La mia permanenza in quella sede non fu molto lunga, infatti, dopo solo sei mesi fui trasferito dal paese ad una nuova parrocchia, questa volta in città. La sistemazione mi sorprese parecchio, e mi creò non pochi fastidi dover interrompere certe amicizie, che avevo consolidato con molte difficoltà. Il mio incarico mi costrinse a ricominciare tutto da capo e, come potei rendermi conto sin dal primo impatto con la nuova realtà, la situazione si presentava assai diversa. Il quartiere dove esercitavo era costituito da un nucleo di case più vecchie e signorili, cui si erano affiancate numerose file parallele di palazzi, anonimi e tutti uguali fra loro, abitati da campagnoli e meridionali. I costumi si erano fatti promiscui, in maniera più che proporzionale all’aumento della popolazione e al suo concentramento in piccoli spazi ristretti. Il tutto si rifletteva sui rapporti personali e sul modo d’intendere la religione, considerata come una consuetudine da sbrigare la domenica mattina, che veniva dimenticata per il resto della settimana. Nella mia posizione di curato potevo rendermi conto facilmente di tutti i cambiamenti che avvenivano nel tessuto sociale della comunità, dove l’unità familiare stava andando allo sbando, con le famiglie che si sgretolavano di fronte al consumismo sfrenato. Erano gli anni del boom economico e l’inizio dell’emancipazione femminile, che significava lavoro per tutti anche per le donne, che si trovarono così ad affrontare i nuovi problemi del lavoro assieme alla gestione della casa, che restava sempre di loro competenza. I costumi si fecero più liberi, le ragazzine lasciate sole a casa per tutto il giorno finivano per cedere alle insistenze dei fidanzati, consumando il primo rapporto a soli quindici anni, come venivano a confessare il sabato pomeriggio. La grande libertà di cui godevano non era priva d’inconvenienti, infatti, capitavano gravidanze indesiderate, che scatenavano delle vere e proprie tragedie familiari, perché nel profondo erano ancora schiavi di un certo modo di pensare. In particolare le famiglie meridionali erano le più chiuse e retrograde, dominate da un padre padrone, che esaltava i figli maschi alla conquista, pretendendo la purezza assoluta dalle figlie. Una mattina, mi ero insediato da qualche settimana, bussò alla porta della canonica una donna, che cercava il mio aiuto proprio per un problema di quel tipo. “Padre, mi deve aiutare, la scongiuro” disse precipitandosi in casa. “Mi dica signora, cosa posso fare per lei, con calma, e intanto si sieda e riprenda fiato”. “E’ una tragedia. Una tragedia, padre, m’aiuti.”, “Ho capito, ma cerchi di essere più chiara, non capisco niente”. “E’ incinta. La mia piccola Carmela aspetta un figlio. Ha solo diciotto anni”, “Ma un figlio è un dono, dovrebbe essere felice” risposi, mentre cercavo di ricordare il viso di questa fanciulla. L’immagine che mi si materializzò nella mente era quella di una bionda, tinta, molto vistosa ed esuberante, non certo la fanciulla per bene che riteneva la madre. “Padre, mia figlia non è sposata, va a scuola, con ottimi voti e, con la borsa di studio poteva continuare” mi spiegò fra le lacrime. “Parlerò con suo marito, vedrà, e anche con il ragazzo. Sistemeremo tutto”. “No, la scongiuro, mio marito non deve sapere nulla, o potrebbe fare una pazzia”. “Allora cosa vuole che faccia?”. Abbasso lo sguardo, incerta, quindi esplose come una bomba “Ho bisogno di soldi e non so da chi altro andare, la prego mi aiuti”. “Soldi?” le chiesi stupito, “Soldi per far cosa?” ma mentre parlavo avevo afferrato il motivo di quella richiesta. I soldi servivano per un aborto clandestino. “Esca di qui, subito”, le dissi alzandomi e aprendo la porta. “La prego, mi aiuti sono disperata, non per me ma per mia figlia”, “Lei è proprio disperata signora, per farmi questa richiesta, e io dovrei denunciarla”.”La scongiuro, mi aiuti”. Il mio cervello lavorava già ad una soluzione vantaggiosa per tutti, quindi, elaborata una certa idea mi rivolsi alla mia disperata ospite “Lei signora mi sembra ancora molto giovane per avere una figlia diciottenne”, “Sì, anch’io feci uno sbaglio, a quattordici anni, e mi sposai presto”. “Tale madre, tale figlia. La cosa non mi sorprende, in ogni caso io ho una soluzione alternativa”, “Lo volesse il cielo”.”Ascolti, sua figlia andrà in collegio dalle suore, studierà e avrà il bambino, senza che nessuno lo sappia. Un domani, se vorrà potrà andare a cercarlo e raccontargli la verità”. Rimase a riflettere sulla cosa, prima di rispondermi “Ma è sicuro che si possa fare? Ma mio marito cosa dirà?”.”Penso a tutto io, però dovrete ricompensare il mio impegno”. “Cosa devo fare?” disse pronta, “Voi due, insieme, mi farete passare qualche ora piacevole, mostrandomi come sapete essere troie”. Il mio discorso la sorprese, lasciandola esterrefatta, più di una sberla in pieno viso, “Vi do un paio di giorni per rifletterci, poi parlerò con chi di dovere” e la spinsi fuori di casa. Il giorno seguente, subito dopo pranzo, suonò il campanello e, aperta la porta, me le trovai davanti.”Accomodatevi pure” e mi scostai per farle passare, “Datemi i cappotti, e incominciate a spogliarvi”, “Un momento, prima ci sono delle condizioni”, “Sentiamo”, “Io farò tutto quello che vorrà, ma mia figlia potrà solo guardarla”.”No, voi fate tutto quello che voglio, senza obiettare, da brave, o potete filare subito senza perdere altro tempo”. La figlia fu la prima ad accettare la mia offerta, cominciando a spogliarsi, imitata dalla madre. Si era sfilata solo la camicetta, svelando un reggiseno bianco di pizzo da cui fuoriuscivano i capezzoli, da vera troia, quando la fermai “Vieni qui e fai vedere a tua madre come succhi il cazzo”. Lei s’inginocchiò davanti a me e lo prese in bocca, succhiandomi l’uccello davanti alla madre. “Brava, così lecca la cappella, sei proprio una brava lustra cappelle, si vede che hai molta esperienza”. Assunta, la madre, si era quasi denudata completamente, scoprendo un completo intimo di pizzo nero, molto provocante. Le sue tette, grosse e mature, erano in bella vista mentre si sfilava le mutandine “Sbrigati, che devi darle il cambio” le dissi, e quando prese il posto della figlia prendendomi il cazzo in bocca, continuai “Sentiamo se la mammina è brava come la figlia” e, rivolgendomi a Carmela “levati tutto, anche tu, tieni solo il reggicalze”. In quel modo mentre la madre, alquanto inesperta, teneva l’uccello in bocca, la figlia si scopriva mettendo in bella mostra una fichetta completamente rasata. “Torna qui adesso, che è il momento di bere” e, fattele inginocchiare entrambe, con le bocche aperte e le lingue protese, iniziai a strusciare la cappella e il cazzo su di loro, masturbandomi, sino a venire. “Bevete, bevete, brave” dissi mentre schizzavo direttamente nelle loro gole, poi sulle loro facce. “Ripulitevi, tra voi” e mi sedei a guardarle leccarsi la sborra dal viso. Quello spettacolino mi aveva fatto già ricaricare così le portai in camera da letto, facendole stendere una per lato, riservando per me il posto in mezzo. “Hai visto che bella fichetta liscia ha la tua Carmela?” e, continuai rivolto all’altra “mentre Assunta ha il pelo lungo, da signora. Ma siete entrambe due troie, vero?” e infilai le dita nelle loro fiche, senza scrupolo, menandole con forza per farle bagnare. La madre, abituata a quel modo si bagnò in fretta, così la montai per prima, “la prima sei tu, bagnata come sei si vede che non vedi l’ora di prenderlo”, e la scopai, infilandola senza problemi, le gambe aperte, pronta per ricevere il mio cazzo. La mia bocca faceva la spola sulle loro tette, gustando quelle grosse di Assunta e quelle più piccole e sode di Carmela, i cui capezzoli si stavano ingrossando per l’eccitazione “Brava così, toccati per bene la fichetta, ti voglio tutta bagnata e pronta”. Scopai la madre fino a sentirla godere, senza vergogna distesa accanto alla figlia, quindi mi dedicai alla ragazza, che cercò di coprirsi la micetta con la mano per impedirmi di montarla, ma fu solo un attimo, perché non oppose una vera resistenza quando spostai la mano per entrare in lei. La presi per i fianchi sollevandola verso di me, mentre stavo inginocchiato fra le sue gambe aperte, sino a penetrarla. “Dalla madre alla figlia” dissi, “Eccola qui la tua puttanella, come lo prende senza un fiato” continuai poi, mentre la chiavavo sotto gli occhi della madre, sconvolta, ma incapace di distogliere lo sguardo da quello spettacolo, orrendo ed eccitante. La montai sino a farla gemere, e finalmente mi lasciai andare godendo nel suo giovane corpo, con immenso piacere. Il mio furore non era certo passato, però, volevo vederle in azione fra loro, così le invitai a lesbicare. La madre si mostrò più docile, assecondando quella richiesta con slancio, mentre la figlia esitava a toccare la madre nelle parti intime, limitando le sue carezze al viso, al ventre o alle gambe. “Non così, mettetevi una sopra l’altra, a 69, lo sapete com’è. Brave” dissi loro, facendole disporre secondo i miei gusti. La madre con la testa fra le gambe della figlia, leccava la micetta, ricevendo le stesse attenzioni nella sua intima fessura. La fica della figlia grondava umori misti a sborra, che la madre provvide a ripulire, affondando senza ritegno nel sesso della sua bambina, che, dopo il primo imbarazzo, la ricambiava con lo stesso slancio, aiutandosi con le dita, che allargavano la fica sgrillettandola senza pietà, sino a farla godere. Lo spettacolo che mi offrivano era troppo eccitante per restare a fare lo spettatore, così mi posizionai dietro la madre, direttamente in primo piano per Carmela, facendole vedere come mi fottevo il culo della sua genitrice. Assunta strinse le chiappe sentendo l’uccello entrarle anche da quella parte, ma non si lamentò, abituata a quella pratica, come notai non trovando molta resistenza. “La tua mamma è una porca che lo prende nel culo senza un lamento, e le piace molto da come si muove”, infatti, Assunta si era ingobbita per facilitarmi la penetrazione, ed ora si muoveva, stringendo le chiappe, per sentirmi meglio e più a fondo. Carmela continuava con il suo ditalino, ma allungava la lingua a leccare le mie palle pelose, succhiando delicata lo scroto, regalandomi un piacere fortissimo. La feci urlare di piacere prima di uscire da lei, quindi mi apprestai a fare lo stesso servizio alla ragazza, “Vediamo se la figlia è aperta come la madre” dissi mentre spingevo la cappella tra le chiappe tese di Carmela, che aveva cambiato il suo posto con la madre, che ora vedeva a sua volta lo spettacolo. Spinsi la cappella attraverso lo sfintere, cedevole, ma no abbastanza, da lasciarmi entrare senza sforzo. Lei gemeva, piano, mentre la madre le allargava le chiappe con le mani permettendomi di affondare nel suo giovane, e poco usato, culetto. La inculai con forza, rompendole il culo per bene, aprendolo in modo vistoso, sfondandolo definitivamente. La cavalcai con vigore, rifilandole colpi decisi e sempre profondi sin dentro la pancia, scavando nelle sue viscere un solco di piacere e lussuria, che riempii con la mia sborra rigogliosa. Soddisfatto anche il mio ultimo istinto le lasciai da sole, a ricomporsi, ritirandomi in sala. Quando finalmente si ripresentarono dissi loro che erano state ai patti e che anch’io avrei fatto quanto promesso, sistemando la cosa nel migliore dei modi. Carmela finì in collegio dove partorì in gran segreto, diplomandosi e continuando gli studi grazie alla borsa di studio che le feci avere, mentre Assunta, che veniva da me prima a chiedere notizie della figlia lontana e poi a portarle, continuò a farsi chiavare per sua libera scelta.Alcuni giorni dopo quell’episodio cominciai a frequentare una ventottenne di nome Sabina, sposata e madre di famiglia, che divenne mia amante per alcuni anni. Ricordo ancora perfettamente il nostro primo incontro amoroso e la scintilla che diede il via alla nostra relazione. Nel corso d’alcune confessioni ero venuto a sapere che il marito se la intendeva con la segretaria dello studio, e non solo con quella, infatti, il loro matrimonio era finito molto presto, e lui andava cercando, tra le braccia di facili conquiste, quello che la moglie non gli dava. Lei stessa, Sabina, manifestò la propria frustrazione sessuale, durante la confessione del sabato, raccontando di come si toccasse da sola la notte, sino a provare piacere. La presenza del figlio piccolo la teneva legata al marito, che l’aveva minacciata di tenerlo con se, nel caso avesse avuto una relazione extraconiugale. Bella ed elegante, sempre vestita con molta classe, era un fiore che lentamente appassiva senza essere stato colto, ma solo annusato di sfuggita. Il suo bel visino, reso ancora più giovanile dai capelli neri raccolti in due simpatici codini sbarazzini, lasciava trasparire il temperamento focoso della giovane donna assetata d’amore e di sesso, che io ero ben disposto a darle in dosi massicce.Il momento migliore per avvicinarla era durante l’ora di catechismo, quando restava sola senza l’intralcio del figlio, per questo rifilai al bambino un invito da consegnare alla madre, in modo che, la settimana successiva, si fermò a parlare con me, come le avevo chiesto. Con la scusa di offrirle un caffè l’invitai a seguirmi in sacrestia e qui, fattala accomodare, sfoderai tutte le mie tecniche di coercizione e seduzione. “Suo figlio Paolo è propri un bravo bambino, però mi sembra sempre un po’ triste e pensieroso”. “Si è veramente il mio tesoro” rispose, “ma certe volte credo che sia fin troppo sveglio, e che capisca come vanno le cose tra me e mio marito”. “Avete problemi? Sembrate una coppia così affiatata e soddisfatta”. “Fingiamo, e da molto, solo per Paolo”. Il suo delicato profumo mi giunse alle narici, inebriandomi con quell’aroma fiorito, stimolandomi una vistosa erezione. “Forse non dovrei dirlo ma lei è così bella che faccio fatica a crederle”, dissi facendola arrossire un po’, rendendola ancora più desiderabile. “Grazie padre, è molto gentile, ma non sa da quanto non me lo dice nessuno”. “E’ bellissima, lo ripeto” dissi ancora una volta, suscitando la sua franca risata “Se continua così potrei anche crederle”, “Deve farlo, perché ha un sorriso stupendo e dei capelli incredibili”, e allungai la mano a carezzarle la testa. Bastò il contatto della mano maschile per farla emozionare. Il suo respiro si era fatto veloce, eccitata dalla mia presenza vicino a lei, quasi a diretto contatto con il mio torace. Scostai i capelli sfiorandole il collo sottile e delicato, mentre le mie labbra incrociavano le sue per un lungo istante “Cosa stiamo facendo, no siamo ancora in tempo” disse cercando di scostarsi da me, ma io la cinsi con un braccio intorno alla vita attirandola a me, per baciarla con passione. Le sue mani cercavano di allontanarmi, mentre la sua bocca mi cercava, aprendosi alla mia lingua, sino a quando il desiderio non ebbe il sopravvento, e mi strinse in un morbido abbraccio. Si strusciava contro di me come una gatta in calore, strofinando seni e bacino sul mio corpo, desiderosa del contatto maschile. Le mie mani corsero in basso a stringere quei lombi vogliosi di carezze, mentre continuavo a baciarla. Sentiva la mia erezione, solida e sfacciata, premerle contro il ventre, così mi scivolò tra le braccia, con il viso all’altezza del cavallo, e sfacciata ma naturale come solo una giovane donna può essere, mi aprì i pantaloni prendendo tra le labbra la mia mascolina virilità. Lo reggeva saldamente con una mano, mentre con la testa dondolava avanti e indietro lungo l’asta, ingoiandola tutta sino alla radice, l’altra mano si era infilata nella patta a vellicarmi lo scroto, stuzzicandolo sia coi polpastrelli sia con le unghie. Succhiava vogliosa, bramosa di placare quella sete, per tanto tempo rimandata, così l’accontentai, regalandole il mio bianco nettare, che bevve sino all’ultima goccia. La sua sete era placata, almeno per il momento, ma ora che aveva riscoperto il piacere dei sensi non poteva accettare la solitudine, in cui era costretta da anni. Era già trascorsa un’ora così, incapace di trovare le parole da dire, uscì dalla saletta senza proferire verbo. Recuperando il suo aspetto controllato, si diresse con passo sicuro all’ingresso, dove, da lì a qualche minuto, sarebbe ricomparso suo figlio Paolo. Il mattino seguente, non più tardi delle 8,40 la trovai fuori della canonica, che gironzolava quasi aspettasse qualcuno, “Bella giornata, vero? Padre Felice”,”Bellissima davvero. E’ per questo ch’è cosi mattiniera?”, “Sono sempre in giro a quest’ora, accompagno Paolo, e poi torno alla mia casa vuota, tutta sola”, che a leggere fra le righe voleva dire “sono libera fino a mezzogiorno per cui se ti va di montarmi sono disponibile e pronta all’uso”. “Beata lei che ha tutto quel tempo a disposizione, io ho lezione sino alle dieci, dopo mi potrò dedicare ai miei interessi per qualche ora”, che significava “verrò alle dieci, stanne certa”, “Va bene, la saluto, buon lavoro”.Alle dieci e dieci suonai alla porta di casa sua e dopo qualche minuto le stavo leccando la fica, bollente e bagnata fradicia, poiché lei una volta a casa si era masturbata sino al mio arrivo. Mi aveva aperto con il sorriso sul volto, accogliendomi vestita con un abitino semplice, con due spalline sottili, che lasciava le spalle nude. Il tempo di chiudere la porta e si era gettata fra le mie braccia baciandomi vogliosa mentre con le mani faceva scivolare le spalline lungo le braccia, sfilandosi il vestito, restando completamente nuda. Aveva un seno sostenuto, piacevole, con due capezzoli rotondi e scuri come cioccolatini. Il ventre piatto presentava una leggera peluria all’inguine quasi ad annunciare la sua fichetta rosa. Le succhiai le tette, mordendo delicatamente quei capezzoli duri, stringendoli tra i denti e stuzzicandoli con la lingua mentre le mie mani scorrevano lungo la sua schiena, sulle reni tese, fino ai lombi, morbidi e arcuati. Strinsi le sue rotonde colline posteriori, godendo la soda consistenza di quelle carni fresche. La mia bocca la baciò piano fra i seni e poi giù e ancora più in basso sino alla sua intimità, così a lungo trascurata. Bastarono pochi passaggi della mia lingua esperta sulla sua clitoride per farla sciogliere in un dolcissimo orgasmo, che le fece colare un denso e profumato miele tra le cosce. La leccai in profondità mentre lei cercava di spogliarmi e, parzialmente riuscita nei suoi intenti, mi condusse in camera, per concedersi con tutta calma sul letto coniugale. Lei si era adagiata mollemente sul letto, le gambe spalancate e invitanti, desiderose di stringere un maschio, così finii di spogliarmi mentre lei si toccava davanti a me, invitandomi con i gesti a sostituire il mio membro alle sue dita. Mi distesi sopra di lei, reggendomi sulle braccia, mentre il glande la sfiorava, leggero, preannunciando la penetrazione che tanto aspettava. Sollevò il bacino per affrettare i tempi e aumentare il contatto con il membro. Non la feci attendere oltre, abbassandomi piano e penetrando in lei dolcemente. La cappella si fece strada attraverso la sua vulva calda e lubrificata, perfettamente accogliente e preparata a ricevermi. Lo spinsi dentro di lei sino al fondo, riempendola tutta, quindi cominciai a stantuffare, piano, con calma, prendendo un ritmo tranquillo. che ci fece crescere lentamente, sino a godere in modo travolgente. La sentii gemere più volte in quel mattino di sesso trascorso a letto con lei ma, nonostante il mio impegno, era sempre pronta a ricominciare, tanti erano gli arretrati che doveva recuperare. Io non potevo lamentarmi per la sua esuberante sessualità e mi adattai, accontentandola ogni volta con lo stesso entusiasmo. Era uno spettacolo vederla muoversi e contorcersi sul mio uccello, femmina scatenata che voleva amare ed essere amata come la stupenda creatura che era. Si concesse a me senza riserve, donandomi tutto il suo corpo quel mattino stesso, come fece infinite altre volte dopo quella prima e indimenticabile mattina.
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