Il mio cammino dopo il seminario, per quanto non potessi certo considerarmi adatto a quel compito, fu rapido e spedito, tanto che passai da diacono a prete, in tutto e per tutto, nel giro di un anno. Quell’anno lo trascorsi nel solito modo, senza cambiare di una virgola il mio comportamento, continuando a frequentare le operaie della fabbrica, mia cognata e, andando a visitarle al seminario, le mie monache, che, vogliose di certe attenzioni, facevano comunella fra loro, non osando cercare qualche nuovo compagno di giochi tra i seminaristi. I miei studi continuarono nella facoltà di teologia di una grande città. Questo mi permise, grazie alla rendita dei miei e, soprattutto, ai soldi che la brava segretaria continuava a passarmi, di fare il bravo pretino di campagna di giorno, e lo scopa tope la notte. Non era difficile girare per i locali, ben vestito, con soldi da spendere, rimorchiavo facile, e se non ci stavano le costringevo come ai bei tempi, nessuna poteva dirmi di no, o sfuggire al mio piacere. Le scopavo in macchina, l’avevo presa con la scusa di poter tornare a casa più facilmente, mentre era una specie d’alcova viaggiante, in cui feci la festa a molte studentesse, matricole e non, conosciute a qualche festa, che avevano accettato un passaggio per non rischiare brutti incontri nella notte pericolosa della città, senza immaginare che, dietro il mio aspetto tanto per bene, in me si nascondeva un maiale depravato. Quasi senza alcuna pietà approfittavo di quei corpi, violando tutti i loro pertugi in una sola notte di violenza. Solo raramente qualcuna mi impietosiva, allora proponevo magnanimi accordi, tipo non le avrei sverginate in cambio di un bel pompino con l’ingoio, fatto per bene, altre volte mi limitavo alla sodomia forzandole a sedersi da sole sul mio uccello duro, prendendolo nel culo pur di restare caste, certe volte non stavo ai patti e, sentendole godere per le mie attenzioni, le violavo incolpandole di provare piacere. Alcune volte davo la caccia alle coppie in cerca d’intimità, che s’imboscavano sempre negli stessi luoghi conosciuti da tutti. Non era difficile avvicinare una macchina isolata, magari coi vetri appannati, sorprendere il guidatore, tramortirlo, e prendere il suo posto con la ragazza, che, venuta per limonare un po’, si trovava a succhiare il cazzo di uno sconosciuto. Alcune volte le trascinavo nella mia macchina, già mezze nude, per costringerle ad appartarsi con me in qualche posto isolato, dove ricevevano il servizio completo, senza potermi negare nulla. Le mie scorribande raggiunsero il loro picco più oscuro una sera di febbraio, quando, spalancata la porta e tramortito il ragazzo, il mio sguardo s’incrociò con quello della fanciulla, sino a quel momento accovacciata sull’inguine del fidanzato per succhiargli l’uccello. Biondina, i capelli corti a caschetto, subito non l’avevo neppure notata, ma ora riconoscevo in lei mia sorella. Un grido strozzato le uscì dalla gola, mentre mi riconosceva a sua volta, le tette fuoriuscivano dalla camicetta aperta, senza reggiseno, mente la gonna risaliva lungo le cosce, quasi a scoprire le mutandine. “Non dirlo a papà” disse lei, vedendo in me lo sgherro incaricato di vigilare su di lei, mentre la realtà era ben diversa. Colsi l’occasione al volo, prendendola per il polso, la tirai fuori dall’auto così come stava, senza lasciarle il tempo di ricomporsi, conducendola nella mia vettura parcheggiata lì vicino. Il suo corpo era ben fatto, le gambe dritte, le tettine rotonde, un vero bocconcino prelibato. “Chi è quel maiale?” le dissi “Sono sicuro che a casa vorranno sapere con chi facevi la troietta, solo dopo qualche mese in città”, “No, per favore, non dirlo o mi faranno tornare a casa”. “Certo che lo sapranno, anzi, adesso ti porto a casa, così come sei”, e le fermai le mani mentre cercava di rivestirsi. “No, ti prego, ti prego, ti prego” continuò così tutto il viaggio, mentre io le davo certe occhiate, di sfuggita, ammirando le sue grazie esposte in bella vista. La cosa non le era sfuggita, del resto l’avevo fatto proprio per quello, così prese a spostarsi un po’ per mostrarsi meglio, arricciando la gonna sino a scoprire le autoreggenti.”Allora, fratellone, ti piace lo spettacolo?” disse, avvicinandosi a me, strusciandomi le tette sul braccio. “Ma sei pazza?” risposi fingendomi sdegnato,”sono un prete”, ma lei continuò “L’hai mai vista una donna nuda? direi di no da come mi guardi, curioso come un bimbo davanti a un nuovo balocco”. Restai zitto, deglutendo vistosamente, senza riuscire a parlare. “Allora non sei curioso?”, “Ho visto abbastanza, copriti”, “No, adesso resto così, e comunque non hai visto il meglio, lo sai” e allargo le gambe, ridendo del mio presunto imbarazzo, facendo risalire ancora la gonna, sino a scoprire le sue mutandine rosse, di pizzo. Attese qualche secondo, lasciandomi a combattere con quelli che credeva fossero i miei principi morali e religiosi, mentre in realtà fremevo dalla voglia di vedere fino a che punto si sarebbe spinta. “Dai non vuoi vedere la patatina?” mi sussurrò, suadente “Non sei curioso, è l’occasione buona, senza rischi”.”Veramente me la faresti vedere?”, risposi, dissimulando ancora i miei pensieri, “Certo. Però non dovrai dire nulla di stanotte”. Esitai per qualche minuto, mentre le aveva già le mani sulle mutandine, pronta a levarle. “Va bene, starò zitto” e lei veloce si scoprì ai miei sguardi, mostrandomi la fichetta rosa, il cui pelo era tagliato in un sottile rettengolino. La guardai, scrutandola da ogni posizione, mentre lei con gli occhi ridenti si beava della situazione, compiaciuta di avermi tentato e dell’effetto che mi faceva il suo corpo nudo. Rosso in viso per l’eccitazione del momento, sembravo imbarazzato come un pivello, così, per spingere ancora più a fondo il suo gioco, mi disse “Puoi toccarmi, se vuoi”. Questo era il momento che attendevo, e mi feci avanti, mostrandole una perizia e una raffinatezza, che non poteva aver trovato nei suoi giovani compagni. I suoi seni rotondi furono i primi a beneficiare della mia esperienza, subendo le carezze delicate delle mie mani che, alternando tocchi leggeri e decisi, non ci misero molto a farle lievitare i capezzoli, già parzialmente eccitati da quel gioco perverso. La mano scivolò verso il suo basso ventre, senza trovare ostacolo, sfiorai la sua sottile spazzolina, giungendo alla fica, che subì lo stesso elaborato trattamento delle tette. Era bagnata, ben lubrificata e così non esitai ad inserire un dito, dubbioso sulla sua verginità, in quella vagina grondante, ma non disse nulla, accogliendo con piacere quel dito, che le regalò in fretta un piacevole ditalino. “Oh cavolo” disse, la voce impastata dall’emozione, “sei fantastico, si così, bravissimo”, e la feci impazzire leccandola per bene, in particolare sulla clitoride, come mai aveva provato. Allungò la mano tra le mie gambe, curiosa, per sentire la ma erezione, trovandola di proporzioni certamente notevoli tanto da estrarre il membro, prima per menarlo e poi per ingoiarlo tutto sino alla radice. Mi spompinò sino a farmi venire nella sua bocca assetata. Ripiegai, allora, i sedili ribaltabili e le andai sopra, coprendola con il mio corpo e il mio cazzo, senza trovare esitazioni da parte sua, che mi prese dentro di se con slancio, allargando le gambe per scopare meglio con suo fratello. La chiavai per bene quella sera, godendomi la maiala di mia sorella, poi, la costrinsi a trasferirsi a casa mia, diventando la mia serva tuttofare, che mi scopavo la notte mentre il giorno faceva le sue faccende e quelle di casa. Il mio potere su di lei era, ed è, tale da condizionare la sua vita, infatti, le trovai un marito debole, sottomesso e passivo, che assecondava i suoi desideri, e conseguentemente i miei. Andavo e venivo da casa loro come volevo, scopandomela ad ogni occasione, la costringevo all’astinenza col marito, per coinvolgerla, poi, in giochi a tre, dove io mi presentavo mascherato e irriconoscibile, scopandola davanti a lui, relegato al ruolo di spettatore. Quando lui scappò di casa lasciandola sola, la presi con me, come perpetua. Nonostante la giovane età, nessuno trovò di che ridire grazie alla parentela, così mi ritrovai a poter scopare tranquillamente in canonica a qualsiasi ora, con la sicurezza di un pompino ogni mattina assieme alla colazione a letto.I miei compiti di giovane curato erano piuttosto vaghi, a discrezione del parroco titolare, ma la cosa non m’interessava perché io avevo già abbastanza da fare per i cavoli miei, senza dover svolgere compiti particolari. Uno degli aspetti che più mi solleticava era la possibilità di ascoltare le confessioni delle donne, che mi raccontavano i loro affari, di cuore e di letto. Alcune, senza dubbio, godevano nello stuzzicare le mie fantasie, raccontando d’avventure mirabolanti, esperienze orgiastiche o rapporti saffici con vicine, amiche, cugine o qualsiasi altra femmina del paese. Altre, invece, più riservate e timide, mi raccontavano i loro rapporti col marito o con l’amante, delle fantasie che avevano, o della frustrazione sessuale per la mancanza di rapporti con i legittimi consorti. Avevo il metro esatto della situazione sessuale del paese, potendo valutare tutte quelle informazioni riservate, incrociandole tra loro, potevo sapere chi era più disposta e disponibile per una storia o un’avventura, chi cerava consolazione o affetto e chi, infine, doveva essere costretta. Lusingate tutte dalla mia figura di religioso, finivano per darmela su un piatto d’argento, facendosi chiavare nelle loro case, a letto, sul tavolo della cucina, sul divano del salotto o in qualsiasi altro posto si presentasse. Le selezionavo solo per età, limitandole mie scelte tre le diciotto ventenni e le trenta trentacinquenni, di fatto la più vecchia che scopai fu suor Germana, con i suoi quarantuno anni splendidamente portati. Per il resto non facevo distinzioni fra giovinette, ragazze, donne, spose e mamme, le chiavavo tutte appena si presentava l’occasione buona. Se l’occasione tardava a presentarsi facevo in modo di aiutarla occupandomene direttamente, come durante un corso per i fidanzati, di preparazione al matrimonio, in cui tra le varie coppie una mi aveva colpito in modo particolare. Lei carina, fine ed elegante, religiosa, lui grezzo, volgare, non praticante, stridevano molto fra loro. Ma la cosa che mi fece scegliere lei, Francesca, fu la sua confessione di aver consumato prima del matrimonio. Era il mio solito sistema dei sensi di colpa, e così alla fine di una lezione tenuta per le sole ragazze, la chiamai, mentre stava per lasciare la saletta in compagnia delle amiche “Scusa, Francesca, puoi fermarti un attimo?”, “Certo padre, mi dica”, “Sai la faccenda è un po’ delicata, ma preferisco parlarti ora, prima d’informare i tuoi, che ci sono dei problemi col matrimonio”. “Scusi, ma quali problemi ci sono? Non capisco proprio”, disse lei visibilmente preoccupata, “Sai, per dirtela tutta, è la storia dell’abito, il bianco verginale, non puoi più indossarlo, vero?”. Rimase confusa dalle mie parole, non sapendo cosa ribattere. “Vedo che hai capito di cosa parlo, puoi andare, buonanotte” le dissi congedandola senza aspettare. “Ma padre Felice”, disse con la voce rotta dal pianto, “io come faccio, adesso, a dirlo ai miei? Sa quanto ci tengono a queste cose, e anch’io ci tengo, sin da bambina ho sempre sognato la cerimonia, la musica ed io che arrivo con uno splendido abito bianco con lo strascico”, “Dovevi pensarci prima, sventurata, prima di cedere al peccato della carne”. “Padre la scongiuro, la prego, mi lasci sposare in bianco”, “La questione sarebbe più facile se tu avessi peccato solo una volta, e la data fosse vicina, ma, ahimè, ti sei concessa più volte, anche di recente, e probabilmente avevi intenzione di rifarlo alla prima occasione”. Abbassò lo sguardo, ammettendo tacitamente la sua colpa, sconsolata. Attesi qualche istante, quindi, ripresi a parlare “Una soluzione, molto antica e poco usata ci sarebbe, ma ti avverto che non è facile”, “Va bene, qualsiasi cosa sia sarà meglio della vergogna”, “Sto parlando di un antico rito di purificazione, ed espiazione, che veniva praticato sulle donne disonorate per non farle ripudiare dal marito o dalla famiglia”, “Non importa, farò quello che devo”, “Aspettami qui, e intanto levato la gonna, mentre vado a prendere il necessario, o hai cambiato idea?” le dissi, lasciandola lì da sola, ancora ferma in mezzo alla saletta.Recuperai velocemente il materiale che avevo già preparato e mi nascosi a spiarla, per vedere cosa faceva durante l’attesa. Una volta rimasta sola si era sfilata gonna e collant, restando con il solo golfino, che tirava di continuo per coprire un po’ di più, sul davanti e sul dietro, le sue mutandine bianche. La feci attendere per una ventina di minuti, prima di presentarmi armato di uno scatolone da cui presi un paio di candele, che accesi, avvicinandole alle sue parti intime. Recitavo frasi in latino prive di significato, spargendo per l’aria l’incenso purificatore. Dopo dieci minuti di messinscena recuperai un vasetto d’olio, contenente una lozione afrodisiaca, per ungerle le parti intime. M’inginocchiai di fronte a lei e scostai il maglione sollevandolo di qualche centimetro, scoprendo per bene i suoi candidi slip, che cercai subito di abbassare “No, ma che fa, padre? Le mutande no” disse, “Figliola per il rito ti devo ungere le parti impure, o hai cambiato idea e preferisci restare come sei?”. Attesi un attimo la sua disponibilità, che si manifestò attraverso le mani, che lasciarono la loro posizione a difesa dell’intimo indumento. Ripresi a salmodiare mentre la mia mano destra s’infilava sotto i suoi slip, a diretto contatto con la sua fichetta liscia. Li scostai un poco di più, e cominciai ad esplorare il suo sesso, stretto e piccolo, dalla fessura sottile fra le grandi labbra poco rilevanti. Le stavo facendo un bel ditalino, strofinando il mio dito dentro di lei, avanti e indietro, ricordando ogni tanto di applicare un po’ di lozione. Si bagnava per bene, eccitata dalle carezze e dall’afrodisiaco, arrivando a gemere piano di piacere, tutta rossa per la vergogna del suo corpo nudo e dei suoi istinti manifesti, “Mi scusi, padre, ma..” non concluse, tappandosi la bocca per non gemere ancora. “Non importa, adesso però fammi dare un’occhiata da vicino” e le sfilai gli slip scoprendola del tutto, “allarga un po’ le gambe per farmi controllare”, così aprì le cosce facendomi vedere per bene il suo rosa fiorellino. Lo dischiusi e la toccai più a fondo, nella sua parte più nascosta e intima, solleticandola sino a farla godere senza ritegno. “Va bene adesso girati, che così finiamo”, e nonostante le sue timide proteste, professando la sua integrità posteriore, si voltò mostrandomi il su delizioso sederino, bianco e rosa, bello alto dalla curva morbida, con le fossette ben visibili. La esplorai anche da quella parte, trovandola ben stretta. Era fantastico sentirla stringere quelle sue chiappette, per impedire il passaggio al mio dito attraverso il suo forellino posteriore. Continuai imperterrito, ungendola per bene anche da quella parte, e, ritenendomi soddisfatto, recuperai dalla scatola la parte finale e determinante del mio armamentario. La misi ai suoi piedi, e, senza che si accorgesse, la tirai su, fissandola stretta alla sua vita, chiudendo immediatamente dopo anche la parte trasversale, che costituiva la vera sicurezza di quella cintura di castità. “Ecco, così non peccherai più”,”Ma cosa, padre la prego me la tolga” disse lei dopo aver cercato inutilmente di levarla da sola. “Con quella non rischierai più di peccare, però” dissi “per toglierla c’è solo questa chiave, o la fiamma, ma non credo che ti piacerebbe. Se provi a forzare la serratura, quella si rompe e addio”. “Va bene, ho capito, ma quanto devo tenerla?”. “Non hai capito, questa parte la stacco, così”, dissi sciogliendo parzialmente la parte che copriva i suoi intimi orifizi “In modo che puoi fare anche con me le cose che hai fato col tuo ragazzo, altrimenti, dovrai spiegare perché hai la cintura” “Mi hai ingannata porco schifoso”,”Si, piccola, sono un porco, e adesso non fare la difficile, mettiti giù da brava, che ti monto subito” e senza alcun indugio le spinsi l’uccello tra le cosce, scopandola da dietro con mio grande piacere. La sua fichetta aperta mi accolse tutta bagnata e vogliosa, desiderosa d’esser riempita da qualcosa di lungo e duro, non le importava chi fosse, tanto era il vuoto che sentiva tra le gambe. La scopai in piedi, senza tanti giochi, facendomi una sveltina, rimandando di approfondire la cosa in un altro momento. Una volta fatti i miei comodi con lei, la congedai dicendo “Vai pure a casa, ora, ma ricorda di passare a trovarmi sabato mattina, avrò più tempo da dedicarti. Mi raccomando metti qualcosa di carino, anche sotto, voglio vederti vestita come la troia che sei”. Il sabato si presentò verso le dieci con indosso un lungo cappotto nero che copriva una camicetta leggera, con una vistosa scollatura, e una minigonna molto audace, che lasciava intravedere ad ogni passo l’elastico nero delle autoreggenti di rete, che le fasciavano le gambe. Tacchi alti e trucco vistoso completavano la sua trasformazione, da fanciulla bene a troia “Brava, ti sei messa proprio un così bel completo che è un peccato fartelo togliere. Tieni solo le calze, che me l’hai fatto venire già duro, e sono pronto per scoparti per bene”. Lei si tolse i vestiti con pochi rapidi gesti, restando praticamente nuda, a mia disposizione. Staccai il pezzo della cintura che la bloccava, e iniziai ad occuparmi della sua fichetta, scavandola a fondo, con tocchi profondi e delicati fino a farla bagnare. La presi, montandola nel modo classico, sino a farla godere, poi, la rigirai per scoparla da dietro, alla pecorina, stringendo le sue belle tette rotonde, mentre venivamo assieme. La scopai ancora quella stessa mattina, facendola impalare sul mio cazzo, per vedere come sapeva muoversi e come le piaceva sentirlo dentro. Persa ogni inibizione, si dimenava vogliosa e lussuriosa sul membro, danzando leggera sul palo del piacere sino a godere e a farmi godere. Nei mesi che seguirono le pistonai la fica molte volte, e anche la bocca e il culo si presero la loro dose di cazzo duro, abituandola a prenderlo da tutte le parti. Un altro bel soggetto che castigai in quel periodo si chiamava Paola, ed era una delle catechiste e animatrici della parrocchia. Era una ragazza decisamente attraente, di ventotto anni, bionda, con gli occhi celesti, fisico morbido, che dedicava il suo tempo libero al volontariato. Non aveva un fidanzato e, a dirla tutta, era un po’ troppo bigotta per trovarne uno fuori della cerchia degli attivisti religiosi. Spegneva i suoi impulsi sessuali masturbandosi intensamente, carezzandosi i seni abbondanti, pratica che le dava un gran piacere, come mi raccontò lei stessa in confessionale, cedendo alle mie richieste sempre più esplicite e pressanti. La fanciulla aveva bisogno di qualcosa di ben più duro e lungo delle dita, per soddisfare quella sete, e io ero il più qualificato a soddisfarla, sia per esperienza sia per posizione, essendo il pastore del gregge era mio compito provvedere ai bisogni delle pecorelle. L’occasione per cominciare a farmela si presentò durante un week-end trascorso in ritiro con gli animatori e i catechisti della parrocchia, cui io partecipai al posto del parroco. La nostra sistemazione per la notte era confortevole, visto che alloggiavamo in un albergo convenzionato con la curia. Io mi occupai di assegnare le stanze in modo da avere le camere contigue e comunicanti tramite una porta interna. La chiave fu la prima a sparire, in modo da aver libero accesso alla sua stanza. Lei non fece questioni per questo particolare, ritenendo, a torto, di non aver nulla da temere da parte mia. La sera del venerdì non successe nulla di rilevante, dopo cena mi ritirai presto seguito da tutti, che imitarono il mio comportamento. Il sabato passò veloce tra discussioni e gruppi d’approfondimento e riflessione, per cui la sera c’era voglia di divertimento, che io stesso assecondai e incentivai in prima persona, convincendo tutti a partecipare. Una chitarra e quattro vecchie canzoni furono sufficienti a coinvolgere il gruppo, io ci misi del mio offrendo qualche giro al bar, scaldando gli animi e sciogliendo molte inibizioni, sicuramente nelle stanze ci fu parecchio movimento e non fui il solo a concludere. Paola, che aveva partecipato alla serata con trasporto, resa più sciolta dall’alcool, cui non era solita, venne corteggiata per tutta la sera da due catechisti, ma senza assecondarli in alcuna maniera. All’una qualcuno si era già ritirato, ed io feci altrettanto poco dopo, dichiarando di non essere abituato a far tardi, l’invitai a continuare tranquilli. Il mio esempio venne seguito da alcuni, e tra questi Paola, che si dichiararono stanchi e desiderosi di dormire. Arrivati al nostro piano ci salutammo sul corridoi, augurandoci la buonanotte ma, appena dentro la stanza, ci ritrovammo ancora faccia a faccia, perché avevo lasciato aperta la porta interna. “Sembra che stasera non debba finire” le dissi, avvicinandomi alla porta, come fece anche lei. “No, davvero, è stata una splendida serata, ma forse ho bevuto troppo, non sono abituata”, “Neppure io lo sono, ma mi sento bene, così bene da fare una pazzia”, e le sfiorai la mano, con una carezza leggera. “Cosa dice, padre, siamo stanchi”, e tentò di chiudere la porta. “Ho visto una persona diversa questa sera, così sorridente e allegra, diversa dalla solita Paola, austera e rigida”, “Grazie, ma non so cosa dire, mi mette un po’ in imbarazzo” rispose arrossendo, “Non devi dire nulla, perché non c’è niente di cui vergognarsi” e le carezzai, amichevole, il braccio, la spalla e, poi, la schiena. “Sei una creatura stupenda, ma dovresti imparare a scioglierti un po’” continuai la mia opera di seduzione. “Ma lei è un prete” disse, rendendosi conto che la mia mano cercava d’infilarsi sotto il suo grosso maglione bianco, “Sono il tuo pastore, ma sono anche un uomo”, “No, padre, non possiamo osare”. La baciai, bloccando le sue lamentele con la mia lingua, infilata nella sua bocca, a solleticare la sua. Il suo corpo rispose alle mie attenzioni, mentre la sua lingua si strusciava sulla mia. Si staccò da me dopo un tempo significativo, cercando di riprendere il controllo “Fermiamoci, siamo in tempo” disse cercando di chiudere la porta per la seconda volta, ma la baciai di nuovo, assecondato da lei con slancio. Ci baciammo così, in piedi, desiderosi di non interrompere quel momento, con le mani che scorrevano ad esplorare i nostri corpi. Le strinsi il sedere polposo, mentre lei spingeva le tette contro il mio petto. Le sue mani mi carezzavano indecise, desiderose di conoscere tutto quello che non avevano mai provato prima. Mi carezzo la schiena e i lombi, esitando un attimo, uno solo, prima di portare la sua mano fra le mie gambe per toccare la vistosa erezione, che sentiva premerle sulla pancia. Emozionata per l’effetto che mi faceva, si sentiva una vera donna, sensuale e capace di sedurre. Quella sensazione le faceva provare un’emozione fortissima, come un calore che la bruciava dentro, come una smania che non capiva, mentre si sentiva bagnare tra le gambe. La pilotai verso il letto, su cui ci ritrovammo a rotolarci, spogliandoci dei vestiti, prima di congiungerci e consumare i nostri corpi. Ormai praticamente nuda, la baciai sui seni, generosi, con i capezzoli dritti, eccitati, come sapevo che le piaceva. Mi dedicai con particolare intensità a quelle dolci colline del piacere, succhiandole e leccandole al meglio delle mie non indifferenti capacità, sino a farla godere delle mie attenzioni. Continuando le mie carezze sulle sue tette vogliose, spostai la bocca sul corpo nudo, sin giù al basso ventre, per baciarle la fichetta madida d’umori. Scostai le mutandine, scoprendo, con mia grande sorpresa, che era depilata completamente. Gonfia dal desiderio, umida, s’intravedevano le piccole labbra, strette e ben chiuse. La baciai tra le gambe, mollemente aperte e disponibili, leccando quella fica vergine con piacere. Titillai la clitoride, mentre con la mano carezzavo il monte di venere, regalandole un nuovo piacere. Lei, intanto, giocava con il mio uccello, toccando vogliosa quella splendida durezza, che non conosceva ancora, senza decidersi ad abbassarmi i boxer per vedere il mio maestoso uccello in tutto il suo solido splendore. Mi spostai allora vicino a lei, stando in ginocchio, le presi le mani portandole ad afferrare quella stoffa che mi cingeva la vita,”Levali, dai, lo so che desideri vederlo”. Non aveva più scuse, o paure, e senza esitare mi scoprì l’uccello, ammirando finalmente la virile consistenza del mio essere. Lo prese in mano, curiosa, prima con calma e poi con forza, vogliosa di sentire il duro nerbo che stringeva tra le dita, che pulsava caldo e vivo nelle sue mani. Menava il mio uccello un po’ impacciata, con uno stile tutto personale, mi faceva una sega senza distogliere gli occhi dal mio glande, che lievitava tra le sue mani. Abbassò la testa leccandomi la punta del cazzo, curiosa di sentire il suo gusto. Fu solo una leccata, veloce e improvvisa, che nel giro di pochi secondi divenne un maestoso pompino. Lei, assaporato il gusto dell’uccello, non aveva resistito ad aprire la bocca per ingoiarlo, succhiandolo con insistenza, quasi con troppa foga, ma lasciai che facesse come credeva. Aspirava il cazzo nella sua bocca, menandolo anche con le mani, mi fece capitolare in breve e, vincendo il riflesso di levarsi il mio uccello schizzante dalla gola, mi trattenne a labbra strette per godersi il mio schiumoso regalino, che ingoiò tutto. Era stata incredibile, nella sua prima esperienza orale, ma si superò continuando a succhiare il mio tarello per farlo restare vispo e pronto all’uso. Ci disponemmo in un incredibile 69, da manuale, con le nostre bocche a darci piacere, ma sentivo che lei voleva di più, voleva andare oltre, sino in fondo, sperimentando un rapporto completo con un uomo. Voleva essere penetrata e posseduta come qualsiasi donna alla sua età. Io esitavo a staccare la bocca dalla sua fichetta profumata di nuovo, ma lei era decisa e, rotto ogni indugio, disse “Ti voglio dentro di me, fammi sentire donna”, “No, non stasera, non voglio derubarti del tuo candore, ma posso accontentarti lo stesso”, e mi staccai da lei, che non capiva cosa intendevo.”Perché non mi vuoi?” disse, delusa, “Ti voglio, non sai quanto, ma non posso prenderti, non così almeno”, e la rigirai docile nelle mi mani, infilando sotto di lei un cuscino. Aveva le cosce dischiuse a mostrare la sua fichetta rosa e vogliosa e il suo forellino scuro, ben visibile tra i suoi lombi delicati. L’accarezzai, sfiorando la sua vagina umida, mentre lei spostava il bacino per farsi toccare ancor meglio, aprendosi ulteriormente ai miei sguardi, totalmente abbandonata nelle mie mani.”Non qui”, le dissi, spostando la mano tra le sue cosce sino a toccare l’ano”ma qui puoi essere mia”. Non disse nulla mentre la informavo delle mie intenzioni, restando silenziosa mentre la baciavo, insalivando quella parte. “Fai piano” disse mentre già le avevo inserito una parte dell’indice dentro il sederino stretto,”certo, non aver paura, sarà stupendo vedrai” la rassicurai, continuando la mia opera. Faticava, ma era decisa ad andare avanti, per sentire l’uccello dentro di lei, per il suo e il mio piacere. Le davo qualche veloce leccata alla fichetta per distrarla e rendere la cosa più gradevole e sopportabile, in modo che non si lamentò quando le infilai due dita nel culo. Il suo buco, elastico, cedeva al mio passaggio, così decisi di passare alla penetrazione vera e propria. Stavo sopra di lei, il cazzo puntato sul suo culetto desideroso, le mani a sollevarle i fianchi, portandola a contatto diretto con il glande. Spinsi, facendomi largo dentro di lei, dilatando il suo piccolo anello di carne con una spinta costante “Eccolo, vedrai non sarà più difficile di prima”, “Fai piano, com’è grosso non sono sicura”, “Rilassati vedrai, è un attimo” e con un colpo deciso infilai tutta la cappella, facendola urlare nel cuscino. “Fa male, brucia”, disse con un filo di voce,”Non preoccuparti, è solo un attimo, poi passa” e concessole qualche secondo per adattarsi a quel grosso corpo estraneo che era entrato dentro di lei, ripresi a spingere, affondando in lei. Una goccia di sangue testimoniava il collasso dello sfintere, dilatato oltre il limite, e laceratosi per ricevermi. La montai da sopra, sbattendo i suoi fianchi verso i miei, facendoli scorrere sul mio bastone ben piantato in lei. La sfondai senza gentilezza, in modo rude e forte, appagando il suo desiderio di essere presa da un uomo, facendola godere per la prima volta con un cazzo nel corpo, anche se nella parte meno comune. La inculai a più riprese quella stessa notte riempendo più volte i suoi visceri col mio bianco latticello, facendola godere come mai prima d’allora. La nostra storia continuò per alcuni mesi, sino a quando lei, scioltasi finalmente alla vita, non conobbe un ragazzo, che sposò in breve tempo, assaporando con lui il piacere della prima volta.
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