I miei numerosi impegni per la comunità parrocchiale comprendevano l’insegnamento della religione nelle scuole. Questa possibilità mi permetteva di stare a contatto con i giovani in un ambiente diverso, che consentiva loro di essere spontanei ed aperti, come non erano durante gl’incontri di catechesi, in modo da lasciar trasparire le vere idee che li animavano, i loro pensieri e gl’interessi. In questo modo potevo confrontarmi con loro in piena libertà, avendo un dialogo franco, tra pari, stabilendo sempre un legame di fiducia e collaborazione. La possibilità di pormi sul loro stesso piano faceva si che gli studenti vedessero in me un amico e non un professore o un prete, così annualmente ero richiesto da più classi come accompagnatore per le gite. In quelle occasioni lasciavo alle scolaresche la più grande libertà, concedendo la massima fiducia. Li lasciavo completamente liberi per la sera, ponendo come unica condizione di non disturbare gli altri eventuali ospiti dell’albergo in cui pernottavamo. Alcune volte giravo un po’ per le camere, fermandomi a scambiare quattro parole amichevoli o facendo un paio di battute, senza turbare le loro attività, che nella maggior parte delle occasioni si limitavano a delle gran bevute, salvo casi particolari di nottate trascorse per locali o discoteche, o di coppie desiderose d’intimità. Le gite con me erano sempre delle feste ma, dopo tre o quattro notti passate in quel modo, i gitanti si riducevano ad agnellini, che dormivano per tutto il viaggio di ritorno. Il mio liberismo nei loro confronti non era disinteressato, infatti, se durante il giorno li portavo in giro come una perfetta guida turistica, la notte curavo i miei interessi particolari, accompagnandomi con le cameriere dei piani o con le ospiti dell’albergo. Non si può credere quante erano disponibili e desiderose di sedurre un timorato religioso, solo per il gusto di corromperlo, senza immaginare d’essere l’ennesima marionetta del mio teatrino privato. La cosa che mi sorprendeva ogni volta era come le mie stesse colleghe, sempre professionali e irreprensibili durante tutto l’anno scolastico, si lasciavano andare a comportamenti licenziosi durante le gite, sfoggiando jeans e magliette aderenti, camicette provocanti o scollate, gonne più corte del solito o autentiche minigonne, che mostravano buona parte delle cosce ogni volta che si sedevano. Alcune, con la scusa del troppo rumore fatto dai nostri studenti, non esitavano a bussare alla porta della mia camera nel cuore della notte, presentandosi con una leggera vestaglia, che si apriva magicamente al momento giusto, mostrandomi i loro audaci coordinati intimi, indicati più per sedurre un amante restio a cedere che per una tranquilla gita scolastica. Altre volte, se per caso ero io a bussare alla loro porta, a qualunque momento del giorno o della notte, mi facevano attendere un paio di minuti prima di aprire. La scena che si presentava era sempre la stessa: aprivano un piccolo spiraglio, riparandosi pudicamente dietro la porta, motivando l’attesa con la scusa della doccia. In quelle occasioni, se chiedevo in prestito una guida o un libro, non esitavano ad abbandonare il loro rifugio per recuperare quello che avevo chiesto, badando di lasciare la porta socchiusa in modo da mostrarmi i loro corpi nudi. Io non avevo interesse per loro, preferendo sfogare i miei desideri con le cameriere o con studentesse d’altri istituti, che pernottavano nel nostro stesso albergo. Una sola volta mi dedicai ad una collega durante una gita. Il suo nome era Alice, ed era una giovane supplente alle prime armi, convinta dagli studenti a sostituire la titolare anche per la gita. Bionda e molto graziosa, con un gran sorriso gioviale, appariva più simile ad una studentessa che ad una professoressa, senza considerare i pochi anni che la separavano dagli studenti. Era solita portare un paio d’occhialini piccoli e rotondi, più per darsi un tono che per effettiva necessità, come ebbe lei stessa modo di confidarmi, svelandomi tutta la sua insicurezza di giovane donna. Alice non sapeva l’effetto che faceva su colleghi e studenti, o forse lo sapeva e si divertiva a provocare, senza sospettare che stava per ricevere la giusta ricompensa. La gita a Parigi di sei giorni mi avrebbe permesso di conoscerla a fondo. La seconda notte in albergo mi sembrò più che adatta per iniziare ad approfondire la sua conoscenza. Mi presentai alla porta della sua camera col pistone già bello duro e pronto all’uso, ma non potei farne uso perché lei era fuori, in giro per le camere a fare festa come una studentessa. Il giorno seguente la rimproverai per il comportamento, facendola sentire in colpa, raccontandole delle voci che avevo sentito tra i ragazzi, voci che non la mettevano in buona luce.“Dovresti comportarti con più giudizio” esordii quel mattino mentre facevamo colazione, accompagnando le mie parole con uno sguardo severo.“Buon giorno don” rispose, cercando di rabbonirmi con un sorriso.Io rimasi serio, fissandola sino a farle sparire il sorriso dal volto.“Lei è una professoressa adesso, non una studentessa che può fare baldoria con i compagni. Deve fare più attenzione a come si comporta e a quello che dice”.“Non capisco cosa c’è di male a stare un po’ a contatto con gli allievi”.“Avere un rapporto amichevole con la classe va bene, ma non si deve esagerare, soprattutto ad una certa ora è meglio ritirarsi e lasciarli soli”.“Si certo, infatti, poco dopo mezzanotte mi sono ritirata in camera mia e…”Non le permisi di finire la frase, interrompendola a metà“Senza scolarsi mezza cassa di birra” detto ciò mi alzai, lasciandola sola a ripensare al suo comportamento.Quel giorno non le rivolsi più la parola e, ogni volta che i nostri sguardi s’incrociavano, lasciavo trasparire tutto il mio biasimo.Quella sera s’intrattenne con me nella hall dell’albergo, per discutere del programma per il giorno successivo. Sorseggiammo un paio di whisky come se nulla fosse ma, al momento di ritirarci, le proposi il bicchiere della staffa, in cui sciolsi una pastiglia di tranquillante. L’effetto della pillola sommato all’alcool non si fece attendere molto, infatti, una volta usciti dall’ascensore la testa cominciò a girarle, costringendola ad appoggiarsi a me.“Credo proprio di non essere più abituata al bere” biascicò, con la voce impastata, tipica di chi ha esagerato con l’alcool.“La giornata è stata molto faticosa, si appoggi pure” la confortai.La presi sottobraccio, portandola fino nella sua stanza, tastando senza patemi le sue forme già in corridoio. La buttai sul letto, spogliandola velocemente di tutti i vestiti.Il suo intimo era molto provocante, come m’aspettavo. Le sfilai il tanga scoprendo la sua fichetta, decorata da un piccolo triangolino di soffice peluria, che esplorai subito infilandoci un dito. Era secca e stretta ma non importava, come non importava il lamento che le avevo provocato con quella prima rude esplorazione. La notte era lunga, avevo tutto il tempo per scoparla con calma, come e dove volevo, facendola sciogliere come un panetto di burro. Lei era in totale balia delle mie voglie, incapace di rendersi conto di quello che le accadeva o di opporsi. Mi accovacciai così accanto alla sua testolina, sollevandola per i capelli, in modo da infilarle l’uccello tra le labbra appena dischiuse, mentre con la mano libera le palpavo le tette sode. La lingua era morbida e calda, molto piacevole ma totalmente inanimata. Totalmente passiva, non leccava ne succhiava come poteva o come volevo che facesse. L’effetto del calmante andava oltre le previsioni, così lasciai perdere la sua boccuccia d’oro e le allargai le gambe per montarla, senza curarmi del suo stato d’incoscienza. Spinsi la cappella attraverso le grandi e piccole labbra, penetrandola nonostante la secchezza della sua fica impreparata. La scopai con calma, senza fretta, concedendomi tutto il tempo che volevo, in modo da farla bagnare per bene nonostante il perdurare della sua incoscienza. Il suo corpo cominciava a rispondere alle mie attenzioni. La sua fica si era bagnata in maniera sufficiente da potermela scopare con pieno godimento, montandola fino a godermela anche in quelle condizioni. Una volta che le riempii la fica di sborra, la rigirai per farle anche il culo ma, dopo aver tastato quelle belle rotondità sode, mi venne una nuova idea. La lasciai da sola, ancora nuda sul letto, e andai a recuperare una macchina fotografica nella mia stanza. Il tempo di prendere la macchinetta e fui di ritorno nella camera di Alice, dove scattai tutto il rullino, riprendendola mentre giaceva completamente nuda. Le scattai dei primi piani della fica e del culo e, non contento, le misi il cazzo in bocca e la fotografai anche in quella posa oscena. Solo a quel punto mi ritenni soddisfatto e la lascia dormire, coprendola solo con una coperta, in modo che al risveglio si rendesse conto del suo stato particolare, comprendendo che qualcuno doveva averla spogliata la sera prima, senza che lei adesso potesse ricordare qualcosa. Il mattino seguente era piuttosto confusa e visibilmente imbarazzata, perché faceva delle domande sulla sera precedente, ma non riusciva a chiedermi direttamente com’era finita nella sua camera completamente nuda. Io non mi curai di lei per tutto il giorno, fingendo di non vedere la sua preoccupazione. Dissimulai abilmente, lasciandola ad arrovellarsi da sola sino al rientro in albergo, cosa che avvenne solo nel tardo pomeriggio. A questo punto i nostri studenti erano liberi di fare quello che volevano ed anch’io potevo dedicarmi ad Alice, e così feci, invitandola per l’aperitivo. Avevo deciso di giocare un po’ con lei, senza fretta, gustandomi con tutta calma il momento in cui l’avrei messa con le spalle al muro. Parlammo un po’, come la sera precedente dei programmi per il giorno seguente, quindi le dissi: “Ieri ti sei addormentata, spero che stavolta sarai più attiva “. “Ieri sera? Non ricordo nulla. So solo che… “ed arrossì, rendendosi conto in quel momento che ero stato io a metterla a letto, spogliandola dei vestiti.. “Dalla tua espressione direi che hai capito, brava, ma non sai ancora tutto”,continuai senza darle il tempo di finire il discorso, estraendo le foto che le avevo scattato e che mi ero fatto sviluppare in tutta fretta da un fotografo. Le sfogliò fra le mani, incredula, senza dire una parola, sino alla peggiore di tutte, quella che la ritraeva con il mio uccello in bocca. “Non dire nulla, ma fai solo quello che ti dico, o preferisci che tutti possano vedere queste foto?”. Scosse la testa, senza dir parola. “Allora adesso saliamo da te e approfondiamo la nostra conoscenza in privato”. Detto questo mi alzai dirigendomi agli ascensori, seguito da lei a breve distanza. La corsa fu breve e silenziosa, così come il tragitto sino alla sua camera. Il silenzio assoluto che ci aveva accompagnato sino a quel punto fu rotto dalla sua voce esitante. “Cosa vuole da me? Mi lasci stare, la prego “. “Stai tranquilla. Adesso, per cominciare ti spogli e poi vedremo cosa fare”.“Non può obbligarmi, non voglio farlo”, “Se non vuoi farlo va bene, però appena uscirò da qui le tue foto finiranno in mano a tutta la classe. Cosa dici, ti piace l’idea?”. Iniziò a piangere, mentre si toglieva i vestiti, sfilandosi uno dopo l’altro camicia, pantaloni ed intimo, sino a restare nuda di fronte a me.“Hai fatto la scelta giusta, brava “, e mi avvicinai a lei costringendola a chinarsi per succhiarmi il cazzo. In un primo momento cerco di resistere alla mia pressione, ma poi le ricordai come avesse aperto facilmente la bocca la sera prima, così dischiuse le labbra accogliendomi nella sua boccuccia. Succhiava bene, leccando la cappella con tutta la lingua, mentre con le mani mi segonava l’uccello e mi carezzava le palle. Era una vera esperta nel succhiare i cazzi, ma non le diedi soddisfazione resistendo per un bel pezzo prima di costringerla a bersi tutta la mia schizzata. La presi per le tette, meravigliose rotondità sode, portandola verso il letto.“Ma cosa vuole ancora, l’ho fatta divertire abbastanza “.“La notte è ancora giovane possiamo divertirci un sacco, non fare l’ingenua. Con quella bella fichetta che hai e quel culetto sodo, devi averne d’esperienza”. “No, basta, mi lasci “ ripeté ancora una volta. “Stai zitta, ma se vuoi parlare puoi raccontarmi quando hai cominciato a succhiare il cazzo e a prenderlo nella micetta “, le dissi, mentre cominciavo a strizzarle le tette e i capezzoli, duri ed eretti per l’eccitazione. Non disse nulla, mentre io continuavo a palpeggiala come e dove meglio credevo, saggiando la consistenza delle sue cosce tese, della fichetta umida o del suo culetto stretto.“Dai raccontami tutto, per bene, nei minimi particolari “ e le strizzai con forza un capezzolo, costringendola a svelare le sue passate esperienze sessuali. “Ho iniziato al primi anno d’università, con uno più grande, che prima mi ha convinta a prenderlo in bocca e dopo qualche mese mi ha sverginata “, “E com’era, bravo? Godevi? E ti faceva ingoiare tutto o cercavi di sputare ?”, Era tutta rossa per l’indecenza delle mie domande, che andavano a violare anche il suo spirito oltre che il corpo, ma non le diedi tregua costringendola a rispondere. “Le prime volte no ma, poi, mi ha convinta a provare costringendomi in seguito ad ingoiare ogni volta, tanto che mi scopava e poi mi veniva in bocca “. Era una cagnetta usa e getta, come mi confermo lei stessa raccontando di esser passata da un ragazzo all’altro per tutti i cinque anni d’università, sino al suo fidanzato attuale, con cui stava da due anni. “Una sera ad una festa avevo bevuto parecchio, non mi reggevo in piedi, così quel tipo n’approfittò sverginandomi sul sedile della sua macchina. Ma non fu il solo che mi fece ubriacare per poi scoparmi, prima o poi tutti quelli con cui uscivo si rendevano conto che non reggevo l’alcool e si approfittavano del mio stato” La spinsi sul letto e la chiavai senza esitare, spingendo l’uccello dentro di lei come avevo fatto la sera precedente, stavolta era fradicia ed accogliente, così scivolai dentro senza problemi. La montai come una cavalla senza tanti giochi raffinati, sbattendomela sul letto come la troia che era, sino a venire. Le scattai delle altre foto mentre mi puliva l’uccello con la bocca, quindi mi rivestii avvisandola che la nostra conoscenza era solo all’inizio, infatti, dopo una decina di minuti tornai da lei con una bottiglia di vino, costringendola a bere. Una volta ubriaca chiamai il portiere dell’albergo per farmi dare una mano ad organizzare una bella scopata di gruppo per la professoressa, cui parteciparono molti ospiti dell’albergo, contenti e felici di chiavare quella puttanella. Si prese parecchi cazzi di notevoli dimensioni quella sera, sia in bocca che tra le gambe, ma nessuno ebbe il permesso di sfondare il suo bel culetto. Quel privilegio era mio, ed ero deciso a goderne solo al ritorno a casa, perché il mio dominio su di lei doveva proseguire oltre la durata del suo incarico a scuola. Le foto che le feci quella sera mi servirono a tenerla in pugno come volevo io. Ritornammo a casa la domenica mattina dopo un viaggio piuttosto lungo, costellato di soste all’autogrill. L’autobus aveva appena imboccato lo svincolo, che conduceva verso la piazzola di sosta dell’area di servizio, quando le misi una mano tra le cosce, che lei cercò istintivamente di chiudere.“Ma cosa fai?, dai che ti do una rinfrescata alla figa”“La prego non qui, qualcuno può vederci”“E allora? Dai poche storie che ti piace farti sbattere come una cagna”“La prego” disse cercando di convincermi, ma era tutto inutile. Lei era a mia disposizione e potevo fare tutto quello che volevo. Prima capiva questo concetto e meglio era per lei.Approfittando della conformazione favorevole del mezzo, era un bus a due piani, ci ritirammo sul fondo del veicolo dove la feci accomodare sulle mie ginocchia, non prima di averle sollevato la gonna e di aver scostato le mutandine, in modo che il mio uccello s’infilò in lei, trovandola bagnata fradicia e molto accogliente. Nell’animo era una vera troia, che usava la scusa del bere per mascherare la sua vera natura di porcona. La chiavai per bene e, non contento, la costrinsi a restare accovacciata sotto il sedile, tra le mie gambe, con l’uccello in bocca, facendomelo succhiare per delle ore. All’arrivo la congedai informandola delle mie intenzioni per quel giorno:“Riposati un po’ ma non prendere impegni per il pomeriggio, che passerò a trovarti per sistemare un piccolo sospeso” “Ma oggi devo vedere il mio fidanzato, è una settimana che non ci vediamo “ rispose, come se la cosa potesse interessarmi.“Lo vedrai un altro giorno, ma non preoccuparti, scoperai lo stesso anche oggi pomeriggio, non con lui ma con me. Ci vediamo dopo”, e troncai il discorso raggiungendo la mia macchina. Alle tre mi presentai a casa sua, suonai, e dopo qualche minuto venne ad aprire. Indossava una tuta da ginnastica rosa e bianca, lucida e molto accattivante. Entrai e, senza dire una parola cominciai subito a palpeggiarla e a spogliarla, come se nulla fosse.“No, non voglio, smettila “, cercava di resistere.Le sue proteste erano vane. Avrebbe dovuto saperlo bene dopo quello che era successo negli ultimi giorni, ma continuava ogni volta con quella commedia al solo scopo, ne ero convinto ormai, di eccitarmi con la sua finta resistenza. Strinsi fra le dita la sua carne, che ben conoscevo e con un sol gesto le abbassai pantaloni e mutandine, mettendo a nudo la sua micetta. “No stai fermo “ disse ancora, cercando di spingermi lontano da lei.Le mie dita scorrevano lungo le grandi labbra, gonfie per il desiderio e l’eccitazione, dischiudendole un po’ prima di infilarsi decise dentro di lei, nel caldo umido nella sua vagina fradicia d’umori. Allora, senza una ragione, mi fermai, scostandomi di qualche passo guardandola negli occhi, senza fretta, mentre si rivestiva. Quando già pensava di essersi liberata dalle mie pressanti attenzioni, tirai fuori le foto che la ritraevano con me e con tutti gli altri. “Guarda un po’ queste, sei venuta molto bene nonostante avessi un cazzo in bocca e l’altro nella fica. Ti si riconosce ancora, anche qui “, “Sei un bastardo. Pensare che sei un prete, invece sei un porco schifoso “, “Certo, hai ragione ma se queste foto finiscono nelle mani della gente o del tuo fidanzato, chi è che viene svergognato? “, “ Dammele, ti prego”, “ Non ti devi preoccupare, con me sono al sicuro, però devi fare ancora quello che ti dico, come durante la gita”“Va bene, farro tutto quello che vorrai, ma ti prego..”, “ Inizia a spogliarti, così brava. Ho notato che non l’hai ancora preso nel culo. È un vero peccato che nessuno abbia potuto godere del tuo bel sederino ma, non preoccuparti,, oggi provvederò io a fartelo provare anche da quella parte “. Lei si liberò in fretta dei vestiti restando nuda, a mia disposizione, pronta a fare tutto quello che volevo.“Bene, non perdiamo più tempo. Mettiti su quella poltrona”“Non farmi male” disse, quindi si mise in posizione sulla poltrona di pelle che aveva nel soggiorno, in modo da esporre il suo culetto vergine al mio piacere. Le allargai un poco le chiappe, scoprendo meglio il suo forellino scuro, ancora chiuso e inviolato. Lo sfiorai con l’indice saggiandone la resistenza. Resistente ma elastico, sarebbe stato un piacere sfondarlo. Spinsi la punta del dito dentro di lei, iniziando ad esplorare il suo corpo anche da quella parte, facendola gemere per il male e la sorpresa di quella nuova pratica “E’ troppo presto per lamentarsi, non ho ancora iniziato “ l’ammonii mentre spingevo più a fondo in lei il mio dito.“Fai piano, per favore “ mi rispose stringendo i denti.“Taci, e prendilo nel culo senza tante storie, che non servono a nulla “, e le poggiai la cappella tra le chiappe. Adoravo sfondare un culetto vergine come quello senza dovermi curare dei preliminari.“Ecco lo senti il cazzo, che sta per sfondarti anche dietro, preparati “ e cominciai a spingere, nonostante la sua resistenza, conficcai la cappella in lei, facendola urlare, poi spinsi a fondo, penetrando con tutto il membro. Il suo culo si apriva al mio passaggio cedendo alla forza dell’invasore. Si allargava, docile, accogliendomi in lei. Spinsi con forza risalendo con tutto il membro nel suo corpo sino a sentire le sue chiappe vellutate appoggiarsi al mio pube villoso. Era una sensazione fantastica e così restai, immobile, per godermela il più a lungo possibile prima di staccarmi da lei nel movimento di uscita. La pistonai un po’ così senza mai uscire da lei, tenendola per i fianchi, letteralmente sollevata. La facevo scorrere lungo la mia verga, avanti e indietro sino a quando mi sembrò che si fosse adattata alla mia presenza in lei, allora, lo tirai fuori completamente concedendole una breve tregua.“Hai visto che non era così difficile” le dissi, schernendola, mentre ammiravo il mio lavoro di demolizione del suo culetto.“Mi brucia tutto” piagnucolò.“Ti sembra, ma secondo me questo ti brucia di più” e le rifilai un paio di sonori schiaffi sul sedere che, così nudo ed invitante, era una tentazione troppo forte. La sua pelle delicata si arrossò immediatamente mentre lei scoppiava a piangere per il male e l’umiliazione continua cui era costretta a sottostare.“Direi che ti sei riposata abbastanza” l’apostrofai, mentre vedevo che il suo culetto si stava richiudendo per bene.La spinsi di nuovo nella posizione iniziale“Giù, dai, sai come devi stare”Lei si mise in posizione prontamente. Nonostante la freschissima esperienza appena subita non oppose la minima resistenza, sottoponendosi docilmente ad un nuovo rapporto anale.La inculai per tutto il pomeriggio, facendole il servizio anche alla fica, mentre tra una chiavata e l’altra lo prendeva in bocca per farlo tornare duro più in fretta. In quel lungo pomeriggio di sesso non scordai di scattare altre foto, per immortalare le nostre prime scopate a casa sua. La sua permanenza a scuola finì dopo quindici giorni, ma non i nostri incontri, tantopiù che dopo un paio d’anni passò di ruolo proprio in una scuola dove insegnavo anch’io, così potevo darle una ripassata quando volevo. Adesso era una donna sposata, ma io continuavo a ricattarla con le foto, costringendola a partecipare alle gite scolastiche in mia compagnia, in modo da poterla scopare con tutta calma in quelle sere passate insieme in albergo.
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