Che noia! Avevo accettato di acquistare i biglietti per l’opera solo per accontentare mia moglie e mi ero ritrovato con questa grana. Un malore momentaneo le impediva di partecipare alla serata e lei aveva insistito perché io andassi; era assurdo che perdessimo il prezzo di due ingressi, aveva detto, e quindi sarei stato senza di lei. Una settimana prima, avevamo organizzato la serata in quattro, due coppie: mia moglie ed io, e Cinzia con suo marito, facendoci riservare un intero palco. Alle otto in punto ero davanti all’ingresso principale del Teatro col mio abito scuro, già annoiato per quello che sarebbe stato il prosieguo; loro erano in ritardo, ma c’era da immaginarselo vista la serata grigia e piena di traffico. Stavo lì a guardare la gente che entrava quando si è fermato un taxi davanti alla scalinata; non che fosse il primo, ma in quel momento il mio sguardo era rivolto proprio in direzione dell’auto gialla. Ero assorto nei miei pensieri quando si era aperto lo sportello posteriore e una gamba setata, lasciata nuda sino alla coscia da uno spacco di un abito nero, aveva fatto la sua apparizione. Gamba snella, lunga, con la caviglia sottile e una scarpa che lasciava quasi totalmente nudo il piede, con un tacco a spillo di almeno quindici centimetri. Che schianto!! A quel punto non ero l’unico uomo ad aspettare che la donna scendesse dall’automobile; intorno a me chiunque era rimasto attratto ed aveva atteso che tutto il corpo facesse la sua apparizione. Ed era scesa Cinzia!! Avvolta dalla pelliccia si era girata intorno sino a quando non mi aveva visto, incamminandosi verso di me, incurante degli sguardi di ammirazione. “Solo?” “Si! Un’influenza. E tuo marito?” “Chiamata improvvisa. Mi fai tu da cavaliere, ti spiace?” così dicendo mi aveva porto il suo braccio ed avevamo fatto il nostro ingresso in teatro. Poco dopo un’hostess ci accompagnava al palco riservatoci; un po’ decentrato ma, essendo in due, avremmo visto benissimo. Avevo aiutato Cinzia a togliere la pelliccia e, per la seconda volta, ero rimasto senza fiato. Indossava un vestito di seta, leggerissimo, di una semplicità estrema, con spalline finissime, ampia scollatura e uno spacco laterale mozzafiato, che rendeva onore a tutta la sua bellezza. Ci eravamo seduti in attesa che l’opera iniziasse e non avevamo atteso molto. Cinque minuti dopo, le luci si spegnevano e l’orchestra iniziava a suonare. Il primo atto era trascorso velocemente, era il più breve dei tre previsti, solo 45 minuti, ma ci aspettavano ancora più di due ore di opera e così abbiamo pensato che fosse il caso di nutrirsi un po’. Al bar del teatro, due tramezzini e una coca in due avevano soddisfatto i nostri appetiti ed io non avevo perso l’occasione per manifestare il mio lato “voyeur”, mangiandomi con gli occhi anche lei. “Pensi di finirla?” “Scusa?” “La smetti di guardarmi dentro la scollatura!” Me lo aveva detto sorridendo, e sorridendo avevo negato. “Ma non è vero. Ti stavo guardando le gambe.” “Stronzo!” Tenendola sottobraccio, e tutti e due allegri, avevamo fatto ritorno al palco continuando a scherzare. Il secondo atto era incominciato a da meno di dieci minuti e si mostrava un po’ noioso – sarebbe stata dura resistere sino alla fine – quando ero balzato sulla sedia. “silenzio” mi aveva sussurrato Cinzia, ma la sua mano non si era fermata. Coperta dal balconcino del palco, l’aveva poggiata sulla mia coscia ed era risalita repentinamente verso il centro delle gambe, causandomi un’immediata erezione. Era impazzita? No, non poteva!! Lì no! Chissà quanta gente c’era che ci conosceva? Ma lei non sembrava preoccuparsi più di tanto di questa possibilità. Col viso rivolto alla scena, attento come se non volesse perdere nemmeno una nota, aveva iniziato a giocare con le dita sulla mio rigonfiamento. Le passava delicatamente su tutta la superficie, soffermandosi sulla sacca, solleticandola. Io non riuscivo a stare fermo e continuavo a spostarmi sulla seggiola come se, all’improvviso, avessi scoperto quanto fosse scomoda. Avrei dovuto prendere quella mano è staccarla da me. Sapevo che, andando avanti, le cose sarebbero peggiorate, ma era più forte di me restare imbambolato, stregato dal suo fascino e da quelle carezze, e non avevo fatto nulla. Né avevo protestato cinque minuti dopo, quando avevo sentito le sue dita premere sulla cerniera, tirarla giù lentamente, e, subito dopo, sfibbiare il bottone del pantalone. Ero rimasto così, con la patta aperta e con la sua mano sopra ad accarezzare il tessuto degli slip, sino a quando, in concomitanza con l’acuto del soprano, si era infilata sotto, aveva impugnato saldamente il mio bastone e, in un baleno, lo aveva tirato fuori. Solo per un attimo aveva girato il volto verso di me, incrociando il mio sguardo. Aveva gli occhi fieri, sbarazzini, intriganti, con un sorriso luminoso, poi si era rigirata, proseguendo nel suo gioco erotico. Così, nel buio della sala, con l’opera che proseguiva e tutti i presenti attenti alla scena e alla performance dei cantanti, io ero rimasto a sudare freddo, scrutando intorno per la paura che qualcuno avesse capito cosa stava accadendo, e con l’eccitazione che iniziava ad avere il sopravvento. Cinzia aveva poggiato il polso sui miei pantaloni, all’altezza del bacino, e si limitava a muovere le dita; prima il pollice su in cima, poi il medio e l’indice ad importunare la cappella, infine tutte e cinque a spostarsi dall’alto verso il basso, lisciando e pizzicottando tutto quello che incontravano. Ero immobile, imbalsamato, quando la sua mano mi aveva impugnato meglio, ed aveva intrapreso una masturbazione lenta – quasi a seguire la musica del momento – ma per me sfibrante. Dalle carezze, dalla pressione delle sue dita comprendevo che non sarebbe stata una cosa di pochi minuti. Non aveva alcuna intenzione di farmi godere e consentirmi di ricompormi e poi, in ogni caso, ma come avrei fatto ad avere un orgasmo lì, seduto a pochi metri da centinaia di persone, in un teatro pieno sino al loggione? Ci aveva pensato lei a dare una risposta alle mie domande. Aveva continuato a dedicarmi le sue cure per un altro po’, poi – senza fare alcun rumore – si era alzata dalla sedia come se avesse deciso di uscire. Passandomi accanto mi aveva tirato dalla giacca, facendomi capire – senza possibilità alcuna di contraddirla – che voleva essere seguita. Mi ero ricomposto alla meno peggio, rialzando la cerniera dei pantaloni con la verga ancora rigida che sbordava dagli slip, e mi ero alzato anch’io; lei era già sparita nel retropalco. Presumevo che stesse prendendo la pelliccia ma mi sbagliavo, e di parecchio. Ero giunto, cercando di mettere a fuoco l’ambiente, quando il suo braccio si era steso verso di me e la sua mano aveva trovato la mia spalla. Era poggiata ad una parete del antipalco, la più lontana dalla platea, e mi sorrideva, o almeno l’ho pensato io perché un attimo dopo le sue labbra si poggiavano sulle mie e la sua lingua si faceva strada dentro la mia bocca. Mi dovevo ancora riprendere dalla sorpresa, che la sua mano era andata a cercare giù in basso, sfibbiando velocemente, stavolta con mosse sicure ma con frenesia, bottone e cintura e abbassando la cerniera e gli slip. Cazzo!! Era ancora peggio di prima. A quel punto, se fosse entrato qualcuno, anche se per errore, mi avrebbe trovato con i pantaloni e gli slip calati sino ai polpacci e con Cinzia abbrancata al mio corpo. Me lo aveva tenuto stretto tra le mani come se fosse stato un bicchiere di cristallo, quasi con la paura di romperlo, poi si era staccata, accovacciandosi sulle ginocchia. Un attimo dopo sentivo il calore delle sue labbra mentre mi baciava la punta del pene e la lingua morbida che incominciava un’opera di pulizia dell’asta dagli umori che, copiosi, l’avevano imbrattata mentre eravamo seduti. Le luci in sala, per il nuovo intervallo, ci avevano colto in piena pompa. Istintivamente, mi ero buttato a terra, dietro la porta di ingresso, in modo da impedire che qualcuno potesse entrare, cogliendoci in quello stato. Lei non si era persa d’animo. Solo per un attimo, il mio pene le era sgusciato fuori dalla bocca, ma lei si era messa carponi, attenta a non rovinarsi il vestito ed aveva ripreso a gustarsi il cono. Era andata avanti così sino a quando i gong non avevano segnalato l’inizio dell’ultimo atto e, appena si erano spente le luci, si era rialzata, poggiando le spalle nuovamente ad una parete. Stavo per rialzarmi anch’io, ma il movimento della sua mano sul suo vestito era stato chiaro. Aveva alzato il lembo dello spacco, invitandomi a dedicarmi a lei, era giunto il suo momento e non avevo avuto bisogno di altri solleciti. In ginocchio davanti alle sue gambe, avevo sostituito la mia mano alla sua, tenendo la stoffa lontana, con l’altra mano avevo spostato il bordo delle mutandine e la mia lingua aveva raggiunto la seta della sua peluria. La sentivo dimenarsi sotto i miei colpi leggeri, toccava a me giocare e lo stavo facendo bene, volevo che godesse così, solo con la lingua e alla faccia di tutti quelli che se l’erano mangiata con gli occhi all’ingresso ed al bar. E c’ero riuscito. Prima lentamente, poi sempre più velocemente, aiutato da un dito birichino, l’avevo portata ad un orgasmo silenzioso, forzatamente silenzioso, ma intenso. Stavo ancora leccandola quando mi aveva tirato su per i capelli. Credevo che toccasse a me, che avrebbe ripreso il lavoro con le sue mani guantate, ma mi sbagliavo ancora una volta. Mi aveva passato un braccio intorno al collo, le sue labbra erano nuovamente unite alle mie, ed aveva sollevato la gamba destra, invitandomi a tenergliela dritta verso l’alto con la mano. Così, con lei in piena spaccata nell’aria, il mio pene aveva cercato la strada di casa, trovandola facilmente per com’era bagnata dagli umori dell’orgasmo. L’avevo presa così, in piedi, nell’antipalco, con un ritmo lento e possente. Avremmo potuto contare i secondi che passavano tra un affondo e l’altro ma era qualcosa di travolgente, di inspiegabile. L’onda si sperma mi aveva colto quasi di sorpresa. Avevo avuto appena il tempo di sfilarlo e le prime piogge si erano infrante sul pavimento. Cazzo! Qualche guaio doveva pure accadere. Poi, lei si era ripresa prontamente e, chinatasi, lo aveva imboccato, succhiando e ingoiando tutto quello che era rimasto. Mezzora dopo, già fuori dal teatro, era squillato il suo cellulare. “Amore! Si, è stato bellissimo, uno spettacolo con i fiocchi. Peccato che non c’eri.”
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