Il mio stato di prete aggiunto alla parrocchia, come ho detto, mi lasciava molto tempo libero, che sfruttavo per le mie esigenze particolari, però, avevo anche dei compiti da svolgere come, appunto, insegnare religione in alcune scuole, tra cui un istituto superiore, oppure presenziare alle riunioni giovanili e officiare le funzioni religiose. La mia preferita era, ed è, la riconciliazione o confessione, che mi permetteva di conoscere i retroscena nascosti delle famiglie e delle persone della parrocchia. Le cerimonie religiose, però, se nella maggior parte dei casi sono momenti di gioia, presentano un momento molto spiacevole quando si deve dare l’estremo saluto ad una persona cara. I funerali non mi sono mai piaciuti ma, uno in particolare, fu il più triste fra tutti quelli che officiai in quella parrocchia. Il caro estinto era un giovane di ventiquattro anni che, morto per un incidente sul lavoro, lasciava la moglie di soli vent’anni. Il destino sembrava accanirsi contro questa giovane donna, infatti, era orfana e senza parenti, e il rapporto con i genitori del marito non era mai andato bene, poiché i suoceri la ritenevano inadeguata per il loro unico figlio. La cerimonia era stata molto significativa, con i genitori e parenti da un lato e vedova con alcuni conoscenti e vicini dall’altro. I suoceri non le mostrarono nessun segno d’affetto, lasciandola da sola a piangere per tutto il tempo, neanche quando svenne mostrarono un po’ di compassione o d’interessamento per lei, lasciando che venisse assistita da estranei. I miei numerosi inviti a stare uniti nelle avversità per farsi coraggio e forza rimasero inascoltati e, alla fine della funzione, i genitori se n’andarono lasciandola da sola nel suo dolore. I giorni seguenti non potei dedicare tempo a quella faccenda, preso com’ero dalle mie faccende con Sabina e Assunta, così finii quasi per dimenticarmi della cosa. Una decina di giorni più tardi venne da me una delle anziane signore del palazzo dove abitava la giovane coppia, per riferirmi la sua preoccupazione per la ragazza, che era chiusa in casa dal giorno del funerale. La ringrazia per la gentilezza, assicurandola che mi sarei interessato della sorte di quella sventurata già da quel pomeriggio. Erano passate da poco le tre quando suonai il campanello di quell’appartamento. Attesi un paio di minuti e riprovai, insistendo sicuro della sua presenza. Una breve attesa e finalmente udii una voce di donna “Chi è?”, “Sono padre Felice, sono venuto a vedere come sta”. Si sentì scorrere il catenaccio e girare la serratura, e dopo qualche istante, la porta si aprì. Gli occhi rossi di pianto furono i primi particolari a colpirmi di quella figura esile che si stagliava tra la parete e la porta. I capelli biondi, corti con la frangietta, erano l’unica nota di colore sul nero del vestito che indossava. “Sono venuto a vedere come sta” ripetei, “Oh padre,” disse, ma la voce fu interrotta dalle lacrime, così, per cercare un fazzoletto, si spostò dalla sua posizione lasciandomi libero accesso alla casa. “Figliola,” dissi, prendendo posto accanto a lei sul divano dove si era accasciata in preda allo scoramento, “devi cercare d’essere forte. Lo so che è difficile, ma la vita continua e poi Marco ti vorrebbe vedere felice, e non in lacrime”. Il solo nome del marito le provoco una crisi di pianto, disperato più del precedente “No, non fare così” dissi cercando di farla smettere di piangere. “Sono sola, di nuovo sola. Nessuno mi vuol bene” disse, con la voce rotta dai singhiozzi. “Non è vero, hai tante persone che ti vogliono bene, tutta la comunità è pronta ad aiutarti se lo vuoi”. Le lacrime, che sembravano chetarsi, ripresero a scorrere, copiose. “Non fare così, dai” le dissi asciugando le sue lacrime, alcune delle quali erano cadute perfino sul vestito. I miei gesti frettolosi e ingenui, quando tamponai le lacrime che imperlavano il tessuto all’altezza del seno, divennero subito dopo più insistenti e mirati, tanto che lasciai cadere il fazzoletto, cominciando a toccare le sue tettine senza pudore. I suoi piccoli seni, forse una seconda misura, erano privi del reggiseno, così potei percepire chiaramente, anche attraverso la stoffa, la voluminosa consistenza del capezzolo. Le stringevo la tettina fra le dita, mentre lei piangeva quasi senza rendersi conto di quel contatto indiscreto. Continuai ancora con quelle carezze, gustando la consistenza di quelle piccole colline, stuzzicando col pollice il capezzolo senza alcun pudore. “No, ma cosa fa padre” disse, recuperando un momento di lucidità, accorgendosi di quello che le stavo facendo. “Hai proprio delle belle tettine, perché non me le fai vedere?”. “No, lasciami” disse, cercando di allontanarmi, ma le rifilai un ceffone in piena faccia, “Stai buona, adesso, che ci penso io a te” e le stracciai parte del vestito, scoprendo la sua spalla sinistra, e la sottostante spallina della canottiera che indossava. La palpeggiai di nuovo, stringendole il seno con forza, quindi, le dissi, mentre mi alzavo in piedi “Vai avanti da sola a spogliarti”, e aperta la patta dei calzoni tirai fuori l’uccello. La presi per i capelli tirandola verso di me costringendola ad aprire la bocca per ricevere il cazzo “Succhialo per bene intanto che ti spogli, che dopo ti consolo anche tra le gambe”. La sua bocca ben stretta sul mio cazzo succhiava con vigore, aspirando sino in gola con tutte le gote, mentre la lingua, morbida, passava sul glande solleticando il frenulo. Le sue mani intanto avevano provveduto a slacciare i bottoni di quel che restava del suo vestito ed ora stavano facendo scorrere le spalline oltre le spalle e le braccia in modo da scoprire le sue piccole tettine, dai capezzoli rosa. Le lascia l’uccello in bocca liberandomi di pantaloni e boxer quindi tornai accanto a lei a giocare con i suoi seni come più mi piaceva. “Brava, ma perché no hai levato anche queste?” dissi, spostando le sue mutandine per toccarla tra le cosce, ancora chiuse e strette. Aveva una leggera peluria, una ricrescita, che indicava come avesse trascurato di depilarsi il pube dalla morte del marito. “Ci penso io a eliminare questo impiccio”, e la spinsi sul fianco, senza trovare resistenza da parte sua. Era abbandonata nelle mie mani così senza indugio strappai il bordo del tanga che indossava, provvedendo ad una prima esplorazione del suo giovane culo e della sua fichetta. Strinse le chiappe mentre le mie dita, senza rispetto si facevano strada nella sua intimità, violando contemporaneamente i suoi pertugi. Le sollevai la gamba destra, scoprendo la sua fica, quindi cominciai a penetrarla di lato,”Ecco, il cazzo, prendilo”, “Nooooooo” si lamentò, piano e inutilmente, mentre il mio uccello le risaliva dentro, sempre più a fondo, “Ecco prendilo tutto così, fino in fondo” le dicevo mentre la penetravo fino alla cervice senza pietà, e iniziavo a muovermi in lei, con rapidi colpi, scopandola senza tregua. La posizione non era delle più comode, così dopo un paio di tentativi per continuare in quel modo, dissi “Dai datti da fare e fammi vedere che bella troietta sei”, e la tirai verso di me facendola salire a cavalcioni per scoparla così. Lei si era impalata sull’uccello e si muoveva lenta col mio grosso randello piantato fra le cosce, dentro la vulva bagnata, che ad ogni movimento si apriva sempre di più, concedendosi completamente all’invasore. Le succhiavo le tette, con i capezzoli ingrossati e duri, mentre con le mani le tastavo il culo, rifilandole degli schiaffi, incitandola come una cavalla recalcitrante “Dai, puledrina, fammi godere, così brava, fatti cavalcare, che si vede che ti piace prenderlo”. Lei, facendo forza sulle cosce e puntando le mani sulle mie spalle, si muoveva veloce e sinuosa sul mio uccello, facendolo scorrere per tutta la sua lunghezza, attraverso la sua fica, attenta a non lasciarlo uscire. La scopavo comodamente seduto sul suo divano con lei che si dimenava sul mio uccello, avanti e indietro, sino a farla godere, in modo intenso, nonostante cercasse disperatamente di trattenere i gemiti che le risalivano dalla gola. La sentii venire attorno al mio cazzo, con la sua fica che si contraeva, spasmodica, percorsa dalle onde del piacere che saliva ed esplodeva in lei. “Brava, così dai, sculetta per bene, muovi la fica e fammi godere”, la spronai senza che ne avesse bisogno, perché dopo il primo orgasmo aveva continuato a dimenarsi sul mio uccello, cercando di godere ancora. Lasciai che cavalcasse il mio cazzo per un secondo giro di valzer, poi, fattala godere, le permisi di scendere “Va bene, adesso mettiti così, girata verso il muro”, facendole poggiare le braccia sul bordo del divano in modo da lasciarla di spalle con il sedere in bella mostra. Mi avvicinai a lei e mettendole una mano sulle reni le dissi “Stai ferma così, brava, che lo prendi anche nel culo”, cercò di voltarsi per dire qualcosa ma le diedi un ceffone sulla testa “Zitta, troia, non parlare, non ribellarti. Lo puoi solo prendere nel culo, adesso, e lo farai come voglio io”. Spinsi la cappella attraverso il suo stretto sfintere vergine, sfondandola senza curarmi del male che le provocavo, fino ad entrare in lei con tutto l’uccello, sino alla base del cazzo.”Eccoti impalata per la prima volta, il tuo maritino non te l’aveva mai messo nel culo, ma era ora che cominciassi a prenderlo anche li”. La montai deciso, senza curarmi dei suoi pianti o delle suppliche fino a sentirmi esplodere le palle, allora, mi lasciai andare riempendole lo stomaco della mia sborra “Spero che ti sia piaciuto e d’averti consolato un po’. Stai sicura che tornerò ancora a trovarti per non lasciarti troppo sola”, e la lasciai accasciata sul divano. Recuperai i miei vestiti e prima dia andarmene presi le chiavi di suo marito e le dissi “Stai tranquilla, adesso ho le chiavi del tuo maritino, e potrò tornare a chiavarti ogni volta che vorrò”. Il mio trattamento le diede la scossa per superare il lutto, ma la costrinsi per molto tempo a subire i miei desideri.
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