Era l’inverno del 1940 e il segno della svastica copriva l’Europa come un manto macabro. In quell’epoca, il capitano Helmut Schwarz aveva trentadue anni, capelli biondo chiaro a spazzola, costituzione robusta, alto circa un metro e ottanta, bocca sensuale, occhi freddi e azzurri. Adorava il suo comandante e si sentiva fiero di servire la sua patria. Il suo colonnello, capo della Gestapo a Budapest, lo avrebbe classificato un eccellente soldato, in qualsiasi circostanza. Ma sapendo che Schwarz, a vent’anni, era stato fidanzato e, sorpresa la sua ragazza mentre faceva l’amore con un altro, aveva ucciso il rivale con le sue nude mani e poi frustato l’infedele fidanzata fin quasi a ucciderla, aveva fatto il necessario perchè Schwarz fosse trasferito dalla Wehrmacht nelle file delle Gestapo, e se lo era preso come aiutante speciale. Durante una licenza a Berlino, Helmut Schwarz era andato a casa di suo fratello maggiore, Dietrich, che combatteva sul fronte russo. Il fratello, trentacinquenne, si era sposato il giorno stesso in cui Hitler aveva invaso la Polonia. La moglie, una bella donna snella, fine, bruna, si chiamava Katherine e aveva trentadue anni. Helmut Schwarz aveva messo subito gli occhi su Katherine, ma naturalmente lei non ne voleva sapere. Il marito era tutto l’opposto di lui, un uomo più premuroso, gentile, persino romantico, ma anche un ottimo ufficiale col grado di tenente. Di conseguenza, Helmut Schwarz odiava la cognata e aveva sognato spesso di prendersi la rivincita, se avesse potuto provare che la donna era una spia, oppure ebrea, o comunque colpevole in qualche modo, per poterla sbattere in una cella della Gestapo e metterle le mani addosso.La fortuna gli arrise durante quella licenza. Katherine, con la sua faccia sensibile e la sua pelle delicata, il parlare erudito (si era laureata, infatti, all’Università di Berlino), era ancora vergine quando aveva sposato Dietrich. Ma, come spesso accade a molte vergini che scoprono il sesso per la prima volta, aveva mostrato una febbrile sensualità, dopo essere stata svegliata e iniziata dal vigoroso marito.L’assenza di lui, che combatteva al fronte, le aveva procurato molte notti insonni e infelici. Infine, per consolarsi senza essergli infedele con un uomo, e avendo notato nello stabile una bella ragazza diciannovenne, figlia di un anziano postino, che pareva avesse un debole per lei, l’aveva invitata nel suo appartamento, e là, le due donne, avevano scoperto gli illeciti piaceri lesbici.La sua amante, Greta Kleist, era proprio una venere in boccio, i lunghi capelli biondi raccolti in una grossa treccia che le scendeva fin quasi alla vita, un corpo avvenente, musetto dolce a forma di cuore, pelle rosea e liscia come quella di un neonato. Ma ne’ Katherine ne’ Greta sapevano che Dietrich aveva dato al fratello la chiave di casa, nel caso questi, durante una licenza, avesse voluto andare a riposarsi là dopo le “dure missioni” nella Gestapo.Così quella sera, quando si introdusse nell’appartamento, Helmut Schwarz udì respiri affannosi e gemiti sommessi provenire dalla camera da letto del fratello. Quando aprì la porta di colpo, sorprese Katherine e Greta nude, a parte le sottovesti arrotolate sotto le ascelle, che si contorcevano e si dimenavano nell’accoppiamento, i corpi impegnati nella dolce frizione del tribadismo, baci di fuoco e lingue frenetiche nelle bocche, mani carezzevoli sui seni, sulle natiche, nell’abbandono del piacere lesbico.Il capitano Schwarz strabuzzò gli occhi, pascendosi per qualche attimo di quei corpi nudi e affascinanti nell’estasi del godimento. Poi la ragione prevalse in lui, e estratta la Mauser d’ordinanza dalla fondina, annunciò bruscamente la sua presenza nella stanza. – Voi due, sporche scrofe! Siete in arresto! La Gestapo ne sarà informata! -Le due donne nude avevano emesso grida di orrore e di vergogna, ricoprendosi con le coperte del letto, mentre lui telefonava al comando di Berlino. Venti minuti dopo, un cellulare si fermava davanti al portone, e quattro soldati entravano nell’appartamento per trascinare via le due donne piangenti.Il capitano Schwarz le accompagnò personalmente e formulò le accuse contro di loro: rapporti sessuali indecenti e innaturali e, peggio ancora, la terribile accusa che Greta era sospettata di avere sangue ebreo nelle vene. Riuscì anche ad ottenere il permesso di dirigere l’interrogatorio. Chiese due uomini robusti come attendenti. Gli assegnarono due tipi nerboruti con teste rapate a zero, indossavano magliette senza maniche nere e pantaloni di pelle alla zuava; i loro muscoli in rilievo riempirono di terrore i cuori delle due donne. Katherine venne bendata, imbavagliata, legata e chiusa, al buio, in uno sgabuzzino, in attesa di essere interrogata. Greta fu invece portata negli scantinati e affidata a Schwarz per l’interrogatorio. Un’ora dopo, il viso di Greta era bagnato dalle lacrime, e la sua pelle di un delicato colore rosato era solcata dai segni delle frustate. Pendeva a testa in giù, la treccia disciolta e i lungi capelli biondi che sfioravano il suolo, e le corde legate attorno agli alluci gonfi erano fissate a una sbarra di ferro legata al soffitto. Le sue gambe snelle e slanciate erano allargate di un metro, e il suo corpo era nudo, come il giorno in cui era venuta al mondo. Il capitano Schwarz era seduto a un tavolo e osservava con avido interesse il lavoro dei suoi aiutanti. Questi si erano occupati a turno della piccola Greta usando un frustino; e adesso lei gemeva e piagnucolava, con cosce, natiche, ventre, segnati da lividi rosso vivo. Ma la ragazza era ancora cosciente, e ancora ostinata.Il capitano fece un gesto e battè la mano sul tavolo. – Heraus, kameraden! – ordinò.I suoi aiutanti fecero il saluto, gli cedettero il frustino con un volgare ammiccamento e un sogghigno, e poi lasciarono la cella, richiudendosi la porta alle spalle.Schwarz si alzò dal tavolo, si leccò le labbra e osservò la fanciulla che oscillava a testa in giù, girandole intorno. – Bene, piccola, adesso tu ed io siamo soli – iniziò a dire in maniera bonaria. – Mi dirai tutto quello che voglio sapere, capisci? – – Aaaahhh…. pietà, non ne posso più… Non sono ebrea, lo giuro… non ho fatto nulla. Per favore mi tiri giù, la prego. Sto per svenire, il sangue mi va alla testa… abbia pietà! – gemette Greta, agitando e contorcendo il corpo che era scosso da brividi violenti. – Non preoccuparti scrofetta, non perderai i sensi, piccola cara. Dunque, ti piace farti fare le porcherie da mia cognata, o sei forse tu a fare la parte dell’uomo? Però adesso che ti vedo bene e da vicino, non sei affatto un maschio. Hai dei deliziosi attributi femminili. Come questo, per esempio. -Il capitano, sogghignando, allungò la mano sinistra, prese fra il pollice e l’indice un ciuffetto di peli biondi e ricciuti del pube e poi tirò brutalmente. – Ahiiiii!… per pietàa!!… ma cosa fà, mi fa male! – gridò Greta, mentre il suo corpo si contorceva.Il capitano della Gestapo sollevò lo sguardo, e dalla fessura dei suoi occhi azzurro ghiaccio notò che gli alluci di lei si erano molto gonfiati a causa delle corde che, reggendo l’intero peso, le segavano la carne. – Oh, si, ma sopporterai ben più di questo. Ho appena cominciato, con te, meine schone kind! – ridacchiò, e afferrato un altro ciuffetto di peli pubici li tirò con uno strattone, strappandoli alla radice.Si levò un altro grido di agonia e il corpo della ragazza dondolò, sobbalzò, si contorse. Naturalmente i suoi aiutanti avevano preso la precauzione di legare le mani della piccola dietro la schiena, in modo che lei non potesse difendersi. Quanto era bella! Era una delizia guardare la bianca nudità che si contorceva, guizzava, si dimenava, attaccata alle corde, i lunghi capelli biondi che ondeggiavano, spazzando il pavimento. E la ragazza era ancora abbastanza fresca da sopportare molto di più.Schwarz allungò ancora una volta la mano sinistra per carezzare la bianca coscia tesa e sudata di lei, con gentilezza, quasi con amore. Poi sollevò il frustino flessibile, lo roteò in aria e lo calò con un’abile torsione del polso, in modo da colpirla proprio nella vulva esposta. Le tenere labbra rosate del sesso si contrassero visibilmente a causa del colpo diabolico, si arricciarono. Il corpo si arcuò, sussultò nella frenesia del tormento, mentre un grido priolungato di agonia prorompeva dalla bocca. Gli occhi di lui si dilettarono dei frenetici spasmi muscolari delle cosce e delle natiche della ragazza, mentre il suo corpo sbatteva e sussultava. L’uomo aveva già una robusta erezione che gli gonfiava i pantaloni.Un secondo colpo si abbattè preciso sullo stesso punto; la ragazza gridò in modo disumano per il dolore, e il suo corpo sbattè di nuovo selvaggiamente, mentre le corde impietose le affondavano nella carne degli alluci. – Sto perdendo la pazienza con te, piccola bambina – le disse, e pressato il frustino nel sesso agonizzante di lei, lo mandò avanti e indietro come una sega. – Allora, vuoi confessare che sei una sporca ebrea, oltre che una scrofa che si diletta a lesbicare con mia cognata? Parla? – – Aaahhh…. mi… u… uccida, ma la faccia finita; oh, mio Dio, soffro troppo… Ah mi uccida, mi uccida! – gemeva febbrilmente Greta, ficcando le unghie nei palmi sudati, gli occhi stralunati e lucidi per il dolore straziante.Con un’imprecazione il capitano Helmut Schwarz tirò a se un panchetto di legno e vi montò sopra. Poi, sbottonatisi i pantaloni, in fretta, liberò il membro eretto, grosso, infiammato, venato da turgide vene. Ma mentre afferrava la ragazza per le cosce, ridacchiò in modo satanico. Scese dal panchetto, si portò alle spalle di lei, vittima nuda e piagnucolante, tirò il panchetto a sè e vi rimontò sopra. Poi, allargatele le natiche paffute e sode, mise in mostra l’orifizio stretto e grinzoso. La mantenne in quella posizione con il pollice e l’indice della mano sinistra; prese il frustino con la destra, e spinse l’impugnatura contro il sensibile ano.La povera Greta cercò di scattare in avanti per quanto glielo permettevano le corde e la posizione, avendo intuito le intenzioni dell’uomo. Gridò di terrore sentendo che lui le forzava lo sfintere, ma non potè opporsi al suo insano desiderio. L’impugnatura di cuoio del frustino era grossa almeno quanto un pene maschile e Schwarz faticava, cercando di introdurgliela nel sedere. Strinse le mascelle, e premette con forza, finchè le pareti dello stretto canale si aprirono accettando malvolentieri il duro bastone di cuoio. – Ahhh! Mio Dio! Pietà! Me lo tolga…. Aaaaahhhh mi rovinaa!… Mi lacera tutta, pietà….. aaahhh… ahhhhh… basta, bastaa, la pregoo! – le sue grida isteriche si erano fatte rauche.Ma il capitano della Gestapo continuò ad affondare il manico del frustino nel retto della povera ragazza che guizzava come una biscia e si contorceva tutta urlando di dolore. Lo spinse con sadica ferocia finchè gli fu possibile, spaccandole l’ano e facendola sanguinare. Poi, mentre lei continuava ad urlare in modo disumano e a dimenarsi, l’uomo si spostò di nuovo con lo sgabello davanti alla ragazza. Affondò le dita nelle natiche tremanti di lei e spinse il pene rigido nella sua vagina. Un grido di sorpresa sottolineò il suo immenso piacere per l’improvviso e inaspettato ostacolo: il suo imene!E udì le acute grida di lei, grida di dolore e di rabbia, di vergogna e di impotenza. Con un grugnito gutturale l’uomo affondò con cattiveria: dovette dare tre o quattro spinte vigorose, per rompere l’elastica membrana, e infine sprofondò nella vagina strettissima, allargandola dolorosamente. Spinse con ferocia malvagia, incurante delle stridule urla di agonia che emetteva la ragazza, arrivò a toccarle il fondo dell’utero con una botta micidiale e poi, ansimante di sensualità, si mise a chiavarla. La povera Greta, nuda e impotente, lanciava grida, suppliche incoerenti, che erano una musica dolcissima, per quel sadico in uniforme. Le botte terribili del pene le rintronavano nel cervello, gli spasimi della carne violentata la trafiggevano con ferocia e un dolore martellante le saliva dall’ano martoriato.Pianse e urlò disperata per tutto il tempo che il suo aguzzino la scavò nella sua femminilità violata, inzozzata dal suo stesso sangue e quando lui eiaculò dentro di lei si tese tutta come colpita da una sincope e s’accasciò poi sfatta, sfinita.Quando il capitano ebbe finito e scese dal panchetto, il suo organo era macchiato di sangue virginale e sangue colava anche dall’ano spaccato e oscenamente dilatato della ragazza, che aveva ancora il frustino piantato tra le natiche. Ora, accosciato, aveva preso nelle mani la faccia della poverina, e sollevatale la testa, aveva sfregato il pene insanguinato nei lunghissimi capelli di lei. – Bene, Greta Kleist. Ti ho dato un po’ di piacere, eh? Dunque riprendiamo il colloquio – la sua voce era ancora piena di desiderio. Le guardava il corpo all’ingiù, lucido di sudore, segnato dai lividi della frusta, mentre guizzava, si contorceva, vibrava, appeso alle corde che le tormentavano gli alluci e con il manico del frustino che le torturava lo sfintere.Si allontanò momentaneamente e tornò con un paio di pinze d’acciaio; si accosciò e applicò le pinze a un capezzolo color corallo scuro, cominciò a stringere con lentezza esasperante. – Deciditi ora, Greta! La verità, ora! – e così dicendo stringeva un po’ di più. – Noooo!… Ahrrrr, aaahhh, Dio mio salvami! – strillò la ragazza con indicibile tormento. – Parlerò, parlerò, oh mi lasci vivere, mi lasci vivere, parlerò, dirò tutto quello che vuole… – – Rispondi svelta, confessa che sei un’ebrea, sbrigati o te le strappo – disse irato Schwarz. – Si, si, parlerò, confesso tutto – balbettò debolmente Greta, il corpo scosso da tremito convulso. – Aaah… mi tiri giù… i miei alluci… mi si staccheranno… aahhh… pietà! – – Sta bene, ragazza, aspetto la tua confessione; e non farmi perdere ancora tempo, che ho da interrogare ancora la tua bella ganza! – strinse ancora le pinze, questa volta sull’altro seno. Greta strillava, si dibatteva, si contorceva, e le braccia torcevano i legacci che le segavano la carne dei polsi, già purpurei per i segni della continua frizione e dei frenetici tentativi di liberarsi. – Confesserò tutto quello che vuole… ma abbia pietà! Mi lasci andare… aaaaahhhrrrrrr… -L’uomo digrignò i denti per la rabbia. – Confessa! – urlò. La mano strinse le pinze finchè non uscì del sangue dal capezzolo ferito. Un grido incontrollato, lacerante, scaturì dalle labbra di lei. Poi Greta Kleist si irrigidì e rimase immobile. – Per il demonio! – brontolò il capitano della Gestapo. Mise la mano sul seno sinistro della ragazza. Il cuore batteva.Un misericordioso svenimento aveva sottratto la ragazza alla sua furia. – Maledizione – mormorò tra i denti. – non avevo ancora finito con te, puttanella. Ma ora pensiamo alla dolce cognatina. – Il capitano Schwarz uscì dalla stanza e si rivolse a uno degli aiutanti che gli erano stati assegnati, che stazionavano dietro la porta. Gli ordinò di andare a prendere l’altra prigioniera e di portarla quindi nella stanza accanto per interrogarla. Si recò poi egli stesso nella stanza attigua ad attenderlo. Il locale era nudo, spoglio, solo un tavolo con due sgabelli, una bassa credenza e una strano marchingegno in un angolo.Quando il nerboruto uomo della Gestapo andò a prelevare Katherine, trasportandola quindi nella stanza dell’interrogatorio sulle braccia, pensò che la donna era fatta per l’amore; i suoi occhi ardenti si puntarono su globi turgidi, sul ventre morbido, sulle cosce ben modellate di lei, che si lasciavano intravedere dal leggero abito di cotone, lungo fino al polpaccio. Aveva il marito al fronte. Beh, non aveva da lamentarsi. Quella notte avrebbe avuto due robusti tedeschi al posto del misero marito. – Mettila in piedi e toglile il bavaglio. – ordinò Schwarz, quando li vide entrare nella stanza. – Ma lasciala ancora bendata, almeno finchè non abbiamo ascoltato le sue menzogne. – – Naturalmente, herr kaptain. – rispose il sottoposto, depose gentilmente la donna a terra e le slegò il nodo del bavaglio sulla bocca. Poi le aprì a forza le labbra e le strappò via lo straccio che aveva fatto da tampone. – Ecco fatto, liebling, adesso stai comoda – disse quando ebbe terminato.Katherine aveva i polsi ammanettati dietro la schiena. Le caviglie erano legate con grosse corde. Indebolita, barcollò, perchè il tempo passato nello sgabuzzino era stato non soltanto penoso fisicamente, ma anche moralmente. Da lontano le erano giunte infatti le urla d’agonia della dolce Greta, e questo le aveva limato i nervi fino al limite.Seduto comodamente su uno sgabello, Schwarz la esaminò dalle fessure degli occhi ardenti. Perdio, gli faceva venire la voglia soltanto a guardarla! Aveva una dolce faccia ovale, dai tratti delicati e i capelli corvini le scendevano in morbidi riccioli sulle spalle. Si leccò le labbra e guardò avidamente la giovane cognata che l’aiutante gli presentava tenendole una mano al collo e l’altra sui polsi ammanettati. Era di statura leggermente al di sopra della media, la bocca carnosa ma delicata e ora tremante. La pelle era bianca, lattea, con piccolissime efelidi. Il corpo valeva molto, e anche il modesto abito di cotone lo metteva in risalto.Conoscitore dell’anatomia femminile, il capitano della Gestapo apprezzò il fascino di Katherine Riesling. Aveva due magnifici emisferi, che tendevano la stoffa dell’abito, una vita sottile, da ragazzina, e belle curve ai fianchi. Quanto al sedere, era bello, solido, rotondo. alto, proprio il tipo che a lui piaceva fustigare. Belle cosce rotonde, slanciate, polpacci ben modellati e armoniosi che finivano in caviglie sottili, a denotare la buona razza, come se ne trovano molte fra le donne tedesche. – Ecco la sua dama, herr kaptain – ridacchiò l’aiutante, mentre col temperino tagliava le corde alle caviglie di lei. La donna era ancora bendata e perciò esclamo: – Oh, mio Dio, che cosa fa… ma dove sono? -La sua voce armoniosa, tremante eccitò molto i due uomini, perchè tradiva la sua paura, la sua infelicità. E ne aveva ben ragione! – Sai benissimo dove ti trovi, frau Riesling – iniziò a dire Schwarz. – Sei nel quartier generale della Gestapo. Devo interrogarti, e ti consiglio di rispondere alle mie domande, senza tentennamenti o disgressioni… capito, cara cognata? – – Si – rispose debolmente la donna. – Farai anche bene a parlarmi rispettosamente, usando il mio grado – continuò Schwarz, irritato. – Dimenticati la parentela, devi dire: signor capitano. Sei una tedesca, appartieni a un popolo eletto, e ti conviene essere umile e rispettosa verso i superiori. Capito? – – S… si, signor capitano. – – Molto bene. E adesso, giusto per la forma, dimmi nome, età, indirizzo, da quanto abiti qui e chi frequenti di solito. Avanti! -L’aiutante rimase dietro la donna tremante, reggendola sempre per il collo e per i polsi. I suoi occhi si compiacevano di guardarle il posteriore, e sperò che lei opponesse resistenza, così si sarebbe divertito a picchiarla.Con voce flebile, tremante, Katherine Riesling disse che aveva trentadue anni, che era laureata in filosofia all’Università di Berlino, che abitava nella casa da un anno circa, cioè da quando aveva sposato Dietrich Schwarz. – Hai bambini? – le domandò Schwarz, ben sapendo la risposta. – No, s.. signor capitano, non ancora. Suo fr… mio marito è al fronte e noi non abbiamo ancora… – – Cerchi forse di essere insolente? – la interruppe Schwarz. – Bada Katherine Riesling che qui alla Gestapo abbiamo i mezzi per mettere a posto una persona impudente e insolente. – – Si, lo so. Mi scusi. Ma la prego… io non so nulla. Non ho fatto nulla. Nulla di male almeno. C’è un errore… ci deve essere un errore… – – Insulti il terzo Reich, frau Riesling! – tuonò il capitano Schwarz. – Qui di errori non se ne commettono. Soldato, credo che questa scrofa meriti una lezione. Sei d’accordo? – – Eccome, herr kaptain! – sogghignò l’aiutante, e i suoi occhi lucidi tornarono a contemplare il bel sedere tondo della prigioniera. – Avanti vieni da questa parte – proseguì con voce rauca. Sapeva perfettamente che cosa fare. Doveva fare piegare la donna sopra il marchingegno che stava vicino al muro. Era un sistema ingegnoso, perchè avrebbe costretto la donna a spingere in fuori il sedere in modo seducente, e garantito che qualunque cosa fosse stata usata per batterla, essa avrebbe causato forte dolore a causa dell’angolazione dei colpi. – Oh… che… che cosa volete farmi? – ansimò Katherine con la paura nella voce. – Darti una piccola lezione, tutto qui – disse l’aiutante, ammiccando al suo superiore.L’aveva spinta fino allo strano congegno. Si trattava di un ripiano d’acciaio a forma concava e lungo una trentina di centimetri, sembrava un grosso tubo segato per la sua lunghezza. Alle due estremità erano fissate delle barre d’acciaio regolabili, con manette di metallo saldate alle estremità. il ripiano era leggermente inclinato verso l’avanti ed era fissato al suolo da quattro robuste gambe pure d’acciaio. Il principio era semplice: la donna veniva spinta giù sul ripiano finchè la sua schiena non era obliqua verso il basso, il ventre appoggiato sul ripiano. Le braccia, all’altezza delle barre anteriori, venivano incrociate in modo da chiuderle i polsi nelle manette. Le caviglie invece venivano allargate e fissate alle manette poste all’estremità delle barre posteriori. – Dunque, frau Riesling, non innervosirti – disse l’aiutante in tono leggero. – Ti facciamo soltanto la fotografia. Così non cadi, sei sicura. Piegati bene sopra… di più… ancora… ecco, non preoccuparti, sono qui che ti sorreggo. -E così dicendo, spinse il collo della povera donna in basso, con la mano sinistra. Poi inginocchiatosi accanto a lei, l’avvertì di non muoversi, e le tolse le manette ai polsi. Subito le trasferì ogni polso nella manetta fissata al congegno.Manovrò la lunghezza scorrevole delle barre d’acciaio finchè la donna non fu con le braccia incrociate e stirate verso il basso, i seni ansavano liberi, perchè la superfice del ripiano era corta. A quel punto lei aveva cominciato a tremare e a lamentarsi. – Oh, pietà. Che cosa volete farmi? Non ci vedo… mi pare di cadere… per favore, non fatemi del male. Non ho fatto nulla! -Ma l’agente della Gestapo era troppo occupato per risponderle. Le allargò le gambe, rialzando il vestito oltre le ginocchia, e le fissò le sottili caviglie con le manette poste all’estremità dei paletti posteriori. A quel punto la donna era in posizione obbligata: piegata in due, la testa più in basso del sedere, le braccia incrociate e tese, i polsi ammanettati; gambe divaricate ai lati del supporto e fissate agli anelli, l’addome schiacciato contro il ripiano. La sensazione di cadere divenne più acuta e la donna cominciò a strillare. – Adesso non puoi più cadere, liebchen – ridacchiò l’aiutante. Poi, rivolto al suo superiore gli domandò. – Il signor capitano vuole che la prigioniera sia denudata? – – Naturalmente! – brontolò Schwarz, facendo un cenno d’impazienza col sigaro che si era acceso. L’aiutante ridacchiò oscenamente, si portò dietro alla donna e con le mani robuste le prese l’orlo dell’abito e stracciò la stoffa nel mezzo. La donna lanciò un grido strozzato, quando comprese quale sorte l’aspettava, mentre l’abito strappato finiva a terra. – Oh, no, per favore! Non ho fatto nulla. Oh, non fatemi del male, no! Per l’amor di Dio, che vergogna! -Il soldato le strappò allo stesso modo la sottoveste, mostrando così un paio di aderentissime mutandine di cotone bianco e un reggicalze di raso bianco che, data la posizione di lei, era teso al massimo e minacciava di rompersi. Portava calze grigie non velate, come usavano in tempo di guerra, ma sufficienti a mettere in evidenza le belle curve dei polpacci e delle cosce.Dopo un cenno di assenso del suo superiore, l’aiutante passò davanti e le strappò il reggiseno, e con un grido di vergogna la bella bendata annunciò la nudità del meraviglioso seno che vibrava per i singhiozzi.Il soldato tornò a inginocchiarsi, leccandosi le labbra alla vista delle superbe tette, con l’areola larga e scura e i capezzoli grinzosi al centro. Prese due larghi anelli che giacevano sul pavimento, fissati a due catenelle ancorate al suolo. Gli anelli avevano la superficie interna irta di piccole punte metalliche. Aprì i due anelli, facendo scattare le serrature. Fu svelto ad applicarli attorno alle mammelle nude, adattandone la larghezza. Poi, quando li ebbe sistemati alla base, richiuse la serratura.Katherine lanciò un urlo, nel sentirsi pungere da tanti aghi la tenera carne dei seni, e continuò a gridare ad ogni respiro.L’aiutante della Gestapo tornò in piedi e contemplò il suo lavoro. In quella posizione, il più invitante era il sedere, ancora coperto dalle mutandine. – Ebbene, frau Riesling, è assai sconveniente che tu spinga in su il sedere a quel modo. E’ così che rispondi alle domande del comandante? Ti insegneremo più rispetto per il Terzo Reich! – – Le domande le faccio io, soldato – disse il capitano Schwarz, mentre buttava fuori il fumo del sigaro. – E tu ascolta le risposte. – – Naturalmente – disse l’aiutante, sogghignando. Poi passò lo sguardo sulla credenza, dove vi era un vasto assortimento di frustini, cinture, scudisci, bastoni di gomma, e persino un flagello con manico di legno e tre strisce di cuoio fatte a nodi.Il capitano indicò un manganello, arma di efficacia diabolica. Non lasciava segni come i bastoni di gomma. Ma produceva un doppio shock che, ripetuto, distruggeva i nervi e la resistenza della vittima. Dopo una dozzina di colpi su un sedere esposto a quel modo, con il corpo legato, nessuno avrebbe tollerato il dolore.Con una risatina di piacere, il soldato strappò le mutandine alla donna, scoprendole il sedere, e mentre lei gridava di vergogna e di paura, andò alla credenza e prese quanto gli serviva per l’interrogatorio.Armato di manganello, si piazzò dietro alla donna, un po’ spostato sulla sinistra, in buona posizione per colpirla sul sedere nudo e tremante. Guardò il suo capo, seduto sullo sgabello a gambe larghe, che fumava silenziosamente il suo sigaro. – Fa’ attenzione, Katherine – disse il capitano alla donna. – Voglio la pura verità. E’ vero che quella scrofetta con cui intrattenevi rapporti lesbici è un’ebrea? -Il soldato batteva intanto la punta arrotondata del manganello sul palmo della mano e si leccava le labbra, guardando il bel culo esposto della vittima. – N… no, no non è un’ebrea, signor capitano. Vi posso assicurare che non lo è, lo giuro. – rispose la donna con voce rotta.Il capitano scosse la cenere del sigaro, e l’aiutante, tirato indietro il manganello, lo calò con forza colpendo entrambe le natiche. Il colpo inaspettato spinse in avanti la povera donna e un grido di dolore le uscì dalla bocca, perchè le punte di metallo degli anelli ai seni le si conficcarono nella carne. – Vedi, frau Riesling? – ridacchiò Schwarz. – Non è saggio mentire alla Gestapo. Ti garantisco che avrai di che lamentarti, se continui così. – – Ma lo giuro, signore… Non è vero… io… io la conosco, non è un ebrea – disse piangendo. – Perchè volete costringermi a dire cose non vere? – – Non ci siamo, mia cara. Non è questa la verità. Su, avanti confessa! – – Ma non posso accusarla di una cosa come questa!… Decreterei la sua fine! – continuò accorata. – Oh, lasciatemi andare, vi prego… aahh che dolore al seno… vi prego, risparmiatemi! -Ma il capitano aveva sollevato di nuovo il sigaro. L’aiutante, con una risatina malvagia, si tirò indietro sulla sinistra, sollevò il manganello e diede un colpo che finì sulla parte superiore delle cosce di Katherine. La carne tremò, sobbalzò e lei emise un lamento stridulo. – Aaaahhh!!… Ma io sto dicendo tutto quello che so, lo giuro! Lo giuroo! Vi prego, abbiate pietà, mi fa troppo male, pietà! -La posizione e il cercare di tenere bassi i seni per non acuire la tortura delle punte acuminate, le imponeva uno sforzo intollerabile alla schiena e ai muscoli delle cosce, come lo dimostravano gli spasmi alle gambe divaricate, e lungo la spina dorsale. Costretta in quella posizione innaturale, aveva cominciato a singhiozzare istericamente. I seni, compressi dagli anelli di tortura alla base, erano gonfi e palpitanti. Bastava il respiro ansante per far penetrare le punte nella carne in modo crudele. – Avrei potuto farti fucilare, sgualdrina traditrice. – continuò Schwarz. – Oppure appenderti per i talloni a un uncino da macellaio e fustigarti in mezzo alle cosce, così non avresti più potuto generare un figlio. Hai tradito la fiducia di mio fratello. Hai macchiato l’onore della mia famiglia. Ma siccome sono misericordioso, questo piccolo trattamento che subisci è semplice disciplina salutare. Voi donne avete condotto una vita troppo pigra, fino alla guerra, e adesso lo scontate. Il mio aiutante ti fustigherà sul culo finchè non sarai pronta a dirmi ciò che voglio sapere. Dagli un’altra lezione, soldato. -Il subalterno calò un altro colpo alla base delle natiche, facendogliele sobbalzare. Un grido da agonizzante accompagnò i sussulti del suo corpo; poi la donna cominciò a sbattere i fianchi da una parte all’altra per cercare sollievo al dolore. – Ahhrrr!… Non resisto più, abbiate pietà di me!… Giuro davanti a Dio che vi sbagliate. La ragazza è tedesca.Oh, perchè non volete credermi! Non posso condannarla a una morte ingiusta, non me lo perdonerei mai!… Abbiate pietà, sono soltanto una povera donna sola! – – Non cercare di commuoverci, cagna. Quanto al tuo stato di donna sola, il mio attendente e io ti consoleremo presto – disse sardonico Schwarz. – Ma occupiamoci di lavoro. Sai che i rapporti omosessuali fra donne sono un reato? – – Si… lo sapevo… – balbettò lei fra i singhiozzi. – ma pensavo che … – – E questa è la prima dichiarazione vera che hai fatto finora. – la interruppe il capitano. – Dunque sapevi che erano un reato, ma ciononostante hai lo stesso compiuto una grave mancanza contro le leggi del Reich, tradendo mio fratello che versa il suo sangue per la patria. -Intanto, a un suo cenno, il nerboruto aiutante sferrò un altro colpo col manganello, nella parte centrale e più carnosa delle natiche. – Aaaahhhhhh!…. Mio Dio!… Abbiate pietà di me, non volevo… non credevo di far male, lo giuro! – gridava la povera ragazza. Apriva e chiudeva spasmodicamente le dita, torceva i polsi, serrati nelle manette. Sollevò la testa e la schiena ebbe un fremito, poi gridò ancora a causa delle punte nel seno che la ferivano ripetutamente. – Quante volte è successo, sgualdrina! – incalzò Schwarz.Era al limite delle sue forze. Brividi convulsi le scuotevano il corpo in quella posizione oscena, e singhiozzi accompagnarono la sua risposta. – Aahh!… t tre… no, quattro volte… aahhh, i miei poveri seni, non resisto più, pietà! – – Ti consiglio di dire la verità e di non nascondere nulla, frau Riesling! – continuò il capitano. – Finora non hai subito che qualche sculacciata. Peccato che ti facciano male le tette, ma non ti chiediamo noi di muoverti mentre ricevi le sculacciate. Però darò ordine al mio aiutante perchè ti faccia molto più male se non sarò soddisfatto delle risposte. Ti piacerebbe sentire la punta accesa di questo sigaro infilata in mezzo alle natiche? Oppure potremmo usare un paio di pinzette per unghie per strapparti i peli, uno per uno, capisci? – – Oohhh, nooooo! – gemette la donna. Il tormento agonizzante le si era diffuso dalle natiche a tutto il corpo e ogni centimetro di carne pareva torturato dal fuoco. – Dunque, ora collaborerai con noi. Che tu lo voglia o no! – disse il capitano.Subito l’uomo della Gestapo colpì ancora, ma questa volta in senso verticale, sulla natica sinistra. Colta di sorpresa da un dolore atroce, la donna si spinse in avanti e così facendo provocò le punture torturanti delle punte di metallo. Un lungo grido di dolore, contrazioni delle dita, spinta della testa indietro, faccia alterata da un’agonia indicibile, furono i segni della sofferenza. E poi tante lacrime, un diluvio di pianto.A quel punto i due uomini erano eccitatissimi, con l’erezione che premeva nei loro pantaloni. L’aiutante ansimava, si leccava le labbra, e si mangiava con gli occhi la bella donna nuda e tremante. Ora seguiva i violenti fremiti che scuotevano le gambe di lei, così sfacciatamente divaricate. Il corpo della donna era ricoperto di sudore e un acre odore di femmina gli giungeva alle narici.Aspettò qualche minuto perchè lei si calmasse un poco, poi il manganello colpì nel mezzo della natica destra, mandandola in avanti, e strappandole un nuovo grido rauco, pazzesco, a bocca spalancata e con la testa spinta all’indietro. Il suo corpo vibrò, sbattè violentemente e le punte acuminate ferirono i seni. – E’ cocciuta, questa, capitano! – ridacchiò il soldato con voce grossa. – Posso provare qualche altra cosa? – – Benissimo. E’ colpa sua se è così ostinata. Procedi! – – Oh, no!… Basta torturarmi!… Soffro tanto che voglio morire! -L’aiutante, sogghignando, lasciò cadere il manganello, le afferrò l’elastico delle mutandine e tirò via l’indumento già precedentemente stracciato. Ora non le restava che il reggicalze, le calze e le scarpe. Il capitano si alzò dallo sgabello, trattenendo il fiato davanti a quella magnifica nudità. le natiche rotonde e carnose avevano soltanto qualche livido che faceva peraltro risaltare il resto della carne bianca. E all’inforcatura le vide la nera e ricciuta peluria che faceva da contorno alle palpitanti labbra intime, anch’esse partecipi del dolore che distruggeva non soltanto la forza e i muscoli della donna, ma tutto il suo sistema nervoso.Il soldato passò le dita sulla carne nuda, prima di toglierle anche il reggicalze e staccare i ganci dei tiranti. Poi arrotolò le calze fino alla caviglia, e la donna intanto piangeva, sconvolta dalla vergogna. Era la procedura della Gestapo privare un prigioniero della dignità come dei vestiti, senza lasciargli protezione davanti all’oscena crudeltà dell’interrogatorio. – Vediamo se è proprio sposata, comandante – ridacchiò il subalterno. Quando Schwarz annuì, l’uomo si spostò dietro, sulla sinistra e premendo il palmo sinistro sulla schiena di lei, umida di sudore, mise il dito indice della destra tra le labbra aperte della vulva.Un nuovo grido di protesta e di vergogna scaturì dalla vittima. – NOO!… Oh, no! Non esponetemi a questa vergogna! E’ vile, è vile! Uccidetemi piuttosto! Facciamola finita! -L’uomo, ignorando le proteste, infilò tutto l’indice nella vagina e lo roteò. – Non c’è imene, comandante – annunziò allegramente. – Sicuramente sa cosa vuol dire avere un buon schwanz infilato dentro! – – Continua! – ridacchiò il capitano.Il soldato annuì, con occhi ardenti di desiderio. Infilò la mano nella tasca dei pantaloni di pelle, estrasse un paio di pinze d’acciaio, e le mostrò al capitano. Poi, con una risata oscena, calcò la mano sinistra sul dorso della donna, mentre con la destra armata di pinze, le cercò la peluria attorno alla vulva e strappò con violenza.Un grido acutissimo uscì dalla gola della giovane donna torturata, che ancora una volta spinse il corpo in avanti, e si provocò altro dolore al seno. – Questo è un assaggio, liebchen – motteggiò l’aiutante. – E continuerò finchè ti avrò tosata tutta come un neonato. Se vuoi salvare la tua fica è meglio che parli. Di’ al capitano quello che vuole sapere. – Le pinze strapparono un altro ciuffetto di peli neri e ricci. – Aaaaahhhhh! Oh, nooo!… Non lo sopporto!… Mio Dio!… Basta, basta! Dirò tutto quello che volete. Lo giuro. Oh, come soffro!… Oh, che dolore! -I violenti sussulti del corpo, i brividi nelle gambe e nelle cosce, il tono della voce, indicavano che la donna non ce la faceva più. – Dicci di questa ragazza, presto! – comandò il soldato, mentre stringeva nelle pinze un labbro della vulva. – Aaahh! No!!! Non lo facciaa!. Lo dirò, dirò tutto quello che vuole… E’ ebrea, si, è ebrea, ma per pietà la smetta! – – Parlami di lei – intervenne Schwarz. – Io… l’altra settimana… lei… lei… lei… – La povera Katherine singhiozzava tanto che non poteva parlare. Il capitano fece un segnale e il subalterno strinse di più le pinze. – Aahhhhiiiiiooooo!… Ahhhhhhhrrrrrrrrr!… Bastaaa! lo dirò, lo dirò! Per l’amor di Dio, smettete un minuto, vi dirò tutto! – la disgraziata implorava, mentre sbatteva i fianchi selvaggiamente, nel più sconcio contorcimento. – Svelta! – comandò l’uomo, allentando appena la stretta. – Io… io ero andata a comprare una pagnotta, la settimana scorsa… e… Greta era al forno, stava comprando un piccolo dolce a forma di stella di Davide e… quando mi ha vista, è diventata tutta rossa e l’ha nascosto di premura. Mi ha chiesto di non dire niente e… è tutto quello che so, lo giurò – – Soldato, prendi nota. Di’ ai tuoi superiori di tenere d’occhio questo forno. Arresterete sicuramente un bel po’ di ebrei. – abbaiò Schwarz. – Agli ordini, herr Kaptain! – – Ed è tutto, Katherine Riesling? – Schwarz cominciò a svestirsi, togliendosi la giacca, sbottonandosi i pantaloni. La vista della sua grossa erezione fece sogghignare il soldato della Gestapo. Dal canto suo sperava di poter assaggiare quella sgualdrina, e non gli importava dove glielo avrebbe ficcato. Naturalmente il capitano aveva la precedenza, non fosse altro che per il suo rango! Ah, se fosse stato anche lui un ufficiale superiore!A un segnale si ritirò, riluttante, ed andò a sedersi sullo sgabello. Il capitano Schwarz passò le mani sotto il ventre sudato della cognata, accarezzandola in modo volgare. Poi risalì in alto, sui seni imprigionati negli anelli. Passò le dita sulle rotondità carnose, strinse i capezzoli e la donna trattenne il fiato, ma anche questo atto le provocò nuove incisioni delle punte acuminate che le massacravano la carne.Mentre l’uomo si piegava in avanti, seguendo la posizione di lei sullo strumento di tortura, il suo grosso fallo si spinse contro le natiche doloranti. Lei gemette, singhiozzò, ma non potè fare altro. L’uomo le carezzò i fianchi e le cosce, poi il sedere.Le sue dita affondarono nella carne delle anche con l’intenzione di allargarle le parti e spingere il pene nella rosea fenditura della vagina. Con un grugnito di desiderio, trovò l’orifizio e vi affondò. Il corpo della donna sussultò e un grido lacerante sottolineò la sua vergogna di essere chiavata.L’uomo digrignando i denti, cominciò a scanalarla con spinte violente, incurante dei lamenti di lei, dovuti non soltanto all’atto, ma alla scomoda posizione, ai dolori nella schiena e nelle gambe, alla tortura delle punte al seno.La sua vagina era asciutta e la dilatazione forzata di quel membro troppo grosso per lei, le causava fitte lancinanti al basso ventre. Il fratello di suo marito menava delle spinte terribili, che a causa della posizione molto inclinata in avanti, facevano penetrare il fallo molto in profondità, troppo, dandole delle botte dolorosissime alla bocca dell’utero.Dando delle spinte furibonde nel canale strettissimo e asciutto, scavandola con tutta la rabbia e il rancore accumulato nei suoi confronti, il capitano Schwarz arrivò presto all’orgasmo, spruzzandole dentro tutto lo sperma accumulato. Poi si ritirò, si spostò di fianco, cavò il fazzoletto dalla tasca e si asciugò l’organo, mentre faceva un cenno al subalterno.Il nerboruto soldato della Gestapo aveva una perversità tutta sua nel godere di una donna inerme. Saltò dallo sgabello, si avvicinò alla vittima che piangeva fiumi di lacrime. Si aprì i pantaloni e tirò fuori un membro di ragguardevoli proporzioni, gonfio, duro allo spasimo, afferrò le natiche di lei e le allargò.- Stai calma, non ti agitare – le disse con voce roca per l’eccitazione. – E preparati, perchè tra poco te lo metto nel culo! – Il frenetico agitarsi della donna per impedirgli la disgustosa penetrazione, indicò chiaramente che lei non aveva mai sperimentato quell’atto. – NOOO!!… Non là! Per l’amor di Dio! Abbia pietà di me…. Non mi faccia male. Vi ho detto tutto quello che volevate! -Gridò, urlò a squarciagola e si dimenò terrorizzata svincolandosi sull’attrezzo che la bloccava, col solo risultato di far penetrare le punte acuminate sempre più profondamente nella carne tenera dei seni. – Che bravo maritino ha, questa sgualdrina! – rise l’aiutante, mentre premeva con la punta del pene sull’ano contratto e le sue dita affondavano nella carne torturata delle natiche, tese per lo sforzo di cercare di stringersi. – Non ha mai assaggiato questo bel bocconcino. Non agitarti, sgualdrina! Ti mostrerò come noi nazisti insegnamo a una stupida vacca come te i veri piaceri della vita. Prepara il culo, liebchen! – Il soldato della Gestapo spinse con ferocia e cercò di penetrarla nell’ano serrato dal terrore.Le urla di Katherine crebbero d’intensità, si fecero strazianti. Apriva e chiudeva nuovamente le mani serrandole spasmodicamente, le lacrime scorsero copiose sulla sua faccia distrutta dalla sofferenza, mentre l’uomo, afferrato alle sue natiche, seguitava a spingere per cercare di infilarle nel sedere il suo bastone congestionato. Dopo tre o quattro spinte, finalmente riuscì a introdurre il glande, mentre un urlo incredibile e altissimo si levava dalla gola di Katherine, che sentì slargarsi lo sfintere. Si dimenò freneticamente, ma l’uomo oramai era dentro di lei, e sghignazzava soddisfatto. I muscoli dello sfintere tentarono di contrarsi per impedire l’ulteriore penetrazione, ma lui, con un ghigno rauco di trionfo, tenendola sempre strettamente per le natiche, continuò a spingere imperterrito, sordo alle sue urla strazianti, fino a infilarglielo tutto dentro al retto.Katherine sembrava al limite della resistenza, boccheggiava, il viso sfatto dalle lacrime, si contorceva spasmodica, implorava, si mordeva la lingua in parossismi di sofferenza inaudita. La verga nodosa del soldato le stava scavando una galleria di dolore indicibile dentro l’intestino. Sembrava volesse perforarla per arrivarle fino allo stomaco. La nausea l’assalì violenta e tossì prorompendo in alcuni conati di vomito. Ma solo saliva le uscì dalla gola riarsa per il tanto urlare. Poco a poco, Katherine cessò ogni movimento di resistenza, e guaendo come un animale ferito, subì la feroce sodomia da parte del suo aguzzino.Il dolore per lei a un certo punto divenne talmente forte, che le sembrò di perdere la ragione. Sentiva solo quella cosa enorme dentro di se, chiuse gli occhi, sperando, pregando che tutto terminasse in fretta. Era oramai solo un bagno di sudore e di dolore. Un dolore che le arrivava fino alle dita dei piedi, fino al cervello, che la squassava in tutto il corpo. I colpi del soldato erano colpi di maglio che le perforavano le viscere, l’ano sanguinava e il retto le bruciava per il troppo sfregare. Sordo ai suoi lamenti, l’uomo la inculò con sadico piacere per un tempo che a lei parve lunghissimo. Katherine sopportò, ormai allo stremo, gli ultimi colpi di quel membro che le scavava il culo, si agitò maggiormente digrignando i denti quando, con un urlo di liberazione misto a dolore, sentì un caldo liquido vischioso bagnarle le viscere e intasarle l’intestino, violato in modo incredibile.La donna si irrigidì, e poi si afflosciò in un benedetto svenimento.Ahimè, sarebbe stata una breve tregua! Katherine e Greta, nude, stavano adesso davanti al capitano Schwarz e ai suoi due nerboruti aiutanti. Le due donne si erano un po’ riprese dalle precedenti torture e stavano silenziose e tremanti, trepidanti per il loro futuro.Quando era stata portata nella stanza, Greta si era gettata in ginocchio davanti a Schwarz, e gli aveva abbracciato le gambe con le belle braccia rotonde e seriche, anche se ancora segnate dai colpi del frustino, implorando pietà.Giurò che i suoi genitori non erano ebrei, protestò ancora una volta la sua innocenza. – Sollevate questa cagna da terra – aveva detto lui sorridendo, mentre guardava con occhi ardenti la bellezza bionda. – Voglio vedere le sue gambe e il suo culo dimenarsi, quando sentirà un buon cazzo. -Pochi attimi dopo, Katherine e Greta erano appese per i polsi, legati a una corda che passava su una carrucola collegata a un anello infisso nel soffitto. I piedi dondolavano per aria, a circa dieci centimetri dal pavimento. Le avevano appese in modo che fossero l’una di fronte all’altra, e, ad un comando di Schwarz, una pesante cintura di cuoio fu allacciata alla vita delle due donne, costringendole a stare vicinissime.Schwarz, seduto su uno sgabello, una sigaretta accesa, osservava i due inquisitori che, muniti ciascuno di una frusta di cuoio, si erano piazzati dietro le prigioniere piangenti. I due aiutanti guardavano Schwarz in attesa del segnale, ma questi finì con calma la sigaretta e la schiacciò sul pavimento di pietra della cella. Poi fece un cenno del capo e una risatina sinistra.A quel segnale i due sollevarono le fruste e le calarono con un colpo secco sui fianchi di Katherine e Greta. Le donne emisero grida stridule di dolore, spingendo i corpi in avanti all’impatto della frustata. Così seni, ventre, cosce si sfregarono insieme, come Schwarz voleva.Sollevò la mano per una pausa e accese un altra sigaretta. Voleva vedere gli effetti del primo colpo sulla tenera carne della cognata. Aveva una striscia di colore rosso vivo che andava da un femore all’altro. Greta, più giovane e con natiche molto carnose, aveva anche lei il segno della frustata vistosamente rosso, sovrapposto ai segni precedenti, sulla carne di velluto.Si alzò dallo sgabello e andò a contemplare le donne piangenti. La cognata aveva un pube molto peloso, i riccioli neri e fitti nascondevano completamente il sesso che lui aveva violato un’ora prima. La compagna, paffutella, aveva peluria biondo scuro che lasciava appena intravedere le labbra intime.A un tratto vide una pozza giallastra formarsi sotto i piedi di Katherine. Sogghignò, divertito. La cognata se l’era fatta addosso per la paura. Osservò con occhio cinico la donna tentare di stringere le cosce, imbarazzata, mentre l’orina le scivolava sulle gambe e sgocciolava sul pavimento. – Te la fai addosso per la paura, sporca sgualdrina – disse, alla donna che era arrossita fino alla radice dei capelli. – E hai ben ragione, cara cognata, perchè fra un po’ vedrai cosa ti capita. -Continuò a divorarle entrambe con gli occhi, constatando come i seni si sfregavano l’uno contro l’altro e quanto terrore c’era nei loro occhi pieni di pianto, poi tornò a sedersi sullo sgabello e fece cenno di proseguire. Gli uomini sollevarono le fruste e Greta, girando la testa, implorò da sopra la spalla: – Oh, no, no, per favore non frustatemi, sento male… Non ho fatto nulla, oh, piet… aaaaaaaahhhhhhh!!!…… -La supplica lacrimevole era stata interrotta dalla scudisciata impietosa alla base del suo posteriore vibrante e roseo. Con un grido folle, la ragazza spinse ventre e fica forsennatamente contro Katherine. Quasi contemporaneamente l’altro nazista calò la seconda frustata sul sedere di Katherine, facendole un livido che provocò un grido agonizzante di lei. Nel tormento del dolore anche Katherine spinse ventre e fica in avanti e i due corpi si scontrarono, si sfregarono, pube contro pube. Le due donne ansimarono, si guardarono negli occhi, arrossirono di vergogna pur fra le lacrime.Dopo che ebbero ricevuto quindici frustate ciascuna, cominciarono a implorare pietà in maniera straziante; piangevano disperate, sbattevano, dondolavano i corpi da parte a parte, avanti e indietro, mentre la frusta mordeva la carne e lasciava il suo segno purpureo addosso ai loro corpi. Ma non vi fu pietà, per loro. La tortura proseguì senza sosta, con colpi cadenzati a intervalli regolari di trenta secondi, perchè ognuna assaporasse in pieno il grado di dolore della frustata precedente e si tormentasse nell’atroce attesa della prossima, impotente a sottrarsi al supplizio.Quando le frustate furono trenta, le donne strillavano come forsennate nell’agonia. Per distrarsi dall’infernale flagellazione, avevano cominciato a sfregarsi l’una contro l’altra. In principio il contatto dei genitali fu inconscio, perchè il dolore delle frustate le spingeva in avanti involontariamente. Poi, quando il dolore fu intollerabile, ognuna cercò la misera consolazione della frizione lesbica.A un segnale di Schwarz, i due nazisti abbassarono le fruste. Greta e Katherine cercarono di consolarsi a vicenda, con baci, singhiozzi, fregamenti, quasi isteriche, ignorando i loro carnefici. Il capitano, rosso in viso e con gli occhi scintillanti di desiderio carnale, le apostrofò irato: – Sporche sgualdrine, oltre a essere infedeli alla patria, osate mostrarci questo spettacolo rivoltante! Ti credevo una donna pudica, Katherine, la moglie del mio caro fratello, ma non sei che una puttana. Continuate, uomini. Ma fate in modo che la frusta vada fra le gambe, perchè queste scrofe imparino la lezione! -Gli inquisitori annuirono, risero e ammiccarono. Poi si tirarono indietro, abbassarono le fruste a terra e cominciarono a far schioccare solo la punta fra le gambe nude e scalcianti delle vittime, aggredendo le tenere pieghe sotto le natiche, la parte interna delle cosce e più spesso la sensibile vulva umida e rosea, dilatata dallo sfregamento tormentato.Le loro grida divennero incoerenti, atroci, stridenti, altissime. Ma, soltanto dopo altre venti frustate, e quando già le due donne rasentavano la follia, il capitano diede ordine di smettere.Furono tirate giù e slegate, ancora urlanti, isteriche, i volti disfatti dalle lacrime e buttate supine sul pavimento di pietra. Poi Schwarz si alzò dallo sgabello, si sbottonò i pantaloni, si tolse gli stivali e, inginocchiatosi fra le tremanti cosce di Katherine, prese a carezzarle i seni che ancora portavano le tracce dei dentini aguzzi della precedente tortura. In preda a una diabolica agonia che le si era diffusa in tutto il corpo, la donna si rese poco conto della cosa, fin quando non aprì gli occhi e vide la faccia di Helmut, beffarda, sopra di lei. Tentò debolmente di resistergli, ma lui la schiaffeggiò e la maledisse. Poi la prese.Si immerse profondamente nella vagina umida e cominciò a fotterla con vigore. Stando completamente sopra il suo corpo, le mani strette sulle sue natiche contuse e doloranti, la violentò con forza, facendola gemere di vergogna e di dolore per i colpi violenti che le infliggeva contro il ventre. Quando si fu scaricato nel suo grembo, inondandola col suo seme, si alzò e si rivolse ai due aiutanti. – Adesso è vostra, uomini. Dovrà ripagarvi per tutto il disturbo e il lavoro che vi ha dato! – I due nazisti non se lo fecero ripetere due volte e si avventarono sulla poveretta per sfogare le loro voglie lascive. Le si lanciarono addosso insieme e mentre uno, a fatica, cercava di tenerla ferma, inginocchiata a quattro zampe, l’altro alle sue spalle le bloccava le reni con le mani e puntava il membro, teso in avanti come una spada, in direzione dello sfintere, nel tentativo di penetrarla. Katherine, con il viso sofferente, rigato dalle lacrime, subiva il violento assalto. Cercava istintivamente di sottrarsi ma l’uomo alle sue spalle la tratteneva, spingendo con decisione. – Aaahhh… – urlò ad un tratto, contraendosi per opporsi alla penetrazione. – Aaaaahhhh…. Dio santo che malee!!… – Tremava tutta, sconvolta. L’uomo spingeva e lei istintivamente si contraeva e ondeggiava il sedere, opponendosi, ma ad ogni spinta il dolore era atroce, violento e Katherine gemeva e si inarcava come impazzita. Continuava a stringere le natiche, cercando di non cedere a quella ignobile penetrazione, ma dopo qualche tentativo, il nazista riuscì a penetrare in lei, violandole con il glande lo sfintere. Katherine emise un grido straziante, mentre le lacrime sprizzavano copiose dai suoi occhi, le scorrevano sul viso deformato dalla sofferenza e scendevano fino in bocca.Il nazista si arrestò un attimo, riprese poi a spingere, mentre Katherine continuava a urlare come se la stessero scannando, penetrando lentamente nella sua intimità anale. La donna continuava a gridare e a sobbalzare senza sosta, mentre il fallo duro dell’uomo, con un movimento lento ma inesorabile, penetrava sempre più fra le sue natiche allargate e infine, con una botta secca e maligna, si immerse fino in fondo nel suo retto. L’urlo inumano che ne scaturì riempì tutta la stanza. – AAAAAAGGGGGGHHHHHH!!!… muoio!!!… pietà!!… – Il tizio alle sue spalle, però, non le diede tregua. Cominciò a muoversi immediatamente senza darle neanche il tempo di riprendere fiato. Con le mani posate sulle sue natiche cominciò a sodomizzarla con la velocità di un treno – Muoio!… Vi prego non resisto!… Bastaa!…Aahiii!… NO!… vi prego!!… – Le sue unghie graffiavano istericamente il pavimento. L’uomo della Gestapo, sghignazzò e continuò a incularla. Il suo collega intanto spinse il suo membro eccitato contro la bocca della donna. Katherine, schifata, serrava le mascelle girando da una parte all’altra la faccia per evitare l’introduzione. Visti vani i tentativi nei confronti della donna, cercò d’immobilizzarle la testa con le mani. Ma lei, pur continuando a mugolare per le stoccate terribili che le infliggeva l’aguzzino alle sue spalle, mantenne la bocca chiusa e i denti serrati. L’uomo della Gestapo, inviperito, le mollò due terribili manorovesci, quindi l’afferrò per i capelli e le tappò il naso con due dita. Dopo alcuni terribili secondi di attesa, ormai cianotica e senza aria nei polmoni, Katherine fu costretta ad aprire la bocca per riprendere fiato. Immediatamente le sue labbra furono forzate ad accettare il pene eccitato dell’uomo, che glielo sprofondò fino in gola, iniziando quindi a scoparla con foga nella bocca, tenendole la testa fra le mani.Mentre i due aguzzini possedevano la povera Katherine, il capitano afferrò un paio di tenaglie di ferro. Stretto nella morsa un capezzolo di Greta, le ordinò di succhiargli e leccargli il membro. La ragazza, inorridita, tentò debolmente di rifiutarsi, ma il dolore al capezzolo si fece insopportabile e, suo malgrado, fu costretta ad aprire le labbra e lasciare che il capitano Schwarz facesse i suoi comodi nella sua bocca. Quando la ragazza gli ebbe ridato l’erezione, lui le ordinò di mettersi prona sullo sgabello, poggiando le mani e i piedi a terra. Una posizione scomoda, ma che le faceva arcuare il corpo in modo invitante, perchè il suo culetto sodo e paffuto era proteso verso di lui, quasi a provocarlo. Con un sogghigno diabolico, Schwarz si abbassò lentamente su di lei, le mani si posarono sulle natiche martoriate dalle frustate e le separarono di forza. Greta piangeva e strillava come un animale portato al macello, implorando di non farle quella cosa. A parte il manico del frustino, che aveva ricevuto nella seduta precedente, lei era vergine da quella parte. Schwarz provò ad infilarle nel culo un dito, poi, a fatica spinse fino a introdurglielo completamente. Greta ora urlava a squarciagola mentre l’uomo la sodomizzava con forza usando il dito come un piccolo pene, nel tentativo di allargarle quel canale che pareva strettissimo. Mentre lei piangeva e urlava, Schwarz continuava a prepararsi la strada allargandole il buchetto contratto fin quando, ottenuto lo scopo, provò a penetrarla. Il fallo congestionato riuscì a farsi strada, anche se a fatica, dentro il culo vergine di Greta che urlava e si dimenava come una biscia per il dolore della viziosa intrusione. Il suo violentatore aveva il suo bel da fare a tenerla ferma, scalciava come una mula e si agitava come un’indemoniata nel parossismo del dolore.Una volta entrato fino in fondo in quella guaina strettissima, Schwarz cominciò ad andare su e giù, prima lentamente e poi sempre più forte: le unghie sporche dell’uomo affondarono nella cedevole carne dei fianchi. Sentiva il suo ano pulsare come impazzito intorno all’uccello e le pareti del retto facevano fatica ad accettare l’intruso che le slargava dolorosamente. La ragazza prese a sanguinare dallo sfintere, non ancora perfettamente rimarginato dalla precedente intrusione e il dolore lacerante della penetrazione la fece quasi svenire, ma la cosa anzichè fermarlo gli diede nuovi stimoli ad andare avanti.Ben presto Greta ebbe tutte le natiche e le cosce imbrattate dal suo stesso sangue, mentre Schwarz, imperterrito e infoiato come non mai, incurante delle sue urla strazianti e dei suoi contorcimenti, continuava a torturarle il canale strettissimo. La sodomizzò a lungo, scaricato dalla precedente eiaculazione, inondandola infine con una colossale cascata di sperma che le allagò l’intestino.Dopo che l’ebbe posseduta, la cedette ai due assistenti che avevano finito con Katherine e i due accettarono volentieri di godersela, rinnovandole le sofferenze e la vergogna e arrivando a possederla contemporaneamente davanti e dietro.Una settimana dopo, le due disgraziate furono condotte a Ravensbruck, dove morirono dopo qualche mese di stenti e di violenze.Helmut Schwarz inviò al fratello una lettera piena di dolore e di parole di conforto: gli disse di avere scoperto che Katherine si era invischiata in una relazione infida e che era meglio fosse morta per salvare l’onore della famiglia. Non ricevette mai risposta, perchè il fratello morì a Stalingrado.
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