Emily teneva entrambe le mani al bordo del tavolo, sulla tovaglia fiorata della prima colazione. In mezzo, la tazza del caffè macchiato, e più in là, burro, marmellata, pane e brioches. Lo yogurt del suo Signore, la sua tazza di caffè nero, i loro due succhi d’arancia. Un bicchiere di latte freddo, piccole porzioni di formaggio. “A cosa pensi ora?” Emily aveva il capo abbassato. Per rispondere alla domanda di Scott forse avrebbe dovuto alzarlo, per guardarlo negli occhi, nel normalissimo tentativo di eseguire un gesto automatico tra i più consueti nello svolgersi di una conversazione. Si accorse invece di quanto le riuscisse difficile, ora, quel muoversi del collo e della nuca insieme, così naturale per lei, prima di quella mattina. Capì, precisamente, che qualcosa era cambiato tra loro; e quella consapevolezza le impedì di tacere o esprimere un concetto diverso dal vero. Fu sincera. “Penso che vorrei ancora affondare il viso nel cuscino e appoggiare sul divano il mio corpo inginocchiato…””Per fissarlo meglio in mente? Non scordarlo più?” Emily taceva, il pensiero immobile, indietro a qualche ora nel tempo, alla notte prima. “Allora?””Sì”. Era accaduto tutto, dunque, poche ore prima. Ma a lei sembrava davvero un eternità. Se non poteva più alzare lo sguardo verso Scott, se non riusciva a guardare altro che una parte del corpo dell’uomo, quella che appariva davanti a lei, all’altezza dei suoi occhi abbassati. Il petto di Scott, le sue mani, le sue gambe, i suoi piedi. E un forte desiderio di prendere quelle mani fra le sue, e baciarle, leccarle, stringerle piano per non recare fastidio. Sospirare e sognare.Lui l’aveva voluta per sé in quel fine settimana. Le aveva dato disposizioni varie e in tempi diversi. Il suo colore naturale ai capelli, lo smalto trasparente alle unghie – quello da french manicure – il genere di abiti da indossare, i mezzi di trasporto da usare per raggiungerlo dove l’avrebbe attesa. Lei si era mostrata subito accondiscendente, come sempre quando stava gustando il piacere sottile di affascinare un uomo. Per poi, all’ultimo minuto, riprendersi la sua fetta di potere nei confronti di quel maschio che stava tentando di possederla.Conquistarla, catturarla, renderla preda e dimostrare a se stesso e ai suoi simili, le proprie doti di buon predatore. Allora Emily, manifestò il suo istinto di ribellione. In una rappresentazione che conosceva bene: creare complicazioni, non rispettare gli orari, non far fede all’impegno, dimostrare poca attenzione per la considerazione che l’uomo stava dimostrando per lei.In ritardo di oltre due ore, fermò l’auto in una città diversa da quella dell’appuntamento – l’auto invece del treno, come lui le aveva ordinato di fare – poi gli telefonò, piagnucolando, e liberando moine stupide.Lui si spazientì. Lei sorrise a se stessa, soddisfatta.Lui le ordinò di prendere un altro treno in fretta, senza farlo aspettare ulteriormente. Lei rispose “non ho nessuna voglia di prendere un treno, me ne torno a casa”. Lui s’infuriò, le disse “non muoverti assolutamente da lì, ti vengo a prendere”.Lei attese in auto, sotto il sole, per tutto il tempo che fu necessario. Senza un lamento, né un rimorso. Anzi, quasi felice per aver ottenuto quello che desiderava. L’espressione e realizzazione di una delle sue più profonde essenze: il capriccio. “Ti castigherò per questo. Per tutto il tempo in cui ti terrò con me. Sarai punita per aver tentato di cambiare ogni cosa da me decisa”. Arrivato, l’aveva umiliata lasciandola a terra, senza aprire la portiera del suo potente fuoristrada grigio metallizzato luccicante, restando a godersi Bach e l’aria condizionata per un tempo che Emily percepì come infinito. Scott l’osservava da dietro il finestrino, ancora con il motore acceso. Emily immaginò di vederlo ripartire, abbandonandola sotto il sole, con in mano la sua valigia, e sul viso, tutta la sua stupidità e pochezza.Allora fece un timido tentativo di aprire da sola la portiera, che bloccata dall’interno, non si aprì. La vergogna gli scoppiò in viso, e disse a se stessa: “non ci riesco”. Quando Scott si avvicinò, lei istintivamente indietreggiò, sospettando, anzi sperando, di ricevere almeno l’onore di uno schiaffone. Lui neppure la sfiorò, disse soltanto “sei contenta di quello che hai fatto?”. Le prese la valigia di mano, la mise nel bagagliaio. Lei ancora lì, immobile, iniziò a desiderare di sparire. Quei secondi sembravano lunghissimi, interminabili. Tutta una vita di vergogna.Lui, freddo, quasi senza respirare, le prese il viso tra le mani e la baciò. Lei, in silenzio, non permise a se stessa neppure di riconoscere l’odore dell’uomo, non lo meritava. Salì nell’abitacolo, e sedette al suo posto, come se fosse un angolino di una stanza buia, dove era giusto qualcuno l’avesse messa in castigo.Guardava solo avanti e nessuna parola le usciva dalla bocca assolutamente chiusa. Ringraziò il cellulare di Scott e una delle sue innumerevoli pazienti che lo stava chiamando in preda alla solita crisi di panico o chissaché. Ma anche la telefonata finì, e le domande di Scott arrivarono presto. “Che cosa devo fare con te?” Intanto erano entrati in autostrada, una brutta autostrada, piena di curve strette, gallerie e discese. Un percorso che la terrorizzava sempre.Ad ogni curva, ad ogni discesa, sentiva il cuore uscire dal petto e sudava. La paura della morte, le avevano detto, e a lei era sembrata una spiegazione talmente semplice da apparire vera.Lui lo sapeva. Benissimo. Per questo stava correndo, senza lasciare mai la corsia di sorpasso, senza frenare, né rallentare, mai.Lei chiuse gli occhi. Pensò, come sempre in occasioni del genere, che prima o poi doveva arrivare il momento, e forse poteva essere quello.Lui, si prese ulteriormente gioco di lei. Tolse una delle mani dal volante per prendere la sua, ormai sudatissima, e le chiese “ti disturba questa velocità?”. Emily non poteva neppure immaginare che lui stesse guidando con una sola mano al volante.Arrivato ad imboccare una delle curve più pericolose, frenò di colpo e sbandò. Emily, pur continuando a tenere gli occhi chiusi dovette urlare forte, come se ogni cosa intorno a lei stesse finendo. E lui le disse: “hai visto? in tuo onore ho anche frenato… “. Una coda improvvisa, per un incidente, la salvò da quel viaggio in uno degli inferni delle sue paure. Scott imprecò, rallentando di colpo fin quasi a fermarsi, e sbattendo i pugni sul volante. Emily sentì tornare il battito abituale del suo cuore. Guardò fuori dal finestrino, e sorrise. L’albergo che lui aveva scelto si trovava in collina, in mezzo agli ulivi e al sole secco della riviera. Lontano e in basso, le bellissime insenature di un mare selvaggio che faceva l’amore con quelle stesse colline, appena queste lo raggiungevano, andando a perdersi dentro il suo blu profondissimo. Scott pur conoscendo il posto e il livello del servizio offerto, pretese di visionare la camera assegnata prima di prenderne possesso, come era sua abitudine.Poco dopo erano seduti in veranda, davanti a due bicchieri di vino, fresco, altoatesino, profumatissimo, come Emily adorava. Lei chiese il permesso di fumare una sigaretta, lui acconsentì mentre le porgeva un pacchettino blu, lucido, con un piccolo fiocchetto dello stesso colore. Restò a guardarla, gustando la vista del suo visino curioso, e i gesti delle mani impazienti di raggiungere il contenuto. Era un libro, di Lou Andreas-Salomé, Figure di Donne. Si scambiarono qualche opinione su quel personaggio così complesso e affascinante. Poi Scott, sfogliando le prime pagine del libro, iniziò a leggere a voce alta L’Anitra Selvatica. Emily non staccava gli occhi da lui. Guardava quell’uomo così bello. E specialmente i suoi capelli brizzolati e pungenti, la linea del naso, affilato ed elegante, il taglio della bocca, lungo, e quelle due rughe che disegnavano due torrenti di sensualità, dall’angolo delle narici sino ai lati delle labbra, pronti ad esplodere, straripare, appena il sorriso incendiava i suoi occhi scuri. In realtà forse i suoi occhi erano grigi, ma con uno sguardo così profondo da mutarne il colore. Quello sguardo l’aveva rapita fin dalla prima volta, non aveva saputo distinguere fin dove fosse inquietante e fin dove rassicurante, quanto vizioso e quanto giudicante fino al moralismo più conservatore. Una miscela sensuale e morbosa. Emily avrebbe voluto affondarci dentro come in un barattolo di miele e non smettere più di leccarsi le dita, come una bambina golosa. Presa da questi pensieri lasciò salire alle mani il desiderio che aveva di lui. Si avvicinò leggermente, tanto da poter sollevare uno dei piedi di Scott, liberarlo dal mocassino inglese, adagiarlo sulle sue gambe, e prendersene cura. Scott non si scompose, continuò a leggere riga dopo riga, pagina dopo pagina.Emily amoreggiava con le dita dei piedi dell’uomo, le leccava, le succhiava fin quasi ad inghiottirle una per una. Percorreva ogni centimetro di pelle, dalla più delicata, fino alla più resistente. Premeva su ogni piccolo muscolo, e sotto. Ogni articolazione, ogni più minuscolo ossicino. Poi volle anche bere da quelle dita, e allora prese ad innaffiarle di vino e succhiarle subito dopo, prima che il vino scivolasse giù, in modo che la sua lingua ne potesse cogliere il sapore. Il nuovo sapore. Quello arricchito dalla squisitezza della pelle dei bei piedi di Scott.Il raccontò finì. Scott chiuse il libro, e le chiese: ” Emily…allora, sei un anitra selvatica, tu?”” Non lo so”. Scott rientrò. Emily non si mosse, in attesa.Lui tornò, poco dopo, completamente nudo. “Ora vieni a fare una doccia con me. Voglio prenderti prima di cena”. Emily ubbidì, e alzandosi per raggiungerlo non poté fare a meno di posare lo sguardo sull’erezione che spiccava sul corpo abbronzato di Scott.La sala da pranzo dell’albergo si presentava delicatamente illuminata, a mezza luna, con una vetrata quasi continua, che ne seguiva il perimetro curvo, e si affacciava su un incantevole panorama di cielo puntato di stelle e luci nel mare. I tavoli accuratamente ricoperti da tovaglie dai colori pastello, ceramiche, argenti e cristalli. Alle pareti, in esposizione, vini d’annata. Un sottofondo musicale solo minimamente accennato. Seduti uno di fronte all’altra, Scott si lamentò di come in certi ristoranti i tavoli fossero sempre troppo spaziosi. A vantaggio dell’ambientazione, ma a scapito delle mani che desideravano prendersi e stringersi. Emily, allungandosi verso di lui, gli disse che per iniziare avrebbe potuto comodamente farsi posto a sedere sul tavolo, vicino a lui, se lui l’avesse voluta più vicina a sé. Sorrisero entrambi ed iniziarono così una piacevole conversazione che li accompagnò per tutto il tempo della cena. Non erano importanti gli argomenti, ma il tono delle voci, quel modo che avevano entrambi di attirare l’attenzione degli altri commensali. Ogni tanto, a turno, azzardavano una battuta piccante, un sensuale doppio senso, qualche pizzico di morbosità qua e là. La loro comune tendenza all’esibizionismo e una certa loro ingenuità, raggiunsero il culmine quando lui disse ad alta voce, in modo che tutti sentissero bene: “…secondo te, si sono già accorti che tu sei la mia schiava ed io il tuo Padrone? Certo che oggi sei stata davvero disubbidiente… non ricordo d’aver mai posseduto una schiava ribelle quanto te…” Nella sala si creò il silenzio assoluto per qualche minuto.Emily condivise il sorriso fermo di lui, lo fissò fino in fondo agli occhi e si allungò lungo la sedia. Si accorse allora, che quella frase l’aveva fatta eccitare, era completamente bagnata tra le gambe. E pensò. Con la mente leggermente annebbiata dall’alcol, ma pensò. Quello su cui lui stava scherzando non era un gioco. Sapevano entrambi che non era così. Ma ancora potevano permettersi il lusso di prendere in giro la sorte che l’aveva fatti incontrare. Emily era certa che anche Scott provava qualche timore, come lei. Certo d’altra natura, con altre motivazioni. Ma sentiva la sua tensione, la leggeva tra le righe delle sue parole. Mentre Emily si liberava da ogni indumento, Scott dispose le quattro candele bordeaux; due ai lati del letto, sui comodini, una nel piccolo disimpegno, l’altra nell’ingresso dove si trovava il divano. Le accese tutte e il buio si colorò di giallo caldo quasi in ogni angolo di tutti gli ambienti.Emily si distese su un lato del letto, le braccia lungo il corpo, lo sguardo a seguire i movimenti di Scott. Lui la raggiunse, attirandola a sè, e iniziando a baciarla, sugli occhi, sulla bocca, sulla punta dei seni. Le disse che l’amava, le chiese se davvero lei fosse vera e non un sogno da cui presto si sarebbe svegliato. Le chiese il perché di tante cose e a molte Emily non seppe dare risposte. Lei era lì, accanto a lui. Tutta per lui. In questo il significato d’ogni cosa. Ma perché chiederselo tanto? Non sarebbe stato meglio viverlo, invece? Erano vicinissimi e i loro due odori si mischiavano. Le mille domande di Scott penetravano Emily, quasi senza darle tregua. Fino a che lo sentì formulare la domanda finale, quella che lei aveva già ascoltato da lui, e che forse Scott, ora, stava usando come una sorta di lasciapassare. “Emily…ti prego, dimmelo ancora… Perché hai scelto me?””Perché tu sei il mio complementare”. Scott sospirò forte, accarezzandola con la mano lungo la linea immaginaria che dal mezzo dei seni raggiungeva il ventre. Le disse che in quel momento non voleva soddisfare il desiderio che aveva di lei. Lei lo fissava. Lui la fece girare su se stessa, e accovacciare quasi come nella posizione fetale. Ricoprì, con il suo, tutto il corpo di Emily, e sfiorandole l’orecchio, le sussurrò alcune semplici parole. “Emily, voglio frustarti adesso. Ti inginocchierai e appoggerai il tuo corpo piegato sul divano. Non ti benderò, c’è sufficiente buio qui. Ti imbavaglierò, e se non dovesse bastare potrai affondare il viso nel cuscino.Me lo permetti?””Sì”. Emily ascoltò il proprio respiro. Le sembrava non uscisse più dalla sua gola, ma da ogni parte del suo corpo. Ogni suo muscolo sembrava seguire un ritmo non suo, nuovo, sconosciuto. Sentiva battere forte, come un cuore moltiplicato, un onda che l’attraversava e forse portava via pezzi di carne e di mente. Forse quella era la paura. Una nuova paura. Restò ferma, sul letto, dove Scott l’aveva lasciata, con gli occhi chiusi. Lo immaginò prendere in mano il frustino. Sentì la mano di lui afferrare entrambi i suoi polsi e stringerli. Si accorse del suo corpo che seguiva il volere dell’uomo. Lui la stava accompagnando al divano. Gli indicò il punto dove voleva s’inginocchiasse. Lei lo fece, appoggiando il corpo nudo piegato sulla stoffa fresca e lucida. E poi il mento sul cuscino, mentre Scott le teneva il capo per imbavagliarla. Passò qualche momento, forse secoli. Per lei solo schegge di paura.Attesa. Attesa. Attesa.Vuoto totale da ogni rumore.Attesa. Attesa. Attesa. Un rimbombo sordo di un cuore dentro o fuori di lei. Non capiva.Alzò le braccia ad afferrare il cuscino e affondò tutto il viso. Lo schiocco.Un tempo indefinito per sentire la punta di fuoco sulla sua natica.L’altro schiocco.Un tempo troppo corto per riuscire ad urlare più forte della paura di sentir male.Ancora un colpo.Urlo. Lungo. E calore esteso. Ovunque. Un insieme indistinto di urla e bruciore e anche che fuggono e unghie che affondano e orecchie violate e dolore e orgoglio e forza e vita e lacrime negate e schiocchi interminabili sulla sua pelle fiera. Percepisce il finire dell’azione.Tutta Emily che si abbandona su ogni cosa intorno a lei.Scott che la circonda e bacia.I due corpi sudati. Le due anime impaurite. Scott tremante che la penetra piano. Scott che non vuole soddisfarsi dentro di lei, e la prende in braccio. Tutta Emily nelle braccia di Scott. Sospesa. Nelle sue braccia forti che la portano via. Scott e Emily avvinghiati, increduli, spaventati.Un frustino lasciato solo sul divano. Sua compagna d’avventura la sciarpa di seta che ha imbavagliato Emily. Tutto si mescola. I pensieri e le cose, il letto, le lenzuola bianche, la luce gialla delle candele, i loro due corpi. Le lacrime che Emily non ha pianto. Il dolore che ha sentito. E quello che ha ucciso con i suoi urli soffocati. Si distende, allunga ogni muscolo, lo sguardo perso in un punto invisibile oltre il muro della stanza. “Come ti senti?””Senza rabbia”. Forse Scott non capisce, forse ha paura. “…e la pace, sento la pace…”.”Hai sentito dolore? Che tipo di dolore? Quando ti ritraevi, volevi mi fermassi? Dimmelo! Avresti voluto mi fermassi? Perché non mi hai fermato? Perché ?” Emily vola.Vola. Vola. Vola.Scott sente che lei sta volando e si sente solo. Escluso. “Emily, ti prego”.”Sì, ho sentito dolore. Sì, avrei voluto ti fermassi””Emily….””…ma non potevo dirtelo…volevo da te…il tuo brava…””Brava….” Lui si alza di scatto dal letto ripetendo a se stesso un numero infinito di volte quel “brava”.Vaga nervosamente per la stanza, recitando la parte centrale del suo personaggio: il leone in gabbia. Emily resta immobile, guarda davanti a se senza vedere. E gode. Gode come non ricorda di aver mai goduto. Di un’estasi mai provata. Un estasi libera. Libera dal sesso e da ogni eccitazione di corpo. Libera dalla mente e da ogni pensiero.Respira. Purezza.Origine e fine.Tutto.La pace. Scott entra nel suo delirio. E delira. “…non posso Emily…non posso farlo ancora senza sapere che cos’è. Emily, devo provarlo, anch’io devo provarlo. Emily, devi farlo per me, ora tu devi farlo per me. Non te lo farò mai più se tu non lo farai a me. Non ti prenderò mai più se tu non frusterai anche me…””…io…io non ci riesco…non posso farlo…io non posso darti dolore, amore…non posso darti dolore…ti prego amore mio…ti prego…non chiedermi questo, ti prego…””No. Ora. Devi farlo ora. E’ il mio volere, capisci? Devi ubbidirmi, capisci?Frustami Emily. Fallo. Adesso. Subito”. Emily lo bacia, lo stringe a sé. E fanno l’amore. L’amore dei corpi e dell’anima. Un’unica anima, la loro anima. E lui è sopra di lei. Affonda. Oltre la sua voragine buia, oltre il corpo e il desiderio. E lei si abbandona a sentire il piacere del dolore, quello che supera la carne, supera la mente. Come se il suo dentro fosse infinito e Scott potesse penetrarla in quell’infinito. E il suo sesso turgido, gonfio, l’impala. E l’onora di essere lì, dentro di lei. L’onora di desiderarla. L’onora di possederla. “Toccati amore. Toccati. E sentimi. Di più, di più, di più….” E lei lo fa. E Scott ancora dentro di lei.Emily sviene del suo orgasmo dentro di lui. Intorno a lui.Scott sorride, la stringe, la bacia. La ringrazia. Mille volte la ringrazia.Di aver goduto di lui. Di aver goduto per lui.La rovescia, la gira, la dispone per il suo piacere. La penetra dietro e ancora affonda, e tutto il bacino si accompagna dentro di lei. A morire dentro di lei.E sparge il suo seme. L’inonda. E benedice. Come un dio. Il suo dio.Il dio di Emily: Scott. La notte sta trascorrendo e con lei le sue ore. Solo a mattina l’uomo e la donna si addormentano.Quando Emily si sveglia, Scott è già propositivo. Sa come passeranno la giornata, dove e perché. A lei il piacere immenso di adeguarsi al suo volere, cedere a lui una parte del proprio potere, forse tutto. “Sbrigati. Fatti una doccia, e vestiti. Siamo in ritardo. Voglio jeans, maglietta e scarpe comode. Ti porto in moto con me”. Non parlano più della notte appena trascorsa. Sono due amanti, come tanti. Ma lei si stringe a lui, e lui pretende la sua stretta. Ma lui misura ogni accelerazione per verificare il grado di resistenza di lei alla velocità. Ma lei si trasforma in nuvola leggera per fondersi meglio al corpo del suo Signore, e seguirlo, ovunque vorrà portarla.Sanno entrambi che un’altra sera arriverà. E un’altra notte. Ma ora la luce del giorno regala ai pensieri una piccola tregua. In fondo, la notte prima hanno soltanto visto passare una cometa, esplodere un fuoco d’artificio. Hanno soltanto gustato un cibo nuovo, sentito un nuovo profumo. Non possono ancora sapere di cosa si tratti. Per ora solo emozioni, fortissime. E poche consapevolezze, pochissime. Già, la sera. E ancora una cena. E la fretta di tornare in quella camera, come in un rifugio in mezzo al bosco, lontano da tutto e da tutti. Una tana, un nido, che solo loro due possono vedere, riconoscere. Entrando Scott si chiede ad alta voce, se durante il giorno, qualcuno è entrato lì, se qualcuno ha profanato quel luogo, se qualcuno ha notato il frustino e la sciarpa, se qualcuno oltre a loro due, ora sa. Prepara ancora vino fresco per Emily. Lei lo sorseggia piano e fuma, allungata sulla sedia della veranda. Negli occhi lo stesso cielo puntato di stelle e il mare, fin dove arriva il suo sguardo. Scott accende una delle candele, in mezzo a loro due, uno specchio a due facce, che ondeggia di luce giallognola e deforma i loro lineamenti. Emily sfida la punta infuocata con il palmo della sua mano, Scott si concentra al centro della minuscola punta di vulcano. Entrambi ammaliati, affascinati, dal piccolo fuoco, tra loro. Emily si abbassa, si china completamente sulle gambe di Scott, tutto il busto, il viso, sul ventre dell’uomo. Lui alza lo sguardo, oltre il buio. Depone le mani sul capo di quella che dovrebbe essere la sua schiava, quella che lui chiama “principessa”.Fermo. Parla. “Ora, levati le mutandine”. Emily libera piano la sua intimità, sotto il vestito lungo e chiaro. Scott si china verso di lei, prende i suoi polsi, fissa quegli occhi e ancora parla. “Voglio frustarti, Emily. Ne ho voglia ora, cara. Me lo permetti?””Sì”. Emily, come sollevata da terra, si lascia guidare dalla mano dell’uomo nel piccolo ingresso, il viso contro il muro bianco, guarda come se fosse a occhi chiusi. “Inginocchiati. Lì” Scott indica il divano. Una presenza invisibile, come un fantasma, sorregge Emily e l’appoggia esattamente al suo posto. “Solleva il vestito, Emily. Voglio le tue natiche. Libere”. La pelle bianca di Emily. E il profumo della sua carne nuda. Il viso nel cuscino. E quel battito che esce da lei e ruba ad ogni muscolo la propria tranquillità. Onde. Onde. Onde.Onde che arrivano da ogni parte di sé, la percorrono, le scoppiano in testa. Scott cammina, lì intorno, e parla. Piccole semplici frasi. Descrive le proprie azioni, quello che vede del corpo di lei. Emily che inarca la schiena, contrae le natiche come se già giungessero i colpi.Ma quando? Lui passeggia, dietro a lei, intorno a lei. Si libera dai vestiti. Lei può immaginare ogni cosa, ascoltando le parole di Scott, e gli accennati rumori, i suoi sospiri. “Ti imbavaglio ora”. Lei non riesce più a star ferma. Le braccia cercano qualcosa da afferrare. Il cuscino, sì, il cuscino. I fianchi si muovono avanti e indietro. Non vuole, non può restare immobile. Ed anche la sua gola non è ferma. Da sotto il bavaglio, i lamenti. La vergogna. Non vorrebbe, ma non riesce a nascondere l’ansia. E non sa se è paura. Non sa. Sente, come se già stesse accadendo. Quasi percepisce il calore sulle natiche, il bruciore. Il colpo secco. “Prendo in mano il frustino, ora”. Scappare via. Subito. Per sempre via dal suo Signore. Perché non l’ha legata? Perché vuole che sia ancora lei a scegliere, ad accettare fino alla fine? Emily vuole fuggire. Il corpo di Emily ricorda il dolore. La mente di Emily ricorda il piacere. Della sofferenza. La sfida. L’offerta. Al suo Signore. Andare e restare, avanti e indietro. Un dondolare, come di culla. Sì, come di culla, come quando da piccola si cullava da sola. Come quando prendeva il suo pollice in bocca, per succhiarlo, e spostava il suo corpicino nel letto, sperando di addormentarsi, congedarsi da tutto quel vuoto intorno a lei, almeno per una notte. Sì, il modo ideale per attendere, sospesa, l’inizio del suo piccolo sacrificio per lui. Lo schiocco.Oltre la carne. Oltre la carne.Lo schiocco.Urla. Urla. Urla.Oltre il bavaglio e il cuscino, le urla di Emily.E crolla. A terra. Come per nascondersi dentro un’altra materia. Come per coprire il bruciore. Come per fuggire.E Scott aspetta. Attende il suo respiro ancora piegato, la schiena allungata, le natiche ancora offerte.Emily riconosce l’azione, ora sa il gesto, ora ricorda, di dolore sommato ad altro dolore. Amplificato sopra e dentro di lei. Sofferenza su sofferenza. Dolce ferita su dolce ferita. I colpi. I colpi. I colpi.Crolla, ancora.E arrivano fiumi di lacrime.Si ferma quel tempo.Emily lo raccoglie tutto. Dentro di sé. “Amore mio, perdonami…mi sono fermato…non ne avresti sopportato un altro…” Emily stordita della sua pace, si abbandona nelle braccia di Scott, e si lascia portare ancora via. Sul letto, Scott cura ogni frustata, una per una, di caldi baci, di lievi massaggi, di dita appena appoggiate.Sulle nuvole a fare l’amore.E poi Emily prende il viso di Scott tra le mani e parla. “Amore mio…che cosa vedi?””…vedo il limite. Il limite e il pozzo”. Il limite e il pozzo.Quale limite? Quale pozzo? Emily affonda nel sonno, e ancora ripete ai suoi fantasmi notturni quelle parole: “il limite, il pozzo, il limite, il pozzo…”. Scott veglia al suo fianco.Le accarezza i capelli, le racconta di quando era bambino, le dice di donne e grandi avventure, di quella sua vita spericolata, del gettarsi a testa in giù da un ponte altissimo, degli oceani che si incontrano e si mischiano nei mari del sud, di tutto il buio che ha visto in fondo al mare, di come ha gettato fuori dalla finestra il suo amato gattino, dei deserti e dei fiumi, del verde e dell’azzurro, del respiro che a volte gli manca, di tutto il piacere che non ha ancora provato, di quanto la farà sua. La mattina Emily si sveglia mentre il suo Signore sta godendo il suo piacere dentro di lei.E tutta quella infinita fotografia, nelle sue molteplici angolazioni, l’accompagna fino alla tovaglia fiorata della prima colazione.Quella che ha in mezzo la tazza del caffè macchiato, e più in là, burro, marmellata, pane e brioches. Lo yogurt del suo Signore, la sua tazza di caffè nero, i loro due succhi d’arancia. Un bicchiere di latte freddo, piccole porzioni di formaggio.Emily, e il suo capo chinato.E troppo bello è il non riuscire più ad alzare lo sguardo.Un soffio. La nuvola più leggera.Un battito del più dolce cuore. Nei giorni successivi, guardando il suo corpo nudo nello specchio della sua stanza da letto, Emily ritrova le tracce di ogni cosa sulla sua pelle. Piccole macchie allungate e scomposte, leggermente scure, sulla sua pelle bianchissima. Le accarezza come il dono più caro, un fiore, un piccolo bimbo. “Grazie Signore d’avermi segnato. Spero meriterò la sottomissione a Voi”. Dalla sua mente, quel pensiero vola alto, attraversa la pianura, e raggiunge Scott, dall’altra parte del mare.Emily lo vede sorridere, mordersi leggermente le labbra, accarezzarsi il sesso eccitato.E al telefono lui le chiede: “Posso godere Emily?…me lo concedi Emily?” Emily, dal cassetto del suo comodino, prende il profumo del suo Signore, si bagna collo e polsi. “Spargo strisce della Vostra essenza su di me e Vi respiro. Vi amo Signore”.
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