza, ma la scena sessuale che si stava svolgendo davanti ai nostri occhi ci toglieva momentaneamente i pensieri, dandoci una parentesi di gioia. L’azione delle dita era frenetica adesso, e mentre l’indiana andava avanti e indietro nella vagina e nel retto della giovane, le baciava le spalle e il collo, bagnandola di saliva. D’un tratto la grossa indiana che comandava, quella che aveva dato inizio alla festa, gettò la testa indietro e lanciò un grido. Era in delirio.Capimmo subito la ragione di tanta eccitazione, Ann le aveva infilato la lingua nella fica e la stava muovendo su e giù freneticamente. A quel punto eravamo quasi sicure che la ragazza si sarebbe salvata, dopo aver dato alle due indiane una qualità così eccezionale di piacere. La seduta lesbica andò avanti all’infinito. Più di una volta avrei giurato che le due indiane e la ragazza fossero sul punto di godere, ma tutte parevano fermarsi sulle soglie dell’orgasmo, forse per fare durare l’azione più a lungo possibile. Ma come tutte le cose, anche quella giunse alla sua logica conclusione, davanti a un pubblico numeroso. I guerrieri erano eccitati al massimo e molti si stavano masturbando. E c’eravamo noi quattro, Mary, io, Tina e Sara, legate a qualche metro di distanza, ma in posizione da vedere benissimo la scena. E siccome la nostra amica se la godeva, potemmo rilassarci e seguire tutto quanto faceva il terzetto.A un certo punto le ragazze mostrarono di essere veramente giunte a un grado di eccitazione tale da non poter più frenare l’orgasmo. Anche i guerrieri non poterono controllare le loro emozioni e liberarono la passione con getti di sperma sulla sabbia. Fu un’orgia di carne umana, con al centro le due squaw e la prigioniera più che consenziente. Ann fu la prima a godere e credo che le indiane non aspettassero che quello. Certamente volevano darle il suo primo orgasmo lesbico, e volevano farlo bene.La ragazza cominciò a gridare, rovesciò la testa, e dalla sua vagina fluirono abbondanti succhi che le due squaw si affrettarono a leccare. Le due donne che avevano iniziato il trattamento manuale, ora stavano là, con la bocca incollata alla sua vagina, per berne i succhi. La donna che comandava cominciò a tremare, e godette a sua volta, scuotendo violentemente il corpo. Ann, per istinto o per contraccambiare quanto aveva ricevuto, bevve avidamente i succhi dell’indiana, impedendo che gliene sfuggisse una goccia.Credo che l’indiana non si aspettasse tanto, e questo le scatenò una tale passione erotica da farle perdere qualsiasi controllo. Le sue grida acute parevano non finire mai. L’unica che non era ancora venuta era la squaw che aveva infilato le dita nel corpo della giovane. Si masturbò un poco, con mosse veloci, e siccome era già particolarmente stimolata da tutta l’azione che si era protratta per quasi un’ora, anche lei cominciò a godere. Gridò più forte dell’altra, e gli abbondanti succhi vaginali le colarono sulle dita, sulle cosce, e sulla sabbia.Dopo quell’orgasmo liberatorio, le tre giacquero scompostamente sul terreno. Quello che fecero dopo, mi sorprese moltissimo e ci riempì nuovamente di orrore a tutte quante.La squaw che era venuta per ultima andò a prendere dalla sella del cavallo un paletto, grosso quanto il mio polso e lungo un paio di metri, dalla punta resa aguzza dopo essere stata lavorata accuratamente di coltello. L’altra indiana, intanto che i guerrieri sghignazzando scavavano una buca sul terreno, afferrò Ann e provvide a legarle le caviglie e poi le ginocchia strette insieme.Non riuscivamo a comprendere cosa stesse per accadere, ma avevamo la sensazione che si trattasse di qualcosa di molto brutto per la ragazza e non ci spiegavamo il perchè, vista la sua condiscendenza e il piacere che aveva loro donato. L’altra squaw intanto stava spalmando il paletto di grasso animale, preso da una sacca della sella. Quando il paletto fu tutto unto e luccicante, la squaw che comandava fece assumere ad Ann una posizione quasi fetale, stesa sul fianco e con le ginocchia rannicchiate. La ragazza non capiva cosa stava succedendo e si guardava intorno inquieta, ma capiva che non doveva trattarsi di qualcosa di piacevole per lei. E ne ebbe la conferma quando l’altra indiana appoggiò la punta aguzza del paletto contro il suo ano, oscenamente offerto dalla posizione che le avevano fatto assumere. Gridò, terrorizzata, e cercò di sfuggire alle grinfie delle due lesbiche, tramutatesi adesso in sue aguzzine. L’indiana più robusta la bloccò con facilità, e l’altra, puntato il paletto contro lo sfintere pulsante, lo cacciò all’interno. Ann, nonostante fosse stremata dall’orgasmo appena goduto, lanciò un grido terrificante, sobbalzando e contraendosi. Ma non poteva sfuggire all’impalamento: sotto i nostri occhi increduli ed esterrefatti e tra le urla assordanti della ragazza e i suoi contorcimenti, l’attrezzo aguzzo, sospinto con abilità dalla squaw, penetrò sempre più in profondità, scavandosi una galleria all’interno del suo corpo, finchè ne emerse, dalla parte opposta, tra la spalla e il collo, nella zona destra.Ann aveva gli occhi sbarrati e la bocca aperta, ma non emetteva più alcun suono. Eppure era ancora incredibilmente viva. Scoppiammo tutte a piangere per l’orrore di quella scena. Le due squaw, soddisfatte del loro lavoro, si rialzarono, mentre i guerrieri lanciando urletti di soddisfazione si dettero da fare: la ragazza fu innalzata in posizione verticale e la base del paletto piantata nell’apposita buca scavata in precedenza. Il gruppo potè alfine ammirare il risultato del loro macabro lavoro. – Sta morendo. – mi disse Mary, tra le lacrime. – Deve provare spasimi atroci – singhiozzai io. – Anche se non ha più fiato nè forza! – Il sangue scorreva ruscellando lungo le gambe della povera Ann e gli indiani, come rapaci avvoltoi, restavano in attesa della imminente fine della poveretta, immolata al più disgustoso e sadico dei piaceri. E quando prese a rantolare cominciarono a saltare e a lanciare urla di gioia. Due o tre si masturbarono ferocemente e arrivarono a spruzzare il loro seme malefico sul corpo della ragazza, proprio mentre esalava l’ultimo respiro. Dopo successe una cosa stranissima. tutti si radunarono, tolsero le tende e ci abbandonarono.Una delle squaw si avvicinò e ci guardò con malcelato rammarico. – Domani sarete libere – ci disse.Furono le prime parole inglesi che udivo da sette giorni, e nulla mi avrebbe fatto più piacere di quanto disse.Lo stregone arrivò nel pomeriggio, sempre seguito dalle sue squaw, e fummo liberate e scortate fino ai sobborghi di una cittadina a quaranta miglia dal luogo dove eravamo. Nessuna di noi quattro superstiti sarà più quella di una volta, dopo questa terribile avventura. Ma siamo vive, e dobbiamo ringraziare il cielo per questo.
Aggiungi ai Preferiti