Per motivi di lavoro, mio padre venne trasferito in un’altra città. Lo seguì tutta la famiglia sebbene io e mia sorella fossimo recalcitranti. Lasciavamo i nostri compagni di scuola (io promosso in terza superiore, lei licenziata dalle medie inferiori), i nostri amici, i nonni. Se per mio padre quel trasferimento significava un avanzamento nella carriera, io e mia sorella lo interpretavamo come una grande ingiusta punizione. Mia madre invece era felice, sapevo che non le piaceva la casa dove abitavamo, non le piacevano le persone che ci circondavano ma, soprattutto, con quel trasferimento diveniva la moglie di un dirigente. Saremmo andati ad abitare in un appartamento più grande e lussuoso, in una palazzina signorile, in un quartierino altrettanto signorile.Il primo mese fu terribile. Le scuole non erano ancora iniziate. Nella nuova casa gli unici abitanti eravamo noi quattro. Dopo Ferragosto nell’appartamento di fronte al nostro venne a stare una famiglia di tre persone: un uomo, una donna e il figlio. Il ragazzo era poco più vecchio di me. Un tipo vivace, sveglio, di nome Mario. Facemmo subito amicizia e, attraverso Mario, conoscemmo finalmente altri ragazzi. Mentre mia sorella aveva preso a frequentare un’amica della sua età, io e Mario passavamo un mucchio di tempo nel prato e nel boschetto dietro casa: a giocare a pallone quando c’erano altri amici o nel boschetto, io e lui, a parlare di ragazze, di motorini e a sfogliare le prime riviste pornografiche. Un giorno, mentre guardavamo una di quelle riviste, lui si abbassò la cerniera dei pantaloni e tirò fuori il cazzo in erezione menandoselo. Lo imitai subito. Ero, come al solito, molto eccitato dalle fotografie pornografiche. Ci masturbammo uno di fronte all’altro, commentando volgarmente le fotografie della rivista appoggiata a terra. Ad un certo punto mi si affiancò e mi chiese di toccarglielo mentre lui avrebbe menato il mio. Fu una sensazione bellissima toccare, per la prima volta, un altro cazzo e sentire una mano diversa masturbarmi. Sborrammo copiosamente quasi all’unisono sulle foto e, per alcuni giorni, quello fu il nostro gioco preferito.Mario viveva con la madre, titolare di un bar del centro, e con il compagno della madre. Il padre li aveva lasciati dopo avere scoperto di non essere l’unico uomo che frequentava il letto nuziale. Mario ancora non sapeva se sarebbe stato affidato definitivamente alla madre, visto che il padre, tramite delle azioni legali, lo voleva con sé. Mi aveva confidato che talvolta era riuscito a spiare la madre mentre faceva all’amore con l’amico e che, nella vecchia casa, essendoci una porta che metteva in comunicazione la sua camera con quella matrimoniale, attraverso il buco della serratura aveva visto la madre masturbarsi pure con il manico della spazzola dei capelli. Non sapevo se credergli, certo è che quei racconti provocavano delle potenti erezioni. Mario mentre raccontava si toccava e mi palpava per sincerarsi dell’effetto delle sue parole. Se eravamo nel boschetto ci masturbavamo, come al solito, reciprocamente, fantasticando di scopare, io e lui, sua madre. Un giorno aggiunse agli interpreti anche mia sorella. La cosa all’inizio mi lasciò sconcertato poi l’accettai e, sempre più spesso, immaginavamo di fare delle porcate con entrambe.Notai che Mario guardava con interesse mia sorella e forse la cosa era iniziata già da diverso tempo. Non me ne ero accorto dato che il mondo di mia sorella, fino ad allora, era stato qualcosa di molto diverso dal mio. Un pomeriggio mi introdussi nella sua camera. Non fu necessario frugare. Il diario di scuola era sulla scrivania. Lo sfogliai: fotografie di cantanti, scarabocchi, i compiti da fare e … E una frase, le lettere a biro contornate col pennarello rosso: mi ha baciata. Poi, più avanti, a biro, come se fosse una comunicazione ad una compagna: domani vengo con lui da te. Guardai il giorno della pagina: caspita, era proprio quel giorno. Volli fare una prova: suonai al campanello dell’appartamento di fronte per cercare Mario. Non rispose nessuno. Allora, pensai, è Mario il ganzo di mia sorella. Cominciavo già ad immaginarmi Mario che smaialava con la mia sorellina, quando la porta si aprì: era Mario assonnato che stava facendo il riposino pomeridiano. Gli raccontai della mia scoperta. Mi tirò dentro e mi chiese di parlare sotto voce: anche la madre stava riposando. Per arrivare alla sua stanza passammo di fronte a quella matrimoniale; la porta era discosta e, nella penombra, scorsi due gambe nude allungate sul letto. Mario mi spinse nella sua camera facendomi ancora segno di parlare molto piano.Mi spiegò che la madre dopo pranzo faceva sempre un riposino e che se veniva disturbata, si arrabbiava un sacco. Il patrigno, ma questo lo avevo notato da tempo, si assentava , dato che faceva il rappresentante, per diversi giorni e ciò la rendeva irascibile. Tra me e me pensai che la mancanza dell’uccello si faceva sentire. Mario parve intuire i miei pensieri: mi confermò che senza l’uomo la madre diveniva più nervosa e che, nella vecchia casa, l’aveva spiata mentre si masturbava proprio nei giorni in cui il patrigno era assente. Mi fece ancora segno di stare zitto e di seguirlo nel corridoio. Si fermò davanti alla porta discosta: le tapparelle non erano completamente giù, filtrava un po’ di luce, così potemmo osservare le lunghe gambe della donna, notare, dal ciuffo di peli neri in bella vista, che non portava biancheria intima e che dalla corta e trasparente vestaglietta, semislacciata, fuoriuscivano due seni molto grandi. Aveva i lunghi capelli neri sparsi sul cuscino, le labbra un po’ dischiuse e stava semicoricata su un fianco. Il cazzo cominciò a gonfiarsi. Tastai la patta di Mario: anche il suo era sull’attenti. Facendo molta attenzione estraemmo i nostri uccelli e iniziammo il rituale della masturbazione reciproca, lì di fronte a quella donna nuda che avremmo voluto violentare. Sborrammo nei nostri fazzoletti facendo uno sforzo tremendo per trattenere i gemiti di piacere. Ritornammo in punta di piedi nella camera di Mario e per un po’ stemmo in silenzio. Mario, alla fine, mi chiese di contraccambiare mostrandogli mia sorella nuda. Gli promisi che avrei fatto il possibile.Mia sorella tornò a casa poco prima di cena. Aveva libri e quaderni sottobraccio. Disse a nostra madre che era stata da una compagna a fare i compiti e che aveva tardato poiché aveva perso un autobus. Mia madre le credette mentre invece io immaginai il vero motivo del ritardo. La seguii in camera e le mostrai la pagina del diario. Stava per arrabbiarsi ma la calmai subito avvertendola che ero dalla sua parte, che se aveva un ragazzo si poteva divertire con lui. Non ci volle molto a farle dire chi era il tipo e cosa combinavano. Non voleva scendere nei particolari ma alla fine mi confessò che si toccavano e che addirittura lei glielo aveva preso in bocca. E aveva bevuto il suo sperma! Lui era uno che conoscevo, più vecchio di un anno di me, compagno di classe di Mario. Le chiesi se era interessata a vedere cosa si poteva fare col sesso. Mi guardò in modo interrogativo. Allora le spiegai che c’erano delle riviste con foto che mostravano ogni cosa fin nei minimi particolari e che, se avesse voluto, il giorno dopo avrebbe potuto sfogliarne qualcuna. Un amico me le procurava e le guardavo con lui. Lei si irrigidì, voleva guardarle da sola o con un’amica, con altri si sarebbe vergognata. Sapendo di mentire l’assicurai che le avrebbe viste da sola. Il giorno dopo, all’uscita da scuola, incontrai Mario e gli spiegai il mio piano. Mia madre nel tardo pomeriggio sarebbe uscita per andare, come al solito, a bere il tè con le nuove amiche. Avevamo due ore abbondanti a nostra disposizione.Quando mia madre uscì, la sorellina mi chiese subito delle riviste. Le dissi di avere pazienza, che di lì a poco le avrebbe viste. Aspettai qualche minuto, poi andai ad aprire la porta d’ingresso; sullo zerbino c’era un bel pacco con riviste dalle copertine inequivocabili. Mia sorella mi guardò stupita, chiedendomi chi fosse il “postino”. Le dissi di non fare domande e di seguirmi in camera. All’inizio non gradiva la mia presenza poi, sempre più presa da ciò che le si parava davanti, cominciò a commentare quello che le foto mostravano: scene di orge, una donna con tre uomini, con quattro, con cinque, due donne e un uomo, pompini, inculate, masturbazioni, sessantanove, sborrate nelle bocche, in faccia, sulle tette, lesbicate a due, a tre, a quattro, scene sadomaso con una appesa e frustata, un’altra inculata e con le tette tormentate da un’altra donna munita di pinze. Ce n’era davvero per tutti i gusti e mia sorella sembrava gradire ogni cosa. La informai che quando guardavo quelle cose, mi toccavo, mi masturbavo e che anche adesso lo avrei fatto. Mi disse che lo potevo fare. Non ci pensai due volte. Lo tirai fuori duro e con la cappella violacea. Mia sorella lo guardò e commentò che era bello anche se un po’ più piccolo di quello del suo ragazzo. Mentre mi segavo, volli sapere qual’era la foto che finora le era piaciuta. Mi indicò quella con una donna supina su un basso tavolino, in reggicalze e calze a rete con scarpe dal tacco alto, a gambe aperte e scopata da uno col fisico da culturista, con in bocca e nelle mani altri tre cazzi. Nelle foto successive i quattro uomini si avvicendavano per poi cambiare posizioni e farsela in diversi altri modi. Le chiesi se allora anche a lei sarebbe piaciuto essere presa da più maschi. Mi confessò che si masturbava pensando spesso a quello. Io ormai mi stavo segando di brutto. Dissi che se voleva sditalinarsi lo poteva fare senza nessun problema. Si abbassò le mutandine stando seduta, allargò le gambe e cominciò a masturbarsi. Guardava le riviste toccandosi la passera. Presi coraggio e allungai la mano verso la sua fichetta. Lasciò che gliela accarezzassi intanto che, con mio stupore e gioia, la sua mano cominciava a scorrere sulla mia asta. Con l’altra mano guidava la mia facendo in modo che il dito anulare, con movimento circolare, stimolasse la clitoride. Era la prima volta che toccavo e masturbavo una fica e l’insegnante era mia sorella! Era fradicia. Il sedile della sedia per fortuna era di plastica. Ad un certo punto il ritmo della sega divenne più veloce mentre avvertivo che un tremore si stava impadronendo delle gambe e del ventre della sorellina. Mi implorò di non smettere. Di girare più forte quel dito. Arrivò all’orgasmo gridando. Stette per un po’ con la testa reclinata all’indietro, a occhi chiusi. Poi, senza parlare, si alzò e andò in bagno. Io stavo lì come un salame, col cazzo violaceo e svettante, con la sborra che ribolliva nei coglioni. Ritornò e, senza parlare, si inginocchiò tra le mie gambe prendendo in bocca la cappella dell’uccello. Mi stringeva le palle, mi leccava tutta l’asta, poi dava colpetti di lingua attorno al glande, mi succhiava i testicoli, tornava a ingoiare la cappella e una parte dell’asta, andava su e giù con la testa sempre più velocemente. Mi ricordo d’averla apostrofata “troia” ordinandole di farmi godere. Le sborrai in bocca, ingurgitò tutto lo sperma. Ero senza fiato. Lei mi guardava con occhi furbi stando sempre accovacciata tra le mie gambe. Mi baciò ancora sulla punta del cazzo, mi disse che le piaceva moltissimo la mia sborra (disse proprio così, “sborra”), si rialzò e mi ficcò la sua lingua in bocca rifilandomi un bacio da svenimento e facendomi assaporare un po’ del mio sperma.Mario aveva visto abbastanza pur se la porta della stanza stava alle nostre spalle. Era entrato piano piano dato che avevo socchiuso la porta d’ingresso. Quando mia sorella era andata in bagno, aveva fatto appena in tempo a rifugiarsi nella camera dei miei. Non l’aveva vista nuda ma aveva visto cose che né io né lui ci saremmo mai immaginati. Il giorno seguente mi travolse con una serie di domande e di richieste che al momento ritenni impossibili e assurde. Ma anch’io avanzai le mie richieste. Lui voleva sverginare mia sorella, io volevo scoparmi sua madre. Cominciammo a pensare quali strategie adottare ma tutte presentavano grosse lacune e l’imponderabilità spadroneggiava. A una certa età si è incoscienti e temerari. Decidemmo di pianificare il pianificabile e di accettare i rischi di una strategia motivata più dalle pulsioni provenienti dal basso ventre che dal cervello.Dopo qualche giorno io e mia sorella, che doveva risolvere dei problemini di geometria – con la scusa che Mario era bravo in quella materia -, andammo nel suo appartamento. La madre era già andata al lavoro e per ore avremmo avuto la casa libera. Mario, con una mossa studiata, prendendo un libro dallo scaffale sopra lo scrittoio, al quale si era accostata mia sorella, fece cadere alcune delle ben note riviste pornografiche. Con noncuranza cominciai a sfogliarne una mentre Mario si scusava per la sua goffaggine senza, però, rimetterle a posto. Mia sorella teneva gli occhi bassi stando in silenzio: probabilmente aveva capito chi poteva essere il mio fornitore. Io intanto commentavo, con linguaggio non proprio signorile, le immagini. Ad un certo punto mia sorella si alzò di scatto, mi rifilò uno schiaffo e tentò di raggiungere la porta. Io risposi con uno schiaffo più forte, l’afferrai per le braccia e la buttai sul letto. Mario ci guardava allibito, poi si ricordò di quello che dovevamo fare. Mi aiutò a tenerla ferma e, premendole una mano sulla bocca, le impedì di urlare. Io presi dei fazzoletti e il nastro adesivo da pacchi che avevamo acquistato preventivamente. Le riempii la bocca coi fazzoletti e la sigillai col nastro. Mentre Mario continuava a tenerla ferma, le tolsi scarpe, calzettoni, mutandine, un po’ a fatica il vestito, la maglietta e il piccolo reggiseno. Le legammo le caviglie alla sponda del letto con della corda da rocciatore presa in prestito da un nostro amico. Le gambe, così, erano immobilizzate e divaricate. Stessa tecnica per le braccia. Mia sorella formava, su quel letto, la più bella ed erotica “x” che avessi mai visto. Ci spogliammo velocemente. Lei ci guardava ad occhi sbarrati mugugnando. Avevamo i cazzi in tiro e Mario appoggiò subito il suo sulla faccia e sulle tettine mentre io, come da racconti di amici esperti e da fotografie, salito sul letto, mi inginocchiavo tra le sue gambe e iniziavo il leccaggio della fica. Dopo un po’ gli umori vaginali macchiavano il copriletto e bagnavano le cosce della sorellina. Mi diedi il cambio con Mario che iniziò a slappare velocemente, come un cane assetato. Ormai era chiaro che i mugugni della sorella erano di piacere. Provai a toglierle delicatamente il nastro adesivo e i fazzoletti. Sbavava e gemeva come una manza in calore. Le sciolsi i nodi ai polsi, si liberò le braccia, mi prese l’uccello e se lo portò alla bocca. Ogni tanto interrompeva il pompino chiedendo a Mario di slinguare più velocemente. Mario invece si interruppe, le liberò le gambe e le chiese di voltarsi, di mettersi a quattro zampe. Entrambi capimmo che voleva scoparla. Mia sorella, con molta calma, gli disse che si sarebbe fatta sverginare da me, da suo fratello e che Mario poi le avrebbe aperto il culo. Andò proprio così. Mi sistemai dietro; lei mi guidò il cazzo nella fica fradicia mentre Mario le ficcava il cazzo in bocca. Dopo due tre colpi l’imene era sfondato quasi senza dolore e il mio uccello stantuffava la fica fraterna. Mario praticamente la chiavava in bocca; lei con una mano si sditalinava e ogni tanto mi palpava i ciglioni. La tenevo per i fianchi o le strizzavo le tettine. Cominciò a tremare. Sentivo che stava per raggiungere l’orgasmo. Aumentai il ritmo e le spinte. Mario, gentilmente, uscì dalla bocca per non farla soffocare. Cominciò a gridare, a tremare, a implorare di sbatterla più forte. Era in preda a un delirio. Mario le dava della troia, io della cagna, della vacca. Ci promise che sarebbe stata la nostra puttana per sempre. Le domandai se, su nostro ordine, avrebbe fatto la troia con altri cazzi. Avrebbe fatto qualsiasi cosa le avessimo ordinato. Anche leccare e masturbare altre fiche. Ormai l’orgasmo la stava facendo delirare e noi ne approfittavamo per strapparle ignominie sempre peggiori. Venne con gli schizzi di sborra di Mario sulla faccia. Poi, finalmente, potei estrarre l’uccello e svuotarmi sulla sua schiena. Si stette abbracciati tutti e tre stesi sul piccolo letto, quasi uno sopra l’altro, con lei in mezzo che ci baciava delicatamente. Si alzò, chiese dov’era il bagno, e scomparve per qualche minuto. Al ritorno ci sorprese con la richiesta che voleva essere inculata da Mario mentre io e lei facevamo un sessantanove. Iniziammo subito. Lo sverginamento del sedere fu senz’altro più doloroso, anche se Mario si era aiutato con della vaselina prudentemente acquistata in precedenza. Da sotto vedevo tutto. La fica sbrodolante e il cazzo che tentava di farsi strada. Qualche urlo e, finalmente, le palle di Mario che sbattevano sulle chiappe. L’uccello era stato tutto ingoiato dal culo mentre una bocca aveva completamente ingoiato il mio. Leccavo la fica ma, quando Mario spostava il cazzo dal culo alla vagina, qualche slinguata la davo anche al suo cazzo. Stavamo per venire tutti e tre. Il tremore di mia sorella era il segnale. Mario urlò che le avrebbe sborrato nella pancia. Estrasse il cazzo dalla fica e lo inserì velocemente nel culo. Mia sorella pareva nuovamente in delirio tanto si dimenava ma non abbandonò mai il mio cazzo. Le sborrai in gola intanto che vedevo gli umori uscirle dalla fica e della crema bianca colare dal suo culo sul mio viso.Facemmo appena in tempo a gustare i nostri orgasmi che la porta della camera si spalancò di colpo. Era la madre di Mario. Ci fu un momento di silenzio assoluto, dove noi tre, mantenendo le nostre oscene posizioni, guardavamo attoniti verso la porta. Ancora oggi non so dire cosa ci prese, con che coraggio e incoscienza agimmo. Un raptus collettivo di follia e disperazione. Le saltammo addosso. Mario arrivò a darle dei manrovesci tremendi, facendole uscire sangue dal naso. Io ripresi i fazzoletti e li spinsi nella bocca che nemmeno aveva iniziato a urlare mentre mio sorella col nastro adesivo la tappava definitivamente. Era vestita con un elegante e aderente tailleur grigio, la gonna ben sopra il ginocchio che mostrava la bellezza delle sue lunghe gambe inguainate in calze scure. Strattonandola la gonna era salita e si notava il reggicalze di pizzo nero. Infilai la mano tra le cosce e sentii la stoffa traforata dello slip. Le pizzicai forte la fica e scostai la mutandine. Mario e mia sorella le avevano legato le braccia dietro la schiena, la giacca si era aperta e le tette sembravano voler bucare la camicetta di leggero tessuto bianco. Il reggiseno nero a balconcino sembrava voler aiutare i seni a uscire a mostrarsi. Lo slip scostato mi permetteva di passare la mano sulla fica calda della signora e di introdurvi le dita. Era vagamente umida. Con l’altra mano tirai la camicetta facendo saltare dei bottoni. Ormai si vedevano benissimo il nero reggiseno e il petto ansimante. La sospingemmo verso il letto. Si sedette sul bordo. Era sotto shock mentre noi tre sembravamo delle belve feroci. Mia sorella con un altro fazzoletto le tamponò il sangue che continuava ad uscire dal naso. Così seduta la stretta gonna era completamente risalita. Io e Mario le tenevamo allargate le gambe mentre le palpavamo e le tormentavamo la fica. Mia sorella aveva fatto uscire le tette dal reggiseno e le succhiava i capezzoli. Presi una forbice, tagliai la gonna, la strappai e finalmente gliela tolsi. Tagliai sulla schiena la giacchetta e gliela abbassai il più possibile. Mia sorella le aprì completamente la camiciola. Le uniche parole furono di Mario: per lui era una troia e così l’avrebbe trattata assieme ai suoi amici.La signora non era più legata, piangeva seduta a terra, nuda, in un angolo della camera del figlio che l’aveva scopata, inculata e che lei aveva sbocchinato e fatto godere come aveva fatto godere me e mia sorella con culo bocca e fica. La cosa più elettrizzante era stato il sessantanove tra le due femmine mentre, uno di fronte all’altro, io e Mario le scopavamo e inculavamo. Avevamo sborrato nella fica della signora senza precauzioni perché Mario sapeva che prendeva la pillola. Mia sorella aveva goduto come una matta grazie alla lingua dell’altra femmina e, per ringraziarla sadicamente, le aveva infilato una lattina di Coca Cola nella vagina mentre io e il figlio la tenevamo ferma. Gli orgasmi della madre di Mario erano stati rumorosissimi: per fortuna nella palazzina c’eravamo solo noi. L’avevamo sbavagliata per impedirle di soffocare mentre godeva. Urlava come una pazza e noi ci eravamo comportati come dei pazzi. Eravamo tutti nudi, spossati e, terminato il lungo delirio, intontiti dalla nostra stessa violenza. Mia sorella si avvicinò alla madre di Mario mentre il figlio stava disteso inerte sul letto. L’aiutò ad alzarsi e l’accompagnò in bagno. Guardavo privo di pensieri fuori dalla finestra. L’unica cosa che ogni tanto mi passava per la testa era sempre la stessa domanda: cosa faremo adesso. Le due donne rientrarono. La signora indossava un accappatoio mentre mia sorella era ancora nuda. Si sedette sul letto e iniziò a parlare. Per lei niente sarebbe stato più come prima. Era stata violentata e umiliata da dei ragazzini, tra cui suo figlio; provava vergogna soprattutto perché le era piaciuto e perché nelle sue fantasie accadevano queste cose. Non ci odiava e non ci temeva ma temeva se stessa, le sue voglie nascoste che noi avevamo realizzato. Cosa avrebbe dovuto fare ora? Lo chiedeva a noi, a suo figlio. Mia sorella si mise al suo fianco e le accarezzò il viso, poi le baciò le labbra e, con molta semplicità, le disse di essere se stessa e di imparare ad accettarsi per quello che era. Il figlio si eresse e circondò con le braccia le spalle della madre. La stringeva forte baciandola sul collo. La madre gli chiese se lui l’avrebbe da allora trattata come una mamma o come una puttana. Non ci fu risposta. Le prese il viso e la baciò dolcemente in bocca. Quando io e mia sorella uscimmo, li lasciammo che ancora si baciavano, da amanti.
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