Era ancora una ragazza quando si era fidanzata con Paolo. Anche se non poteva essere definito un adone, lui l’aveva stregata col fascino dei suoi venticinque anni ed aveva avuto vita facile ad abbindolarla. La ragazza viveva solo per lui. Le prime volte che l’aveva stretta tra le sue braccia e le poggiava le labbra sulle sue, lei aveva tremato per l’emozione. E quando per la prima volta gli aveva stretto il membro dentro al pugno si era sentita raggiante. Le amiche l’avevano preparata a quell’esperienza, ma per lei era stato un atto d’amore superlativo. Lo amava decisamente ed era stata pronta a superare ogni prova per lui. Paolo, invece, prima di lei aveva avuto solo avventure su avventure, mai una ragazza fissa. “Appena ne trovo una che non è mai stata con nessuno, me la sposo” diceva ai suoi amici, “mica posso accettare che qualcun altro ci sia passato sopra, prima di me!” e nel mentre continuava a trombare le donne degli altri. E così Cinzia era stata l’occasione per mettere in pratica la sua idea; ma non l’amava più di tanto. Era solo una questione di possesso: lei era sua e nessun altro l’aveva mai toccata prima di lui. Così, la prima volta che le aveva chiesto uscire l’aveva portata al cinema. Al ritorno si era fermato lungo la strada buia ed aveva iniziato a baciarla. Quella sera si era limitato a sbottonarle la camicetta e ad abbassarle il reggiseno per trastullarsi con i capezzoli. Li aveva stretti tra le dita come se fossero due cristalli delicati, pronti a frantumarsi, poi ne aveva succhiato uno per volta tra le labbra, stringendo le mammelle tra le mani. L’odore di quella carne fresca che nessuno aveva mai violato prima di allora glielo aveva fatto diventare duro subito. Le aveva preso una mano posandosela sui pantaloni, ma lei – inesperta – non l’aveva più mossa sino a quando lui non si era rialzato riavviando il motore: a quel punto aveva bisogno di una scopata salutare e c’era Laura (la ragazza di Gianluca, un suo amico partito militare) ad attenderlo! L’indomani Cinzia, ancora esaltata, aveva raccontato tutto a Francesca e Maria, le sue compagne di scuola, amiche del cuore. Le due, già smaliziate, l’avevano ascoltata con grande attenzione e le avevano raccomandato come comportarsi la volta successiva. “Povero Paolo”, le aveva detto Maria “sicuramente lo avrai costretto a far tutto da solo”, ed era scoppiata a ridere mentre l’amica la guardava interdetta. Poi era iniziata la lezione. Le avevano fatto ricordare le foto della rivista pornografica che Attilio, il fratello di Maria, teneva nascosta nel bagno di casa e che loro tre, a sua insaputa, andavano regolarmente a sbirciare. “Sicuramente, toccandoti il seno a Paolo è diventato duro” le ripeteva Francesca, “avresti dovuto sbottonargli i pantaloni e prenderglielo in mano. Tu, invece, sei rimasta immobile. Che scema! Ma com’era, grosso?” Cinzia continuava a guardarle come fosse rimbambita, poi aveva risposto con un timido “io non lo so. Che avrei dovuto fare?” Le aveva risposto ancora Francesca, sbuffando ma sorridente: ”Una sega. Vedrai che ti piacerà. Gli impugni il pene al di sotto del glande e incominci a muovere la mano, scorrendo.” I consigli erano proseguiti utilizzando un quaderno arrotolato come imitazione per farle provare la presa e i giochini con cui stupire il ragazzo. Già la stessa sera Cinzia si era ritrovata sola con Paolo dentro la macchina, ferma lungo il litorale buio e deserto; quella era stata la prima volta in cui aveva visto il pene di un uomo. Erano abbracciati e lui la stava baciando focosamente, quando aveva iniziato a sfibbiarsi la cinghia dei pantaloni e ad abbassarsi la cerniera. Poi, continuando a mulinarle la lingua in bocca, le aveva preso la mano tra le sue. Lei lo aveva seguito docilmente sino a sentire la stoffa dei boxer tra le dita. Paolo l’aveva accompagnata sotto, “prendilo in mano, amore” le aveva detto. Aveva impugnato il pene dritto e duro liberandolo dall’impaccio degli indumenti, poi, era rimasta ad osservarlo con meraviglia. Era più piccolo di quelli visti sulla rivista pornografica; doveva essere lungo quanto una penna e grosso quanto la barra del portalampade della sua stanza. Intanto, le sue dita cercavano di mettere in pratica quanto provato la mattina col quaderno. “Non così. Ferma!” A quel punto lui l’aveva istruita su come deliziarlo con le mani. “Ecco, brava muovi la mano verso l’alto…. Tienila stretta così, brava…. Ora usa tutte e due le mani, così….” Cinzia eseguiva tutto quello che le diceva come fosse sotto l’effetto di una droga. Aveva gli occhi fissi su quell’organo, mai conosciuto prima, e nulla l’avrebbe potuta distogliere dal dare piacere al suo amore stringendolo e masturbandolo. Così, per quasi tutte le sere di quell’inverno, chiusi in macchina lungo il litorale deserto, Paolo l’aveva resa partecipe a sparargli delle estenuanti seghe, sempre più complesse, che prevedevano l’esplosione finale con regolare imbrattatura delle mani e dei golfini della giovane ragazza. In cambio, le aveva regalato dei veloci ditalini che lei, inesperta, aveva assaporato come il massimo della goduria. La prima volta era stato nel corso di una mattinata in cui l’aveva convinta a non entrare a scuola per imboscarsi nel solito luogo. Appena fermata la macchina, si era calato i pantaloni ed i boxer e, mentre lei si affaccendava con la mano sul suo cazzo, aveva approfittato della gonna corta per far scivolare sotto le sue e abbassarle le mutandine. Per prima cosa le aveva toccato la clitoride, facendola gemere. Subito dopo, aveva infilato due dita nella gnocchetta, fresca come una rosa, ed aveva incominciato a sondarla rapidamente. Cinzia era esplosa subito in un urlo liberatorio e così aveva raggiunto il suo primo orgasmo per mano di un uomo .. e le era sembrato ti avere toccato il cielo con un dito. Poi, un giorno che aveva mangiato a casa di lui, Paolo le aveva chiesto di seguirlo in camera sua e appena entrati si era buttato sul letto, tirandosela addosso. “di la ci sono i tuoi” gli aveva detto, impaurita che qualcuno li sentisse, ma le sue preoccupazioni erano rimaste nell’aria perché lui si era già calato la cinta dei pantaloni e gli slip sino alle ginocchia. “baciami sul petto” le aveva detto, alzandosi la camicia. Lei, benché seccata, lo aveva accontentato. Voleva che tutto finisse presto, prima che uno dei genitori di Paolo entrasse nella stanza. “Scendi sui capezzoli, amore.” “Ora vai nell’ombelico. Prendimelo in mano, brava. No! Piano. Scendi più in basso.” Si era sentita spingere la nuca verso il basso, ritrovandosi con le labbra poggiate sulle sue dita e sul cazzo di Paolo. “Ora inizia a leccarlo lungo tutta l’asta. Non essere ansiosa, però. Cerca di essere sempre lenta e paziente. Quando lo lecchi devi farlo sempre molto lentamente. Se vuoi puoi masturbarlo con la mano mentre lo lecchi, oppure puoi tenerlo semplicemente dritto, come ti conviene a te. Immagina di leccare un bel gelato. Quando arrivi in cima bacialo sopra l’orifizio poi apri la bocca e mettilo dentro. ok?” A Cinzia era sembrato di impazzire. Ma che era preso a Paolo? Proprio lì doveva fargli fare quelle cose per la prima volta? Un po’ scocciata si era abbassata per accontentarlo. “Ahi! E’ sensibile, stai attenta. Non usare i denti!” “Scusa.” Così, con lui disteso sul materasso e lei in ginocchio al lato del letto, aveva eseguito il suo primo pompino della vita di donna. Veramente, più che altro, era stata una masturbazione a due mani, tenendo la punta del pene tra le labbra, ma Paolo non si era lagnato e lei non poteva sapere che avrebbe potuto fare molto di più. Due minuti di quell’attività erano stati sufficienti perché Cinzia conoscesse il sapore dello sperma. “Ingoia, amore. Ingoia tutto.” Ma non c’era riuscita. Un po’ mortificata aveva sputato per terra quel che l’aveva raggiunta in bocca, mentre Paolo, a quel punto, continuava ad eiaculare stringendole il pugno sul cazzo e facendolo salire e scendere vertiginosamente. I primi anni erano trascorsi così. Si vedevano quasi tutti i giorni; si imboscavano; una sega o un pompino mediocre, un dito di lui a ripagarla, e via a casa, felici e contenti. Veramente a casa ci tornava lei. Paolo, nvece, correva sotto le gonne di qualcun’altra, pronta ad allargargli le cosce e la bocca in modo delizioso. Per la sua maturità era stata lei a volergli regalare la sua verginità e, da quel momento, la macchina era diventata testimone di sveltine insignificanti, buone solo a far venire il suo fidanzato, ma a lei non pesava. Lo sentiva spingere dentro di lei, poi, appena intuiva che stava per sfilarsi, scivolava lungo il sedile verso il basso, pronta ad accoglierlo in bocca (aveva imparato ad accettare quel sapore in gola). Solo dopo che si era ricomposto, Paolo le si dedicava col solito ditalino, sempre che non le dicesse che si era fatto troppo tardi. Le cose, però, erano destinate a cambiare. Era da tempo che Cinzia si confidava con le amiche e, ascoltando le esperienze fatte da loro con i loro ragazzi, iniziava a comprendere che c’era qualcosa di storto nel suo rapporto con Paolo. Era stata Francesca a farla insospettire. “A parte che non è così che gode una ragazza, mi sa che il tuo ganzo ti fa fessa. E’ possibile che si accontenti di quattro stupidate?” Era iniziata una fase di sospetti e pedinamenti che, però, non le avevano consentito di scoprire nessun tradimento da parte di Paolo. Questo l’aveva convinta che, forse, non era un buon amante e basta. Lei lo amava e che non potesse provare le stesse cose che le raccontavano le amiche, alla fin fine, si poteva sopportare. Così riprese le sue seghe, mezzepompe e scopatine con la felicità dei primi tempi, in attesa che un dito magico le facesse provare quel che per lei era il godimento massimo. In autunno, Cinzia aveva iniziato a lavorare presso un amico del padre, con l’idea di fare un po’ di pratica. Si trattava del ufficio amministrativo di una piccola impresa cittadina dove ci sarebbe stata sicuramente la possibilità di imparare molte cose. Lì aveva conosciuto Alessandro, che, sino al suo arrivo, era stato l’unico impiegato amministrativo dell’azienda. Avevano fatto subito amicizia. Lui, più grande di un anno, dava l’aria del sornione, quasi imbecille. Sembrava sempre assonnato e che nulla potesse distoglierlo dal suo perenne torpore. Invece, era un piccolo marpione e c’era voluto poco perché Cinzia capisse che il giovane collega non era un imbranato nemmeno con le donne, così come poteva sembrare a prima vista, ma che ci sapeva fare, eccome. Dopo pochi mesi di lavorare assieme, era stata partecipe delle sue avventure con Laura, Paola, Giovanna, Marisa, Elsa, Annalisa e Lucia. Tutte iniziate quasi per caso (ad esempio Marisa aveva bussato alla porta dell’ufficio per errore quando avrebbe dovuto andare al piano di sotto e si era ritrovata a scambiarsi subito i telefoni con Alessandro) e regolarmente concluse quando lui si stancava di fare sesso con loro. In quel senso, amava scherzarci sopra con Cinzia:“Ormai non ha più nulla da darmi. Perché dovrei uscire ancora con lei?” le aveva detto parlandole di Lucia, l’ultima in ordine cronologico. E lei ci aveva riso sopra ma, col tempo, aveva iniziato ad invidiare quelle donne. Anche col capo si era instaurato un bel rapporto. Si davano del tu nonostante la differenza di età (circa diciotto anni) e si vedeva lontano un miglio che lui la riempiva di galanterie in ogni occasione. Così lei, consapevole di fargli piacere, aveva iniziato col vestirsi in modo sempre più studiato, con camicette sbottonate al limite della decenza e gonne cortissime. Il risultato era stato quello di dovere sopportare le scene di gelosia del suo Paolo (che, però, ogni volta che l’aveva trovata in minigonna non aveva perso l’occasione per metterle le mani sotto e il cazzo in bocca) e le battute del suo collega sempre più audaci. “Cos’hai da guardare?” gli aveva chiesto una mattina in cui erano soli in ufficio, mentre le passava accanto alla scrivania, dov’era seduta con la gonna che le copriva appena le cosce. “Ma ti sei vista? C’è lo già duro.” Le aveva risposto, sorridendogli col suo fare sornione. “Maniaco!” Anche lei aveva sorriso ed era tornata al suo PC. Però era vero. Aveva guardato con insistenza i pantaloni e il gonfiore che c’era sotto si notava bene. Involontariamente aveva sospirato. Per un attimo le era passato per la testa che avrebbe voluto abbassargli la cerniera per infilarci dentro la mano e tirare fuori quel che poteva solo immaginare; non doveva essere male. Quasi come un automa si era alzata con la scusa di dovere prendere un fascicolo dalla libreria e gli era passata davanti. Lo spazio non era granché e aveva dovuto strusciarsi contro di lui. Subito aveva avvertito qualcosa di lungo e duro contro la sua coscia. Si era fermata ad un passo e, con tono di scherno, l’aveva apostrofato: “ma allora sei veramente un maniaco.” Alessandro si era scusato mugugnando qualcosa ma, dato che lei non accennava a muoversi, non aveva trovato di meglio che alzare le braccia e posare le mani sul suo seno. Le guance di Cinzia era diventate porpora ma continuava a stare ferma, immobile. Lui aveva iniziato a slacciarle la camicetta, aprendola. Le dita erano scivolate dietro, sulla schiena, per sganciarle il reggiseno e, un attimo dopo, labbra che non erano quelle di Paolo le stavano baciando e succhiando i capezzoli. Era in estasi! Stava provando qualcosa che mai l’aveva coinvolta così tanto. Una mano era andata a cercare la sua e, insieme, erano scese verso il basso. Ma quando lo aveva fatto? Lei non si era accorta di nulla! A quel punto stava stringendo nel pugno un uccello duro e certamente più lungo di quello del suo fidanzato. Lui si era rialzato dal suo seno e le sorrideva ad un centimetro dal suo viso. Le labbra si erano unite, la sua lingua aveva forzato quelle di lei, perdendosi nella sua bocca, mentre la mano risaliva lentamente lungo una coscia, sollevando la gonna. La stava ancora baciando quando aveva raggiunto le mutandine, superandone la barriera. Cinzia aveva sentito la pressione delle dita che cercavano e trovavano la clitoride. Erano finiti a terra. Lei stringendo il fallo eretto come se fosse un trofeo; lui con entrambe le mani sotto la gonna, risalendo sino trovare l’elastico delle mutandine, per afferrarle sfilarle lungo le gambe. Subito dopo l’aveva sconvolta. Senza parlare si era spostato in modo da ritrovarsi col viso vicino al monte di venere. Lei era quasi svenuta quando aveva sentito la sua lingua posarsi lì in mezzo e per lui era stato facile trovare i punti più sensibili. Ben presto Cinzia si era persa in un mare di piacere. Non ricordava più dov’era, né con chi era, lungi dall’essere preoccupata che potesse tornare il capo. Niente aveva più importanza se non quella lingua instancabile. Così, era stata travolta dall’orgasmo, lungo e devastante, che l’aveva lasciata sconvolta. Era bagnatissima e la sensazione era incredibilmente piacevole anche se si rendeva conto che lui aveva tutto il viso impasticciato dai suoi umori e la cosa la faceva vergognare. Le aveva sorriso e.. si era immerso nuovamente, sorprendendola per la foga con cui affondava la lingua dentro di lei. In pochi secondi era stata travolta da un nuovo orgasmo… se possibile ancora più sconvolgente del primo…. e quando aveva riaperto gli occhi si era ritrovata davanti il membro turgido e lucente “Voglio venirmene anch’io” le aveva detto, sballottandole il membro sulle labbra. Anche se ormai aveva preso in bocca il cazzo del suo ragazzo chissà quante volte, a Cinzia era sembrato che si trattasse della sua prima volta. Già provava un piacere intenso al pensiero di quel che avrebbe fatto da lì a poco. Aveva dischiuso le labbra, accogliendolo tra le guance, iniziando a leccarlo e succhiarlo sempre più decisa. Poi aveva abbinato il movimento della mano, masturbandolo mentre pompava; lui l’aveva lasciata fare, osservandola, divertito, in silenzio. Poi le aveva scaricato una buona dose di sperma in bocca, “bevi” e lei aveva bevuto tutto golosamente. Erano rimasti per un po’ così, distesi a terra, col cazzo di Alessandro ancora tra le labbra di Cinzia. Poi lui si era alzato per rivestirsi. “Ora torniamo al lavoro.”
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