Il mio nome è Felice sono nato in paesino della pianura veneta circa sessant’anni fa da una famiglia d’estrazione contadina, terzo di nove tra fratelli e sorelle. La mia infanzia trascorse spensierata, e, considerando i tempi, posso tranquillamente ritenere di essere stato un privilegiato, poiché mio padre da piccolo agricoltore divenne commerciante di prodotti agricoli, in particolare frutta, e piccolo imprenditore, così, ben presto, ci trasferimmo in città in una casa più grande e confortevole. La casa di campagna, ristrutturata e rinnovata, divenne il buon ritiro per l’estate o per particolari occasioni familiari o mondane, in questo modo rimasi sempre legato al mio paese d’origine. La mia familiarità con la gente del paese fece si che lì ebbi le mie prime vere esperienze con le ragazze, infatti, con i miei compagni ero solito fare il bagno giù al fiume, e le ragazze non mancavano, anche se restavano sempre ad una certa distanza. Alcune si dimostravano meno timide o più sfacciate, secondo il pensiero dell’epoca, o forse erano solo più umane, così si poteva tentare qualche approccio che si limitava sempre ad uno sfregamento veloce o qualche carezza furtiva. I loro giovani corpi acerbi mi facevano eccitare come un toro ma ben presto finirono per non essere sufficienti, io bramavo molto di più: volevo vederle senza vestiti, toccare e accarezzare il loro sesso e infine possederle. La mia audacia si fece sempre maggiore in modo che, dopo quei primi timidi approcci, complice l’acqua che faceva da schermo protettivo celando le mie mosse, iniziai ad infilare le mani sotto i loro costumi per approfondire le mie conoscenze dell’anatomia femminile. La cosa era nettamente più interessante e soddisfacente con quei piccoli capezzoli da solleticare, quelle cosce sode da stringere, per non parlare dei morbidi ciuffi di peli che toccavo, quando riuscivo ad infilare la mano tra le gambe delle mie compagne di giochi. Quella fu l’estate del primo bacio, ma non fu certo una cosa tanto particolare, dal momento che la fortunata aveva già baciato diversi altri ragazzi. Al momento di tornare a scuola ci fu la sorpresa che avrebbe segnato tutta la mia vita, infatti, i miei avevano deciso di farmi proseguire gli studi presso il seminario locale, per avviarmi alla carriera religiosa, non perché avessi mai mostrato una particolare predisposizione o la ben che minima vocazione, ma piuttosto perché quella soluzione garantiva un certo prestigio alla famiglia. L’impatto con il seminario non fu certo facile: disciplina ferrea, regole da seguire, preghiere e simili ad ogni ora, lezioni pesanti e, cosa più insopportabile, la totale assenza di ragazze. Un paio di settimane dopo il mio arrivo mi ero ambientato in modo sufficiente, per capire che la mia situazione era condivisa dalla maggior parte dei seminaristi, ma fu solo dopo qualche mese passato la dentro, che feci la scoperta destinata a farmi apprezzare il tempo trascorso presso il seminario, poiché, in uno stanzino solitamente trascurato della biblioteca, trovai tutta una serie di libri riguardanti il piacere e le donne. Il tempo volava, tutto preso com’ero da quelle letture così interessanti e piacevoli, così non mi accorsi del passare dell’anno scolastico sino a quando non tornò l’estate, e con lei le vacanze da passare al paese. Le cose non erano praticamente cambiate dall’anno prima, il mattino trascorso a dare una mano in casa o nel podere, il pomeriggio al fiume e le sere a parlare dentro i fienili. Io ero diverso, adesso sapevo cosa potevo fare con le mie compagne, come farlo per il mio e anche per il loro piacere e non vedevo l’ora d’iniziare a dispensare le mie nuove conoscenze. Alla prima occasione buona allungai le mani per infilarle sotto il reggiseno di un’allegra fanciulla dai lunghi capelli biondi, le solleticai i capezzoli e le areole dedicando una certa attenzione anche alla parte alta del seno, spesso trascurata ma non meno sensibile, quando sentii i suoi capezzoli ben duri fra le dita feci scivolare in basso la destra e, infilata la pudica sgambatura del costume olimpionico, presi a toccarle prima il pube e poi le grandi labbra, che dischiusi delicatamente per titillare la clitoride, lei, cosa che non aveva mai fatto prima, aprì per bene le gambe per ricevere nel suo più intimo anfratto le mie carezze. Allora con la sinistra le presi una mano che portai a contatto con il mio uccello eretto, lo sconvolgimento del momento era tale che non ebbe alcun tentennamento: lo prese in mano stringendolo con una certa forza e, seguendo i miei movimenti, mi fece una stupenda sega. Quello fu solo il primo passo del lungo cammino che percorsi quell’estate alla scoperta del piacere. Nel volgere di un paio di settimane avevo provveduto a conoscere e ripassare più volte le fanciulle più disponibili del gruppo, tanto che iniziavano a stancarmi anche perché erano tutte disposte sino ad un certo limite: si lasciavano spogliare nude, accarezzare e toccare ovunque ma con nessuna ero andato oltre la sega. Nessuna voleva essere sverginata, per paura di essere considerata una troia o di restare incinta, se proponevo loro di succhiarlo restavano inorridite e disgustate alla sola idea, mentre ero io stesso a non proporre un rapporto anale per paura di essere considerato un pervertito. Certo era sempre bello potersi trastullare con quelle piacevolezze con la sicurezza di ottenere un gradito lavoro di mano, però adesso ero deciso ad andare oltre, così abbandonai la solita routine per dedicarmi a quelle così dette brave ragazze, che solitamente evitavano le uscite in compagnie miste. In realtà era già da tempo che pensavo a quella ragazza, Maria, dai lunghi capelli mori, leggermente mossi, con i due occhi più azzurri che avessi mai visto, per non parlare delle sue forme abbondanti e armoniose ben distribuite su un metro e settanta circa di carica sessuale da scoprire. L’avevo già avvicinata l’estate precedente, ma dopo alcune uscite al fiume, capita l’aria che tirava, non si era fatta più vedere, per ciò adesso girava solo con alcune amiche fidate. Io avevo tempo e iniziai a seguirla di nascosto, per vedere cosa faceva e dove andava e, finalmente, dopo oltre due settimane, mi si presentò l’occasione buona. Lei aveva lavorato nel frutteto per buona parte del pomeriggio e, adesso, sicura d’essere sola e di non poter esser vista da alcuno, aveva deciso di immergersi nel canale irriguo per rinfrescarsi un po’. La vista di quel bel corpo nudo, che entrava in acqua, mi diede una sferzata all’uccello, che in un attimo era pronto in tutta la sua potenza. Con tutta l’attenzione necessaria e nel più totale silenzio, scivolai sino al punto in cui aveva lasciato i vestiti e non esitai a nasconderli. Rimase in acqua per una quindicina di minuti e poi si decise finalmente ad uscire, incurvata con le mani a proteggere le sue nudità, correva nel timore di essere vista da qualcuno, aveva ragione, poiché io l’osservai mentre arrivava tra le canne dove aveva lasciato i vestiti e a quel punto mi feci avanti tagliandole la ritirata verso il canale “Perso qualcosa?” , lei urlò per la sorpresa e lo spavento, cercando di nascondersi dietro le frasche. “Dove vai così senza vestiti?”, la schernii “con quel bel culetto che vedo anche da qua, non passi certo inosservata”, “Vattene, lasciami in pace” rispose cercando di avere la voce ferma. “Non ci penso proprio, lo spettacolo è troppo bello, e se vuoi saperlo è inutile che cerchi i vestiti perché li ho nascosti io”, “Sei un bastardo, ridammeli subito, o lo dirò ai tuoi genitori” “Corri pure a casa, che aspetti?”, non rispose per qualche istante quindi mi avvicinai a lei “Cosa vuoi, stai fermo lì, non muoverti e non t’avvicinare” “Se vuoi i vestiti devi venire a prenderli, se no vado a casa e ti lascio così. E vedremo come farai a tornare a casa nuda e a giustificarti”. Aspettai qualche minuto e finalmente si decise ad uscire da quel nascondiglio improvvisato svelando il suo corpo nudo, invano coperto dalle braccia. “Brava avvicinati” l’invitai “e fatti guardare per bene”, “Dammi i vestiti” “Prima vieni qui e ti fai guardare, poi i vestiti, capito?” evidentemente aveva afferrato la situazione perché si decise a fare quei pochi passi che ci separavano, abbassando contemporaneamente le braccia in modo di scoprire le tette, rotonde come due arance e sormontate da due grossi capezzoli scurissimi, e più in basso un folto bosco di pelo nero, che le ornava il basso ventre in prossimità della sua fichetta appena visibile. “Dammi i vestiti, per favore” implorò allora quasi piangendo “Non ancora, aspetta”, risposi allungando una mano sulle sue belle tettone “Fermo, che fai?!”, cercando di ricoprirsi “tutto quello che voglio, o preferisci restare qui nuda?” mi bastò quella minaccia per piegarla e senza più resistenza da parte sua, comincia a stringere le tette con entrambe le mani. Usai la tecnica già usata altre volte, facendola eccitare per bene sotto le mie carezze, per poi usare anche la lingua per solleticare i capezzoli, duri come chiodi. I gemiti che le sfuggivano erano sempre più numerosi, mentre le preghiere per farmi smettere erano ormai quasi del tutto cessate. A quel punto inizia ad esplorare la sua fichetta, facendo scorrere la punta dell’indice lungo le grandi labbra e infine le scostai per toccare la clitoride ormai eccitata e gonfia. Vibrava letteralmente sotto le mie mani, e quando aggiunsi anche la lingua non riuscì a trattenersi oltre e si sciolse in un profondo orgasmo, che la travolse costringendola ad inginocchiarsi. Era la posizione ideale e certo non poteva più esimersi dal soddisfarmi, così lo tirai fuori “Prova un po’ anche tu”, l’invitai spingendo il bacino in avanti. Girò il volto, impaurita a quella vista mai fatta prima, “Dai, cosa aspetti?, leccalo un pochino” e così dicendo le misi una mano sulla testa costringendola a rigirarsi verso di me “Non voglio, per favore, mi fa schifo” cercai d’essere gentile ma vedendo che non cedeva mentii “Vuoi che racconti tutto ai tuoi?, sarebbero contenti di sapere come ti piace essere baciata tra le gambe”, “Ti prego”, implorò ancora “Leccalo” e finalmente si decise a dargli qualche timido e veloce colpo di lingua. Lasciai che prendesse un po’ di pratica poi “Brava così, però adesso prendilo in bocca, piano piano”, e tenendole la testa spinsi la cappella contro le sue labbra strette, che finirono per cedere lasciandomi entrare. Rimasi così per qualche decina di secondi, assaporando il momento, finalmente l’avevo messo in bocca ad una ragazza per farmelo succhiare, poi, ondeggiando il bacino avanti e indietro le scopai praticamente in bocca, venendo abbondantemente. Era stato favoloso, il mio premo pompino e con tanto di ingoio, lei non era certo altrettanto entusiasta ma non m’importava, anzi ero contento di tutta la situazione e di come si era svolta sino a quel punto, così le dissi”Ci rivedremo ancora, vero? O preferisci che lo racconti in giro?” con quella minaccia mi ero assicurato il suo silenzio e la complicità, perché quello che doveva aver paura ero io, ma lei non lo capiva così l’ebbi in mio potere, ma solo perché la società bigotta approvava e tollerava “il maschio esuberante cacciatore” senza giustificare la “femmina-preda” che subiva quelle attenzioni e lei, figlia di quel modo di pensare, accettava la situazione come il minore dei mali pur di salvare “l’onore”. Le consegnai i vestiti e, senza indugiare oltre, tornai a casa.
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