La comunità dei fedeli non è un’entità fissa nel tempo, ma tende a variare anche molto velocemente, nel caso di trasferimenti e traslochi, che possono riguardare numerose famiglie in un breve lasso di tempo, come quando si costruiscono nuovi complessi residenziali in aree incolte. Alla fine del 1983 si conclusero i lavori nella ex-zona verde della parrocchia, che era stata riconvertita in terreno edificabile, permettendo una grossa speculazione immobiliare per alcuni loschi figuri. I nuovi edifici comprendevano negozi, uffici e abitazioni, di varie tipologie e finiture, secondo le disponibilità e i gusti dei diversi acquirenti. I nuovi membri della comunità erano persone normali, appartenenti alle diverse classi sociali, si andava, infatti, dalla famiglia operaia a quella borghese, sino al giovane professionista, rampante, single tutto ufficio e lavoro. In questa categoria particolare potrei includere anche Manuela, una giovane avvocatessa, trasferitasi nella nostra città da un’altra regione. Il nostro primo incontro avvenne all’ingresso dello stabile dove lei aveva lo studio, fu uno scambio di saluti veloce e formale, mentre lei usciva io entravo per le visite pastorali, ma non potei fare a meno di notare la sua raffinata bellezza, esaltata dall’eleganza dei suoi abiti, molto curati e sobri. Aveva circa trent’anni, un fisico asciutto e morbido nei punti giusti, lunghi capelli neri e due occhi molto grandi, scuri e un po’ misteriosi. Lei era una delle nuove pecorelle della mia comunità, su cui avrei volentieri allungato le mani, però, era una situazione un po’ troppo complicata, che richiedeva una certa applicazione per essere portata a compimento nel migliore dei modi. Alcune settimane più tardi cominciai a notare la sua costante presenza alla messa domenicale, a cui partecipava sempre in totale solitudine, cosa questa che mi fece ben sperare, rendendomi più ottimista sulle mie possibilità con lei. Una domenica mattina, finita la celebrazione, la trovai fuori dal portone della chiesa, quasi si fosse trattenuta ad aspettarmi fino a quel momento, ed ora, un po’ imbarazzata, cercava di nascondersi. “Buongiorno figliola, buona domenica ” le sussurrai passandole a fianco rompendo il ghiaccio per primo, in modo da facilitarla. “Buongiorno a lei Padre, se permette avrei qualcosa da dirle””Dica pure, sono qui per questo”, risposi guardandola negli occhi leggermente truccati “L’omelia di oggi mi è sembrata un po’ fuori tema e soprattutto non al passo con i tempi””ma pensa un po’ questa troia saputella, viene a farmi i conti per la predica nella mia chiesa e io che l’avevo considerata una fanciulla sola e indifesa” pensai tra me, mentre lei continuava la sua critica che sembrava più un’arringa studiata e preparata a tavolino con grande anticipo. Smantellò tutta la mia predica, analizzando ogni frase con metodo, trattenendomi a parlare o meglio ad ascoltarla per una mezzora senza poter ribattere nulla. La ringraziai per avermi fatto partecipe delle sue osservazioni, che sicuramente avrei preso in esame e la salutai, ricordandomi di un appuntamento urgente. L’idea che mi ero fatto di lei si scontrava con la realtà dei fatti perché, se l’avevo immaginata come una giovane donna sola, senza compagnia, un po’ fragile, la realtà dei fatti la mostrava come una donna in carriera sicura di se, molto arrogante e presuntuosa, che non esitava a voler imporre il proprio punto di vista su argomenti che non le competevano. La sua invadenza di quella domenica non fu un caso isolato, infatti, prese l’abitudine di fermarsi ogni domenica per discutere del sermone, affossandolo puntualmente, senza esitare a criticare il mio modo di spiegare le parabole e di raffrontarle con la nostra contemporaneità. In aggiunta ai nostri incontri festivi, cominciò a fermarmi per strada per espormi le sue idee sulla religione e sulla teologia, vantandosi d’essere molto preparata sull’argomento perché aveva la specializzazione in diritto canonico ed ecclesiastico. Il suo modo di relazionarsi con gli altri poteva andare bene nel modo degli affari, ma certo non con me, ed anche se capivo come quell’arroganza servisse a mascherare un’insicurezza di fondo, ero stanco di sorbirmi i suoi farneticanti discorsi, spesso ottusi, che non portavano mai a nulla, così un pomeriggio l’attesi anch’io davanti alla porta del suo ufficio per renderle la pariglia. “Buonasera, avvocato, come sta?””Molto bene, grazie, e lei?” rispose, e senza lasciarmi riprendere la parola, continuò “Se posso permettermi un suggerimento, domenica potrebbe parlare del consumismo, come male che si insinua tra le gente….” e avanti di questo passo, divagando sui mali del mondo senza un attimo di pausa. Era ancora tra la porta e il pianerottolo, quando allungai una mano verso di lei, posandola sul suo sedere, morbido e rotondo, coperto dalla gonna dei tailleur scuro, che indossava quel giorno. L’espressione sul suo viso fu un misto di sorpresa e sbalordimento, mentre si lasciava sfuggire le cartelle che teneva tra le mani, senza riuscire a dire una parola. “Allora dopo tanti discorsi resti una donnetta indifesa come le altre” le dissi, stringendo con la mano la sua coscia polposa.”Ma lei è pazzo, mi lasci subito”.”Dai che puoi essere più convincente” le dissi mentre la spingevo verso l’interno dell’ufficio e richiudevo la porta alle mie spalle. “Ma cosa vuole, se è uno scherzo è già andato troppo oltre”.”Ma quale scherzo, voglio vedere se riesci a parlare anche con un cazzo in bocca”. Cercò di liberarsi, precipitandosi verso la porta, ma l’afferrai per i capelli e la trascinai di peso sul divano, che era nella sala d’aspetto. “Non ci provare più, troia, o te ne farò pentire”, detto questo mi sbottonai i pantaloni, tirando fuori il mio uccello in tiro, pronto per entrare in quella bocca chiacchierona. Spinsi in avanti il bacino, sfiorando il suo viso con la cappella, viola per l’eccitazione, ma lei distolse il volto, ed io contemporaneamente le diedi una sberla, stampando le mie cinque dita sulla sua guancia, costringendola a rivoltare la testa verso di me. “No per favore” disse, con voce supplicante. In un sol colpo aveva perso tutta la sua arroganza e la sua sicurezza, ma io le risposi “Smettila di parlare, la bocca devi usarla per succhiarmi il cazzo, sbrigati” e alzai la mano, come silenziosa minaccia di una nuova sberla. Il mio gesto fu più efficace di mille parole perché lei si decise ad aprire le labbra, ingoiando il mio uccello sino alla radice. Leccava e succhiava con decisione, aspirando con le gote piene, mentre la sua lingua sinuosa passava e ripassava sul mio glande, insalivandolo e massaggiandolo per bene. La sua testa si muoveva veloce lungo tutta l’asta, che le entrava ed usciva dalla gola, scivolando attraverso le sue labbra morbide e accoglienti. A quel punto mi fece usciere dalla bocca per potermi leccare i coglioni, mentre con le sue manine mi menava l’uccello duro. Era una succhiacazzi esperta però, quando fui sul punto di venire, mi fece uscire dalla sua bocca accogliente “In bocca no” disse, mentre continuava menarlo,”Lo sai che non voglio” continuò, come se fossimo amanti da molto tempo “Perché no?” le dissi, cercando di resistere ancora un po’ prima di esplodere, “E’ il nostro accordo” disse, ma io ero troppo voglioso di riempire quella boccuccia, che le rifilai una seconda sberla, che sembro risvegliarla dal suo stato di abbandono. “No, non voglio” disse cercando di resistere, così le scaricai i primi getti sul viso e poi la forzai ad aprire la bocca per ingoiare la sborra. “Allora, troia, di quale accordo stavi parlando? E con chi?”, rimase in silenzio, cocciuta, cercando di mantenere il segreto su qualcosa che non voleva rivelare, ma io non avevo intenzione di lasciarla in pace, e le rifilai un’altra sberla, alzando nuovamente la mano minacciandola di continuare “Basta, basta, dirò tutto. Era l’accordo che avevo con il mio capo ufficio, il mio primo padrone, lui mi trattava da schiava, mi facevo fare tutto quello che voleva, tranne venirmi in bocca ed ingoiare”, “E adesso dov’è?”, esitò un istante prima di rispondere, “E’ ancora là, ma io sono scappata via perché voleva che andassi anche con i nostri clienti””Così ti sei ribellata e si scappata, è così?”.Annuì con la testa.”Bene adesso sono io il tuo nuovo padrone” e le rifilai uno schiaffo, senza una ragione per farle capire la sua nuova condizione, “L’unica regola tra noi è che farai tutto quello che ti dirò o saranno guai”, e le spinsi l’uccello tra le labbra, costringendola a spompinarmi per la seconda volta. Leccava con la stessa foga di prima, succhiando il mio uccello da perfetta schiava sino al momento di farmi venire, allora tento di tirarsi indietro, facendomi uscire dalla sua bocca, ma fu sufficiente il mio sguardo adirato per costringerla ad appoggiare le lebbra intorno al mio glande, mentre io le riversavo in bocca tutti miei schizzi, costringendola ad ingoiare tutta la mia sborra. A questo punto mi inginocchiai tra le sue gambe e le sollevai la gonna, scoprendo le sue lunghe gambe inguainate in velatissime calze autoreggenti di seta, scostai il suo slip di pizzo nero, molto provocante, trovandolo tutto bagnato dalle sue secrezioni, e scoprii la sua fichetta rossa, appena dischiusa, circondata da una fitta macchia di peli scuri e morbidi. Infilai subito un dito nel suo sesso dischiuso, senza trovare resistenza da parte sua, così prima la sgrillettai un po’ quindi le dissi “Voltati un po’. Che voglio controllare lo stato della mia proprietà”,Lei si mise in ginocchio sul divano, sporgendo in fuori il culo, avendo capito perfettamente cosa volevo controllare. Le allargai le chiappe, infilando con un piccolo sforzo l’indice nel suo culetto usato, ma non ancora sfondato per bene. “Va bene, avrei preferito trovarti ancora vergine, ma non importa, mi piace sapere che sei già una piglia in culo senza problemi, così non dovrò fare tanta fatica per incularti la prima volta, sabato sera, quando verrai a passare la notte a casa del tuo nuovo padrone”, e così dicendo le rifilai una manata su quelle chiappe favolose, pregustando il piacere di montarla tutta la notte come volevo. I giorni seguenti passarono veloci, senza che accadessero cose degne di essere ricordate, e finalmente arrivò il sabato sera e lei si presentò alla porta della canonica come avevo stabilito. Indossava un elegante cappotto blu ravvivato da una sciarpa di seta bianca, che le illuminava il volto e i lunghi capelli corvini, portati sciolti sulle spalle. Lasciai che entrasse in casa e una volta chiusa la porta, le misi una mano sulla spalla costringendola ad inginocchiarsi, “Sai qual è il posto delle cagne come te, o devo ricordartelo con questa?” e le passai sulla guancia la mia cinta di cuoio, strusciandola sulle labbra, che dischiuse sotto la mia pressione, come la bestia che era. Si piegò in avanti, poggiando i palmi delle mani a terra, assumendo la posizione consona al suo stato di cagna, mettendosi a quattro zampe di fronte a me, il suo padrone. “Levati quegli stracci” le dissi, denigrando il costoso completo firmato che indossava in quella sera speciale, “Devi farmi vedere se hai fatto come ti ho detto, o se devi essere punita da subito” continuai, mentre lei provvedeva a levarsi i vestiti, come le era stato ordinato. Aspettai qualche secondo, concedendole il tempo necessario, quindi mi avviai verso il salotto mentre lei mi seguiva gattoni, completamente nuda e a mia disposizione. Mi accomodai in poltrona e accesi la tv per guardare la partita, mentre lei restava immobile, non sapendo cosa fare. Allungai i piedi e li poggiai sopra la sua schiena, usandola come un mobile per qualche minuto, senza degnarla di uno sguardo. Lei subiva, silenziosa, quel trattamento, senza lamentarsi come una perfetta schiava. Mi bastò spingere un po’ con il piede su di lei per farla sdraiare per terra, sul pavimento nudo e freddo, costringendola ad un contatto poco piacevole. Dopo qualche minuto in quella posizione, sempre utilizzando il piede, la costrinsi a rigirarsi, in modo da mostrare le tette e la fica. Si era depilata con cura, ed ora mostrava la sua micetta completamente rasata e disponibile. Con il piede andai a premere le sue belle tettine, mentre con l’altro mi insinuavo tra le sue gambe a diretto contatto con la sua fichetta calda. Le sue tette superbe erano un caldo rifugio per il mio piede nudo, così cominciai a strusciarmi sui suoi capezzoli, solleticandomi la pianta del piede, sino a sentirli duri e turgidi per l’eccitazione. La cagna si stava scaldando, mentre tentavo di infilare le dita del piede nella sua fica, la sentii gemere di piacere. “Brutta cagna schifosa, stai godendo per qualche carezza, vero? Adesso t’insegno io a godere senza permesso”, e feci scattare la mia cinghia, colpendola di traverso su un capezzolo, facendola urlare per il male,”Cagna, non ribellarti alle punizioni che meriti, o sarà peggio per te” e le diedi un’altra cinghiata, costringendola a mordersi le labbra per non urlare di nuovo. “Bene adesso puoi cominciare ad usare la bocca come ti ho insegnato l’altra volta”, e lei capendo subito cosa intendevo si accucciò tra le mie gambe, prendendo in bocca il mio uccello. La sua bocca era vogliosa di essere riempita da un uomo, lo sentivo bene, mentre lei scorreva avanti e indietro con la testa, spompinando da brava cagna. Lo succhiava con forza, mentre con la lingua mulinava veloce sulla cappella, cercando di farmi godere, ma io ero di un altro parere, volevo farla continuare così per tutta la partita e la costrinsi a quella pratica per due ore filate, non curandomi del male che doveva sentire alle mascelle o alle ginocchia. Lei magari si aspettava una serata di sesso più normale, magari di essere scopata e sbattuta come una poco di buono, ma i miei programmi erano diversi, io la consideravo solo un oggetto del mio divertimento. Mi stava ancora spompinando quando chiamai la mia perpetua, mia sorella, “Puttana vieni qui adesso” dissi tenendole la mano sulla testa, mentre mia sorella, anche lei completamente nuda e a quattro zampe, arrivò vicino a noi, tenendo in bocca un grosso vibratore “Mettilo a questa cagna, che ha una bocca insaziabile, ma prima dagli un po’ di gusto”, così lo infilò nella sua fica prima di metterlo in bocca a Manuela. Lei aveva cercato di resistere, rifiutando l’ingresso sulla scena di una terza persona, ma bastò che sollevassi la cinghia per farle spalancare la bocca davanti a quel grosso cazzo di gomma, che aveva il gusto di una donna. Mi feci spompinare un po’ da mia sorella, sino a venire nella sua bocca, scaricando tutta la sborra che ero riuscito a trattenere in quelle ore “Hai visto, cagna, come si fa felice il padrone, impara da questa troia” dissi rivolgendomi a Manuela, svilendo le sue capacità, per altro molto notevoli, di succhia cazzo. A quel punto ordinai a mia sorella di leccare Manuela tra le cosce mentre io mi riprendevo, in modo da farmela trovare pronta per essere montata. La fica di Manuela non aveva bisogno d’ulteriori riscaldamenti, tanto era fradicia, infatti, appena mia sorella iniziò a leccarla, Manuela si mise a gemere di piacere, godendo come la troia che era. Le rifilai una cinghiata sulle tette, e poi una seconda sulla fica, facendola godere ancora di più. Era una vera troia, così le rifilai altre cinghiate tra le cosce fino a farla trattenere i gemiti. La rigirai allora a pancia sotto, costringendola con la faccia tra e cosce di mia sorella obbligandola per la prima volta a leccare il sesso di una donna, mentre io senza preparazione le sfondavo il culo con un sol colpo di cazzo. La impalai affondando in lei senza pietà, facendola urlare nonostante non fosse la prima volta, ma il suo culetto non era abituato a certe prestazioni. La montai da dietro, spaccando le sue chiappette rosa, mentre lei quasi affogava tra le cosce di mia sorella, che la spingeva sulla propria fica in preda ad un orgasmo pauroso. Io da dietro le rifilavo schiaffi sul culo, come a una bestia, per farla dimenare di più, mentre le stringevo il seno, segnato dalle mie cinghiate. Esplosi dentro di lei come un torrente in piena allagandole il culo con la mia sborra. Quando lo tirai fuori da lei il su buco rimase ben aperto, così imposi a mia sorella di accucciarsi a leccare tutto quello che usciva mentre Manuela lo prendeva in bocca per ripulirlo dalla sua merda “Ecco, brava cagna, pulisci il cazzo del padrone, mentre la troia recupera la sborra dal tuo culo. La prossima volta toccherà a te recuperarla dal suo culo, quindi stai attenta”, e le venni in bocca costringendola a bersi tutto, anche se non gradiva. Ero un po’ stanco così ordinai loro di leccarsi a vicenda, mentre io mi rifocillavo un po’ in cucina, dando ordine a Manuela di tenere nel culo il vibratore acceso. Una volta recuperate le mie energie tornai all’attacco e mi caricai la serva sul divano, scopandomela velocemente una prima volta in quella posizione prima di portarle a letto entrambe per un perfetto torneo a tre. La fica di Manuela era aperta e non aspettava altro che il mio uccello, così non la feci attendere oltre, infilandomi dentro la sua vulva con un sol colpo deciso. Le diedi alcuni colpi veloci e lo tirai fuori, facendola fremere dal desiderio, quindi lo infilai nuovamente, ma solo in parte, senza montarla come una cavalla. La vedevo mordersi le labbra per la voglia che aveva tra le gambe, ma sapeva di non poter chiedere nulla quella sera. Lo tirai fuori, strusciando la cappella sulla sua fica e sul clito, facendola godere con sapienti tocchi, quindi, la montai per bene, cavalcandola come volevo, e come meritava una fica come quella. La feci tremare per il piacere scopandola per tutta la notte, ininterrottamente, sin quasi a svenire. La riempii di sborra come un bignè, che mia sorella provvide a leccare dalla sua fica mentre io, mettevo il cazzo nella bocca di Manuela, “Devi imparare a bere qualcos’altro oltre la sborra, lo sai, vero?”, le dissi, mentre rilassavo la vescica, scaricando nella sua bocca impreparata le prime stille di piscio. Lei scostò la testa cercando di sfuggire il mio caldo getto, ma era troppo tardi perché aveva già la bocca riempita dal caldo liquido, mentre il resto le finiva sul viso e sulle tette. Con l’uccello nella destra la presi per i capelli con la mano sinistra, costringendola a ricevere tutta la mia pisciata sulla faccia e sulla bocca, che finì per riaprire assecondando il mio piacere, sino ad ingollarsi l’uccello per bere le ultime stille di pioggia dorata. Era diventata una serva a tutti gli effetti, obbediente ad ogni mio desiderio e così rimase, sempre pronta farsi montare da me in ogni occasione.
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