Non amo il buio. La notte mi fa paura.A volte, quando torno a casa tardi, camminando nella notte con le mani nelle tasche del giubbotto di pelle, e mi guardo attorno senza sorriso, come un animale impaurito scappato dalla gabbia, mi sembra che nella città non esista più nessuno, se non io e la mia paura.Ieri sera sono andato a sentire musica in un locale in periferia, dove fanno dell’ottimo jazz, e sono tornato verso l’una e mezza di notte. A metà strada ha cominciato a piovere; un temporale con certi tuoni e fulmini che, anche se mi vergogno a dirlo, mi fanno ancora paura.Purtroppo non ho l’automobile, anche se ho la patente e qualche volta guido la Tipo di mia madre, perchè lei non ama guidare di sera. Al lavoro vado e torno a piedi, sono una decina di isolati, e per gli altri spostamenti prendo il tram o la metropolitana. Ma a me piace passeggiare, lo faccio quando posso e non mi stanco certo a fare due passi in più.Quando ha iniziato a piovere la cosa mi ha solo infastidito, ma a metà strada ero già bagnato fino al midollo e poi avevo proprio paura, così ho trovato aperto il cancello di un palazzo e sono entrato. Almeno lì non pioveva. Scalogna nera, neanche un minuto dopo si è fermata un’automobile. Una Volvo, credo. La pioggia era così forte che se ne distingueva a malapena la sagoma scura. E’ sceso un uomo con un ombrello, è venuto dalla mia parte, ha aperto l’altro sportello ed è scesa una donna.Allora ho cercato di nascondermi, non mi piaceva farmi vedere lì, tra l’altro quello era un palazzo elegante e io, che normalmente vesto con gusto, indossavo invece i jeans e un giubbotto, e con i capelli tutti bagnati e arruffati, mi sentivo proprio a disagio.Non sapevo dove andare e mi sono cacciato nel posto più stupido, cioè vicino al vano scale, dove c’era un’altra cancellata, naturalmente chiusa. Ho sentito i due che si salutavano, ci mettevano un sacco di tempo, credo si baciassero.Poi lei è entrata. Io stavo addossato alla parete a fianco della cancellata, credo di aver spinto così forte che forse ho lasciato l’impronta della schiena nel muro. Il cancello esterno si è richiuso, la macchina è ripartita e lei ha cominciato a cercare le chiavi nella borsetta per aprire il secondo cancello, proprio quello accanto al quale ero nascosto.Portava i tacchi alti, quando è arrivata vicino a me l’ho vista bene: aveva la pelliccia su un braccio, anche se, non fosse stato per il temporale, quella sera faceva caldo, infatti indossava un vestito leggero, senza reggiseno. Si, senza reggiseno, perchè le si vedevano le punte dei capezzoli disegnati sotto la stoffa morbida. La pioggia, malgrado l’ombrello, era riuscita a sfiorarla e in alcuni punti a investirla con violenza: i capelli scuri avevano come tante minuscole perline che brillavano controluce, mentre il vestito, bagnato senza pietà sul davanti, le stava incollato al pube.Se avesse aperto in fretta il cancelletto e non le fossero cadute le chiavi non mi avrebbe nemmeno visto.Certo eravamo molto vicini nell’ombra, sentivo il suo profumo. Un profumo forte, che cancellava persino l’odore del temporale; uno di quei profumi che rimangono nell’aria anche dopo che la donna è passata, come se si trattasse di una traccia, di una pista da seguire. Di un invito.Uno di quei profumi che le donne “più donne” usano come una bandierina per siglare le loro proprietà, i loro uomini, segni incaccellabili, di quelli che non si possono nascondere alle rivali o alla fiducia ingenua di una moglie.Le sono cadute le chiavi, dicevo, lei si è chinata per raccoglierle e alzandosi mi ha visto. Si è spaventata a morte, le chiavi le sono cadute di nuovo, si è guardata attorno come per cercare aiuto, era proprio terrorizzata, si è girata verso il cancello da cui era venuta e deve aver pensato che non c’era scampo, il cancello era chiuso e il suo amico ormai se n’era andato.Queste sono supposizioni che ho fatto dopo, perchè in quel momento avevo solo gli occhi incollati ai suoi seni, ai capezzoli che le bucavano quasi la stoffa, e c’era quel profumo che mi impediva di pensare e che ogni volta che inspiravo mi toglieva il fiato.- Oddio! – ha esclamato, e si è messa con le spalle contro il muro dall’altra parte della volta sotto cui eravamo.- Senti – mi ha detto dopo essersi passata la lingua sulle labbra, dove il rossetto era leggermente sbavato. – Ti do’ tutto quello che vuoi, ma non mi fare del male, capito? Non mi fare del male! -Mi è venuto da pensare che quella sbavatura se l’era sicuramente procurata baciando il tizio della Volvo. Aveva labbra delicate ma grandi e gli zigomi pronunciati su cui la pioggia aveva tracciato piccoli rivoli, ora quasi asciutti, come lacrime dimenticate.Ha tirato fuori dalla borsetta un rotolo di biglietti, adesso che ci penso li ho guardati, si, li ho proprio guardati: credo fossero sei o sette biglietti da cento.- Prendili! -mi ha pregato allungando la mano piena di anelli.Io ero impietrito contro il muro. Una statua. Era successo tutto così in fretta che non riuscivo proprio a staccarmi dalla parete. Visto che continuavo a tenere le mani nelle tasche e non mi muovevo, lei si è guardata ancora attorno mentre scoppiavano un paio di tuoni da far tremare il palazzo.- Tutto, tutto, ti do tutto – mi ha ripetuto con il petto che si abbassava e si alzava, e ha cominciato a sfilarsi gli anelli con impazienza. – Ti do tutto, vedi? Tutto. Ma non mi fare del male, ti prego, non mi fare del male. – la voce le tremava.Adesso che mi ero abituato ancora di più alla penombra le guardavo le gambe, mi pareva di poterle vedere nude dentro il vestito bagnato che le si incollava addosso. Poi mi sono scosso, ho capito che mi aveva scambiato per un rapinatore.- Ma no – ho detto sorridendo stupidamente e andando verso di lei. – Guardi che si sbaglia. Non voglio i suoi gioielli. -E’ rimasta senza parole, mi ha guardato incredula, mi ha osservato dalla testa ai piedi con le labbra socchiuse, e si è soffermata alla fine proprio all’altezza del mio pube. In quel momento mi sono reso conto che mi ero eccitato e anche nella penombra, i miei jeans aderenti non riuscivano a nasconderlo.E’ scoppiato un altro tuono, la pioggia cadeva con un rumore assordante rimbombando nell’atrio.- Oh Dio mio! – ha detto guardando sempre più spaventata le mie mani che erano rimaste nelle tasche del giubbotto. – Senti, farò tutto quello che vuoi. Vedi, non urlo, ti giuro che non urlo, ma non farmi del male. Farò tutto quello che vuoi, ma non farmi del male. Hai capito? -Era terrorizzata, non riusciva a togliermi gli occhi di dosso. Allora, mi è venuto spontaneo, ho tolto una mano di tasca e l’ho presa per un braccio e ho sentito la sua pelle morbida, leggermente bagnata, mentre i suoi muscoli si irrigidivano e lei cercava di ritrarsi ancora più contro la parete.- Guarda che stai sbagliando! – le ho detto, ma lei ormai non mi ascoltava più.- Fammi tutto quello che vuoi – continuava a balbettare. – Ma ti prego: non farmi del male. -Le ero così vicino che quando respirava il suo seno sfiorava il mio petto o forse era il desiderio che me lo faceva sembrare.Mi sono eccitato, si, mi sono eccitato, lo confesso, e non ho più parlato. Le tenevo solo un braccio e stavo lì in silenzio a guardarla, a sentirla respirare. Non avevo mai avuto una donna tanto bella così vicino a me.Anche il suo terrore mi eccitava, sapere che lei si era arresa a me, che io avrei potuto farle qualcosa, qualunque cosa, era più eccitante di qualsiasi altra sensazione avessi mai provato.Mi sono spinto contro di lei fino a sentire il mio cazzo che le premeva all’altezza dello stomaco.- No! – ha bisbigliato lei. – Oh no! – E le è caduta la borsetta per terra.Come uno stupido mi sono chinato a raccoglierla e ho notato una chiazza di bagnato che si allargava lentamente per terra ai suoi piedi. Mi sono rialzato, il suo volto era sconvolto, rigato di lacrime. Continuavo a chiedermi cos’era quella chiazza di bagnato sotto di lei, poi di colpo ho capito e il fatto mi ha eccitato talmente che per poco non me ne venivo nelle mutande.Se l’era fatta sotto per la paura!Lei si era addossata al muro il più possibile e tremava. Siamo rimasti così non so quanto tempo, con me che la stringevo ancora per il braccio e lei in silenzio a guardarmi piangendo.le sono andato di nuovo addosso, ma nel momento in cui mi sono trovato contro di lei, con il mio corpo premuto contro il suo, avvertendo il suo respiro affannoso contro il mio volto e il mio cazzo eccitato che quasi scoppiava dentro i jeans, ho avuto paura. Ho avuto paura del suo profumo troppo da “figa”, dei suoi seni troppo perfetti, del suo corpo nudo sotto il vestito bagnato, ma soprattutto ho avuto paura di quello che stava accadendo, di me, e sono scappato via come uno stronzo, proprio come uno stronzo, perchè poi mi sono sognato quelle tette tutta la notte e alla mattina mi sono alzato e sono andato in bagno e mi sono masturbato perchè non ce la facevo più.E dopo mi sono sentito ancora più stronzo, si, ancora più stronzo, se possibile.
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