La spiaggia aveva la sabbia rovente. C’ero arrivato costeggiando la statale, una lingua d’asfalto nera al sole feroce delle due del pomeriggio, ed io camminavo sul bordo polveroso, prestando attenzione ai cardi secchi che minacciavano i piedi. A casa stavano moglie e figlio. Li ho lasciati dopo pranzo per starmene con i cazzi miei. Dopo venti minuti buoni di martirio sotto il sole trovai un viottolo sterrato che dalla statale scendeva verso il mare. Lo imboccai fidandomi d’istinto. La terra era polverosa e friabile. Giunsi ad un bivio; scartai la strada più in ombra e presi quella che più decisamente scendeva al mare. Dopo cinque minuti ero su di una spiaggetta, spoglia di vegetazione completamente chiusa e lontana da ogni strada.Stesi un triste stuoino sulla spiaggia e mi spogliai, anche dello slip, intendevo prendermi una giornata di libertà assoluta.Fui svegliato da un calcio."cosa sta facendo?"Aprii gli occhi e mi levai sui gomiti. Davanti a me c’erano due sottufficiali della guardia costiera, in uniforme nera."allora?" ribadì uno dei due.Risposi con imbarazzo."questa non è una spiaggia per nudisti; forza si alzi!"Mi alzai e distinsi più chiaramente i due celerini. Quello che aveva parlato era alto quanto me, magro con il naso grande ed affilato sotto al quale sporgeva un ciuffo di baffi folti e neri. L’altro era almeno uno e ottantacinque massiccio, la mascella forte e degli occhi piccoli, chiarissimi.Io ero nudo e mi stavo coprendo l’uccello con la mano a conchiglia.D’un tratto l’unico dei due che sembrava avere il dono della parola afferrò il manganello: "mani in alto!" urlò.Alzai le mani d’istinto lasciando il pene all’aria. Entrambi mi lanciarono uno sguardo in mezzo alle gambe, "bene, bene" disse il baffone, l’altro allargò le labbra sottili in un riso divertito."ora ci deve seguire"."come sarebbe a dire?" risposi."ci deve seguire e basta!" aveva parlato! Il muto aveva parlato! con voce roca e stentorea; sentii un brivido di paura lungo la colonna vertebrale. I vestiti non erano più al loro posto."lasciatemi rivestire""si vestirà alla guardina, forza!"Ci dirigemmo verso il sentiero per il quale ero sceso, io davanti e i miei custodi un paio di metri dietro. Camminavo, piegato in avanti per equilibrare la pendenza, mostrando loro il culo. Imboccammo la biforcazione che avevo evitato scendendo e dopo cinque minuti di cammino arrivammo ad un piccolo casotto, simile ad una stazione ferroviaria di paese. I muri dipinti di rosso e corrotti dall’umidità lasciavano spazio ad una vecchia porta di legno.Il baffuto estrasse una chiave ed aprì, entrai per primo. L’interno era un tavolo di legno con qualche foglio poggiato in buon ordine, due sedie vecchie, un telefono ed un apparecchio radio; più due armadi di ferro, chiusi. L’unica finestra era aperta ma sbarrata da una grata rugginosa. Sulla destra un piccolo cesso, la porta che mal si reggeva sui cardini lasciava scorgere l’interno."si metta in piedi di fronte al tavolo". Ordinò lo smilzo.Mi misi quasi sull’attenti conservando il pudore di coprirmi il sesso. Diedi le generalità e tutto il resto mentre occhieggiavo i miei vestiti appoggiati su una sedia. Li aveva portati quello massiccio che si appoggiò all’armadio proprio dietro dov’ero.Lo smilzo, che sembrava essere il capo, si sbilanciò all’indietro, in equilibrio sulle gambe posteriori della sedia incrociando le braccia, fece un mezzo sogghigno."allora volevi prendere un po’ di sole, eh!". Si tirò in piedi e fece due passi verso di me. Lo stavo guardando con aria vagamente ebete. Avevo addosso una fifa mortale. Entrambi erano vestiti con uniformi nere: pantaloni attillati di stoffa pesante rincalzati dentro anfibi al ginocchio ed una camicia nera senza colletto abbottonata fino al collo. Un uniforme da fascisti: il manganello pendeva dal fianco sinistro.Faceva freddo in quel cazzo di ufficio, avevo la pelle d’oca e il pene intirizzito, ridotto ad una nocciolina che non faceva nemmeno il giro verso il basso."apri le braccia e le gambe" intimò il capo. Divaricai gambe e braccia come avevano chiesto; un oggetto freddo toccò l’interno della mia coscia. Era il manganello del grosso. Lo smilzo era quasi appiccicato a me, potevo già sentire il suo respiro sulla faccia. Il manganello risalì l’interno della coscia verso il pube, si appoggiò ai testicoli e diede loro un colpetto secco.Lo smilzo mi prese il volto tra le mani e lo portò a sé incollando le sue labbra alle mie. Tenevo gli occhi sgranati e la bocca chiusa. La sua lingua batté sulla mia bocca serrata. Il grosso stava strusciando il manganello nell’incavo delle natiche. Dischiusi le labbra e la lingua viscida dello smilzo penetrò come un serpente, prese a girare e a schiumare saliva. Mi baciò così per un po’, poi si staccò e mi riempì di baci le labbra, mi succhiò il naso e riprese a sbaciucchiarmi gli occhi, la fronte, poi dietro le orecchie e giù, sul collo. Ebbi un’intensa sensazione di calore, un po’ di freddo mi aveva abbandonato. Insieme mi presero, uno per la mano, lo smilzo, sotto l’ascella l’altro e mi condussero verso il cesso. Qui, lo smilzo si mise di fronte all’orinale, abbassò la zip ed estrasse un uccello color mattone, lungo non più di sei centimetri. Pisciò spruzzando la maiolica scrostata. Appena ebbe finito si girò verso di me tenendoselo in mano. Il grosso mi afferrò per la nuca spingendomi verso il pene molle del suo compagno. "dai, forza!". Allungai, terrorizzato, la lingua raggiungendo con la punta il glande scoperto, non appena lo toccai le gocce di urina scivolarono sulla lingua. Fui spinto ancora più avanti. Capii. Imboccai la cappella, piccola e gommosa, girai attorno raccogliendo le ultime tracce della pisciata. Poi succhiai un paio di volte estraendo anche quella rimasta. Lo smilzo mi accarezzava i capelli.Il grosso mi rimise in piedi; gli guardai le mani enormi e dure, come due pietre, che da sole mi avrebbero potuto ammazzare. Raggiungemmo il tavolo, mi fecero sdraiare, il grosso afferrò le caviglie, mi alzò le gambe tenendole divaricate.Lo smilzo prese il mio cazzetto tra il pollice e l’indice e lo scappellò lentamente. Con l’altra mano mi accarezzava i coglioni e l’ano. Rinfoderò il mio cazzo e gli diede dei dolci tiri per farlo crescere in lunghezza. Lo scappellò ancora accarezzando la pelle viva della testa. Il sangue affluì al basso ventre, il tessuto spugnoso del pene, prima intirizzito si rilassò.Nonostante fossi ancora spaventato a morte, quel calore improvviso placò le mie tensioni; anche l’odore di marcio che galleggiava nell’aria della guardina era diventato un sentore umido quasi piacevole.Lo smilzo affondò il naso tra le natiche divaricate, leccò attorno al buco del culo inumidendolo, salì per i testicoli e baciò il cazzo. Prima sulla punta poi lungo l’asta; lo prese in mano, fece su e giù con la pelle e lo baciò di nuovo; dava dei baci piccoli e veloci, appena accennati. Poi aprì la bocca e inglobò tutto il mio pacco, cazzo e palle, masticando con dolcezza. Andai in erezione; lo smilzo dovette lasciare uscire i miei genitali dalla carezza della sua lingua. Cominciò un pompino lungo i dodici centimetri del mio uccello; solleticava con i baffi i testicoli.Leccò un po’ di volte la cappella già umida e si staccò. Senza dire una parola slacciò la camicia, sciolse le stringhe e calò i pantaloni. Ammucchiò tutto in terra e si cavò anche le mutande; era secco e pallido. Si avvicinò al tavolo a cazzo ritto; il grosso, come se sapesse, mi lasciò andare e lo smilzo si sdraiò sopra di me incollando la bocca alla mia. Mi baciò strusciandosi addosso accarezzandomi i capezzoli e la testa. Non volevo dargli la lingua, solo per paura avevo accettato che mi limonasse prima; ora pensavo di poter uscire da quella situazione del cazzo. "no aspetta" mugugnai allontanandolo. Per tutta risposta mi affondò la faccia nel collo spennellandolo con la lingua. Infradiciò un orecchio di saliva ed io sentii brividi sulle spalle e sui fianchi; avevo voglia di piangere.Volsi la testa verso il grosso mentre il compare mi dava piccoli baci sull’orecchio, lo fissai. Stava in piedi con le braccia conserte; le spalle, dalle quali saliva un collo taurino percorso da impressionanti fasci muscolari, tendevano la camicia allo spasimo. La testa tozza e tonda; un segno di scalpo rossiccio era un elmetto di capelli fitti, rasato a uno. Mi guardava con occhi piccoli e serrati, quasi un taglio sotto le sopracciglia fulve. Scesi con lo sguardo alle gambe fasciate strette dai calzoni, rimasi terrorizzato dal manganello mentre lo smilzo continuava a lappare il collo. Il grosso aveva in tasca qualcosa: i pantaloni erano gonfi verso sinistra, parallelo al manganello correva qualcosa come una corda. Sperai che non fosse loro intenzione torturarmi.Impaurito aprii le labbra e lasciai che il baffone lavorasse con la lingua all’interno della mia bocca. Diedi anch’io il mio contributo, per non farli incazzare: allargai le gambe lasciando più mobilità al bacino del baffo. Il suo uccello duro sbatacchiava il mio attorno, in moti circolari. Presi un po’ di coraggio (o forse lo persi!): lo abbracciai con le braccia incrociate e le mani sulla sua schiena.Lui ansimò più intensamente, scese con le mani fino alle mie chiappe, le afferrò con forza dando una strizzata."ah! Fa male!"."si, un po’".Mi scappò un sorriso.Abbassai gli occhi verso le zone basse e vidi il mio uccello ed il suo sfidarsi ad una gara di contorcimenti, glande contro glande. Il suo, umido di colla trasparente, sbavava sul mio che si ritraeva e scivolava via.Si alzò di scatto. Fu in piedi di fronte a me. Passò le mani tra i capelli tirandoli indietro.Mi levai seduto, avevo due canotti gonfi al posto delle labbra; con il dorso della mano le pulii dall’umidore della saliva appiccicata. Smilzo afferrò la nuca e portò rudemente la mia testa vicina al suo uccello. Diede due colpi di mano e lo strizzò stillando altra colla trasparente. Compresi cosa volesse: gli baciai piano la cappella, la bava del suo cazzo lucidò le mie labbra, fili di ragno si tesero tra la bocca ed il cazzo. Li strappai con la lingua. Scoprii il gusto del membro: sa di lavanderia.Lo smilzo si portò in piedi dietro di me e mi cinse la pancia come si fa con le ragazze quando si guardano le stelle, col mento appoggiato sulla spalla.Il rosso, il grosso, si stava spogliando. Era di tre quarti, si spogliava lentamente. La camicia per prima. Un bottone dopo l’altro poi scivolò giù dalla schiena. Non ci guardava per nulla. Sussultai vedendo l’ampiezza del torace ed i pettorali ammorbidirsi, quando si chinò per sciogliere le stringhe. Da dietro il baffo mi sbaciucchiava l’orecchio .Le mani immense del rosso avrebbero fatto cagare sotto il diavolo in persona, per cui me la stavo cavando bene. Ero solo un po’ catatonico, dati i fatti."cosa volete fare?""sei tu che vuoi" rispose lo smilzo. Il grosso rimase a torso nudo e si girò verso di noi. Si avvicinò, appoggiò le cosce contro le mie ginocchia. Lo guardai in faccia per un po’ poi allungai le mani verso la cerniera dei pantaloni, la abbassai. Vidi dei boxer bianchi, infilai una mano nel taglio davanti. Afferrai un tubo tiepido e scivoloso che la mano conteneva appena. Alzai gli occhi increduli verso di lui. Cominciai ad estrargli il cazzo, e mentre la mia mano lo sollevava e quel cazzo aveva formato un’ansa fuori dalle mutande, il gonfiore della tasca saliva. Non era una corda.Frusciò appena l’uccello contro la tela, nell’ultimo scatto fuori dai pantaloni. Lo stavo tenendo con una mano vicino alla radice e quel coso proseguiva ancora avanti qualche centimetro poi scendeva verso il basso per altri dieci almeno: molle, ancora infagottato nella propria pelle, e per questo ancora più impressionante.Fu come se mi avessero tirato un calcio nello stomaco. Erano almeno sei etti, ventidue centimetri ed altri quattro di prepuzio; portai l’altra mano sotto il bulbo della cappella e feci scivolare indietro la pelle. Sbucò una testa viola che andava avanti e indietro come un pendolo a muro. Gocciolava per terra. Lo smilzo stava sbirciando da sopra la mia spalla quello che già conosceva.Mentre le mani tremavano il mio volto si aprì in un sorriso radioso, gli occhi s’illuminarono di gioia. "Amore mio!" (sgorgò dalle labbra di là da ogni controllo).Preso da uno struggimento infinito lo lasciai andare e m’inginocchiai con gli occhi fissi su quel cazzo ciclopico.(ciclopico per dimensioni e per l’unico occhio ogivale che campeggiava al centro della sua testa di porpora) che cadde arrivando a metà coscia. Sbottonai velocemente i pantaloni e li abbassai alle caviglie insieme con le mutande. Abbracciai una gamba e la baciai ripetutamente, la leccai, tergendo il sudore muschiato intrappolato tra i peli rossicci. Salii verso i genitali e con una mano soppesai le palle: grosse come due pesche, erano bagnate di sudore. Ne presi una in bocca e succhiai, la lasciai poi cadere. Scostai i peli pubici per guardare come la radice di quel bigolo si attaccasse alle pelvi; la baciai affondando il naso tra i genitali."amore, amore, amore mio" mormorai.Con la faccia tra le sue palle e gli occhi umidi dall’emozione, ridevo felice. Gli presi il cazzo con tutte due le mani e lo portai verso la bocca sorridendo. Baciai la cappella unta di colla. Infilai la lingua nel taglio davanti per raggiungere il seme non ancora sgorgato. Lucidai il glande di saliva, e percorsi la corona della cappella sputando sopra il suo stesso succo. Continuavo a fissarglielo sperando che non finisse mai. Dissi ancora -"amore"- e lo premetti sulle guance e sulle labbra, coccolai l’asta pesante con bacini ed abbracci."cristo di un dio, che affare!".M’alzai in piedi, sulle punte per raggiungergli il collo; leccai voracemente fin giù sulle spalle. Lo cinsi stringendogli i glutei, erano duri come due copertoni. Mordendo, scesi ai pettorali. Il suo cazzo sbatacchiava tra le mie cosce."sei un toro", dissi con voce incrinata.Serrò le mani sotto le mie ascelle e mi sollevò di peso, rimettendomi seduto. Presi ancora il suo cazzo tra le mani e cominciai a masturbarlo freneticamente. Con i sensi annebbiati dalla virilità di quell’uccello, persi il controllo. Sbavavo guardandolo andare avanti ed indietro.(ero compiuto nel potermi dedicare a quell’attrezzo spropositato che cresceva in mano mia. Lo guardavo estasiato poi alzavo gli occhi umettati di struggimento verso il padrone e ridevo e gli mandavo baci).Era cresciuto ancora; stava teso anche se non poteva, dato il peso, avere un angolo d’erezione comune. Lo imboccai e tentai di introdurlo il più possibile. Arrivai a metà corsa che già lo sentivo in gola. Cominciai un pompino. Quell’attrezzo schiumava come il mare in burrasca tanto che dovetti lasciare uscire il suo liquido, che scivolò lungo l’asta grondando le palle. Palle che massaggiavo con una mano, a cui pesavo la virilità che si misura in coglioni: grandi e pieni.Mi sentii tirare per i capelli, il cazzo scivolò fuori della mia bocca dibattendosi. Tenendomi per i capelli, il grosso mi silurò un bacio in bocca che mi tolse il respiro. Lo abbracciai, gli misi le braccia al collo. Mi sollevò. Gli ero in braccio, senza peso, attaccato con le unghie alla schiena. Lo baciavo ovunque potesse arrivare la bocca: sulle braccione e sulle spalle, sul torace e sotto il mento ispido. Lui mi teneva una mano sotto una natica, l’altra reggeva il suo uccellone. Poggiò la testa del cazzo contro il mio buco del culo sfregandola con forza.(la forza che aveva su di me era tutta espressa e compiuta nelle dimensioni del suo pene, nel suo colore, nell’evidenza assoluta della sua esuberanza, e nella capacità fecondativa dei testicoli, nella portata del suo getto. Appeso al suo tronco, con gli occhi chiusi, lo vedevo che scopava dal grosso. Sbattuta ferocemente gli implora di smettere, no, di continuare. Io e mio figlio nella stessa stanza li guardiamo, seduti ed immobili).Fui appoggiato di nuovo sul tavolo, maneggiai ancora un po’ il suo bigolo poi me lo strofinai addosso bagnandomi con la sua bava.Lo smilzo si era rimesso gli anfibi Ci girava intorno guardandoci, fumando una sigaretta con il cazzo ancora dritto.Il mio ‘domino’ prese l’olio solare dalla mia borsa. Versò meta del contenuto su una mano. Mi stese a gambe all’aria e mi svuotò il flacone sul culo. Cominciò a massaggiare con forza i miei genitali contenendoli tutti in un pugno. Senza troppi complimenti infilò un dito su per il culo; poi due.(era una sensazione di umiliazione divina, essere sollevato come uno straccio bagnato; sentire il culo che si slabbrava umido attorno alle sue dita). Mi lasciò andare e si prese l’affare in mano, lo guardai un attimo poi mi girai a pancia in sotto. Appoggiai i piedi a terra e protesi le natiche in alto. Ne agguantò una divaricandola con il pollice ma, unta com’era, gli scivolò dalla mano; la serrò con più forza, dischiuse l’incavo delle chiappe e sbatté la cappella proprio sull’anello dell’ano."lo sai, che così mi rovini" dissi già arreso.Diede un colpo secco di bacino ma l’uccello non trovò l’ingresso del culo; guizzò in alto e ricadde pesantemente sulla schiena con un rumore umidiccio.(il peso vivo di quel cazzo mi emozionava, ero io cui era destinata la sua virilità. Aveva(Lui) frantumato la mia, sottomettendomi: l’uomo con la pistola è un uomo morto quando incontra l’uomo col fucile. Amen).Allungai una mano di dietro e gli impugnai l’uccello, lo poggiai dove c’era il buco del culo e lì lo tenni. Colpì ancora. Fui io a tentare un guizzo in avanti ma fui fermato dal bordo del tavolo: questa volta la cappella aveva dilatato il muscolo rettale, senza riuscire però ad entrare del tutto. "dai!" ed inarcai la schiena. Lui spinse e l’uccello entrò(popped-in) con un rumore di tappo di birra.Mossi il bacino per far entrare più facilmente quella mazza; la sentivo serpeggiare nei primi tratti dell’ano.(frugare alla ricerca di spazio; sfondare, allargare, dilatare. Accolsi quel ben di dio sentendomi protetto dalla stessa persona che mi feriva. L’uomo che mi inculava era lo stesso che mi definiva(a forza di cazzo), che mi faceva sentire posseduto e completo, consolato. Inondato di luce da dentro).Prese a pompare, impalandomi al tavolo così forte che sollevai i piedi da terra.Non sentivo il suo bacino battere sui glutei: non mi stava fottendo con tutto l’uccello.Con una mano misurai, afferrandolo, quanto cazzo era rimasto ancora fuori: più del mio palmo. Con la stessa mano spinsi, aiutandolo a penetrare."ancora un pezzo!" dimenavo il culo cercando nuovo spazio per farlo entrare, ogni centimetro che passava era una botta di cala. "ancora gli ultimi centimetri!".Il limite fisico dell’ano era spostato in là ad ogni affondo, e quando le sue pelvi incontrarono le mie natiche cominciò realmente a montare.Diede una decina di colpi regolari, estraendo quasi tutta la lunghezza del suo uccello e ributtandolo dentro con forza mentre io strillavo come una dama rapita. Poi accelerò, i globi dei glutei vibravano all’impazzata; il suo membro si gonfiò e si sciolse dentro di me. Dal culo fuoriuscirono fiotti di seme bianco. Sborrò per quindici secondi almeno, poi lo tirò fuori facendolo schioppare.Mi girai di scatto a guardargli il cazzo, pareva ancora più grosso, più pesante e più viola, solcato da enormi vene. Lo afferrai alla base, strinsi forte e lo sbatacchiai sul mio, ancora teso. Scendeva con la forza di un maglio, le mie palle cercavano impossibili vie di fuga dallo scroto, e il mio era un chiodo picchiato dal martello.Mi mise un braccio al collo e mi trascinò nel cesso. Vidi l’immenso bigolo ondeggiargli gelatinoso tra le cosce. Tenendomi la testa serrata nel braccio si pose di fronte all’orinatoio. Gli presi il cazzo in mano e lo indirizzai verso lo scolo. Fuoriuscì un getto degno della pompa: spesso senza una sbavatura. Un arco giallo che scrosciò col rumore di un motorino acceso centrando il buco. La mano percepiva, sorreggendo il pene, il corso possente del getto che erompeva. M’inchiodò al muro, scivolai sulle mattonelle bagnate e finii per terra guardandogli sbalordito la cappella . Agitando l’uccello come una canna da giardino diresse il getto verso i miei genitali. Mi sollevò una gamba e pisciò anche sul culo.Alle sei di sera, sulla porta, mi chinai a baciarglielo. Poi me ne andai.
Aggiungi ai Preferiti