Il ritorno al seminario fu devastante dopo quell’estate spensierata passata a fare tutte le esperienze possibili, ma adesso era tutto passato, dimenticato. Lì non c’erano Federica, Maria ne, tantomeno, Chiara con cui sfogare i miei istinti, ero solo in una società di soli uomini, dove le donne erano bandite, così finii per diventare intrattabile e, nonostante eccellessi dal punto di vista accademico, la mia condotta sgarbata, strafottente e maleducata mi provocò una serie di richiami e note negative, da precludermi qualsiasi permesso sino alle vacanze di Natale. La cosa sembrò mettersi tanto male da farmi rischiare l’espulsione ma, dopo una convincente visita dei miei, misi la testa a posto. Il vero motivo però era un altro: per una punizione che dovevo scontare, fui costretto a fare lo sguattero in cucina, dove c’erano anche delle donne. Si sapeva che erano distaccate presso il seminario per adempiere ad alcune mansioni, proprio come il servizio in cucina, ma erano presenze irraggiungibili, con cui non avevamo quasi contatto, anche perché stavano in un’ala distaccata e, virtualmente, inaccessibile. Un piccolo particolare, che avrebbe fatto desistere chiunque, ma che mi eccitava maggiormente rendendomi smanioso, consisteva nell’appartenenza di tutte loro ad un ordine monastico, in altre parole, erano suore. La lettura dei “Promessi Sposi” con il brano della monaca di Monza aveva destato il mio malsano interesse già da tempo, anche perché, nonostante i costumi a quei tempi non fossero quelli d’oggi, talvolta, si sentiva raccontare, a mezza voce, di qualche suora che era scappata dal convento, magari con un prete. Erano donne a tutti gli effetti, come potei costatare personalmente in quei giorni, e come tali si comportavano: litigavano fra loro per dare gli ordini, si malignavano alle spalle, spettegolavano di tutto e tutti, maltrattavano le novizie ad ogni occasione, cercando sempre di accattivarsi la simpatia del direttore, l’unico che poteva farle promuovere a madre superiora. Io non sapevo se ci fossero delle tresche fra loro, cosa difficile vista l’età media, però ero interessato ad una in particolare: suor Carla, la novizia più carina e, forse proprio per questo, anche più bistrattata. Le notizie che riuscii a carpirle durante le ore passate a fregare i pentoloni o tagliando le patate non erano molte, ma già qualcosa, infatti, scoprii che aveva 25 anni, era al seminario da un anno, si trovava bene in quell’ambiente riparato e protetto dalla corruzione dilagante nella società, non aveva genitori, ma, della sua famiglia, non volle parlare, lasciando intravedere qualcosa di poco chiaro. Le fonti trasversali solitamente ben informate, o solo maligne, sostenevano che avesse avuto qualche problema col marito della sorella con cui viveva e, per scappare a certe attenzioni sempre più pesanti, era entrata in un collegio religioso, adeguandosi all’ambiente fino ad indossare l’abito monastico. I capelli rossi, che spuntavano talvolta dalla cuffietta, il nasino alla francese, gli occhi nocciola da cerbiatta indifesa, contribuivano a renderla incredibilmente sexy, per non parlare della tunica scura sotto cui celava le sue forme. Grazie alla mia continua presenza in cucina per le corvè potei fare amicizia con lei, così mi feci raccontare dove erano alloggiate, la disposizione delle celle, dei bagni e gli orari che seguivano durante la giornata. Lei, molto ingenuamente, non si rendeva conto del mio interrogatorio quotidiano o, forse, mi sottovalutava, considerandomi un ragazzetto che non poteva nuocere. La realtà dei fatti l’avrebbe scoperta a sue spese quando, ormai, sarebbe stato troppo tardi per rimediare. L’occasione buona per agire si propose qualche settimana più tardi, un sabato notte, quando l’istituto restava praticamente deserto, perché la maggior parte dei ragazzi andavano a casa, in visita alle famiglie, e i soli a restare erano i puniti, come me. La mia camerata da otto era deserta così, senza alcun problema, verso l’una mi alzai e, armato di una torcia elettrica, mi avvia per gli oscuri corridoi dell’istituto, salendo le scale sino al quarto piano, dove era posizionata l’ala delle monache. La porta era chiusa, ma non era un problema perché, durante una delle mie quasi quotidiane visite alla presidenza, mi ero procurato la chiave. Aprii la porta, e con calma sgattaiolai nel corridoio su cui si affacciavano le porte delle celle, contai allora sei porte, la prossima era quella di Carla. Stavo per entrare quando, nel silenzio più totale, sentii dei passi leggeri provenire dalla stessa direzione da cui ero appena entrato. Non avevo tempo da perdere e m’infilai di corsa nella quarta celletta, che doveva essere vuota, giusto in tempo per nascondermi alla vista del preside. Lo spiai mentre con fare circospetto si guardava intorno, quasi avvertisse la mia presenza, poi finalmente si decise ad entrare nella celletta di fronte alla mia posizione. La cosa si faceva interessante così mi feci coraggio ed uscii fuori per origliare quello che accadeva. Fu una vera rivelazione per me: il tanto ligio al dovere e inflessibile istitutore stava sottoponendo suor Germana ad un autentico ricatto sessuale, cui sottostava pur di ottenere la promozione a madre superiora. “Avevi detto che era l’ultima volta” si lamentava la suora, una donna piacevole di 40 anni, dotata di una notevole eleganza di modi e portamento, quasi algida nelle emozioni, che fino a quel momento avevo sempre considerato del tutto estranea alla lotta di potere, che infiammava le altre monache. “Dillo subito se non sei più interessata, che tolgo il disturbo. Tu non sai il rischio che corro per aiutarti, la tua rivale ha agganci forti che spingono per farla vincere, ma io sono disposto a mantenere la promessa che ti ho fatto, ma tu devi essere un po’ più riconoscente” rispose lui. Volevo vedere cosa succedeva così mi abbassai a spiare dalla serratura, di vecchio modello e mai utilizzata, che mi permise di avere una discreta visuale degli avvenimenti. Suor Germana stava ancora scostando le coperte per alzarsi ma, una volta in piedi di fronte al direttore, non esitò a togliere la pesante camicia da notte a forma di sacco, che indossava. Sotto portava solo mutandine e reggiseno, un coordinato color perla, con inserti di raso, molto castigato e dall’aspetto piuttosto robusto. Il fisico era asciutto, piacevole nell’insieme, nonostante le gambe un po’ troppo magre. In ogni caso era decisamente ben messa, come appurai qualche istante dopo, quando si liberò del reggiseno, scoprendo due belle tettone a forma di pera, strette fra loro, alte e maestose sfidavano la gravità. Le areole, larghe e molto estese, formavano due cechi scuri, ben visibili su quella carne immacolata, con al centro due capezzoli appuntiti, che sembravano reclamare la loro giusta dose d’attenzioni. Non esitò a togliere anche le mutandine, abbassandole sino e mezza coscia in modo da farle scivolare poi sino alle caviglie, mettendo in mostra la vagina completamente priva di pelo, che così sembrava quella di una ragazzina e non quella di una donna della sua età. Il preside, intanto, si era sfilato la vestaglia mostrando il suo fisico vecchio e rugoso, dotato di un uccello rinsecchito che gli pendeva, ancora inerte, fra le gambe. Lo prese in mano per menarselo mentre le si spogliava, poi con voce lasciva, le disse “Aiutami dai, da brava, che sai cosa devi fare”, lei prese il membro del vecchio ed iniziò a menarlo a sua volta, poi, quando lui le mise una mano sulla testa, s’inginocchiò prendendolo in bocca. Lo succhiava a piene gote, lo vedevo benissimo dalla mia posizione, mentre muoveva la testa avanti e indietro, l’uccello iniziava a prendere consistenza, raggiungendo una discreta erezione. Si spostarono di un paio di passi, in modo che lui potesse sedersi sul bordo del letto, lei adesso gli era accucciata fra le gambe mostrandomi le terga e, di conseguenza, il suo bel culo rotondo. Aveva proprio un bel culo che, sommato alla fica rasata e alle notevoli tette, costituivano un autentico tesoro nascosto, destinato ad andare sprecato o, nel migliore dei casi, non utilizzato al meglio delle sue possibilità. La scena intanto si era animata, perché lui si era sdraiato e lei si era messa sopra, facendosi infilare dal suo uccello ormai pronto all’uso. La guardai muoversi, piano, su quel piolo di carne, che la costringeva attaccata al vecchio, mentre lui allungava le mani per strizzarle i seni e il sedere. I suoi movimenti, da principio lenti, si fecero più veloci mentre il bacino e le anche compivano delle piccole rotazioni attorno a quel palo su cui saliva e scendeva. Il respiro si fece affannoso, i movimenti convulsi, le sue mani cercarono una presa su cui fare forza mentre con gli ultimi colpi più veloci godeva. L’orgasmo era stato travolgente per lei, ma lui era ancora ben lontano dal godere, per cui continuò tranquillamente a scoparla. Lo spettacolo era sufficiente, così, nonostante fossi eccitato come un toro, decisi di rimandare di una settimana la mia “visita” a suor Carla, in modo da evitare spiacevoli incontri. La settimana trascorse senza che accadessero avvenimenti degni di nota e così, ripetendo le stesse mosse del sabato precedente, mi ritrovai davanti alla stessa porta, la numero sette, quella che, nei suoi discorsi incontrollati, suor Carla aveva indicato come la sua cella sicura, il suo nascondiglio e rifugio, e adesso l’avrei fatta diventare il luogo della vergogna, del supplizio e della perdizione. Entrai nella cella spingendo piano la porta, sfruttando la luce rossa della torcia, in modo da non svegliarla prima del tempo. Avevo fatto tutti i preparativi del caso, analizzando le varie possibili varianti che potevano presentarsi in modo da essere pronto, perché, per avere il sopravvento su di lei, dovevo sfruttare la sorpresa dei primi istanti, quando era ancora assonnata e intontita, poi la sua maggior forza fisica poteva farmi soccombere. La paura avrebbe giocato un ruolo determinate perché poteva paralizzarla, facilitandomi enormemente il compito, come pure spingerla a lottare con la forza della disperazione per la propria sopravvivenza. Lei era una donna fatta, giovane e in forma fisica, mentre io ero solo un ragazzo, ma risoluto a piegarla ai miei desideri impuri. Scivolai accanto al letto dove lei dormiva tranquilla sotto le coperte, voltata di pancia, con la testa adagiata sul cuscino. Era la posizione perfetta così, preso il bavaglio che avevo portato, agii senza esitare, facendolo scivolare tra il cuscino e il viso, bloccandole ogni possibilità di gridare. La sorpresa era stata tale che non era riuscita ad opporre la minima resistenza. Solo adesso cercava di voltarsi e, contemporaneamente, di togliere quello straccio che le tappava la bocca ma, bloccata sotto le coperte dal mio peso, non poteva far altro che armeggiare invano con le mani, permettendomi così di passare alla seconda fase del piano. Afferrai prima la sua mano destra cercando di portarla dietro la schiena. Aiutandomi anche con l’altra mano, con cui facevo forza, riuscii a torcerle il braccio, bloccandolo. Ripetei la stessa cosa con il sinistro e, una volta bloccata, mi sbrigai a rendere la cosa definitiva legandole i polsi con la corda che avevo portato. Non poteva più scappare così, mi alzai e, tranquillamente, accesi la luce della stanza, per godere il risultato del mio lavoro. I capelli rossi sciolti e spettinati, le braccia ripiegate dietro la schiena, stava immobile, scossa soltanto da qualche singhiozzo soffocato. Mi avvicinai a lei e, controllata la corda per sicurezza, la rigirai per vederla in faccia “Avevo voglia di vedere cosa fai la sera” dissi scostando alcune ciocche di capelli dal suo volto. Gli occhi da cerbiatta spaurita divennero come due fanali quando riconobbe nel mio volto, il piccolo ragazzo tanto caro con cui aveva fatto amicizia, l’unico che le aveva mostrato un po’ d’affetto e considerazione. Cercò di dire qualcosa, ma era solo tempo sprecato perché il bavaglio le impediva di emettere qualsiasi suono. Scostai le coperte e le bloccai le gambe legando le caviglie, quindi, la costrinsi supina sul letto “Mi dispiace se stai scomoda ma, se ti sciogliessi, non credo che staresti buona come voglio io” le dissi carezzandole il viso, quasi a calmarla, poi concentrai le mie attenzioni sul suo corpo, spostando le mani sui seni, sodi e rotondi. Li strizzai piano con calma, quasi impastandoli fra loro. Le mie mani corsero più in basso carezzando il costato, tendendo la stoffa della camicia da notte e facendola aderire alla pelle, sino ad evidenziare un vitino da vespa, fino a quel momento perfettamente celato dal saio. I fianchi si allargavano morbidi da vera donna e, su questi, sentii distintamente l’elastico delle sue mutandine “E qui cosa c’è?” mentii, ma avendo riconosciuto il sottile rilievo dovuto all’intimo che indossava, ripassai alcune volte sulla zona “non preoccuparti, lo vedremo presto” e ripresi ad accarezzarla, facendo un rapido passaggio anche sul basso ventre a sfiorarle la vagina, per dedicarmi con più attenzione alle cosce tornite e sode. Una vera bomba. Infiali la mano in tasca per prendere il coltello che, come avevo calcolato, mi sarebbe stato utile per toglierle i vestiti mentre era legata. Sollevai il colletto della sua camicia da notte e, infilata sotto la lama, presi a tagliare senza indugio, nonostante la stoffa pesante riuscii ad aprirla fino in fondo con tre colpi di lama. Il suo corpo stupendo appariva ora dallo squarcio nella stoffa, ma non era sufficiente, così tagliai anche lungo le maniche, in modo da lasciarla con la sola biancheria intima. Di colore bianco, verginale, non certo raffinata come quella di Chiara ma, comunque, dotata di una certa piacevole semplicità, aspettava solo il momento di essere levata. Il reggiseno era grande e robusto per contenere e dissimulare l’abbondanza di quel florido seno, per questo tagliai prima le due spalline e poi, inserita la lama fra i seni, avendo cura di non ferirla, con un sol colpo deciso, separai le coppe, liberando le sue dolci mele. Sfiorai il capezzolo sinistro con la punta dell’indice, giocando con quella piccola punta sporgente da una distesa marmorea di polpa, aggiungendo anche il pollice, in un leggero sfregamento tra i polpastrelli. Lo solleticavo, stringendo con maggiore forza, mentre l’altra mano si era impossessata del seno destro, saggiandone la forma e la consistenza. Il suo cuore batteva forte per l’agitazione ed il terrore così le parlai “Non aver paura, non voglio farti male. Rilassati e vedrai che sarà più bello di quanto tu possa aspettarti ” continuai a solleticare i capezzoli con le dita e, poi, con la punta della lingua, saettando veloce quelle puntine, che stavano crescendo, ingrossandosi e indurendosi per l’eccitazione. Il mio trattamento, per quanto forzato e non voluto, stava dando i primi frutti, e il suo corpo rispondeva visibilmente a quelle stimolazioni, per quanto lei cercasse di resistere e sembrare impassibile. I seni si erano fatti più gonfi e caldi, irrorati dalla maggior quantità di sangue, mentre i capezzoli svettavano duri e pungenti come chiodi. Struscia la faccia fra le sue belle bocce sode, cercando di prenderne una in bocca, per succhiarla, mentre la lingua non smetteva di tormentare il capezzolo. Mi staccai finalmente da quelle prelibatezze per dedicarmi al resto, facendo passare la mano aperta lungo il fianco sfiorai il suo addome piatto, e l’ombelico, piccolino, in cui inserii la punta dell’indice, prima di arrivare a toccare le sue mutandine. La mia mano sfiorò la stoffa che copriva ancora la sua fichetta, scendendo in basso fin dove permettevano le sue gambe tenute ben strette e aderenti fra loro. La toccai così per un po’ attraverso il tessuto, individuando la zona coperta dal pelo pubico, il monte di venere e la stretta fessura della sua micetta chiusa. Insistei ancora per qualche minuto con quella pratica, dedicando parte della mia attenzione alle sue cosce, sino a quando, prima impercettibili e poi sempre più nette, si formarono delle macchioline su quel triangolino di stoffa. In quel momento la guardai, era tutta rossa in volto, ma, subito dopo, divenne viola dalla vergogna, perchè le dissi “Direi proprio che ti piace, sei tutta bagnata come una cagna in calore,” e continuai, mentre insistevo nel massaggio facendole bagnare le mutande sempre più vistosamente “non sei proprio la santarellina che vuoi sembrare, ma con me non attacca”, e ripreso in mano il coltello tagliai le mutandine su entrambi i fianchi, quindi, impugnando i due lembi le tolsi finalmente anche le mutande, sfilandole dalle sue gambe inutilmente strette, forzandola a svelare e mostrare, per la prima volta, la sua intimità di donna ad un uomo. Il pelo folto e scuro a formare un rettangolo irregolare sopra il pube, mentre la vagina, dalle labbra gonfie, scompariva tra le sue cosce serrate “Falla vedere finalmente la tua fichetta, che aspetta questo momento da anni, ed io, io, sono il primo che la vede in tutto il suo splendore”. Le giaceva immobile sul letto accanto a me, senza difese, così, dopo aver contemplato ancora un po’ lo spettacolo del suo corpo nudo a mia completa disposizione, allungai la mano toccando il suo pube e la fica, bagnata e calda, ma lei si ostinava a tenere le gambe strette, impedendomi il libero accesso al suo più segreta intimità. “Smettila di fare la difficile, che tanto mi sono bastate quattro carezze per farti sciogliere e, alla fine, dovrai cedere e aprire le gambe” girò il viso facendomi capire che non voleva cedere, così ripresi “Ti conviene collaborare, e sarà piacevole anche per te, ma”, e le strizzai con forza un capezzolo, facendola gridare invano per il dolore, “se vuoi le cattive, posso accontentarti ed ottenere lo stesso ciò che voglio”. La minaccia fece effetto perché rilassò le cosce dischiudendole di quel tanto che mi bastava, lasciandosi finalmente toccare la fica per tutta la lunghezza. Il medio seguì il profilo delle grandi labbra, come una guida segue una pista, sino a quando, presa confidenza con quella vergine fessura, non le scostai per andare a solleticare la clitoride, che rispose subito ai miei tocchi, facendola bagnare nuovamente.”Vedi che ti piace, ma questo è solo l’inizio” le sussurrai lascivo “il meglio devi ancora provarlo” e mi abbassai a leccarla, avido dei suoi succhi. La sua prima reazione fu di chiudere le gambe, ma io la bloccai, poi, un po’ cedendo alle mie sollecitazioni e un po’ spontaneamente aprì per bene le gambe, permettendomi di vederla e toccarla come sembrava impossibile solo pochi minuti prima. Aveva sollevato le ginocchia piegandole verso l’esterno, in modo da lasciarmi campo aperto sul suo corpo, voglioso di quelle attenzioni sconosciute. Le aprii la fica con le mani scoprendo il clito e leccandola tutta, poi, con infinita delicatezza, spinsi la punta della lingua attraverso le piccole labbra fino all’imene. Una sottile membrana, che rappresenta tanto, però, ed è l’unica cosa che differenzia veramente le signorine dalle signore: le prime hanno ancora quel piccolo sigillo a proteggerle le seconde lo hanno rotto accettando il primo cazzo, gli altri contano poco. Inumidita la punta dell’indice destro lo infilai dentro di lei sino a quella barriera naturale saggiandone la resistenza, spingendo quasi sino a deflorarla, ma riuscii a fermarmi, senza interrompere il ditalino che le stavo facendo, mi aprii i pantaloni mostrandole il mio cazzo in tiro, voglioso di entrare in lei. La sentii irrigidirsi di colpo a quella vista, che per lei doveva essere la prima. “Non fare così” la rassicurai toccandole la micetta bagnata “non c’è nulla di cui avere paura, sei tutta calda e lubrificata che, anche se è la prima volta, non sentirai male”, finii di spogliarmi e fattomi vicino a lei lo misi sotto il suo nasino, perché sentisse l’odore del maschio eccitato, quindi sciolsi il laccio alle caviglie perché per montarla per bene dove avere le gambe libere. Non fece resistenza, ma dischiuse le gambe perché potessi sdraiarmi fra loro e sopra di lei. Tenni il bacino distaccato da lei puntando la cappella gonfia di voglia sulla sua fichetta, strusciandola con calma, masturbandola anche con il mio uccello sino a quando non fu lei stessa a cercare il contatto con il mio membro turgido. Le guardai il viso, rosso, per il desiderio e la vergogna, e nei suoi occhi lessi solo un irrefrenabile voglia di essere presa e così feci, inserendo in lei il mio uccello, sino all’imene e, dopo una breve pausa spinsi più a fondo, sverginandola. Un po’ di sangue uscì fuori a testimoniare l’avvenuta lacerazione della sua virtù Si avvinghiò con le gambe al mio corpo, per resistere al dolore, mentre veniva penetrata per la prima volta, mentre io, dopo il primo affondo, mi fermai dentro di lei, assaporando il calore di quella fica vergine. Lo tirai fuori da lei e lo infilai ancora, ripercorrendo per la seconda volta quella stretta via del piacere, e dopo la seconda, una terza, fino a perdere il conto delle volte in cui entrai ed uscii da lei. La scopai con vigore, facendola godere nonostante l’inesperienza, ma lei, tanto pudica e dimessa, nascondeva una femmina libidinosa, che necessitava solo di chi sapesse metterla in moto, per lasciarsi poi andare e godere. La scopai per buona parte della notte, godendo dentro di lei senza alcuna remora, alternando le posizioni che conoscevo e sperimentandone di nuove. La possedei, nel suo stesso letto, secondo la comunissima mossa del missionario, poi la feci salire sopra di me mostrandomi tutta la lussuria di cui era capace, facendosi scopare da sola dal mio uccello, la presi di lato distesi sul fianco, le gambe intrecciate, poi da dietro a cucchiaio infilandomi dentro di lei attraverso le cosce appena dischiuse, e, da li, infine, la rigirai sul letto e la scopai da dietro, come una cagna, tenendola dalle braccia ancora legate e dai capelli sciolti. Il gallo che cantava annunciando l’alba, mi fece capire che purtroppo era l’ora di andare così mi rivestii e, sciolti i legacci, le sussurrai “Questa è stata solo la prima volta, ma stai sicura che ti monterò ancora, ogni volta che vorrò farlo. Considerati avvisata. Se per caso pensi di raccontare tutto al preside ti sconsiglio vivamente di non sprecare il tuo tempo: primo perché probabilmente ti allontanerebbe, senza coinvolgere me e la mia famiglia, che è uno dei finanziatori più generosi dell’istituto, e in secondo luogo perché conosco qualcosa su di lui per tenerlo buono”, e senza esitare le sfilai anche il bavaglio, sicuro di non avere nulla da temere, la lasciai finalmente sola. La notte era stata lunga e piacevole così m’infilai sotto le coperte per tutta la domenica, alzandomi solo quando mi svegliò il rientro dei compagni di stanza che, tutti euforici per il permesso goduto, volevano raccontarmi le loro esperienze, senza sospettare dell’esperienza che avevo vissuto io stando la dentro. La notte stessa decisi di tornare a trovarla e, senza tante precauzioni, che ritenevo inutili vista la mia condizione di “intoccabile”, salii agli alloggi delle monache e, evitando di farmi scorgere, andai a trovare suor Carla. Questa volta accesi subito la luce, svegliandola dal sonno agitato che stava facendo, per gettarla nel più reale degli incubi. Lei aveva sperato, pregato ed implorato di aver sognato tutto, ma le vesti tagliate, la macchia di sangue sulle lenzuola e quel dolore profondo, che saliva dalla parte più intima della sua carne, la costringevano a fare i conti con la dura realtà: era stata violentata e sverginata nella sua cella da un seminarista alto come un soldo di cacio che, dopo aver fatto i suoi porci comodi per tutta la notte, l’aveva beffeggiata avvertendola che l’avrebbero rifatto tutte le volte che n’aveva voglia, con o senza il suo consenso, non importava. Aprì gli occhi ed io, il soldo di cacio, ero li, la guardavo mentre un ghigno cattivo si stampava sulla mia faccia “Alzati e mettiti nuda, o lo farò io” le ordinai e lei si sollevo in piedi ma, guardandomi in tono di sfida, mi rispose “Hai un minuto per uscire, poi mi metto ad urlare”. “Prova, fai pure, credi di farmi paura? Non sono io che ho perso la verginità e rischio d’esser cacciata” “Vattene” ripeté, cercando di spingermi via “Quanto tempo ci fai perdere, potremmo essere già a rotolarci sotto le coperte ma, se vuoi così” e con un rapido gesto delle mani sollevai la sua camicia da notte sfilandola da sopra la testa, quindi, le strappai letteralmente il reggiseno “Le mutande però le togli da sola” e arrossendo come la notte precedente si sfilo gli slip, lasciandoli cadere a terra. “Sei un maledetto maiale” disse senza cercare di coprirsi, sapendo già che era tutto inutile, così le toccai con una mano la fica, dolorante per le abbondanti attenzioni ricevute, e le tette, sempre desiderose di carezze “Fai piano, ti prego mi fa male”, “Non preoccuparti, vedrai che poi starai meglio” ma quando iniziai a spingerle dentro un dito si scostò dolorante “No, per favore” disse “fa male”. “E’ colpa tua, avresti dovuto iniziare prima ma, adesso, devi solo abituarti” e continuai quel ditalino preliminare, poi, una volta che le sue esitazioni furono cessate, sentendola bella calda, la rigirai e la presi da dietro, in piedi. Lo spinsi dentro di lei senza alcun’attenzione per la sua fichetta dolorante, stantuffandola fin da subito con decisione. Non era una scopata comune, me la sbattevo come un animale e, dopo esserle venuto dentro una prima volta continuai a montarla alla pecorina e, questa volta, lei era partecipe e protagonista principale, ondeggiando sulle ginocchia e sulle mani per meglio sentire l’uccello farsi largo dentro il suo corpo. La sua bocca emetteva mugolii di piacere sempre più forti ed ero quasi sicuro che qualcuna delle sorelle avesse sentito, ma nessuna venne a guastare il nostro incontro. La notte era ancora giovane quando la lasciai. Quella seconda volta era servita a piegare definitivamente la sua virtù alle mie voglie, da adesso, in ogni occasione, potevo salire nella sua cella e montarla. I nostri incontri erano piuttosto veloci nelle notti della settimana mentre durante il week-end ero solito infilarmi nel suo letto già dal tardo sabato pomeriggio, restando con lei fino al lunedì mattina. La scopavo senza risparmio ad ogni ora, tanto che le uniche pause che aveva erano dovute alle incombenze che la potavano fuori dalla cella La svegliavo di notte per montarla da dietro o di lato, la scopavo mentre cercava di vestirsi per uscire, e anche quando cercava conforto nella preghiera non smettevo di tormentare il suo sesso, che al lunedì mattina appariva vistosamente arrossato ed irritato. La possibilità di costringere quella donna più grande, che avrebbe dovuto avere una forza morale maggiore e un carattere più forte del mio, sia per semplice differenza d’età sia per la particolare posizione di religiosa, a piegarsi ogni volta ai miei desideri peccaminosi mi eccitava sempre di più, così non riuscivo ad essere sazio di lei.
Aggiungi ai Preferiti