La strada scorre veloce sotto la macchina, i fari illuminano gli alberi che mi vengono addosso, mossi dal vento. Chiamarla notte è eccessivo, sono solo le 22.00. E poi chi me lo fa fare si andare a una festa dove non conosco nessuno? Preferirei, che so, infilarmi in un pub con un paio di amici, fumarmi un due cicche, dire stupidaggini e invece, giacca e cravatta, devo infilarmi in un ridicolo ritrovo per ricconi… Con la mia Panda 4×4 trovo posto tra una Mercedes e una Lexus, mentre il portiere già mi chiede l’invito: gli appoggio il foglio stropicciato in mano, lui mi squadra e mi fa: “In giardino, Signore”. “Grazie”, faccio io, mentre la mia mente frulla a quand’era l’ultima volta che avevo visto Christian; forse quattro o cinque anni fa… allora come gli era venuto in mente di invitarmi alla sua festa? Non gli ho neanche mai passato nessun compito! Cammino in un corridoio ampio e tappezzato di quadri e fiori. Una porta da sul giardino, ricolmo di gente: ragazze in abito! da sera, bambocci allampanati elegantissimi, alcune donne di mezz’età sedute in circolo alla mia destra, torce come lumi, tavole imbandite sotto ad un enorme gazebo, camerieri che cincischiano intorno ai crocchi di figli di papà offrendo bicchierini e stuzzichini.. io, pesce fuor d’acqua, che mi accendo una Lucky con lo Zippo, senza la più pallida idea di come comportarmi. Mano sulla spalla, mi giro di scatto: una figura femminile che mi sorride, presentandosi come la sorella di Christian, mi fa domande sulla mia identità trascinandomi verso il festeggiato, impegnato a sorseggiare un bicchiere di (credo) Prosecco. “Ciao Andrea, quanto tempo!”, fa lui affabile. “Sei ancora vivo, vedo…” faccio io visibilmente impacciato; “bel posticino…” continuo “c’è qualcun altro della vecchia classe?” gli domando, sperando in una risposta affermativa; non sopporterei di stare da solo tutta la sera. Mentre sto bene attento a dove e come sbuffo il fumo, lui ci pensa e mi dice che sì, ha invitato altri, ma non si sono ancora visti. “Non importa” faccio io “vorrà dire che li rappresenterò io!” scherzo, ma lui non coglie. Ci salutiamo, e comincia la mia noia. Non mi resta altro che avvicinarmi a una tavolo e bere, la cosa poi verrà da sè, o no? Dopo un po’ di cazzeggi ameno deambulo spaesato, bicchiere di punch in una mano e cicca nell’altra, quand’ecco che, dall’ingresso dove poco prima sono apparso io, si sporge titubante una ragazza che non ha proprio l’aria di essere un’ assidua frequentatrice di occasioni mondane, a giudicare da come porta il vestito e da come cammina sui tacchi. La scena si ripete: sorella di Christian, due parole con lui, e poi via, verso l’ignoto. Divertente osservarla, mi ci ritrovo molto: si porta al centro del giardino, declina l’offerta di un cameriere, si avvicina ad un tavolo, passa in rassegna le cibarie, prende un bicchiere, lo beve d’un fiato, lo rimette giù…poi si volta, passeggia guardandosi attorno per un po’, si ferma. Apre la borsetta. Tira fuori un pacchetto di sigarette. Ne sfila una, fruga nella borsetta: si poggia a un pilone del gazebo, per essere esatti proprio due piloni dopo il mio. Mi viene da ridere. Sembra siamo gli unici a non conoscere nessuno. Pazienza. La sete mi impone di ingerire dei liquidi, fermo quindi un pinguino e gli frego un calice. Mi volto e lei non c’è. Voce alla mia destra: “Scusa, hai da accendere?” “Certo!” mentre sfilo lo Zippo dal taschino la osservo: poco più bassa di me, mora, occhi scuri, viso dolce, poco seno, fianchi normali, gambe carine. Quello che io avrei giudicato il più classico degli abbordaggi si rivela un accendino finito e nulla più. Assolto il mio compito, lei fa per andarsene, un misero grazie pronunciato con la sigaretta fra le labbra. “Scusa, aspetta” la blocco io, voce tremante: “posso chiederti una cosa?”. Lei si volta, mi guarda, mi fa cenno di sì. “Conosci qualcuno?” le dico io, schietto. “Neanche per sbaglio” fa lei, sincera. Sorrido della mia capacità di osservazione, mentre lei mi fa: “E tu?” “No, nemmeno io…conosco solo Christian” le rispondo, cercando di essere perlomeno simpatico. “Beh, sì, anch’io lo conosco, ma di vista…ho fatto un corso di nuoto con lui. Comunque mi chiamo Paola.” “Io Andrea, piacere. Ho fatto seconda e terza media con Christian, poi ci siamo persi di vista, ma forse è stato meglio così…” mi sforzo per fare bella figura, anche se nelle nostre condizioni non ce n’è bisogno. Ci sediamo su una panchina lì vicino, parliamo un po’. Vengo a sapere che lei abita piuttosto lontano ed è venuta solo così per passare una serata diversa. Come me, si è pentita appena ha visto le macchine parcheggiate fuori. Tra le altre cose non ha la patente e deve farsi venire a prendere. Mi offro di portarla a casa, ma lei fa di più. Mi offre di andarcene via e infilarci in un posto più carino. Detto fatto, dopo cinque minuti lei si sta infilando la cintura accanto a me, mentre decidiamo dove andare. Mi fulmina l’intuizione di andare in un locale dove suonano jazz dal vivo e tra l’altro lei mi conferma che il jazz non le dispiace. Partiamo e la nostra conversazione svolta sui nostri passati e sulle nostre storie amorose. Lei esce da una storia di un anno e mezzo con uno di tre anni più grande. Un mini complesso di inferiorità prende possesso di me, ma i miei sensi sono richiamati al dovere all’improvviso: “Cazzo! Tieniti!” grido mentre inchiodo violentemente riuscendo ad evitare un gatto sbucato dal lato della strada. Per un attimo l’animale sta fermo davanti a me e mi fissa con gli occhioni rossi: non è un gatto, è un coniglio o una lepre, che schizza via non appena capisce che gli ho salvato il culo. Paola intanto, spaventata a morte, incrocia il mio sguardo e mi fa: “Potevi tirarlo sotto, mi risparmiavi un infarto”. Una battuta così stupida detta in un momento così delicato ci fa sbaccanare tutti e due, mentre mi avvio verso il jazz, la tranquillità e una gradevole sconosciuta diventatami amica. La cameriera appoggia i due Irish Coffee mentre una malinconica tromba sottolinea l’accensione della mia sigaretta. Un guizzo di fiamma, due pupille illuminate, ed è servita anche Paola. Silenzio, sbuffi di fumo, mentre la cameriera porta via i quattro bicchieri sul tavolo. Mi assicuro di non essere ubriaco dicendo mentalmente tabelline a caso. Le azzecco tutte. Il jazz ci accomuna, lo sentiamo tutti e due. In mezzo a un pezzo, abbiamo contemporaneamente interrotto la conversazione per apprezzarne un passaggio, continuando poi come se nulla fosse. E poi ho l’impressione di piacerle, a giudicare da alcuni dei suoi sorrisi. E’ l’una e mezza passata. Alziamo il nostro Irish coffee bollente dopo aver finito le cicche, senza dire nulla, guardandoci e basta. Nella luce soffusa, le sue labbra luccicano dell’Havana di poco fa, mentre il trucco delicato accentua lo sguardo penetrante. Porta il bicchiere alla bocca e il vetro mi riporta l’immagine ! distorta del suo viso, che una volta posato il caffè mi sembra ancora più bello. Si ravviva i capelli, poggia il mento sulle mani, i gomiti sul tavolo. Finisco il mio coffee, ho in mente solo lei, forse la voglio e basta, forse mi sono innamorato, forse che ne so? La conosco così poco, e lei è stata con uno più grande di me per un anno e mezzo! E’ anche vero che ha un anno meno di me… forse ha solo voglia di divertirsi, forse è stanca, magari un po’ euforica… Parte un sassofono, basso e lento, accompagnato da una tromba. “Mi piaci” le dico, così, senza rendermene conto. “Sbagli” fa lei. “Tu piaci a me” mi sorprende. “E adesso?” le chiedo incredulo. Siamo vicini, ci stiamo fissando negli occhi c’è un’atmosfera pazzesca. Baciala, deficiente di un timido imbranato, mi dice una voce che ogni tanto mi aiuta. Mi sporgo un po’ sul tavolino e ci baciamo. Lei sa di Irish Coffee e rossetto, io anche ma senza rossetto, penso. Lei trasforma un bacio innocente in uno tutt’altro che casto costringendomi a seguirla non senza piacere. Finisce lì. Ci prendiamo le mani. Bacia veramente bene. “Stiamo qui ancora un po’?” le faccio io dopo una mezz’oretta di ascolto e coccole varie. “Hai una soluzione migliore?” “Sì, voglio portarti in un posto”. Le chiedo se c’è già stata e mi risponde di no. E’ perfetto per una serata romantica, ci ho portato tutte le ragazze che ho avuto (poche): si ammira un panorama fantastico ed è vicino. Usciamo, ci baciamo di nuovo molto appassionatamente, la abbraccio e la stringo. Non ! ha un fisico da modella ma si difende veramente bene…e poi sa come eccitarmi…In macchina faccio un po’ lo spaccone, correndo e facendola divertire. Arriviamo, parcheggio e ci sediamo sul bordo del muretto. I nostri sguardi si allargano sulla pianura, sulla città, sulle luci tremolanti, sui lumicini lontani delle macchine in autostrada…Le stelle si vedono a malapena, coperte ogni tanto dalla corsa delle nuvole. La luna ci mostra un suo spicchio, illuminando quanto basta i nostri volti. Una fiamma, due sigarette. L’abbraccio e contempliamo il paesaggio coprendo ritmicamente la visuale di fumo. Lei rompe il silenzio con uno squallido “Sei vergine?” a cui rispondo di no, ma “non sono neanche un grande amatore. L’ultima volta è stato quasi un anno fa…” non le dico che ho avuto una breve storia con una di 5 anni più di me. “E tu?” continuo, non potendo fare a meno di stare al gioco: “No, ma io e Luca l’abbiamo fatto pochissime volte, giusto poco prima di lasciarci…” “Ma vi siete lasciati per quello?” domando io, un po’ incuriosito. “No, no, non c’entra niente. Ma basta parlare di Luca. Ci sei tu qui. E ti è piaciuto quando l’hai fatto?” “Certo che sì, ” le dico io “anche perchè la ragazza con cui sono stato era molto più esperta di me e mi sono sentito come un bambino a cui insegnano l’alfabeto. Non sono mai stato così preso in vita mia”. Mi sorprendo nell’essere così schietto con lei. “E tu come l’hai vissuto?” “Insomma… la prima volta sapevo che non era granchè, ma poi non è che sia migliorato molto… forse mancava la fantasia… e poi tra me e Luca era più o meno già finita…” – Saprei io come fartelo piacere adesso – Mi ritrovo a pensare, improvvisamente galvanizzato. Ho la casa libera, ma non ho il coraggio di chiederle niente… Ci baciamo, ci coccoliamo, constato che i suoi seni non sono poi così piccoli…La serata volge al termine, lo sento. Sono dispiaciuto. Sarei dell’umore adatto per passare la nottata con lei. Basta, glielo ! chiedo, anzi, gliela butto lì, vediamo quanta voglia ne ha lei…”Senti, ti va di venire a casa da me? Giuro che mi costa molto chiedertelo, anzi, è la prima volta che chiedo una cosa del genere a una ragazza…” “Ma…abiti da solo?” mi chiede lei con voce incredula. “No, ma i miei festeggiano l’anniversario di matrimonio, mia sorella è dai nonni… così mi ritrovo da solo…” “Ci penso e poi ti dico…” Attimi infiniti. La strada non è mai passata così lentamente sotto le mie ruote… dentro la mia testa si susseguivano i pensieri più strani…dalle scuse, alle giustificazioni, ai ripensamenti, ai progetti per il futuro, alle conseguenze, alle – cazzo, se mi dice di sì non ho i preservativi – “Sì, ok” Due monosillabi. “Ma devo lasciare un messaggio a casa, devo dire che rimango a dormire da un’ amica – Perchè rimango a dormire da te, vero?-” Ha detto di sì. “E immagino che tu non voglia solo dormire, vero?” Ridi, ridi, mi hai detto di sì. “Non è normale per me, sono stata p! iù di un anno per decidermi di fare sesso, ma era diverso… stasera poi sono particolarmente eccitata…” Sesso. Implica preservativi. Implica – “Scusa se te lo chiedo, ma ce li hai i preservativi?” Preservativi, preservativi. Ringrazio Dio per avermi dato alcuni neuroni funzionanti. -Flash: io sull’autobus, vicino a me un mio amico. “Ehi, visto là? Hanno messo un nuovo distributore di cicche!” fa lui. Guardo bene: “Dovresti provare a fumarti una delle cicche contenute in uno di quei pacchetti… ma penso che saprebbe un pò di plastica… Coglione, non vedi che è un distributore di goldoni (preservativi)?” – Passo al distributore. E’ fatta. Con mani tremanti attendo il pacchetto. Lo infilo nel taschino della giacca. Mi sento un Dio. Mi sono acceso. Iperfrenetico, eccitato e energentico. Nemmeno mi accorgo della strada. Dieci minuti e siamo in casa mia. Chiudo la porta dietro di noi, la tiro per un braccio, la bacio. Faccio passare le mani dai suoi bei glutei su, su, sui fianchi, sul pancino, sui seni, sul collo, sulle guance. Lei scosta le labbra dalle mie. Mi bacia sul collo. Mai. Mai avrebbe dovuto farlo. E’ il mio punto debole, non resisto se qualcuna mi bacia COSI’ proprio LI’. La sollevo di peso. La faccio girare. Lei ride, mi supplica di metterla giù. La faccio atterrare sul divano. Lei si tira indietro i capelli, io apro il frigo. Lei telefona a casa, lascia un messaggio in segreteria, manda un sms all’amica. Tutto è compiuto. Beviamo la nostra vodka, metto su i Portishead e mi viene in mente la frase di un mio amico “Portishead-musica per trombare”. Mii sfilo la giacca, lei si alza e mi sfila la cravatta. E’ proprio bella, semplice e gentile. Le passo le mani tra i capelli. La spingo verso il divano, mi giro e la lascio cadere su di me. Lei mi sbottona la camicia. E’ più arrapata di me! Mi passa le mani sul petto, me lo sfiora con le labbra, mi bacia di nuovo sul collo, labbra e lingua in un estasi completa… Si stacca. Con un’abile e sensuale mossa si sfila il vestito: ora posso vedere chiaramente ciò che prima solo intuivo… un fantastico reggiseno bianco effetto ricamo che esalta il suo seno, in corredo con le mutandine che noto con piacere essere piuttosto elasticizzate. Si adagia su di me leggera come una piuma, mentre la cingo con delicatezza e la lascio ondeggiare su di me. Ho riserve sullo sfilarle il reggiseno, così copro il gesto baciandola sensualmente sul collo; non senza impaccio sgancio il tutto (maledetti produttori di reggiseni!) e lei finisce di toglierlo. I suoi capezzoli semiturgidi premono sul mio petto nudo: non resisto e devo assolutamente passarci sopra con la lingua, sentirne il profumo, la consistenza…il piacere è totale, penso anche da parte sua. Lei mi toglie del tutto la camicia e armeggia con i miei pantaloni. Il calore del suo corpo sul mio è irresistibile, il solo contatto mi inebria. La aiuto sfilandomi i pantaloni, continuando a baciarla. Ci spostiamo sul letto dei miei. Solo poi scoprirò quanto è difficile occultare una notte del genere, ma lì per lì non ci pensavo: il mio corpo era concentrato sulla creatura che si stava donando a me e della quale stavo ammirando proprio in quel momento l’organo riproduttore. La nostra biancheria intima cadde a terra quasi simultaneamente, così come i nostri corpi sul materasso. La prima sensazione che ho avuto è stata infantile: io che mi infilo nel lettone con mamma e papà, per dormire meglio, al riparo dai timori. Cancellata dalla spugna della maturità, quella sensazione scompare osservando Paola e il suo corpo accanto al mio; situazione ridicola: fino a un secondo prima eravamo presissimi, ora eravamo semplicemente distesi, nudi, l’uno accanto all’altra sul letto. Ci fissavamo. Vuoto. Poi una mano, la mia, si incontra con la sua. Si separano. Percorro il suo corpo piano piano, come per disegnarla: il ginocchio, la pelle liscia delle cosce, il soffice pelo pubico, le curve del ventre, le curve più accentuate del seno, lo spigolo del capezzolo, il collo, le labbra umide, gli zigomi, la fronte accaldata, i capelli morbidi. Ho gli occhi chiusi e mi sembra di vederla. Lei si avvicina, si issa letteralmente su di me, come per schiacciarmi. Sento ogni poro del suo corpo comunicare con il mio. La abbraccio, le nostre labbra si incontrano, si lasciano, scivoliamo su un fianco. La mia mano percorre il tracciato opposto a quello di prima e si ferma ai box… sento le sue labbra umide, il suo clitoride turgido…lo stuzzico con l’indice, mentre lei geme piano, la testa inarcata, la bocca al mio orecchio. Muovo con delicatezza la mia mano all’interno di quel caldo pertugio, ma senza nessuna intenzione di concludere. Smetto, la bacio, mi alzo sulle ginocchia. La prendo ai fianchi, capisco che vuole di più. Abbasso la mia testa, facendo scivolare le ginocchia all’indietro, reggendole i fianchi con entrambe le mani. Odore caratteristico, lingua che saetta sul suo veicolo di piacere, gemiti da sommessi a insistiti, liquido che cola, gemiti più forti, odore più intenso, sapore acidulo, sei labbra bagnate… lei scoppia in un orgasmo che non mi aspettavo, sussultando e rizzandosi a sedere. Io non ce la faccio più a resistere, voglio penetrarla… scivolo su di lei, ci baciamo…sapori strani…sensazioni forti… interpongo un dito tra le nostre labbra e mi infilo il preservativo, un po’ indispettito. La seconda volta che lo facevo, mi è sembrato ancora peggio della prima. Pazienza, the show must go on… decide di guidare lei, montandomi giunonicamente sopra, cavalcandomi ritmicamente, aiutandomi a stare in posizione, fermandosi ogni tanto ad assaporare le spinte, chinandosi a baciarmi…la cosa dura per un po’, poi lei viene e poco dopo la seguo, già stanco. Non contenta, si gira, ne vuole ancora. Io non sono in formissima, ma la assecondo…e poi mi piace vedere il mio membro entrare e uscire da lei…mi inginocchio, lei mi porge le natiche e inclina il suo corpo…la prendo da dietro con enorme godimento, stringendole i fianchi e soffermandomi a guardare i seni che dondolano, quasi ipnotici. Giocherelliamo ancora un po’, poi ci fumiamo insieme una cicca…bei momenti, caldi e intimi, tutti da apprezzare. Lei mi chiede se è difficile da fare, il sessantanove…le dimostro che non lo è, e prendiamo la cosa un po’ sul ridere. Mi piace il nostro rapporto, mi fa sentire…grande, pieno. Alle 5.30 circa ci addormentiamo sfiniti, abbracciati e felici. Io non ho molta resistenza per queste cose e mi sveglio super rincoglionito. Mi piomba il mondo addosso: sono appiccicoso, bagnato, sudato…anche lei lo è e approfittiamo per fare la doccia insieme. Una doccia quasi casta, senza tante pretese. Dopo il caffè, la porto dalla sua amica e insieme vanno a casa. Ci salutiamo solo con un bacio, una promessa di rivederci e chiarire questa nottata un po’ onirica. Una volta a casa, mi dò da fare, cambiando lenzuola, pulendo, lustrando mobili, gettando “rifiuti”, ripensando a quello che è successo. I miei arrivano a notte fonda, forse capiscono tutto, forse bevono la storia del cane che, bagnato, è andato a rotolarsi sul letto: non lo potrò mai sapere. So solo che la mia storia con Paola è durata 5 mesi, poi lei si è trasferita in un altra città per studio. La vita va avanti, e io con lei, o sbaglio?
Aggiungi ai Preferiti