Un pomeriggio d’estate d’alcuni anni fa, eravamo sul finire degli anni ottanta, percorrevo con la mia macchina una solitaria strada della campagna toscana, dove ero stato a trascorrere alcuni giorni di vacanza, ospite di un convento di suore, adesso non voglio parlare di ciò che avvenne in quei giorni, ma solo del viaggio verso casa. Come ho detto, stavo guidando tranquillo, con il fresco dell’aria condizionata viaggiare nella canicola d’agosto non era un problema. Mi godevo il panorama dei campi coltivati a girasoli e olivi, senza fretta. La strada era un continuo saliscendi attraverso le alture che si susseguivano, sempre uguali tra loro, se non che, oltre l’ennesimo colle, scorsi una macchina rossa ferma sul bordo della strada e, una volta avvicinatomi, potei distinguere chiaramente una giovane donna, che si sbracciava nella mia direzione. Il tempo di arrivare vicino a lei mi fu sufficiente per poterla vedere per bene. Era alta circa un metro e settanta, capelli neri, corti, un fisico asciutto su cui spiccava il seno generoso. Indossava uno scamiciato o prendisole a quadri, piuttosto corto, che lasciava scoperte le gambe fin sopra le ginocchia. Mi accostai, abbassando il finestrino elettrico per sentire se aveva bisogno d’aiuto.“Grazie al cielo si è fermato “, esordì, chinandosi verso il finestrino.“Ha bisogno d’aiuto, signorina ?” le chiesi, scrutandola da vicino.“Buongiorno padre “disse allora, vedendo che ero un prete, “E’ proprio il cielo che la manda. Sono in panne da più di un’ora e lei è il primo che passa da questa strada “. “Posso provare a dare un‘occhiata, se vuole, ma non si aspetti molto, perché, in tutta franchezza, di motori non capisco molto” le dissi allora, offrendole il mio aiuto. “Non si disturbi, in realtà sono rimasta stupidamente senza benzina “ confessò lei. “Sono cose che capitano, non sia troppo severa con se stessa. Vuole chiamare qualcuno col telefono?” dissi porgendole il mio cellulare. “No è inutile, qui non c’è campo “,disse restituendomi l’apparecchi dopo alcuni tentativi.“Va bene, allora posso darle un passaggio, se vuole, sino ad un distributore” le dissi invitandola a salire sulla mia auto.“Perfetto, era proprio quello che speravo” rispose, sorridendo.“Salga pure “ la invitai, di nuovo, sbloccando la chiusura della porta.“Solo un attimo “ e corse verso la sua auto, aprendo la portiera posteriore, per recuperare una culla, dove stava dormendo il suo bimbo di pochi mesi.Ritornò indietro, mettendolo sul sedile posteriore mentre lei si accomodava davanti, accanto a me, ringraziandomi per la gentilezza e scusandosi, ancora una volta, per il disturbo che mi recava. Adesso che la vedevo da vicino potevo notare appieno i suoi lineamenti delicati e regolari, il naso piccolo, alla francese, e gli occhi azzurri come il cielo, una vera, autentica, bellezza. Durante il breve viaggio si presentò come Claudia, giovane mamma ventiseienne di Simone, il piccolino che dormiva beato, e mi raccontò che era uscita da casa con la voglia di dipingere i colori della campagna, ma, non essendo pratica della zona, si era persa restando senza benzina. Il mio arrivo l’aveva tolta dai guai, anzi, queste furono le sue testuali parole:“Sa, padre, quando ho visto fermare la sua grossa macchina ero un po’ timorosa, perché di questi tempi non si sa mai, però poi ho visto che era un prete e sono stata contenta, di lei posso fidarmi tranquilla, senza pericolo per me o per il mio bambino”. “Sono felice di potervi aiutare” le risposi, continuando a guidare sino ad un paesino poco lontano, dove c’era un distributore, da cui acquistai una tanica di benzina. Ripercorremmo la strada in senso inverso, macinando regolari qualche chilometro sino a quando sterzai bruscamente, deviando dal nostro percorso originale, per infilarmi in un viottolo di campagna, dove fermai la macchina al riparo di una siepe di rovi. “Ma dove stiamo andando? Questa non è la strada di prima” mi disse Claudia, tesa, ma non ancora allarmata per la deviazione, almeno sino a quando non parcheggiai in quel luogo isolato.“Perché ci siamo fermati? Cosa significa? “ disse, con la voce preoccupata.“Sarebbe carino da parte tua sdebitarti per il disturbo “, le dissi girandomi verso di lei, che si era fatta improvvisamente piccola, tutta rannicchiata contro la portiera. “Ma cosa dice?” mi rispose, sorpresa dalle mie parole, non capendo quello che stava per accaderle.“Devi pagare il passaggio che vi ho dato, mi sembra chiaro “ le dissi, sfiorando il suo ginocchio scoperto con la punta delle mie dita. “Voglio scendere, mi lasci “ disse lei, aprendo la portiera e smontando dall’auto. “Ma dove vuoi andare stupida?, siamo in mezzo alla campagna, e al tuo bambino non pensi?” le dissi, senza cercare di trattenerla. Lei, una volta scesa dall’auto, tentò di aprire la portiera posteriore, ma io l’avevo chiusa dall’interno, bloccando la serratura. “Apri bastardo “ disse, tirando inutilmente la maniglia.“Avanti torna qui, da brava” le dissi, sbattendo la mano sul sedile dove era stata comodamente seduta sino a qualche istante prima.“Apri la portiera o giuro che la rompo” urlò, rabbiosa.“Sali o preferisci che me ne vada?” la minacciai, accendendo l’auto.“Rivoglio mio figlio. Simonee!” gridò disperata.“Sali” le dissi per l’ultima volta dando un po’ di gas al motore.Lei ritornò nell’abitacolo, richiudendo la porta dietro di se, consegnandosi nelle mie mani. Io intanto mi ero slacciato i pantaloni ed ora impugnavo l’uccello, menandolo piano, quindi le misi una mano sulla testa, invitandola a piegarsi per prenderlo in bocca. “No ti prego “disse, “Sei un prete, ma come puoi farmi questo?” continuò cercando di resistere.“E chi lo dice, questo abito? Lo sai che l’abito non fa il monaco? Sono solo un truffatore vestito da prete, e come vedi ha funzionato alla grande “ mentii, mentre lei cedeva, aprendo le labbra e accettando il mio uccello in bocca, “Brava, adesso fammi un bel pompino. Succhia il cazzo, meglio che puoi, o sarà peggio per voi due “. La minaccia colse nel segno, infatti, lei si diede da fare con la bocca, succhiando e leccando il mio uccello come se fosse quello del marito. Avanti e indietro con la testa, ingoiando tutta l’asta fino a sentire la cappella strusciare in fondo alla gola. Le sue labbra, ben strette mi massaggiavano con una dolce presa, mentre la lingua si dedicava al glande, spazzolandolo con morbide passate, senza dimenticare di solleticare il frenulo. Si stava impegnando veramente, ripassando con la lingua da gatta tutta l’asta sino ai coglioni pelosi, che mi succhiò dolcemente, mentre la mia mano, prima le carezzava la schiena, e poi faceva scorrere la zip del suo prendisole, giù sino alla vita, scoprendo la sua schiena, perfetta e dorata, su cui risaltavano reggiseno e mutandine. Le slacciai il fermaglio che chiudeva il reggiseno, quindi lo sfilai dalle sue braccia assieme al prendisole, mentre lei continuava a succhiare da brava. Le carezzai la schiena nuda, liscia, senza la più piccola imperfezione, seguendo la colonna vertebrale sin quasi ai glutei, risalendo poi con le mani lungo i suoi fianchi, sino a prendere in mano i suoi generosi seni. I capezzoli erano grossi e gonfi, molto sensibili per l’allattamento, ma non mi fermai neppure di fronte a quello, e cominciai a stuzzicarli, facendola gemere piano, mentre fra le mie dita scorrevano alcune gocce di latte. La sollevai, lasciandola abbandonare il mio cazzo, in modo da poter a mia volta leccare le sue mammelle grondanti. Lei tentò invano di coprirsi il seno, ma la forzai a mostrarlo in tutto il suo splendore, grosso e gonfio, con i capezzoli scuri e umidi, invitanti, non esitai un solo istante a leccarli, voglioso, succhiando le sue tette. “Ti prego smettila, lasciami stare il seno “, disse lei dopo qualche minuto.“Va bene ma devi toglierti le mutande, da sola, che ho voglia di scoparti “ le risposi, quando mi fui stancato di leccare le tette. Lei, allora, dopo qualche attimo d’evidente imbarazzo, si sfilò l’intimo indumento, sollevandosi un attimo dal sedile, per far passare le mutandine sotto il sedere, facendole scendere fino alle caviglie. Risalendo con le mani lungo le gambe sollevò la gonna, mostrandomi la sua fichetta, scura, incoronata da un triangolino di peli neri. Allungai la sinistra, sfiorando il suo basso ventre, facendo scorrere il palmo della mano sul pube, quasi liscio, sino alle grandi labbra, che divaricai con le dita, mentre lei, a sua volta, apriva le gambe per facilitarmi il compito. Le infilai due dita dentro la vulva, masturbandola in quel modo, mentre con la destra solleticavo il clito, eccitato dalle mie carezze. La sua fica era piuttosto dilatata, così non mi limitai a due sole dita, ma le aggiunsi tutte, infilando l’intera mano dentro di lei.“Ahi, mi fai male” si lamentò mentre la mia mano si faceva strada nel suo corpo.“Non è vero, se hai fatto un figlio la tua fica può prendere qualsiasi cosa” e continuai il mio ditalino con tutta la mano, infilando le quattro dita nella vulva mentre con il pollice le stimolavo la clitoride, gonfia per l’eccitazione.. Lei si lamentava, ma si stava bagnando per bene, finendo per gemere di piacere. “Il tuo maritino non ti fa questi giochetti?” le dissi mentre stava venendo.Non rispose, serrando le labbra per trattenere i gemiti di piacere che le provocavo con le mie carezze. “Allora, te li fa questi giochetti di mano o preferisce guardarti mentre li fai da sola?”.“No” ammise, quasi a malincuore “Da quando ho partorito non abbiamo più fatto l’amore. Non mi sfiora con un dito da sei mesi ormai” confessò la sua lunga astinenza sessuale.“Vieni qui, allora, che ti faccio ricominciare io” e la tirai verso di me perché si sedesse sul mio uccello, infilzandosi da sola. Lei era stata pronta a seguire i miei ordini e si dimenava sul mio grosso bastone, godendosi quel momento d’inaspettato piacere, mentre io la guidavo tenendola per i fianchi. La pilotavo sul mio uccello facendola muovere secondo un ritmo lento, che poteva mantenere senza problemi, in modo da prolungare il piacere di quella chiavata. Fu una scopata in macchina da favola, e le venni dentro con grandissimo piacere, solo dopo averla fatta godere come una porca. Lei rimase seduta sulle mie ginocchia, con il cazzo ancora nella fica, mentre io finivo di sborrare. Lo sforzo era stato intenso per entrambi, così restammo fermi, senza parlare per qualche minuto, sino a quando il contatto con il suo giovane corpo nudo non mi diede nuova carica. Reclinai il sedile e la feci sdraiare, stendendomi sopra di lei, scopandola nel modo più comune. La sua fica, straordinariamente elastica, si modellava intorno al mio uccello, stringendolo perfettamente. Le sollevai le gambe, caricandomele sulle spalle, e la scopai così sino a godere per la seconda volta dentro di lei.“Scendi dalla macchina” le ordinai. “Perché? Cosa vuoi fare?” mi disse, preoccupata.“Scendi, sbrigati” e la spinsi verso la portiera costringendola ad uscire, per poi scendere a mia volta “Vieni qui “ le dissi, mentre stavo vicino al baule, perché lei era ancora ferma vicino alla portiera, “Mettiti giù, dai” e la spinsi a piegarsi sul baule, mettendosi con il culo in fuori. “Cosa vuoi fare?” disse, avendo capito le mie intenzioni. “Voglio farti il culo” le risposi confermando le sue paure. “No, nel culo non voglio” disse cercando di rialzarsi. “Sarei un pazzo se mi lasciassi sfuggire un culetto come il tuo, ancora vergine” insistei, cercando di farla tornare nella posizione ottimale. “No non voglio” ripeté nuovamente, sollevandosi. “Guarda come dorme bene il tuo piccolino, non vorrai che… “ ma non fui costretto a continuare, perché lei si rimise giù, pronta a prenderlo nel culo. “Brava, vedrai che ti piacerà, lo so”.“Fai piano, per favore” mi supplicò, mentre iniziavo ad esplorare il suo ano con la punta dell’indice. Era stretta, ancora chiusa e inesplorata, così con calma le allargai le chiappe, divaricandole all’estremo, insalivando il suo forellino, restio ad essere aperto. Mi bagnai le dita nella sua fica grondante e le forzai in lei, allargando un po’ di più il passaggio, facendola urlare. “Meglio se ti trattieni per quando lo prenderai davvero” le dissi, e, dopo aver ruotato le dita nel suo stretto sfintere, cominciai ad entrare e ad uscire da lei preparandola al passo successivo. Struscia l’uccello tra le sue cosce, sfregando il glande, tutto scoperto, sulle sue chiappe vellutate, sino a tornare in tiro. Spinsi allora la cappella vogliosa contro di lei, forzandola piano ad entrare nel suo corpo. La stavano inculando per la prima volta, ma non era ancora sufficiente, volevo che partecipasse attivamente, così le ordinai di retrocedere verso di me, per incularsi da sola. Stringeva i denti, la sentivo, mentre si spostava come le avevo detto, facendo risalire il mio grosso randello nel suo culetto stretto, sino a strusciare con le chiappe sul mio ventre. “Eccoti servita, brava, adesso vai avanti e poi ritorna indietro, con calma”, e l’obbligai a scoparsi da sola sul mio uccello. Il suo culetto stretto si adeguava alla mia presenza, stringendosi in entrata e allargandosi in uscita, sino a farmi godere, allora, mentre cominciavo a riversarle dentro i primi schizzi, con la voce rotta dal piacere, dissi:“Sei proprio una brava mammina, prima ti sei rotta la fica per il tuo bambino e adesso anche il culo”, e le rifilai gli ultimi colpi di cazzo, spingendo con forza in lei, aprendola definitivamente. Dopo essermela goduta come meglio volevo la riportai alla sua auto, e scaricati figlio e benzina la salutai, ringraziandola della piacevole compagnia.Quel piacevole contrattempo mi era costato un paio d’ore, così mi trovavo in arretrato sulla tabella di marcia che mi ero fatto, ancora distante da casa e con il sole che iniziava a sparire dietro l’orizzonte, mentre il cielo si colorava di mille sfumature di rosso, viola e arancio. Il buio mi sorprese ancora per strada, lontano dai centri abitati, nel bel mezzo della campagna, per ciò mi venne la bella idea di fermarmi in qualche casa per chiedere ospitalità per la cena. Il mio abito clericale mi faceva godere di un certo credito, così guidai verso alcune luci che si vedevano nel buio piatto della notte. Arrivai in quel modo di fronte ad una casa colonica, ad esser modesti, ma, per essere obiettivi, posso dire che si trattava di una villa molto signorile. Parcheggiai l’auto nel piazzale antistante l’edificio mentre due figure si affacciavano alla porta, per vedere chi era lo sconosciuto che turbava la loro pace. “Buonasera, figlioli “ esordii “Sono un povero prete che si è perso nella campagna, sareste così gentili da indicarmi la via per l’autostrada?”“Buonasera a lei, padre, ma certo venga dentro che le mostro la cartina” mi rispose l’uomo, mentre la giovane donna che era con lui si limitò a sorridere.La casa era arredata con gusto e raffinatezza, con mobili di pregio, sicuramente molto costosi. La tavola del soggiorno era apparecchiata per due, loro due, così Paolo, che era il marito, dopo avermi mostrato il percorso più veloce e diretto per raggiungere l’autostrada, m’invito a dividere il pane con loro. “Su padre, si fermi a cena con noi. Non c’è niente di speciale ma divideremo quel poco che c’è” mi disse più volte, sino a costringermi ad accettare. Giulia, sua moglie, non sembrava altrettanto desiderosa di avermi come ospite, forse intuiva qualcosa, ma non disse nulla per far cambiare idea al marito.“Va bene accetto “ dissi “E a rischio di sembrare sfacciato, devo dirvi che speravo in un invito perché è da stamattina che non mangio niente”.La cena venne servita da Giulia dopo alcuni minuti e, nonostante le insistenze di Paolo per farmi mettere al posto d’onore mi accomodai alla sua destra, di fronte a Giulia. I pochi minuti necessari a divorare la pasta che avevo nel piatto li dedicai a guardare meglio la padrona di casa, studiandola in ogni dettaglio. Alta poco meno di uno e ottanta, con quelle gambe lunghe che esibiva grazie alla minigonna di jeans, appariva come una cavalla di razza, da montare con fermezza per farla rendere al meglio. I capelli rossi, schiariti con colpi di sole, erano corti e scalati intorno al viso abbronzato, dai lineamenti dolci e regolari, in cui spiccavano due grandi occhi verdi. Il suo aspetto un po’ selvaggio, diverso dal comportamento posato e riflessivo del marito, m’incuriosiva molto e, soprattutto, ero curioso di sapere se lui era in grado di soddisfare i suoi appetiti sessuali. Quando Giulia ci lasciò da soli per andare in cucina a prendere il secondo, decisi che quello era il momento buono per agire, così recuperai il flacone del cloroformio che avevo in tasca e, bagnato il fazzoletto, mi alzai di scatto premendolo sul viso di Paolo. Lui cercava di lottare, ma ad ogni istante le sue forze diminuivano, sino a lasciarlo privo di sensi sulla sedia. Lo legai velocemente, bloccandogli i polsi e le caviglie alla sedia, e mettendogli un bavaglio sulla bocca, per non doverlo sentire urlare una volta che avesse ripreso i sensi. Ritornai al mio posto e attesi il ritorno di Giulia, cosa che avvenne dopo qualche minuto. Lei portava una casseruola e non si accorse di nulla, neppure dello strano silenzio che c’era nella stanza, fin quando non mise la pentola sul tavolo dicendo “Paolo metti un sotto pentola, o rovineremo il tavolo “, “Paolo?” ripeté, rivolta al marito e vedendo come l’avevo sistemato, “Ma cos’è successo?” disse, rivolgendosi ad entrambi, ma non andò oltre vedendo la pistola che tenevo nella mano destra. Visto che ero l’unico in grado di parlare le risposi solo io “Stai tranquilla e siediti, da brava” e intanto mi servii un pezzo d’arrosto, “Paolino starà buono per qualche tempo” le dissi, battendo la mano sulla spalla immobile del marito, “E tu non aver paura di questa, serve solo per avere la tua attenzione” le dissi agitando la pistola davanti a lei, prima di farla sparire nella mia tasca. “La situazione è piuttosto facile” le dissi “Ho somministrato un potente veleno al tuo maritino, e solo io conosco l’antidoto”. “Ma lei è pazzo” disse, con la voce che tremava insieme di rabbia e paura.“Sono parole un po’ avventate, non credi?” le risposi sorridendo in modo inquietante.“Si, mi scusi” disse accorgendosi che non le conveniva farmi arrabbiare. “Ma cosa vuoi da noi?”.“Non voglio farvi male, anzi, sono disposto a darti l’antidoto, ma devi guadagnarlo”“In che modo?”“Appena ti ho vista mi sei sembrata una bella cavallona selvaggia, da domare, e adesso mi farai vedere come ti fai montare da uno sconosciuto”.“Mi dia l’antidoto, e poi farò tutto quello che vorrà”.“No, bella mia, devi guadagnartelo. Dai vieni qui, da brava” e la invitai ad avvicinarsi, in modo da farla mettere tra me e suo marito.”Credo che tu sappia cosa fare” le dissi allora, mentre stava ferma in piedi di fronte a noi.Lei s’inginocchiò accanto a me e allungò le mani verso la patta dei miei pantaloni, che aprì senza esitare, prendendo in mano il mio uccello eccitato. Abbassò la testa in modo da poterlo sfiorare con la lingua, che fece scorrere dalle palle alla punta del cazzo, lungo tutta l’asta. Prese in bocca le palle succhiandole piano, regalandomi un piacere sottile, mentre con le mani menava l’uccello, che rispondeva al suo trattamento energico, gonfiandosi maestoso. La mia erezione era quasi completa e lei aveva provveduto a scoprire completamente il glande per leccarlo con tutta la lingua, insalivandolo abbondantemente prima di prendere il cazzo in bocca, sino in gola. Strinse le labbra cominciando un movimento di pompa con la bocca, che rischiò di farmi venire troppo in fretta, tanta era l’abilità che aveva nel lavoro di bocca. La fermai, interrompendo quel piacere, desideroso di godermi quella nottata con tutta calma. “Spogliati” le dissi, allontanandola dal mio uccello.“Mhmmm”, “Mhmmhmmhmm” sentimmo provenire dalla bocca di Paolo, che si era ripreso da qualche secondo, giusto in tempo per vedere la sua dolce mogliettina impegnata a spompinare quella specie di prete, che avevano ospitato per la cena. La scena che gli si era presentata davanti agli occhi al momento del risveglio era sconvolgente: Giulia era inginocchiata tra le gambe di quello sconosciuto e teneva in bocca il suo grosso uccello.“Ben svegliato” gli dissi “La tua signora mi sta facendo vedere quanto sa essere ospitale, spero che non ti dispiaccia”.Giulia esitava ancora a spogliarsi, sconvolta da quella situazione, avvertendo chiaramente gli occhi del marito su di lei.“Dai spogliati, nuda, che tanto Paolo non ha nulla da dire”. Lui si dimenava sulla sedia, cercando invano di liberarsi e di urlare tutto il suo odio contro di me, ma era inutile, poteva solo assistere passivamente a quello che accadeva nella sua casa.Giulia aveva iniziato a sbottonate la gonna, aprendola in modo da lasciarla cadere a terra. Sotto portava un paio di mutandine bianche, molto sgambate, che lasciavano intravedere chiaramente il profilo della vagina e il boschetto di pelo scuro. “Girati un po’, e fatti guardare” le ordinai. Lei ruotò piano su se stessa, mostrandomi anche il didietro. Come avevo immaginato indossava un tanga, che le spariva tra le chiappe rotonde e lisce, evidenziando l’abbronzatura dorata della sua pelle. Completato il giro si alzò la maglietta, scoprendo il ventre piatto e l’ombelico, piccino, sino a mostrarmi le sue belle tettine senza reggiseno. Aveva almeno una terza piena, ma su quel fisico apparivano più piccole di quanto non fossero in realtà. Si sfilò la maglietta dalla testa abbandonandola per terra, accanto alla gonna, restando con le sole mutandine. Esitò un attimo, mentre il marito quasi impazziva vedendola spogliarsi, senza pudori, davanti a noi. Prese tra pollice ed indice i sottili laccetti, che univano i due piccoli triangoli di stoffa che la coprivano ancora, iniziando ad abbassarli, scoprendo il suo folto pelo scuro e la micetta. Spinse l’intimo indumento sino alle ginocchia, abbandonandolo in modo che scivolasse sino alle caviglie, restando completamente nuda.“Sono stato proprio fortunato a fermarmi da voi “ dissi ad entrambi, mentre mi alzavo ed iniziavo a palpare Giulia, smanioso di toccarla ovunque. Le mie mani, ansiose sfiorarono velocemente tutta la sua pelle nuda, saggiando la consistenza delle sue carni sode e la pienezza delle sue forme. Era tutta liscia e vellutata, perfetta, con un culo rotondo e sporgente in modo troppo invitante per resistere, così iniziai da quella parte, la conquista del suo corpo. Le divaricai le cosce, stringendo i suoi lombi tesi, che dovettero cedere alle mie voglie, lasciandosi esplorare dalle mie dita invadenti. Saggiai la resistenza dello sfintere, trovandolo ancora chiuso perfettamente. “No, ti prego” mi disse Giulia, sentendo la punta del mio dito irriguardoso che si faceva largo in lei, in quella parte del suo corpo che non aveva mai concesso a nessuno. Le allargai le chiappe con entrambe le mani, mentre con la lingua la leccavo, preparandola per la fase successiva. “No, ti prego” ripeté una seconda volta, mentre la spingevo sul tavolo.“Stai buona, che facciamo vedere a Paolo come sei brava” e le presi le mani, posizionandole sul sedere, in modo che fosse lei stessa ad aprirsi il culo per me. In quella posizione spinsi il dito dentro di lei, violando la sua integrità e facendola urlare per il male e la vergogna. Mi voltai a guardare il marito, che impotente, assisteva alla scena della moglie che si faceva sfondare il culo da un estraneo, mentre a lui non l’aveva mai permesso. Non m’interessavano le sue suppliche e continuai, affondando tutto il dito dentro di lei, stantuffando un pochino. Lo tirai fuori e lo ricacciai in lei con forza, ripetendo la cosa per alcune volte sino a quando non giudicai che fosse abbastanza preparata. Afferrai l’uccello con la destra, mentre la sinistra la teneva in posizione, avvisandola che il momento era giunto “Preparati, che facciamo sul serio”.“Ti prego farò tutto quello che vorrai, ma non questo, per favore” cercò d’impietosirmi per l’ultima volta.“Farai tutto quello che voglio in ogni caso, compreso questo” e cominciai a strusciare la cappella sui suoi glutei tesi, battendoli con la mia mazza, avvicinandomi sempre di più al suo forellino. Posizionai l’uccello dritto tra le sue cosce, in posizione per entrare, con la cappella poggiata sull‘ingresso posteriore del suo corpo. Spinsi piano forzando il glande attraverso il suo sfintere, che, non allenato a quella pratica, cercava vanamente di resistere. Spinsi con più decisione, facendola urlare, mentre la mia cappella eccitata entrava in lei. Urlò ancora più forte mentre le affondavo dentro, spingendo tutto il mio uccello dentro di lei, impalandola. Il suo sfintere era collassato, cedendo di schianto alla mia pressione, ed ora mi lasciava via libera permettendomi di chiavarla nel culo come volevo. La presi per i fianchi montandola con un ritmo lento e tranquillo, assestandole dei colpi decisi, che le arrivavano nel profondo delle viscere. Le mie mani scivolarono alle sue tette, alla ricerca dei capezzoli, che si erano gonfiati per l’eccitazione. Quel trattamento estremo e brutale la eccitavano e, probabilmente, farlo davanti al marito rendeva la cosa tanto sconvolgente da farla godere, come aveva solo immaginato nelle sue fantasie più segrete. Era proprio una cavallona da montare, che aveva bisogno di sentirsi cavalcata da un cavaliere esperto, per poter rendere al massimo. L’afferrai per i seni forzando ancora di più il mio uccello in lei, che schiacciata dal mio corpo, si era tappata la bocca per non farsi sentire mentre godeva di quel grosso cazzo straniero, che la pistonava nel culo come un troia. Non le diedi tregua, continuando a montarla sino a farle provare un piacere così intenso che non riuscì a trattenersi. “Sì, sì così, sfondami il culo, ancora, di più”, m’incitava, di fronte al marito. Non mi feci pregare e l’accontentai, continuando la mia opera di stantuffo nel suo sedere voglioso d’essere riempito, sino a inondarla di sborra. Era una vera cavalla da monta come avevo immaginato così, ricordando la sua abilità con la bocca l’invitai a ripulire il mio uccello, in modo che fosse pronto per continuare la serata. Lei s’inginocchio come prima, abboccando alla mia cappella e ripulendola per bene, facendomi un superbo lavoro di pompa e restituendomi il nerbo che mi serviva per scoparla ancora. Non si limitò a succhiare il mio uccello, ma lo prese tra i seni, masturbandolo con le tette, facendomi così una gran spagnola, mentre con la lingua leccava la cappella. Quando mi vide in tiro si alzò e mi salì a cavalluccio sulle ginocchia, in modo da poter prendere l’uccello nel nido. La fermai in quella posizione, tenendola staccata da me, perché prima di montarla volevo esplorare quella fica stupenda, per questo infilai deciso le dita dentro di lei, trovandola calda e bagnata, già perfettamente pronta per essere presa. La stimolai manualmente per qualche minuto, eccitandola sin quasi a farla godere, lasciandola libera di continuare da sola. Lei s’infilò senza esitare l’uccello nella topa, cominciando a muoversi, sinuosa, sul quel piolo di carne, cercando di godere. Io le succhiavo le tette, mentre lei continuava a muoversi, gemendo piano per il piacere che le dava la mia lingua. Mi fermai a guardare ancora Paolo, che cercava di distogliere lo sguardo da quello spettacolo sconvolgente, per poi tornare ad osservarmi mentre mi godevo la troia di sua moglie. Notai come la scena di sesso che vedeva lo avesse eccitato, cosa ben intuibile dal vistoso bozzo che gli gonfiava i pantaloni. Tornai a dedicarmi completamente a Giulia e le infiali due dita nel culo, facendola godere così all’improvviso, mentre ancora aveva il cazzo nella fica.La pompavo ancora, spingendo il bacino in alto, mentre lei scivolava veloce sul mio uccello. Trattenendo la mia schizzata, che sentivo risalire dalle palle, le dissi “Credo che anche Paolo voglia partecipare, datti da fare anche con lui, con la bocca”.Lei, restando ben piantata sul mio uccello, si piegò verso il marito aprendogli i calzoni e prendendo il suo membro in bocca. La chiavai con gusto mentre lei si esibiva in un pompino al marito, ma non le permisi di farlo godere, bloccandola sul più bello prima di farlo venire. “Mi spiace mio caro, ma per stasera dovrai accontentarti di questo. Questa bella fica me la godo io” e mi alzai tenendola in braccio, impalata sulla punta del mio uccello, dirigendomi nella loro camera da letto, per poterla scopare con comodo. La scopai tutta la notte godendo molte volte e facendola godere come non aveva mai provato, spingendo quella cavalla da monta oltre il limiti del piacere che aveva conosciuto fino a quel momento.Scivolai fuori dal letto prima dell’alba e mi allontanai, senza dire nulla, lasciandoli soli a recuperare i pezzi del loro matrimonio.
Aggiungi ai Preferiti