Capitolo primoUscendo dalla stazione Sandra si sentì stringere il cuore. Si disse che da un po’ di tempo era perseguitata dalla sfortuna. Aveva lasciato Milano con la speranza di risolvere i suoi problemi ed ecco che subito veniva accolta da un clima uggioso. Le sembrava un cattivo presagio.Rabbrividì. Non faceva proprio freddo perché era soltanto la fine di settembre, tuttavia una leggera acquerugiola bagnava le strade. Le gocce gelide le si insinuavano nel collo. La città di F., sperduta nella pianura padana, pagava tributo di un clima umido.La giovane rabbrividì di nuovo. Si sollevò il bavero del soprabito, affrettando il passo. La grossa valigia le pesava moltissimo. Sul piazzale davanti alla stazione non c’era anima viva. Era domenica pomeriggio e, visto il clima, la gente preferiva restare in casa.Attraversò il piazzale e raggiunse la fermata dell’autobus. Sua zia stava in un quartiere residenziale all’altro capo della città.Dopo un quarto d’ora si trovò davanti allo stabile in cui abitava Margherita. Il vetro del portone era rotto; nell’atrio aleggiava il tanfo di untume e di orina. Un passeggino ripiegato era legato con una catenella alle prime sbarre della ringhiera delle scale. Faticosamente, a causa della pesante valigia, Sandra salì al primo piano. L’appartamento di Margherita era a sinistra sul pianerottolo. Suonò ed attese. Di lì a un po’ dovette arrendersi all’evidenza: sua zia non era in casa.Disorientata, Sandra andò a suonare il campanello dell’appartamento di fronte. La porta si socchiuse subito ed una donna anziana con i capelli grigiastri, il naso sormontato da un enorme paio di occhiali e l’aria diffidente, comparve nello spiraglio. – Sono la nipote della sua vicina – spiegò Sandra. – Non è in casa. Non sa se rientrerà presto?Il volto dell’anziana donna si fece bruscamente ostile. La bocca assunse una piega sprezzante e gli occhi fissarono i capelli ben pettinati, le palpebre truccate e le labbra rosse della sua interlocutrice.- Sono diversi giorni che non c’è – rispose con voce gelida. – Non so dove sia e non sono fatti miei. Se è davvero sua zia non c’è di che esserne orgogliosi. Aspetti un momento.Piantò sulla soglia Sandra, che era piuttosto interdetta, e scomparve all’interno. Tornò pochi attimi dopo e le porse un foglietto.- Il primo indirizzo è quello di una coppia di suoi amici. Il secondo quello della proprietaria dello stabile in cui si trova il suo negozio. Queste persone sapranno informarla meglio di me. Buona sera!Sbatté la porta sul naso di Sandra che ebbe appena il tempo di tirarsi indietro.Sbalordita per quell’accoglienza, si strinse nelle spalle e scese al pianterreno.Gli indirizzi che le aveva dato l’arcigna vicina di casa di sua zia corrispondevano ad una via situata in pieno centro. Non essendo affatto sicura che l’autobus sarebbe passato presto, nonostante la pioggia ed il peso della valigia, Sandra si rassegnò a percorrere a piedi la distanza piuttosto notevole che separava quel quartiere dal centro di F. Mentre camminava non poté impedirsi di pensare alle circostanze che l’avevano costretta a lasciare Milano. Di fatto non aveva più un soldo, e questo perché suo marito, due mesi prima, aveva ritenuto conveniente scomparire senza lasciare traccia evitando in questo modo di dover rispondere ad alcune domande imbarazzanti che la giustizia intendeva porgli sui suoi affari. Si erano sposati cinque anni prima e, all’epoca, lei aveva venticinque anni e lui già quaranta. Non era certo stato un matrimonio d’amore ma, da modesta segretaria, lei era diventata una vera borghese dalla vita facile e lussuosa. La scomparsa del marito, che l’aveva lasciata senza alcuna risorsa, aveva distrutto tutto questo. Era scesa ancora più in basso di prima, perché, considerata la disoccupazione diffusa, non era più riuscita a trovare un posto da segretaria. E allora si era ricordata di avere una zia lì ed aveva deciso di venirsi a rifugiare da lei per qualche settimana. Forse la sua parente avrebbe potuto prestarle un po’ di denaro, darle qualche buon consiglio, o addirittura farla lavorare nel suo negozio. Raggiunse via Garibaldi, l’arteria principale di F., dove il negozio di profumi e di prodotti di bellezza di sua zia occupava un posto bene in vista. Proprio di fronte c’era il municipio. La serranda del negozio era abbassata, e non c’era nessun cartello. A Sandra non restava che recarsi dai Rebini, al primo indirizzo datole dalla vecchia signora… via Monticelli. Via Monticelli era parallela a via Garibaldi e si perdeva in un intrico di viuzze che separavano il corso principale di F. dalla piazza in cui sorgeva la chiesa dell’Annunziata. In questi passaggi stretti e bui, ancora più umidi del resto della città, era quasi notte. Sandra sobbalzò quando per poco non andò a sbattere contro un passante all’angolo di una via, ma l’uomo continuò a camminare senza degnarla di uno sguardo. Il negozio Tutto chic naturalmente era chiuso. I Rebini, a detta della vicina di Margherita, abitavano proprio sopra di esso. Il portone dello stabile era a fianco del negozio. Sandra spinse il pesante battente. L’atrio lastricato si estendeva fino ad una scala di legno incerata di recente. Al primo piano una targhetta di ottone recava il nome di Rebini. Premette il campanello. Un minuto dopo la porta si aprì e Sandra si ritrovò faccia a faccia con una giovane molto truccata, agghindata come le servette delle commedie. Le due donne si squadrarono per qualche secondo. Sandra era sconcertata. La "cameriera" diffondeva attorno a sé effluvi di un profumo violento. Inoltre, il vestito nero aderentissimo finiva a metà coscia su un paio di calze a rete colore fumo, ed attraverso il corpetto trasparente si potevano intravedere le macchie scure dei capezzoli.- Desidera? – chiese la strana servetta, arcuandosi in modo provocante.- Sono la nipote di Margherita Bortoli, amica dei signori Rebini.L’altra sbatté un po’ le palpebre.- Dirò che lei è qui – rispose dopo una breve esitazione.Dall’interno si udì un mormorio di voci, poi la servetta ricomparve in compagnia di una donna in età matura, dal volto duro.- Sono la signora Rebini. Dunque lei è la nipote di Margherita?Sandra ebbe l’impressione che l’amica di sua zia la squadrasse in modo strano, come del resto faceva la cameriera. A sua volta esaminò la donna. La signora Rebini aveva conservato un bel portamento. Bisognava guardare molto da vicino i suoi capelli neri per individuare qualche filo argentato. Era truccata con cura. L’abito rosso molto aderente metteva in risalto le rotondità voluminose, ma arroganti, del seno.- Entri pure.Sandra posò la valigia bagnata nell’ingresso e si asciugò automaticamente con il fazzoletto i capelli rossi e ricci, umidi di pioggia. La stanza a sinistra della porta d’ingresso era un soggiorno dall’arredamento banale. Un divano, qualche poltrona in similpelle marrone, attorniavano un basso tavolino il cui ripiano era costituito da quadrati di ceramica verde venata di bianco. Attorno alle poltrone erano collocati diversi portacenere a stelo. Un mobile libreria uscito diritto da qualche grande magazzino occupava quasi interamente una parete; conteneva qualche libro ma soprattutto una profusione di ninnoli a buon mercato. Un televisore acceso in un angolo del locale trasmetteva cartoni animati.Sul divano era stravaccato un uomo, che vedendo entrare Sandra si alzò subito, allacciandosi la cintura dei calzoni.- Mio marito.Il signor Rebini non si presentava bene come la moglie. Piuttosto piccolo, calvo e panciuto, aveva scure borse sotto gli occhi.- E’ straordinario – si lasciò sfuggire lui fissando attentamente Sandra. – Lei somiglia a sua zia in modo impressionante.Con aria irritata, la signora Rebini si girò verso la cameriera.- Simonetta – le disse in tono secco, – cosa aspetti ad andare a fare il caffè?L’interpellata si affrettò ad andarsene, facendo ondeggiare il deretano carnoso.Nonostante fosse stanca, Sandra esitò a sedersi, dato che aveva il soprabito bagnato. La signora Rebini la liberò dell’indumento e la invitò ad accomodarsi su una poltrona. Lei stessa, dopo aver appeso il soprabito nell’ingresso, si sistemò sul divano accanto al marito.- Che cosa l’ha portata qui? – chiese.Sandra, allora, espose rapidamente i motivi del suo arrivo a F., precisando di essere stata all’appartamento della zia e di non avervi trovato nessuno. Dopo essersi scambiati un’occhiata, i due interlocutori restarono in silenzio per qualche secondo.- Una cosa seccante – disse infine la signora Rebini. – Effettivamente conosciamo bene sua zia. Tornerà presto, può starne certa, ma al momento non sappiamo dirle dove si trova…- Ma io che farò nel frattempo? – gemette Sandra, profondamente avvilita. – Pensavo che potesse ospitarmi. Non ho più denaro, nemmeno quanto serve per comperare il biglietto del treno per tornare a Milano.I due si scambiarono di nuovo una rapida occhiata. – Una soluzione potrebbe esserci – propose allora la Rebini, con un sorriso asciutto.- Quale?- Tutto lo stabile è nostro. Gli appartamenti sugli atri piani sono affittati, ma abbiamo una stanza per la servitù che è vuota. Potrebbe insediarsi lì in attesa del ritorno di sua zia.Sandra esitava. Quella gente, con quella strana servetta, non le ispirava fiducia. D’altronde, doveva pur dormire da qualche parte e non aveva nemmeno di che pagarsi una camera in albergo.- E’ molto gentile da parte vostra – rispose con imbarazzo. – Accetto.- Vedrà – disse la signora Rebini, – sono sicura che ci intenderemo bene. Siamo amici intimi di sua zia. – Sarà un vero piacere per noi ospitarla – aggiunse il marito con un sorriso ambiguo.In quel momento ricomparve la cameriera, che portava un vassoio sul quale erano disposte tre tazze, una zuccheriera ed una caffettiera. Quando si chinò per deporlo sul tavolino, la gonna cortissima si sollevò sulle cosce, ma lei non parve darsene cura.- Molto bene – disse la Rebini in tono zuccheroso, – ma raccogli quelle riviste vicino alla poltrona. Simonetta si affrettò ad ubbidire. Si chinò ancora di più per prendere le riviste, questa volta voltando le spalle a Sandra ed al signor Rebini. Nel movimento espose la quasi totalità del sedere, rivelando un minuscolo paio di slip in tinta con il reggicalze rosso. Teneva le gambe divaricate con totale impudicizia e si vedeva chiaramente il cavallo. Dalle mutandine fuoriuscivano su entrambi i lati peli neri che contrastavano con i capelli platinati.Come ipnotizzata, Sandra concentrò la propria attenzione su un particolare: la parte alta delle cosce e le natiche della strana cameriera erano zebrate da strane striature scure. Sembravano proprio tracce di frustate.- Dimmi, ragazza mia – esclamò ad un tratto la signora Rebini, – dove hai imparato a fare il caffè?Simonetta si eresse lentamente, con il pacco di riviste fra le mani.- Be’… – balbettò.Sandra, sorpresa, si rese conto che il volto della giovane era paonazzo.- Vieni qui – ordinò la padrona di casa.La testa bassa, la cameriera si fece avanti.- Credo di averti già detto di indossare dei vestiti più lunghi – continuò la signora Rebini. – Ogni volta che ti chini mostri il sedere a tutti.- Lo so – mormorò Simonetta, arrossendo ancora di più. – Intanto, porta via questa roba e vai a preparare il caffè più decente.Mentre Simonetta sollevava il vassoio, la signora Rebini si rivolse a Sandra.- Non so nemmeno io perché me la tenga – disse in tono sconfortato. – E’ una sporcacciona. L’altro giorno, quando le ho detto che indossava abiti troppo corti, mi ha risposto che mostrare il culo la eccita e le fa bagnare le mutandine.- Ah… be’… – balbettò Sandra, totalmente raggelata.Perplessa, seguiva con gli occhi la cameriera che lasciava la stanza in un agitare di chiappe.Nella mezz’ora successiva a quell’incidente, Sandra si sforzò di sostenere una conversazione con i suoi ospiti che non si peritavano di porle ogni sorta di domanda. Le fu difficile, perché aveva la testa altrove. La signora Rebini se ne rese conto.- Deve essere stanca – le disse alzandosi. – Venga, le faccio vedere la stanza.Capitolo secondo Il locale in cui la condusse sembrava più un ripostiglio per scope che una stanza. Il soffitto era mansardato. Dopo un piccolo tratto orizzontale, si inclinava di quarantacinque gradi fino ad un metro dal pavimento. A circa metà di esso si apriva un lucernario stretto e verticale. La mobilia era costruita da un lettino, da un armadio tarlato, e da un tavolino minuscolo con una sedia di paglia sfondata.Distesa in mutandine e reggiseno sul letto, Sandra ripensava con amarezza al sontuoso appartamento che aveva a Milano. E anche ai ristoranti di lusso dove la portava il marito, agli abiti di alta sartoria, ai gioielli, alle auto sportive che le regalava. Non era riuscita a tenersi nulla di tutto ciò, gli ufficiali giudiziari avevano messo le mani su ogni cosa.Mentre rimuginava quei cupi pensieri, dall’appartamento adiacente risuonarono delle urla. Tese l’orecchio, incuriosita. Si trattava di un vero e proprio concerto di parolacce mescolate ad un rumore di ceffoni e gemiti.- Sporcacciona ! Troia ! Baldracca ! Puttana ! – risuonava una voce arrochita. – Ti faccio vedere io chi comanda !Allarmata ed esasperata, Sandra si infilò la vestaglia e si avviò per il corridoio. Picchiò sulla porta vicina.Il battente si aprì subito. Davanti a lei si ergeva un uomo grande e panciuto, nudo come un verme. Era sudato e puzzava di aglio. Un furore demoniaco lo scuoteva tutto. Il pene lungo e grosso, teso in orizzontale sotto i rotoli di grasso del ventre, oscillava leggermente. Dietro di lui, Sandra intravide una donna, semidistesa su un letto, che si copriva il corpo con le mani. Era vestita, ma la gonna era sollevata fino al ventre, e la camicetta aperta fino all’ombelico metteva in mostra i seni.- Che vuoi, baldracca? – urlò l’uomo.Vedendo che Sandra, interdetta, restava silenziosa, il furore dell’uomo parve aumentare ancora.- Vuoi rispondere, brutta troia ?E, persa l’ultima briciola di sangue freddo che gli restava, schiaffeggiò brutalmente Sandra. Questa rimase stordita per qualche secondo. Poi il bruto si mise a ridacchiare e, afferrata per le braccia, la fece girare, le assestò una pacca sulle natiche e chiuse la porta. Subito dopo riprese ad ingiuriare la donna che stava con lui.Con la guancia ancora bruciante, Sandra si mise a letto.Si sentiva spossata, tuttavia non riuscì ad addormentarsi subito. I contrattempi che le erano accaduti dal momento del suo arrivo, l’angoscia per il proprio futuro immediato, tutto questo le tendeva i nervi e le impediva di prendere sonno. Verso l’alba, però riuscì a chiudere gli occhi.Era circa mezzogiorno quando si svegliò. Un’occhiata al lucernario le permise di capire che il tempo continuava ad essere uggioso. Dato che non aveva fame, restò a letto. Era devastata dallo scoramento.Soltanto verso sera riuscì a vincere un po’ la depressione. Si alzò e si vestì. Si era appena ricordata del secondo indirizzo datole dalla vecchia. Era quello della proprietaria dell’immobile dove sua zia aveva il negozio. Secondo il foglietto che aveva in borsetta, si trattava di una certa signora Ravetti, che abitava in via Platani. Sandra aveva una vecchia piantina della città e vide che via Platani non era molto lontana. Scesa al pianterreno, Sandra provò una certa esitazione ad andare a salutare i Rebini. Vi rinunciò. C’era qualcosa in loro che non le sembrava molto pulito e soprattutto la stupiva quella strana cameriera che avevano. Una volta in strada affrettò il passo.Un quarto d’ora dopo giunse in via Platani. La proprietaria abitava al numero quattordici, uno stabile di costruzione recente. La signora Ravetti abitava al piano terra. Era una donna molto anziana che si spostava con l’aiuto di stampelle. Aveva un aspetto più amabile della vicina di pianerottolo di Margherita, perlomeno lo ebbe fino al momento in cui Sandra le disse chi era, perché subito dopo il sorriso amabile della signora si raggelò. – Che cosa vuole? – chiese la donna. – Perché è venuta da me?- Be’ – rispose Sandra sconcertata, – pensavo potesse dirmi dove si trova mia zia.- Davvero? E perché mai dovrei esserne al corrente? Tutto quello che io voglio da sua zia è che mi paghi l’affitto. La vita privata di certe persone non mi interessa minimamente.- Ma… che intende dire?- Lo saprà molto presto. Se lei tiene assolutamente ad avere sue notizie, vada piuttosto a trovare il mio amministratore, il signor Dotti. Quei due sono legatissimi. Abita in via Spinsi, non lontano da qui. Ed adesso la prego di scusarmi, ho un arrosto in forno.Sbatté la porta in faccia a Sandra che, sconcertata, ritornò in strada. Quella visita non si era svolta nel modo in cui aveva sperato, ma quantomeno era riuscita ad avere un’indicazione: l’indirizzo di quel Dotti.Via Spinesi si trovava in un quartiere molto vecchio. Le case avevano solo due o tre piani, ed un tempo erano state le abitazioni dei ricchi borghesi della città. Ora gli appartamenti erano limitati ai piani superiori ed al pianterreno c’erano boutiques di lusso e piccoli ristoranti tipici, ciascuno dei quali aveva la propria specialità. L’ingresso del numero nove era incastrato tra una galleria di quadri ed un negozio di ninnoli artigianali. L’appartamento di Dotti era al secondo piano.Sulla porta, sulla quale faceva spicco una bella targa in ottone recante il suo nome, era stato fissato un biglietto con una puntina, con una scritta scarabocchiata: "Arturo, sono dove tu sai. Gianna ha un nuovo soggetto. Vieni a raggiungerci".Sandra lesse perplessa quella scritta sibillina. Senza grandi speranze premette il campanello. Era stato sicuramente Dotti a scrivere quel messaggio prima di andarsene. Nessuno infatti venne ad aprire.Delusa Sandra se ne andò e prese a vagare a caso per le strade. Fu così che, senza volere si ritrovò in una zona un po’ periferica.Il luogo era più animato degli altri quartieri della città. Prese a camminare macchinalmente lungo un viale, ma non tardò a rendersi conto che non era il posto ideale per una donna sola. La maggior parte dei passanti era costituita da operai o da militari in libera uscita. Dovette subire le loro battute ed i loro inviti osceni. Ad un certo punto passò davanti ad un albergo dall’aspetto squallido che si chiamava pomposamente Oasi di pace. Davanti all’ingresso tre o quattro prostitute aspettavano i clienti. Erano anziane, corpulente, molto volgari con i cappelli decolorati, il viso coperto di trucco, la bocca imbrattata di rossetto. Quando passò loro davanti tutte le lanciarono sguardi poco amichevoli.Qualche centinaio di metri più in là la strada aggirava un giardino pubblico cinto da una siepe di bosso e poi finiva in un parcheggio. Tutto attorno sorgevano fabbriche o depositi; alcuni lampioni molto distanziati diffondevano una luce grigiastra. Tra la siepe del giardino ed il suolo bituminoso della piazza, una piccola scarpata erbosa scendeva in lieve pendenza.A prima vista il luogo sembrava deserto. Sandra stava per tornare indietro quando sentì arrivare una macchina alle proprie spalle. Avanzando molto lentamente il veicolo la superò e lei riuscì ad intravedere due figure all’interno.L’auto, una Golf GTI, si fermò qualche decina di metri più avanti, accanto ad un’altra mezza dozzina dimacchine schierate lungo la scarpata. Le portiere si aprirono. Un uomo e una donna imbacuccati nei soprabiti, misero piede a terra. Un’altra coppia scese da una Ford Escort in attesa a pochi passi da lì. Sandra si immobolizzò ed il cuore prese di colpo a batterle più violentemente. Con suo merito le era capitato di frequentare luoghi di incontro di coppie che si scambiavano i partner. O si sbagliava di grosso, oppure aveva scoperto per un caso fortuito un posto del tutto simile…Le due coppie parlarono brevemente, poi ciascuno dei due uomini tornò verso la propria auto portandosi appresso la donna dell’altro. Eccitata, Sandra avanzò verso la macchina più vicina, la Ford. Non sembrava che le due coppie avessero notato la sua presenza. Si nascose dietro un’auto parcheggiata per spiare ciò che accadeva all’interno della Ford. La luce di un lampione vicino illuminava l’interno del veicolo i cui sedili erano stati abbassati. Semidistesa contro lo schienale del sedile posteriore, una donna bionda piuttosto pienotta si teneva la gonna sollevata e rideva sommessamente, come se fosse ubriaca. L’uomo all’improvviso si tirò su e le mise una mano tra le cosce. La donna smise di ridere e, dopo aver emesso un gridolino, allargò le gambe. Sandra si avvicinò affascinata dallo spettacolo. Una sorda eccitazione cominciava ad impadronirsi di lei. All’interno della Ford la donna aveva febbrilmente sbottonato la patta dei calzoni del suo compagno e ora, con entrambe le mani, stava toccando il pene. Sandra, turbata, si sentì bagnare le mutandine. Si era resa conto in quel momento che non faceva l’amore da due mesi…- Allora, ci si diverte? – le bisbigliò d’un tratto una voce alle spalle.Capitolo terzoSpaventata, Sandra si girò e per poco non sbatté contro una donna che la guardava sorridendo con aria complice. La sconosciuta si portò un dito alle labbra.- Venga – disse sempre a bassa voce. – Io conosco questa gente, non amano molto i guardoni.Si allontanarono fianco a fianco.- E’ la prima volta che la vedo qui – disse la donna dopo una decina di passi.- A dire il vero ci sono arrivata per puro caso – rispose Sandra imbarazzata.- Tutta sola? Non ha un accompagnatore?- No…- Non abbia paura, sono con mio marito e non ho intenzione di farle del male. Nessuno le metterà le mani addosso.- Cosa vuole? – chiese Sandra di colpo diffidente.- Siamo sposati da molto tempo ed abbiamo dei problemi. Accetterebbe di fare con noi quello che faceva prima? Di guardarci. Guardarci, solo guardarci mentre io glielo meno e lo succhio.Attonita, Sandra non seppe che cosa rispondere. L’altra l’afferrò per una spalla.- Adesso non mi dirà che la cosa l’imbarazza, vero? – disse in tono aggressivo. – Vuole che chiami le persone che stava spiando poco fa?All’improvviso Sandra ebbe paura. Quattro figure, tre uomini ed una donna, erano sbucate dall’oscurità che ammantava il pendio e venivano verso di loro. Ebbe l’impressione di essere stata presa in trappola.- E allora? – insistette l’altra.- D’accordo – accettò Sandra. – Ma non faccio altro che guardare. Promesso?- Ti ho detto che nessuno ti toccherà – rispose l’altra. – Ci sono solo mio marito e gli amici che sono appena arrivati.In quel momento i quattro la circondarono.- Che succede, Bruna? – chiese uno degli uomini.Era piccolo ma largo di spalle, con un giubbotto di renna ed un berretto da marinaio. L’espressione virile del volto era addolcita da un paio di occhiali.- Niente di grave, Giacomo. Ho appena persuaso la signora a guardarci. Non vuole partecipare.- Non c’è problema. Andiamo.Sandra si sentiva sempre più a disagio. Gli altri due uomini la stavano squadrando con insistenza. Erano molto più alti del primo ed indossavano eleganti soprabiti, ma erano molto diversi l’uno dall’altro. Uno era magrissimo, con il volto affilato come una lama, la fronte sfuggente e stempiata e un naso smisurato. L’altro non mancava di una certa distinzione, con i capelli appena spruzzati di grigio ed i baffi sottili. Quanto alla donna, era sulla quarantina, e del tutto insignificante.Il gruppo si diresse verso una Range Rover parcheggiata in un punto isolato. Le ruote posteriori della vettura affondavano nell’erba; il portellone posteriore era aperto. Giacomo si mise in piedi, le spalle al vano, le gambe divaricate. Bruna gli si avvicinò e cominciò a slacciargli la cintura.- Non avere fretta – le bisbigliò. – Dalle tempo di vedere bene tutto…- Non temere – ribatté la donna, estraendogli il pene dalle mutande.Il pene, grosso e lungo, era semieretto. Gli spettatori formarono un semicerchio attorno alla coppia. Sandra si trovò al centro, un po’ più avanti rispetto agli altri, priva di qualsiasi possibilità di eclissarsi. Nonostante la sua inquietudine, quando vide Bruna massaggiare tra le dita il palo del compagno, provò un’eccitazione crescente. Il pene si gonfiò e si raddrizzò tutto. Al che la donna scoprì il glande e cominciò a palpeggiarlo, mentre l’uomo chiudeva gli occhi. Con mano leggera, lei cominciò a masturbarlo. Il respiro di Giacomo si fece affannoso.- Ferma! – urlò ad un tratto. – Sto per venire.Lei si bloccò e, di lì ad un attimo, gli si inginocchiò davanti e tirò fuori la lingua per leccargli il glande.E, dopo averlo leccato per bene per un po’, si prese in bocca due terzi del palo carnoso e cominciò a pompare senza vergogna. Come una puttana. Sandra non riusciva a staccare lo sguardo dalla scena. E così pure gli altri tre che assistevano. Sandra strinse di soppiatto le cosce, perché si sentiva la vagina tutta bagnata. Pur vergognandosi, non poteva impedirsi di guardare.Bruna lasciò andare il membro di Giacomo e si alzò. Ricominciò a masturbarlo e subito uno schizzo biancastro eruppe finendo sull’erba e sulle foglie secche che ricoprivano la distesa erbosa. Giacomo emise un rantolo sordo. L’uomo con il naso enorme aveva posato una mano sulla spalla di Sandra. Lei sentiva le sue dita scendere verso il seno e palparglielo. Allora capì che, se si fosse trattenuta più a lungo, sarebbe stata costretta a partecipare all’azione. Con una rapida torsione del busto si liberò e prese a correre sul lastricato bagnato.Giunta all’ingresso del parcheggio si rese conto che nessuno la stava seguendo ed allora rallentò il passo. Col cuore in tumulto e le gambe pesanti, aggirò l’angolo del parco e prese la direzione del centro. Camminava lentamente, perché le mutandine, molto strette e bagnate, la impacciavano. Ad ogni passo il tessuto sfregava contro la vagina spalancata, aumentando la sua eccitazione.Un po’ più avanti, sul marciapiede, a ridosso della siepe del parco, si vedeva l’ingresso di un gabinetto pubblico sotterraneo. Senza riflettere prese a scendere i gradini.La parte riservata alle donne la trova sulla sinistra. Entrò in un gabinetto e chiuse la porta. Era un gabinetto alla turca. L’aria era pesante per l’odore di candeggina e di urina.Quell’ambiente sordido sferzò i sensi di Sandra. Si appoggiò con la schiena alla porta, aprì con gesti febbrili i lembi del soprabito, si sollevò la gonna ed abbassò le mutandine. Con una mano reggeva gli indumenti e con l’altra prese a pizzicare ed a tirare le grandi labbra. I peli bagnati del rosso vello erano incollati alla pelle. La parte alta delle cosce era inondata di umori. Con la punta delle dita premette violentemente i bordi delle piccole labbra, come se volesse spingerle nella vagina. Risalì fino alla clitoride. Era duro e ipertrofico. Lo prese tra pollice ed indice, lo tirò brutalmente e lo torse. Provò una scossa violenta dalla testa ai piedi, che le fece emettere un gridolino.Dopo, con un fazzolettino, si pulì meticolosamente, allargando molto le labbra della vagina grondante per nettarne tutte le pliche.Poi si rimise le mutandine e, i sensi appagati, risalì all’aria aperta.Via Monticelli era deserta. Giunta davanti al negozio dei Rebini vide che la saracinesca era abbassata. Tuttavia le finestre dell’appartamento sovrastante erano illuminate. Sandra spinse la porta d’ingresso. Quando arrivò ai piedi delle scale, sentì un rumore di passi sul pianerottolo del primo piano. Due persone stavano per scendere al pianterreno. Sandra si immobilizzò: la coppia era appena comparsa nel gomito della scala. Riconobbe subito l’uomo, era quello che l’aveva schiaffeggiata la sera precedente. La donna era quella che Sandra aveva visto nella stanza. Si guardarono tutti e tre per qualche secondo. Questa volta l’uomo era vestito, ma non per questo aveva un aspetto più rassicurante.- Oh, eccoti, puttanona! – disse ridacchiando. – Allora non si saluta? Hai perso la lingua? Comunque, finché hai il culo, a me basta. Vieni a pomparmi, porcona. Vieni su!Morta di vergogna e di paura, Sandra era impietrita sul posto. Lui le passò davanti ridendo fragorosamente, sfregandole il dorso della mano sulle cosce. La sua compagna lo seguiva con la testa china.Quando la porta d’ingresso fu richiusa, Sandra si deterse il sudore che le imperlava la fronte. Aveva davvero avuto paura.Capitolo quarto Ancora in preda all’emozione Sandra corse al primo piano e schiacciò il campanello di casa Rebini. Venne ad aprire la signora in persona.- Ah, è lei – aveva l’aria sorpresa ed un po’ contrariata.- Vorrei parlarle – disse Sandra.La donna aggrottò la fronte poi le sorrise.- In realtà capita al momento giusto – le rispose. – Anch’io vorrei parlarle. Entri.Mentre chiudeva la porta, dall’interno dell’appartamento si udì la voce del marito.- Gianna, che cosa c’è? Chi era?Nell’udire quel nome, Gianna, Sandra si ricordò delle parole che aveva letto sulla porta di Dotti… Era forse la stessa Gianna?- Non ti arrabbiare, Adriano, arrivo subito – ribatté la donna.Poi si girò verso Sandra.- Ha cenato?Sandra fu costretta a confessare che non aveva mangiato. In effetti, cominciava ad avere davvero fame. Non aveva messo nulla nello stomaco dalla sera precedente, quando aveva sbocconcellato qualche panino in camera.- Ha notizie di mia zia? – chiese.L’altra non le rispose e la condusse in sala da pranzo. Adriano Rebini era già seduto a tavola. Nel vedere entrare Sandra spalancò gli occhi.- Vado a dire a Simonetta che abbiamo un ospite – annunciò Gianna uscendo dalla stanza. Ritornò un minuto dopo. Sandra si era tolto il soprabito ma era rimasta in piedi, un po’ indecisa. Gianna la invitò ad accomodarsi, poi le sedette davanti.- Che cosa voleva dirci? – le chiese.- Parlare dell’uomo che abita nella stanza vicino alla mia – rispose lei.- L’uomo? Ah, sì, vuol dire Marco? L’ex marito di Gina? In realtà è lei che ci abita, ma quando lui ha bevuto viene a trovarla.- Per picchiarla?- E’ una puttana – disse Adriano Rebini come se questo spiegasse tutto. – Le piace prenderle, come a tutte le sue simili.- Qual è il problema? – chiese la signora Rebini.- L’ho incontrato sulle scale, mi ha insultata e mi ha messo paura. E poi ieri pomeriggio mi ha schiaffeggiata.- Come sarebbe a dire?- Stavano litigando. Sono andata a bussare alla loro porta per farli smettere.- Non bisogna mai immischiarsi in questo genere di faccende – dichiarò il Rebini. – questo può procurare solo guai. Bisogna ignorarli ed evitarli.Sandra si rese conto che la coppia se ne infischiava di quello che stava dicendo loro. Entrambi la guardavano con un’aria strana.- Sa una cosa? – disse la signora Rebini dopo un attimo di pesante silenzio. – Non credo proprio che potremo ospitarla a tempo indefinito, gratuitamente.Il cuore di Sandra diede un balzo. Pagare un affitto, anche modesto, era al di sopra delle sue possibilità. Si sarebbe ritrovata per la strada.- Magari ci si può intendere – insinuò il Rebini. – Potrebbe fare un po’ di pulizie presso alcuni inquilini… e dare una mano ogni tanto in negozio…- Senza contare – rincarò la moglie, – che poi questo le renderebbe qualche soldino…Umiliata, Sandra strinse le labbra. Avrebbe dovuto aspettarsi che abusassero della sua situazione.- Non credo che lei abbia scelta – osservò l’uomo. – Suo marito l’ha piantata ed è senza lavoro.In quel momento Simonetta entrò nella stanza e subito Sandra dimenticò la propria vergogna e rimase a bocca aperta per lo stupore. La ragazza era vestita in modo ancora più indecente del giorno prima. L’abito era altrettanto corto, ma la scollatura era vertiginosa. Il tessuto, così leggero da essere trasparente, le stava appiccicato alla pelle. Simonetta non portava reggiseno. Le punte grosse e scure dei seni spuntavano dalla scollatura. Con la bocca e gli occhi truccati pesantemente era di una volgarità atroce. Quando girò le spalle per aprire la credenza, Sandra ebbe un colpo al cuore. Sotto il grembiulino bianco ed il corto abito nero Simonetta indossava solo un minuscolo reggicalze e delle calze che si fermavano a metà coscia.Simonetta mise un terzo coperto sul tavolo, poi uscì dimenando il sedere. Rossa in volto, Sandra la seguì con lo sguardo.- Vedo che ad un tratto le è venuta un’aria sognante – osservò la signora Rebini in tono mielato. – E’ Simonetta che le ha fatto quest’effetto?A quella allusione Sandra arrossì ancora di più. Per darsi un contegno esaminò il quadro che aveva davanti, una tela piuttosto sorprendente raffigurante una donna nuda seduta a gambe divaricate, sulle ginocchia di un uomo vestito. L’uomo le teneva una mano sul seno e la faceva bere da una bottiglia. Un particolare la fece trasalire: il volto della donna assomigliava stranamente a quello di sua zia. Puntò un dito in direzione del quadro.- Da dove viene quel quadro? – chiese.I Rebini si scambiarono un’occhiata.- L’ha riconosciuta? – chiese Gianna.- E’ proprio Margherita, sua zia – intervenne Adriano. – Lo ha dipinto un nostro amico. Lei gli faceva spesso da modella, e non solo da modella, d’altronde…- Come si chiama? Dove abita?- Armando Leffi. Abita in via Corsi, dall’altra parte della città.Sandra si ripromise di andare a fare una visita a quel pittore, ma un attimo dopo la sua attenzione fu sviata dall’arrivo di Simonetta che, sempre con le sue vesti ridottissime stava portando la zuppiera.Dopo la minestra, furono serviti avocados con maionese e gamberetti. Tra una portata e l’altra il Rebini era andato a prendere varie bottiglie. Riempiva di continuo il bicchiere di Sandra, che beveva automaticamente.Sandra iniziava a sentirsi sbronza quando, all’arrivo dell’arrosto, si verificò un incidente che la turbò. Simonetta, nel posare il piatto di portata sul tavolo fece un movimento falso e se lo lasciò sfuggire di mano. Il sugo della carne schizzò fuori e finì sulla tovaglia; qualche goccia si stampò sull’abito della signora Rebini. Di colpo il silenzio calò sulla sala da pranzo. Tutti rimasero come pietrificati, inclusa Sandra che non capiva bene, ma intuiva che sarebbe successo qualcosa di fuori dalla norma.Il signor Rebini fu il primo a reagire. Ripiegò con calma il tovagliolo, si alzò ed uscì dalla stanza. Quando tornò a Sandra sfuggì un grido stupito nel vedere che teneva in mano un frustino.- Che cosa le succede? – chiese la signora Rebini con durezza.- Non vorrà…- E perché no? Certo che la punirà, come si merita questa puttanella. In casa nostra le cose vanno così.- Anzitutto – disse il Rebini in tono molto pacato rivolgendosi a Simonetta, – mi chiederai scusa per la tua stupidità.- Io… io chiedo scusa – mormorò la ragazza.Quando la sferza le si abbatté su una coscia, emise un gridolino.- Ti ho detto di chiedere scusa, non di fare finta – la rimbrottò lui.- Chiedo scusa – ripeté Simonetta a voce più alta.- Bene. Adesso girati e chinati in avanti.La cameriera ruotò sui tacchi, si piegò in due, si sollevò il vestito fino sopra le reni esponendo il sedere nudo agli occhi di Sandra. Rebini prese a frustarla con metodo. Si accaniva sulle natiche, facendo grandi mulinelli per colpirla con violenza da sotto; poi prese a frustarle l’interno del solco fra le natiche. Ogni volta che la frusta si abbatteva su di lei la ragazza sussultava e gemeva, ma non gridava. Di lì a un po’ l’uomo, il cui volto si era congestionato, interruppe la punizione ed accarezzò il sedere infiammato. Infilò le dita un po’ più in basso e tastò la fenditura socchiusa del sesso.Ipnotizzata, Sandra lo vide cacciare l’indice tra le labbra tumefatte; sentì lo sciacquettio del dito che scivolava tra le mucose bagnate; la cameriera sussultò nervosamente e le grosse natiche arrossate si contrassero.In preda all’ilarità Rebini mostrò alla moglie il dito bagnato.- Hai visto? Hai visto come si bagna? Quando diceva che adoro essere frustata…Sandra li guardava tutti con occhi stravolti. Non era sicura di non stare sognando. Poi Simonetta riabbassò la gonna sulle natiche e tornò in cucina piagnucolando.Sedettero di nuovo attorno al tavolo e, dopo che il Rebini si fu pulito con cura le dita nel tovagliolo, il pasto continuò come se non fosse successo nulla.Subito dopo il dessert, la signora Gianna di alzò da tavola.- Andiamo a prendere il caffè in salotto – propose. – Staremo più comodi.Il marito si dichiarò d’accordo. Quando lasciarono la sala da pranzo Sandra li seguì. Si sentiva un po’ strana. Il vino bevuto durante il pasto, unito allo spumante che aveva accompagnato i biscotti secchi ed il budino al cioccolato, oltre alla scena assurda alla quale aveva assistito, le facevano girare la testa.Con un sorriso melenso sulle labbra la signora la fece accomodare accanto a sé sul divano, mentre il marito prendeva un barattolo di ciliegie all’acquavite. Ne mise alcune in un bicchiere, che porse a Sandra, la quale non osò rifiutare. Poi andò a sedersi un po’ in disparte, su una poltrona.Poco dopo Simonetta arrivò con il caffè. Mentre posava il vassoio sul tavolino, il Rebini le sollevò il vestito fino all’ombelico, mettendo in mostra il sesso dalle labbra turgide.- Te ne ricorderai, eh? – disse ridacchiando.Poi costrinse la ragazza a girarsi per mostrare il deretano carnoso a Sandra.- Che ne pensa? – le chiese.Nonostante i fumi dell’alcol le ottenebrassero la mente, Sandra si disse che anche lui doveva essere sbronzo. Il sedere pieno della cameriera era violaceo e solcato da striature bluastre. Per alcuni giorni le avrebbe fatto male stare seduta. Quello che però maggiormente agghiacciava Sandra era la passività un po’ bovina con la quale la cameriera aveva subito la punizione ed ora si lasciava denudare.Intanto la mano del padrone di casa continuava a palpare il posteriore di Simonetta, le dita si infilarono nel solco fra le natiche ed esplorarono i contorni rugosi dell’ano.Invece di tentare di fuggire a quel contatto, Simonetta si abbassò inarcando le reni, con il risultato che i glutei si aprirono ancora di più. Quando l’uomo le conficcò bruscamente l’indice nell’ano, lei spalancò la bocca con un’espressione stupita e le guance divennero scarlatte. Il signor Rebini ritrasse il dito, poi lo rificcò dentro con sadica lentezza, tirando a destra ed a sinistra il buco per allargarlo al meglio.La servetta aveva gli occhi chiusi e gemeva sommessamente. La signora, nel vedere che Sandra sembrava pietrificata per lo stupore, scoppiò a ridere.- In effetti – disse il marito con voce dolce senza ritrarre il dito dal retto della cameriera, – non ti è andata male. Di norma ti avrei scorticato il culo con la frusta. La mia indulgenza merita una piccola ricompensa, no? E tu sai quale.Simonetta, rossa come un peperone, lanciò un’occhiata di straforo in direzione di Sandra.- Sai cosa intendo, vero? – insistette l’uomo ruotando il dito.- Sì – ammise lei.- E allora che cosa aspetti a metterti in posizione? – ribatté Rebini, ritraendo il dito.Si stravaccò sulla poltrona, con le gambe spalancate. Subito Simonetta gli si inginocchiò davanti, slacciò la cintura dei calzoni di velluto e poi i bottoni della patta per abbassare le mutande. Il pene del signor Rebini fece la sua comparsa. Era un palo molto lungo, ma di una sottigliezza sorprendente.Non era ancora del tutto duro. Simonetta, con impegno, fece scivolare il prepuzio per mettere a nudo il glande, al quale diede qualche leccata. Lentamente la verga si eresse. Allora lei se lo prese in bocca e lo succhiò senza vergogna.Sandra spiava con discrezione la moglie di Rebini che fissava la scena con occhi allucinati. Le labbra le fremevano nervosamente e teneva una mano serrata sul vestito all’altezza del basso ventre. Suo malgrado, Sandra si fece prendere dalla stranezza della situazione e cominciò a bagnarsi.Quando, alla fine, Rebini respinse Simonetta, il suo pene era perfettamente rigido. Afferrando Simonetta sotto le ascelle, la fece sollevare e girare, poi la spinse ad accovacciarsi sul tavolino. Le si mise dietro e le divaricò le natiche con le mani. Il glande rosso vivo, luccicante di saliva, si appoggiò contro l’ano. non vi fu bisogno di forzare: con un solo colpo la verga si infilò nel culo paffuto di Simonetta, che emise un grido strangolato al quale fece eco Gianna Rebini alla quale sfuggì un gemito.La donna sembrava stordita e si era sollevata per metà dal divano, mentre il marito pompava il culo di Simonetta. Ogni volta che dava un colpo faceva inarcare le reni alla servetta e le percuoteva le natiche in un rumore di carni molli.Sandra era distratta dal comportamento della sua vicina. Lei stessa aveva difficoltà a padroneggiare il proprio turbamento. Aveva il sesso tutto bagnato: Gianna, il volto stravolto, si girò verso di lei.- Questo spettacolo mi fa impazzire! – esclamò con voce roca. – E’ prodigioso, vero?Sandra non seppe che cosa rispondere. La Rebini le afferrò il polso e la costrinse a metterle una mano sul ginocchio.- Accarezzami… svelta! – balbettò. – Non resisto più.Sandra si alzò impulsivamente.- Devo andare a dormire – bisbigliò. – Sono stanca.L’altra cercò di trattenerla, ma lei si liberò e riuscì a lasciare il salotto.- Piccola stupida! – le gridò appresso Gianna. – Ti credi più forte di tua zia? Non dimenticarti domattina di venire da me a prendere gli ordini, altrimenti puoi anche filare via subito!Sandra rifletté su quanto era accaduto per buona parte della notte. Aveva paura che la Rebini ce l’avesse con lei per il suo rifiuto e la cacciasse. Ma il mattino seguente Gianna, senza fare la minima allusione agli eventi della serata, si limitò ad indicarle quali lavori avrebbe dovuto fare. Non era una cosa complicata, però era faticosa. A sera Sandra era distrutta. Ciò nonostante, non appena fu libera, uscì per recarsi in via Spinesi.Questa volta Dotti c’era. Quando le aprì la porta dell’appartamento Sandra non riuscì a trattenere un grido di stupore. Davanti a lei c’era l’uomo magro con l’enorme naso che aveva visto la sera precedente al parcheggio. Evidentemente anche l’uomo la riconobbe, perché apparve turbato ed incuriosito.- Che cosa desidera? – le chiese corrugando la fronte.- Sono la nipote di Margherita Bortoli – balbettò lei. – Mi è stato detto che lei è suo amico. Vorrei parlarle di mia zia.Dotti parve ancora più contrariato. Dopo un attimo di esitazione si spostò per lasciarla entrare.Nel corridoio buio squadrò la ragazza dalla testa ai piedi con uno sguardo equivoco, indugiando sui seni opulenti della visitatrice. Sandra, piuttosto imbarazzata, lo seguì in un piccolo locale arredato a studio.- Perché mi vuole parlare di Margherita? – chiese lui intrecciando le dita, dopo che furono seduti.- E’ scomparsa! Non riesco a sapere dove si trova attualmente…- Mia cara amica, io non sorveglio quello che fa sua zia, sa? Se margherita non è a casa sua, avrà delle buone ragioni.Sandra si morse le labbra per la delusione. Lo sguardo dell’uomo si posò senza vergogna sui suoi seni.- E così lei è la nipote di Margherita… Divertente!- Perché?L’altro si limitò a sorridere.- Non mi ha mai parlato di lei. Dove abita? – chiese poi.Sandra gli diede l’indirizzo dei Rebini.- Dai Rebini! Ma guarda guarda…Negli occhi dell’uomo brillò una luce divertita.- L’aspettano di ritorno? – le chiese in tono mielato- Perché?- La mia cameriera di sera non c’è, ma cucina passabilmente. Potremmo cenare insieme. Poi…- La ringrazio – rispose freddamente Sandra, alzandosi, – ma preferisco rientrare.- Come vuole – disse Dotti mentre il sorriso gli si spegneva.La riaccompagnò sulla porta. Sul pianerottolo la prese per un braccio.- Qualcosa mi dice che ci rivedremo presto – esclamò. – E che lei non rimarrà a lungo dai Rebini.E, prima che Sandra potesse chiedergli il perché, chiuse la porta.Capitolo quinto Fuori l’aspettava un’altra contrarietà: pioveva. Si affrettò a raggiungere Via Monticelli. Attorno a lei anche i passanti camminavano freddolosi. Nella luce giallastra dei lampioni, bagnati, avevano un’aria spettrale. Una volta nella propria stanza, Sandra si asciugò i capelli e si spogliò. Indossò la camicia da notte e la vestaglia, prese una vecchia rivista dall’armadio tarlato, dopo di che si distese sul letto e prese a sfogliare distrattamente le pagine. Era lì da un po’ e cominciava ad avere sonno quando sentì scricchiolare le listarelle del parquet sul pianerottolo. Bussarono alla sua porta. Un brivido la percorse dalla testa ai piedi. Era forse il bruto della stanza accanto che veniva ad importunarla?- Sono io – si udì la voce bisbigliante del Rebini dietro alla porta.Sollevata, Sandra si abbottonò la vestaglia ed andò ad aprire. Il signor Rebini era lì, con un’aria un po’ imbarazzata, una bottiglia sotto ad un braccio e due bicchieri in mano.- Ho pensato che forse si stava annoiando tutta sola – disse. – E che le avrebbe fatto piacere bere un bicchiere con me. La disturbo?- No di certo – rispose lei senza molta convinzione.D’autorità, lui entrò costringendola a spostarsi per farlo passare. Posò i bicchieri e mostrò la bottiglia a Sandra. Era del bourbon "Four Roses", quanto a lei piaceva di più in materia di alcolici. Lui svitò il tappo, riempì i bicchieri fino al bordo e gliene porse uno. Lei non osò rifiutare. Sandra andò a sedersi sul letto, lasciando al visitatore la sedia sfondata. Lui svuotò d’un colpo metà del bicchiere. Anche Sandra bevve, ma con maggiore moderazione.- Sono già venuto prima ma lei non c’era – le disse.- Ero uscita – spiegò Sandra.- Ah… Per andare dove?- A trovare una persona – gli rispose con malagrazia.Sotto l’effetto dell’alcol, il colorito di Rebini stava accendendosi. E così pure la sua curiosità.- Chi è andata a trovare? – insistette.- Un amico dio mia zia – rispose lei, sempre più reticente.- Che si chiama?- Dotti.Adriano Rebini scoppiò in una fragorosa risata.- Ma davvero? Proprio lui. Vedo che conosce già gli indirizzi giusti … Ed io che le avrei dato la comunione senza confessarla.- Che vuol dire?- Che è un vero e proprio satiro. Quando una ragazza va da lui, si sa perché ci va.Sandra impallidì.- Oh, mio Dio, ma io non ci sono andata per questo! Volevo notizie di mia zia.Pallida di collera trattenuta, posò le labbra sul bicchiere e lo svuotò di un fiato, senza pensarci. Rebini glielo riempì di nuovo.- Ieri sera se n’è andata molto presto – le disse. – Ci si cominciava appena a divertire. Lo spettacolo non le piaceva?Lei non seppe cosa rispondere. Il suo mutismo lo irritò.- Forse si sente molto superiore a noi? – esclamò.Sandra sussultò.- Ma no… – balbettò spaventata.Cominciava a non avere più le idee molto chiare.- Allora forse – chiese Rebini ridacchiando, – se n’è andata perché la cosa la eccitava troppo?- Le proibisco di dire queste…- Tu non mi proibisci proprio niente! Qui comando io, e se tu vuoi restare qui, sarà bene che accetti la mia volontà.Aveva il viso contratto in una smorfia.- Spero che non mi costringerai ad usare la frusta… come con quella debosciata di Simonetta.Sandra ebbe un singulto. La testa le girava e lo stomaco si ribellava. Vedendo che stava zitta, Rebini andò a sedersi accanto a lei sul letto. Presa com’era a combattere contro il malore, lei non gli badò e pensò a ribellarsi solo quando lui iniziò a slacciarsi la cintura della vestaglia.- Ma che cosa fa? Ha perso la testa?- Sei tu che me la fai perdere, piccola sporcacciona! Adesso vediamo se sei viziosa quanto tua zia.Le ripiegò con forza le braccia dietro alla schiena e la immobilizzò, stringendole i polsi con una mano.- Smettila di fare questa commedia, carina – la rimproverò. – Altrimenti ti butto fuori di qui subito. Sotto la pioggia.Le lacrime agli occhi, Sandra smise di dibattersi mentre lui riusciva ad aprirle la vestaglia. I suoi occhi scintillarono alla vista dei seni appena velati dal nylon trasparente della camicia da notte.- Ecco – mormorò, – ecco finalmente queste grosse tette… Sono eccitanti quasi quanto quelle di tua zia.E prese a palpargliele con mano brutale. Provando una gran vergogna, Sandra si sentì indurire i capezzoli e bagnare il sesso.- Sento che io e te ci divertiremo molto – le disse l’uomo, pizzicando le punte delle mammelle. – Ehi, birichina, hai visto che ti si sono ingrossati i capezzoli? C’è da pensare che ti piaccia. E’ stato Dotti ad eccitarti così?Sandra non lo ascoltava più impegnata com’era a lottare contro l’eccitazione un po’ sporca che si stava impadronendo di lei. Ma di lì a poco vi rinunciò. L’alcol le impediva di riprendere il controllo di sé. Bruscamente Rebini la rovesciò sul letto. Lei non ebbe reazioni mentre le sollevava la camicia da notte fino sui seni ed iniziava a toccarle il sesso.Tirando i peli, dischiuse le grandi labbra, quindi prese a frugare all’interno della fenditura spalancata, nelle mucose umide. Sandra, gli occhi smarriti per l’alcol ed il piacere, cominciò a gemere. Nonostante il disgusto che le ispirava Rebini, il suo sesso la tradiva. Vide con orrore che lui si stava abbassando i pantaloni. Cercò di puntellarsi sui gomiti, ma già l’uomo le si stava distendendo addosso.Il pene, lungo e sottile, s’infilò senza difficoltà nella vagina bagnata. Quando il glande le toccò il fondo del ventre Sandra, malgrado se stessa, gli cinse la vita con le gambe per essere penetrata meglio.Lui venne molto in fretta, grugnendo, e Sandra sentì a malapena, tanto era sbronza per l’alcol ed il piacere, gli schizzi che le inondavano le mucose. Ora per lei contava solo l’orgasmo bestiale che la scuoteva tutta.Rebini si ritrasse ansimando. La vagina di Sandra si chiuse con un piccolo schiocco. L’uomo si rimise rapidamente in ordine, poi la guardò. Sandra, le cosce spalancate, cercava di riprendere il controllo di sé. Dalla vagina socchiusa colava un rivolo di sperma misto ai suoi umori, che andò a macchiare il copriletto sotto le sue cosce.- A quanto pare ti è piaciuto, razza di volpona – disse ridacchiando Rebini. – Tanto meglio… tanto meglio. Perché lo rifarò spesso, e vedremo se sei viziosa come tua zia.Dopo di che, senza dimenticare la bottiglia, uscì dalla stanza mentre Sandra scoppiava in singhiozzi.In seguito, quando ricordava ciò che era successo, Sandra si chiedeva come mai Rebini avesse potuto abusare di lei tanto facilmente. Perché lo avesse lasciato fare, e come avesse potuto provare un piacere così bestiale, posto che quell’uomo l’aveva a stento penetrata.L’aveva forse drogata?Capitolo sestoIl mercoledì mattina Sandra si svegliò in preda ad un orribile doposbronza. Si alzò faticosamente e sedette sul bordo del letto e, presesi le tempie tra le mani, cercò di mettere in ordine i pensieri.Lentamente riuscì a ricordare quanto era accaduto la sera prima ed una nausea brutale le torse lo stomaco. Riuscì a stento a padroneggiare la voglia di vomitare. Qualche minuto dopo, quando il malessere scomparve, si alzò su gambe vacillanti. La vestaglia era sempre aperta e dalle cosce saliva un odore acre. Un po’ di sperma si era seccato sui peli del sesso. Si era addormentata sul letto nella posizione in cui Rebini l’aveva lasciata dopo averla scopata. Tentò di rimettersi un po’ in ordine. Prese una saponetta, un asciugamano e la trousse della toeletta prima di uscire dalla stanza.Per gli inquilini che alloggiavano nel sottotetto gli impianti igienici si limitavano a due angusti sgabuzzini. Uno serviva da gabinetto, l’altro, attrezzato con un lavandino crepato ed un bidè sporco, da bagno. Sandra vi si recò. L’acqua, come sempre era fredda, ma le fece bene. Sedutasi nuda sul bidè in quel bugigattolo gelido, si lavò a lungo il sesso, aprendosi la vagina con le dita per fare penetrare bene l’acqua all’interno e ripulire ogni traccia di sperma. Quindi s’insaponò abbondantemente la vagina e le cosce per cancellare le striature grigiastre che gliele lordavano.Adesso era quasi lucida e si sentiva ancora più avvilita per quello che le era capitato. Decise che avrebbe trovato ad ogni costo sua zia per lasciare quella casa al più presto. Le restava una speranza: Armando Leffi, il pittore al quale Margherita aveva fatto da modella per l’equivoco quadro che faceva bella mostra di sé nella sala da pranzo dei Rebini.La giornata per lei fu un vero e proprio incubo. Sandra era riuscita a rimettersi dalla sbronza e la signora Rebini non smise di maltrattarla neppure per un momento. Nel pomeriggio dovette aiutare la coppia a scaricare degli scatoloni pieni di abiti e sistemarli nel retro della boutique. Tuttavia riuscì a trovare qualche minuto per telefonare a Leffi. Il pittore si dimostrò piuttosto evasivo riguardo a Margherita, ma la invitò a cena.Leffi abitava fuori città. Le case erano piuttosto distanziate l’una dall’altra. Si trattava di villette vecchie ma di uno stile abbastanza bello. Era calata la notte, ma ad una certa distanza tra loro alcuni lampioni sistemati sul bordo della strada illuminavano la zona.Sandra non fece fatica a trovare la casa del pittore. Un po’ arretrato rispetto all’edificio, sorgeva una sorta di hangar dal tetto a vetri che probabilmente gli serviva da studio. Sandra spinse il cancello del giardino incolto e si avviò per il vialetto fiancheggiato da due siepi di ligustro. Sulla porta d’ingresso luccicava un grosso picchiotto di bronzo che lei sollevò e poi lasciò cadere.Quando la porta si aprì a Sandra sfuggì un grido di stupore. La donna comparsa sulla soglia non era altri che Simonetta, la cameriera masochista dei Rebini. Tuttavia non indossava la sua divisa da servetta bensì un elegantissimo deshabillé che le conferiva tutt’altra classe. Lei non parve affatto stupita alla vista di Sandra.- Entri – le disse con un sorriso ironico. – La stavamo aspettando.Come in trance, Sandra si ritrovò in un soggiorno. Seduto su una poltrona malridotta, Leffi, con un bicchiere in mano, guardò la visitatrice e si alzò per andare a salutarla. Indossava una vestaglia dai ramages dorati. Sandra stimò la sua età in circa quarant’anni.Il pittore, un rosso alto dal viso pallido, si girò verso Simonetta, che aspettava un po’ in disparte.- Credo che lei conosca già la mia compagna – disse a Sandra. – Deve averla conosciuta dai Rebini… dove sta facendo un piccolo stage.Simonetta, un po’ rossa in volto, abbassò gli occhi, poi, ad un gesto del pittore, uscì dalla stanza.- Voleva parlarmi di Margherita? – chiese Leffi.Mentre Sandra gli spiegava tutto, l’uomo fingeva di concentrarsi nella contemplazione del proprio bicchiere in cui nuotavano due cubetti di ghiaccio.- Oh, ma sicuramente tornerà molto presto – disse in tono brusco. – E’ probabile che abbia fatto un colpo di testa e sia partita con un amante casuale. Non è la prima volta. Non ha alcun motivo per preoccuparsi.Annichilita, Sandra sprofondò ancor di più nella poltrona. Il pittore si alzò per servirle da bere e lei si rese conto che quell’uomo non osava guardarla in faccia. Intuì che le nascondeva qualcosa. Un silenzio imbarazzato calò sulla stanza. Poi Simonetta rientrò con un gran vassoio pieno di pane tostato spalmato di fois-gras e tartine di ogni genere.- Spero che non la disturbi mangiare freddo – disse in tono molto mondano.- Per niente – balbettò Sandra e prese una tartina al salmone.- Sandra è la nipote di Margherita – spiegò Leffi all’amica. – Cerca sua zia.- Lo so – rispose Simonetta.Dopo aver servito il pittore, si sedette a gambe incrociate sulla moquette e prese a sbocconcellare un toast al paté. Guardò l’altra dritto negli occhi.- Hai fatto bene a venire qui, da Armando e da me – disse in tono brusco. – Siamo molto amici di Margherita. Facciamo parte dello stesso gruppo.- Che gruppo? – chiese Sandra.Il pittore non disse nulla.- Un gruppo molto speciale – dichiarò Simonetta addentando la tartina. – Ma nulla t’impedisce di farne parte, mia cara…Sandra sussultò, sul chi vive.- Insomma, di che diavolo state parlando? – esclamò. – Che cosa volete dire?Il pittore si accarezzò i capelli con un sorriso un po’ sciocco.- Che possiamo aiutarti a ritrovare Margherita… ma che in cambio, dovrai essere molto carina con noi…Sandra si sentì arrossire. Dunque si trattava di questo! Simonetta le fece un bel sorriso.- L’altra sera Rebini ti ha chiesto come ti sembrava il mio culo – disse, – ma tu non hai risposto.Si girò, si sollevò la vestaglia e mise impudicamente in mostra le chiappe nude. Su di esse erano ancora visibili lunghe striature bluastre. E ve n’erano altre all’interno delle cosce. Al centro del solco l’ano era tutto gonfio. Sandra, attonita per lo stupore, si chiese come potesse Simonetta comportarsi con tale impudicizia. E si sentì invadere da un calore umidiccio.Intanto, la finta servetta, dopo essersi nuovamente girata, si era tirata su la vestaglia fino alla vita. Con un sorriso ebete sulle labbra, allargò le gambe per mettere bene in vista la grossa fica pelosa. Le grandi labbra erano socchiuse e suoi bordi, tra i peli, brillava una schiuma biancastra. Sandra, le guance in fiamme per la vergogna, si sentì bagnare. Sapeva per esperienza l’effetto che poteva farle la vista di un sesso femminile…Leffi si era alzato dal divano. La vestaglia gli si era aperta sul corpo, nudo, abbronzato e muscoloso. In fondo al ventre la verga era già eretta, grossa, lunga, minacciosa.- Vieni a toccarmi la fica – cinguettò Simonetta, rivolgendosi a Sandra ed aprendosi le grandi labbra. – Vedrai come saremo carini con te. Vieni a masturbarmi, tesorino. Svelta! La giovane serrò le cosce per padroneggiare il proprio turbamento. Rimase immobile, in silenzio. Spazientita, l’altra andò verso di lei e cercò di infilarle una mano tra le ginocchia.- Idiota! – disse in tono roco. – Vuoi che ne parli a Rebini? Hai voglia della sua frusta? No? Allora devi collaborare…Sandra rabbrividì. Di malavoglia allargò le cosce. Simonetta infilò la mano sotto il suo vestito e, con la punta delle dita, toccò le mutandine.- Ah! Ma non sono solo io a bagnarmi le mutande! – esclamò ridendo Simonetta.Con gesti lubrichi prese a massaggiare la fica di Sandra, infilando il tessuto delle mutandine nella fenditura. Suo malgrado, Sandra protese il ventre e divaricò ulteriormente le cosce. Chiuse gli occhi e si lasciò masturbare da Simonetta. Dalla vagina ora gli umori colavano a profusione.Di lì a un po’ Simonetta la costrinse ad alzarsi ed a distendersi sulla moquette, con l’abito sollevato sino alla cintola e dopo averle sfilato le mutandine. Continuò a stuzzicarle clitoride e vagina per alcuni secondi, poi cedette il posto al pittore. Leffi s’inginocchiò tra le cosce di Sandra, che afferrò per le natiche a sollevarle il bacino. Lentamente l’enorme pene s’infilò nella vagina. Lei, istintivamente, gli cinse la vita con le gambe e si aprì perché lui potesse pomparla meglio.Simonetta ora si era tolta la vestaglia. Andò ad accovacciarsi sul volto di Sandra, sfiorandole naso e bocca con la propria fica spalancata. Sandra capì l’invito e si mise a leccare l’interno del calice grondante di umori. Folle di eccitazione, Simonetta le sfregava la fica sulla bocca mentre le sfuggiva un gemito isterico. Senza riflettere, l’altra, ricordando ciò che aveva visto fare da Rebini, le cacciò un dito nell’ano. Simonetta s’inarcò selvaggiamente e prese ad urlare come una pazza. In quel momento Sandra si sentì schizzare nel ventre lo sperma del pittore. A sua volta si abbandonò all’orgasmo, unendo i propri gemiti alle urla isteriche di Simonetta ed ai grugniti di Leffi.Dopo questo orgasmo collettivo, i tre restarono distesi sulla moquette a riprendere fiato.Sandra fu la prima a tornare in sé. Si alzò e si rassettò. Dal sesso dischiuso le colava un misto di sperma e di umori che le ruscellava sulla pelle nuda dell’interno delle cosce. Si sentiva stremata, sporca, piena di vergogna, e moriva di fame. Non osò chiedere dove fosse la stanza da bagno. Preso un fazzoletto di carta dalla borsetta, si tirò su i vestiti per pulirsi alla meglio la fica colante. Poi, non sapendo che fare del fazzoletto, lo mise sul tavolino.Simonetta la guardò incuriosita.- Perché ti sei asciugata in quel modo? – le chiese.- Non voglio macchiarmi il vestito – spiegò Sandra.- Spogliati, così non avrai problemi.Senza risponderle, andò a sedersi in poltrona, prese un altro sandwich, questa volta al prosciutto, e cominciò a mangiarlo avidamente.Senza rivestirsi la coppia si accomodò sul canapè.- Di tuo gusto? – chiese Simonetta quando Sandra ebbe finito anche il terzo sandwich.- Quando si ha fame tutto è buono – ribatté lei in tono un po’ irritato.L’amica del pittore scoppiò in una risata.- Ma io intendevo la scopata, mia cara – precisò. Subito Sandra si tese in volto. Gli altri due parvero sorpresi da quella reazione. Simonetta si alzò.- Che ti succede? – le gridò. – Non te la sei goduta anche tu, razza di porcona?- Vi prego – implorò Sandra con voce spezzata. – Si sta facendo tardi, sono stanca, e devo tornare a casa.Simonetta la afferrò per un braccio ma lei si divincolò.- Dimentichi – disse con voce secca l’amica del pittore, – che se vuoi avere notizie di Margherita è meglio non contrariarci.- Non ho fiducia in voi – ribatté Sandra in tono tremulo. – Voi due volete solo servirvi di me…Viste le proprie mutandine per terra, le raccolse e se le infilò.- Come vuoi – disse Simonetta. – Ma te ne pentirai.Né lei né Leffi cercarono di trattenerla quando uscì dalla stanza.Nell’atrio Sandra afferrò il proprio soprabito. Uscì dalla casa come una ladra, le cosce ancora appiccicose di sperma. Fuori il vento freddo ed umido della notte la placò un po’. Pensò con amarezza ai tre chilometri che la separavano da Via Monticelli. In quel momento aveva un solo desiderio: infilarsi nel proprio letto e dormire… Dormire per dimenticare tutto.
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