Capitolo 1 Silvina è una ragazza speciale. Hai presente quelle ragazze che ti colpiscono subito pur non essendo perfette? Il viso è molto grazioso sul quale spiccano una bocca tutta da baciare e due occhioni grandi e tondi. E’ un po’ magra per i miei gusti che tendono ad apprezzare le rotondità della carne, ma sicuramente è perfetta per quelli che sono i canoni dettati dalla società. E’ atletica e si muove con molta grazia. L’ho conosciuta nel settembre del ’96. In quel periodo frequentavo una nuova compagnia di amici dopo che mi hanno aiutato, seppur involontariamente, a superare un periodo di crisi in seguito alla storia avuta con una ragazza e finita in malo modo. Quella sera eravamo una trentina e c’era anche lei. – “Chi è?”- chiesi al mio amico. – “Silvina. Le vanno dietro tutti, ma lei se la tira un casino. E’ una fighetta che ci snobba perché, lo vedi anche tu come siamo, siamo rustici.” – “Lascia perdere, ci hanno provato in tanti ma sembra avercela d’oro” – aggiunse un altro mio amico. Ed infatti non avevo nessuna intenzione di provarci. Io non sono affatto bello. La pancetta (ok, diciamo la verità fino in fondo: la pancia) da impiegato era lì e mi accompagnava ovunque andassi, i capelli più bianchi che neri, malgrado avessi all’epoca solo 34 anni. No, non sono bello e lo so. Però mi piace parlare e la voglia di conoscerla c’era. Non so cosa, ma qualcosa in lei mi aveva profondamente colpito. E così, quando ci siamo spostati nel tendone della sagra paesana, casualmente ero seduto a fianco a lei. Si sa che a tavola è molto più facile conversare e conoscere le persone. Cominciammo così a parlare del più e meno e mi sorprese la sua naturalezza e spontaneità. Il dialogo sembrava non finire mai. Parlavamo di tutto, dalle cose futili alle cose serie, dalla politica alla religione, dalla musica ai libri. E gli altri ci guardavano sorpresi. Sorpresi soprattutto di lei che sembrava tutt’altro da come me l’avevano descritta. La serata finì così: un bacio sulla guancia, una stretta di mano ed un arrivederci alla prossima volta. Ci siamo ancora rivisti altre volte nel corso di quell’inverno e sempre in occasioni di cene organizzate dalla compagnia. Qualche volta siamo anche usciti da soli ma tra di noi non è successo mai nulla. Nemmeno un tentativo. Niente. E poi lei aveva un ragazzo da ben 5 anni. Che importa, direte voi. Lo so. Avete ragione. La verità, forse, stava nel fatto che non trovavo il coraggio. Capitolo 2 L’estate comincia in modo insolito per me. Mi aggrego al resto della compagnia e affittiamo una porzione di villa per tutta la stagione estiva, dal 1° maggio al 30 settembre, al mare. Il giorno di ferragosto la casa diventa la base per molti amici che ci vengono a trovare per passare una giornata in spiaggia. Silvina però non c’è. Lei, come ho detto all’inizio, non è propriamente di questo giro. Nessuno la invita e questo a lei non dispiace per niente. In una delle nostre uscite invernali mi aveva confidato che li trovava noiosi e scontati. Un po’ di ragione ce l’aveva. Molto spesso le serate finivano con i maschietti che giocavano a carte e le ragazze che chiacchieravano tra di loro di… uomini, manco a dirlo. Per fortuna che le mie serate erano più divertenti e proficue: facevo il dj nel disco bar più in voga del momento e rientravo verso le 4-5 del mattino. Ma torniamo al ferragosto. Avevamo organizzato una cena in un agriturismo della zona e poi avremmo dovuto aggregarci ad un’altra compagnia che avevano organizzato un bel falò in una spiaggia lì vicino. Telefonai a Silvina per invitarla. Sinceramente con poche speranze. Infatti la sua risposta è stata un bel NO, ma non per volontà ma per necessità: “la mia auto è vecchia” – mi disse – “e la uso solo per andare al lavoro. Quando dobbiamo fare un po’ di strada in più, usiamo sempre quella di Luigi”. Ovviamente Luigi è il suo ragazzo. Poi continuò: “Peccato davvero, è da tanto che non ci vediamo e sarebbe stata una bella occasione. Ma davvero non mi fido della mia auto”. – “Se vuoi vengo a prenderti io.” – “Ma sei matto? E poi chi mi riporta a casa? Lo sai che non ho voglia di passare quasi un’ora in macchina con nessuno di loro. Fin che si tratta di stare a cena e divertirsi, va bene, ma rientrare a notte fonda con qualcuno, magari ubriaco, no.” – “E se ti riporto io?” – “Saresti gentilissimo a farlo. Ma non posso chiederti tanto. Tu dormi lì. Dovresti venirmi a prendere per poi portarmi là, tornare qui e ritornare là. Saranno 150 Km in tutto.” – “Più di 200” – la correggo io “Ma la tua compagnia vale molto di più di una piccola fatica come questa. Sono lì alle 7. Vengo a prenderti a casa o preferisci un posto più anonimo?” Io l’ho buttata là senza alcuna speranza. Le resistenze mosse durante la telefonata erano state tante. E io non ci speravo più. – “Ti aspetto in stazione. Come devo vestirmi?” Incredibile, era un sì. Non credevo alle mie orecchie. Guardai il mio cellulare credendo ci fosse stata un’interferenza. Queste cose capitavano con il TACS. Ma la sua voce mi destò dall’incredulità e mi domandò: – “Che ristorante è? Elegante? Naaaaaa, non credo vista la compagnia. Sicuramente sarà un agriturismo. E poi che facciamo? Avete già un programma?” – “Certo. Si pensava di andare in spiaggia che c’è un amico di Claudio che è lì con un po’ di gente, falò, chitarra, casse di birra e coca cola. Per quanto riguarda il locale è effettivamente un agriturismo. L’ho visto, non è male. Puoi vestirti come vuoi, dai jeans all’abito da sera. Alle 7 in stazione hai detto? Ok. Ci vediamo stasera. Ciao” A pranzo misi al corrente il resto della ciurma che Silvina sarebbe stata dei nostri. E quindi, quel pomeriggio, sarei tornato prima di loro dalla spiaggia perché dovevo andare a prenderla. Ci fu un silenzio di tomba per la sorpresa. Silenzio rotto dalle parole di Mario, il più scapestrato del gruppo, che mi disse: – “Se riesci a trombartela, ti offro una cena di pesce dove vuoi tu”. Ne seguì una fragorosa risata da parte di tutti, seguita dalle battutine più disparate e da improbabili consigli volti solo a suscitare maggior ilarità nelle persone. Ovviamente ero diventato il bersaglio di tutti per tutto il pomeriggio. Credo più per invidia che per altro. Sensazione confermatami anche da Cecilia, una ragazza della compagnia che era lì solo per il ferragosto e relativa serata. Cecilia non è bellissima, ma si dice che sia molto maiala. Io ero lì con lei a prendere il sole. – “Cosa vuoi farci. La conosco bene Silvina. Ci hanno provato tutti con lei, e lo so per certo. Ma nessuno è mai riuscito a portarla fuori. E ci credo. Io sono uscita con 3 di loro. E sai come sono. Le voci che si dicono su di me non sono del tutto sbagliate. Mi piace scopare. Ieri l’ho fatto con un collega di un altro ufficio sul cofano dell’auto nel parcheggio della ditta. Ci siamo incontrati nel parcheggio perché entrambi siamo usciti un’ora prima per impegni personali. Ci siamo salutati come sempre quando ci incontriamo e, mentre stavo prendendo le chiavi dalla borsetta, uno dei manici ha ceduto e si è rovesciato il contenuto per terra. Lui si è immediatamente chinato con me per aiutarmi. Stranamente ieri indossavo una gonna. Non era nemmeno tanto corta, ma abbastanza per esaltare le mie gambe abbronzate. Non stavo per niente male. – “Aspetta Ceci, che devo girarmi a pancia in sotto che è meglio”. – “Ti stai eccitando?” – mi disse con un tono di voce molto più profondo e sexy, guardandomi dritto negli occhi e con un sorriso maliziosissimo che ha contribuito ancora di più alla fase di indurimento del mio cazzo. E come se non bastasse appoggiò la sua mano con il palmo verso il basso sull’asciugamano molto vicina a me, in una posa naturale che non desse nell’occhio e con il mignolo si è insinuata nel mio inguine fino a toccare il glande gonfio attraverso il costume. E accarezzandolo delicatamente con la punta del mignolo, continuò: – “Ce l’hai bello duro, complimenti. Comunque, ti dicevo, che non ero per niente male, vestita così. Lo sai che non sono abituata a mettere le gonne e mi sono accucciata senza badare troppo a come tenevo le gambe. Lui era accucciato davanti a me che mi aiutava e di colpo si è fermato. D’istinto l’ho guardato e vedo che lui ha gli occhi puntati proprio tra le mie gambe. Guardo anch’io in basso e vedo che ho le ginocchia molto lontane tra loro e la gonna era risalita al punto che quasi riuscivo a vedermi il perizoma. Figurati lui. Non ho chiuso le gambe, ma ho rialzato lo sguardo un attimo prima che lo alzasse anche lui per controllare se me ne fossi accorta. E’ diventato rosso in un attimo e gli si sono perfino appannate leggermente le lenti. Sono scoppiata a ridere e anche lui si è messo a ridere con me, forse per stemperare la tensione che ha accumulato in quei 30 secondi. Per terra è rimasto solo il rossetto e mi accingo a raccoglierlo. Lui si alza e io lo seguo a ruota. Prima di alzarmi ho guardato in avanti e lui era lì in piedi davanti a me con un bozzo nei pantaloni inequivocabile. A vederlo da lì, prometteva davvero bene. Mi alzo, lo ringrazio e mi avvicino a lui come per dargli due baci sulla guancia. Lui automaticamente vede la mia mano muoversi in avanti e tende la sua credendo che volessi dargli una stretta di mano. Invece è rimasto per la seconda volta a bocca aperta quando la mia mano ha continuato la sua corsa per finire sulla sua patta. Con la bocca sua così aperta non mi è stato difficile dargli un bacio con la lingua. E’ praticamente entrata da sola. – “Ceci, non so se sia tutto vero, ma mi sta scoppiando il paperotto” – intanto il suo ditino non si è mai fermato un istante durante tutto il racconto. – “Lo sento. Hai la cappella che è durissima e bollente. Sento il calore attraverso il costume. Comunque, se questo ti può consolare, mi sto bagnando anch’io. Posso continuare?” – “Sì” – “Bene. Il più era fatto, il ghiaccio era rotto e lui si è rivelato meno imbranato di quello che pensassi. Abbiamo limonato lì, in piedi tra le due portiere delle auto e con le mani mi palpava il culo sotto la gonna. Io, intanto, gli ho aperto la cerniera e lo massaggiavo dolcemente da sopra i boxer. Sembrava più grosso sotto i pantaloni, ma credo sia stata la posizione. Ma era duro come pochi. Mi sono chinata, ho aperto la cintura e slacciato il bottone dei pantaloni e gli ho abbassato i boxer, senza allargarglieli. E’ saltato fuori come una molla talmente forte che ho sentito il rumore di quando gli si è sbattuto contro la sua pancia. Con le mani ancora sui boxer l’ho preso in bocca. Ha emesso solo un piccolo gemito, ma si capiva benissimo che gli piaceva. Forse troppo. A quel punto avevo paura che venisse. Mi piace l’ingoio, ma volevo scopare. Ero troppo bagnata per non sentirlo in mezzo alle gambe. E poi, volevo godere anch’io e non godo solo facendo un pompino. Così mi sono alzata. Ho visto che ci è rimasto male. Ma quando mi sono appoggiata al cofano e ho scostato il perizoma gli è tornato il sorriso. Mi è venuto davanti e me lo ha messo dentro. Ma si andava malissimo. Così mi ha girata, io mi sono chinata con le mani e il petto sul cofano e lui mi ha presa da dietro. Entrava che era un piacere. E poi, credimi, era durissimo. Solo la punta era leggermente morbida. Mentre mi scopava, anzi, per la verità ero io che davo il ritmo. Lui si era fermato, forse per non farlo venire. Io ho atteso un pochino e poi lentamente ho cominciato a muovermi e lui da quel momento è rimasto fermo immobile lasciandomi a me il compito di stabilire la velocità. Lui mi ha appoggiato una mano sul fondo schiena e col pollice andava a stuzzicarmi l’ano che, in quella posizione, si stava aprendo leggermente. Credo che avesse capito che non ero tanto vergine nemmeno lì. Vedendo che non dicevo nulla, ha timidamente infilato il pollice dentro. “Posso?” Non ho risposto ma credo che il mio silenzio, anzi, i miei sospiri abbiano risposto per me. Non avevamo molto tempo, anche perché si avvicinava l’ora di chiusura degli uffici e quindi potevamo essere visti da qualcuno. E poi dovevo anche andar via. Un po’ per questo e un po’ perché la situazione era davvero eccitante, non ho fatto nulla per frenare l’orgasmo e prolungare il piacere. E così mi sono lasciata andare. Ho cominciato a muovermi in un altro modo per far sì che lo sentissi meglio. Ero talmente lubrificata che a volte non lo sentivo nemmeno. Lui credo abbia capito e il suo pollice, ora, si muoveva nel mio culetto. Ho sentito salirmi l’orgasmo al cervello e ho cominciato a godere. Mi sono inarcata un po’ e credo che lui abbia frainteso. Così lo ha sfilato e lo ha affiancato al pollice. Non me lo aspettavo, non era quello che volevo, ma in fin dei conti, visto che ho fatto la porca fin’ora, non vedo perché dovrei smettere adesso di farlo. E’ entrato facilmente da quanto era bagnato di me. Ha tolto il pollice e dopo due soli colpi si è fermato dentro spingendolo più a fondo che poteva. Io ero ancora in pieno orgasmo e sentire che stava per godere lo ha prolungato ancora di più. E’ venuto dentro dandomi dei piccoli colpetti, ma più di così non poteva entrare. L’ha tirato fuori ancora mezzo duro. Io ho preso un fazzolettino di carta e l’ho messo nel buchino per evitare di sporcare perizoma e gonna. Ci siamo rivestiti, abbiamo limonato un altro po’ e poi siamo scappati. Eravamo in ritardassimo tutti e due. Ma perché ti ho raccontato questo? Ah sì, ti stavo dicendo che sono uscita con tre di loro e con tutta la voglia di far qualcosa di concreto. Mi credi se ti dico che nessuno ci ha provato? E ti assicuro che di spunti per farlo gliene ho dati molti. Addirittura Mario era venuto a prendermi a casa una sera. I miei non c’erano, ché erano fuori a cena, e io l’ho aspettato in perizoma facendo finta di essere in ritardo. Infatti quando è arrivato, ha suonato il campanello e io sono andata ad aprirgli così com’ero, solo col perizoma bianco addosso e scappando subito verso la camera dicendogli di venire avanti, che avevo appena finito la doccia e che mi stavo vestendo. Bene, lui mi ha seguita e quindi mi ha vista mezza nuda. Si è appoggiato sulla porta e ha cominciato a raccontarmi della partita a carte che avevano fatto la sera prima. Mi sono smontata all’istante. Avrei voluto un Lucano in quel momento. Ecco, tutto questo per farti capire a che livello sono. Di tutta la compagnia, credo che solo 3, compreso tu, non siano vergini. Gli altri l’hanno vista solo nei giornaletti. – “Caspita, s’è fatto tardissimo. Devo andare a prendere Silvina. Ma prima è meglio che faccia una corsa in acqua. Il tuo racconto e il tuo ditino mi hanno quasi fatto venire nel costume”. – “Dai, mi alzo prima io così gli altri non vedono che sei eccitato e poi corriamo in acqua che ho bisogno di rinfrescarmi anch’io.” – “Se non dovessi scappare a prendere Silvina, ti scoperei in acqua”. – “Magari la prossima volta. Dai andiamo adesso altrimenti farai tardi”. Abbiamo fatto il bagno uno distante dall’altro per evitare ulteriori ed inevitabili ritardi. Sono rimasto giusto il tempo di far riprendere una posizione decente al mio uccello e sono scappato a casa a farmi una doccia. Capitolo 3 Per strada mille domande mi passavano per la mente, ma una era più insistente delle altre: ci provo o non ci provo? L’eccitazione che mi aveva messo addosso Cecilia era tanta e sono rimasto in semi erezione per 50 Km. Arrivo finalmente in stazione. Mancano 10 minuti alle 7 e lei stava arrivando proprio in quel momento. Mi vede, mi regala un sorriso meraviglioso e si appresta a parcheggiare. Scende dall’auto, la chiude e si avvia verso la mia portiera passando dietro l’auto. La vedo nello specchietto dalla vita in su e indossa una splendida camicia grigio scuro. Ma è quando apre la porta che rimango di sasso: una gonnellina molto corta e svolazzante, gialla, che fanno risaltare al massimo le sue belle gambe abbronzate. Ha i capelli sciolti, lunghi e un po’ mossi, ancora un po’ bagnati. Non l’avevo mai vista tirata così. Era ancora più bella del solito. La semi erezione aveva lasciato il posto ad un’erezione molto più convinta che non ha accennato a smorzarsi per quasi tutta la durata del viaggio fino all’agriturismo. I discorsi in auto erano i soliti che facevamo sempre, musica, libri, qualche pettegolezzo sui vari personaggi della compagnia. Insomma, nessun argomento che mi lasciasse un varco per tentare un approccio, anche se il mio sguardo andava troppo spesso sulla sua scollatura e sul bel reggiseno giallo di pizzo. Scendiamo dall’auto e dai loro volti capisco che pensavano che mi fossi inventato tutto, che la mia di Silvina fosse una bufala. Ma il loro sguardo è cambiato subito appena hanno visto la mis di Silvina. Ci sediamo a tavola ed ovviamente ci mettiamo vicini. Io ero a capo tavola e lei alla mia sinistra. La cena scorre tranquilla. Ottimo il cibo e ottimo anche il vino. Qualcuno esagera e si lascia andare a canti goliardici che coinvolgono anche i commensali che non fanno parte del nostro gruppo. L’atmosfera è davvero allegra e tutto sta procedendo per il meglio. A tavola non ho avuto modo di poter affrontare discorsi intimi con Silvina. Ci stavamo godendo la serata per quello che era e, sinceramente, mi andava bene così. Perché avrei dovuto rovinarmi e rovinare a Silvina una serata che stava procedendo così bene, solo per tentare di scoparla con tutti i momenti che avrei potuto farlo e non l’ho fatto? Ho rinviato il problema al ritorno o forse in spiaggia, al falò. Finalmente ci portano il caffè. La cena è finita e ora dobbiamo andare in spiaggia dagli altri. Non è vicinissimo il posto, ci vorrà mezz’ora d’auto. Mentre ci fumiamo una sigaretta e ci organizziamo per partire alla volta del falò, Silvina si è messa a chiacchierare in disparte con una sua collega. La raggiungo per dirle che stiamo partendo ma lei mi chiede se Giovanna, la sua collega, può salire con noi in macchina perché voleva finire il discorso che avevano cominciato. Le dico di sì, un po’ a malincuore, perché speravo di riuscire a farle io un bel discorso nel tragitto dal ristorante al falò. Giovanna saluta il suo ragazzo e gli dice che viene con noi. Le lascio parlare. Per fortuna l’argomento era abbastanza leggero per cui non ha rovinato l’atmosfera festaiola della serata. Infatti alla fine ridevamo e scherzavamo e abbiamo continuato a farlo anche mentre scendevamo dall’auto. Leggevo nelle facce di qualcuno, in particolar modo di Mario, un po’ di invidia. Quella di Mario era anche un po’ preoccupata. Sarà stato forse per la cena di pesce promessa in caso di? Non mi interessa e ci avviamo verso la spiaggia. Il falò lo facevano alla fine della parte residenziale, in una zona di spiaggia libera. Camminiamo per 5 minuti ed ecco la sorpresa: del falò erano rimaste solo le tracce. Erano già le 4 del mattino. Abbiamo saputo il giorno dopo che se n’erano andati via alle 3 perché una ragazza ha cominciato a star male, forse aveva bevuto troppo o forse aveva fumato, o tutti e due. Fatto sta che hanno finito la festa e se ne sono tornati tutti a casa. A quel punto che facciamo? Dove andiamo? Le discoteche chiudono alle 5, ma per tornare in zona discoteche dovevamo fare 45 minuti di auto e quindi era assurdo. Decidiamo che è meglio tornare a casa e torniamo alle auto. Io e lei siamo in coda al gruppo. Arriviamo alle auto, ci salutiamo e saliamo ognuno nelle rispettive macchine. Anche noi saliamo e lei, mentre sto mettendo in moto mi dice: – “E’ una bella serata e la temperatura è perfetta. Ti va di fare una passeggiata sulla spiaggia od è troppo tardi per te?” – “Stavo per chiedertelo io, ma avevo paura che fosse troppo tardi per te” Capitolo 4 Ho mentito supodaratamente. Il cuore mi batteva forte. In quel momento non sapevo più che fare. Se da un lato quello poteva essere un chiaro segnale di disponibilità, è anche vero che per tutto l’inverno lei si è confidata e comportata con me come un’amica. E si sa cosa dice la regola dell’amico: non si tromba. Ci siamo incamminati verso la spiaggia e l’ho presa per mano. Lei era solare, raggiante, sorrideva sempre e sembrava un uccellino appena uscito dalla gabbia. Sembrava davvero si stesse godendo quel momento in piena libertà, come se fosse stata rinchiusa per mesi. Saltellava, piroettava, correva e poi tornava indietro saltandomi addosso. Al secondo salto mi sono fatto coraggio. Ormai anche un cieco avrebbe capito che ci stava. Era ancora avvinghiata su di me con le gambe incrociate dietro la mia schiena. Io l’ho guardata e ci siamo baciati timidamente. Un bacio casto, quasi inesistente al quale ne seguì un altro e poi un altro e un altro ancora. Tutti piccoli, brevi, ma dal significato chiaro. Finché mise i piedi per terra senza staccare le braccia dal mio collo continuando a guardarmi dritto negli occhi. Mi avvicinai a lei e ci baciammo teneramente come due fidanzatini di 15 anni. Le lingue si intrecciavano e giocavano tra di loro. Tutto con estrema dolcezza e tanta passione. Non so quanto tempo sia passato durante quel bacio. Tutto intorno a me si era fermato. Non sentivo più né suoni, né odori, né vedevo luce o buio. Niente. Solo i nostri corpi vicini e le bocche unite, e nulla più. Ci siamo staccati senza dire una parola. L’ho abbracciata di fianco e ci siamo incamminati verso non si sa dove. Poi scopriamo che siamo andati verso gli scogli che frangono le onde. Senza esserci messi d’accordo ci incamminiamo verso la punta. Istintivamente stavamo cercando un po’ di intimità sotto quel cielo stellato con il frusciare delle onde come colonna sonora. Era un momento magico davvero. Ci siamo seduti. Eravamo un po’ scomodi ma abbiamo continuato a baciarci. Dopo un po’ abbiamo ritrovato l’uso della parola. E’ stata lei a cominciare. – “Hai visto il colore delle mie mutandine?” Ho sgranato gli occhi. Che razza di domanda mi stava facendo. E poi, quando avrei potuto vederle? – “No” – le risposi -“non le ho viste. Non ne ho avuto il tempo” – le dissi in tono ironico – “Ma come: mi sono alzata la gonna per sedermi per non sporcarla. Comunque sono gialle” E mentre lo disse si alzò la gonna davanti mostrandomi un intimo mozzafiato. Sbottonò anche la camicia per mostrarmi che aveva il reggiseno in coordinato. Non ce n’era bisogno, quello lo avevo già notato da un bel po’. – “L’ho comprato oggi perché me lo sentivo che sarebbe stata una serata speciale” La baciai di nuovo ma questa volta cominciai anche a spostare le mani in posti un po’ più proibiti. Sentii il suo seno attraverso la stoffa. Poi infilai due dita sotto il reggiseno e andai dritto sul capezzolo. Era piccolino ma molto duro. Sicuramente era eccitata quanto me. Lei non se ne stette con le mani in mano e mi accarezzava la patta. Infilò anche un dito tra i bottoni per toccarmelo meglio. Poi disse: – “Lo facciamo qui sotto le stelle? Magari andiamo un po’ più in là così ci allontaniamo da quel gruppo. C’era un gruppetto di ragazzi che stavano facendo baldoria. Saranno stati a un centinaio di metri da noi, ma avrebbero dovuto passarci molto vicino per uscire dalla spiaggia. E così ci alzammo e mano nella mano andammo verso la spiaggia libera, dove resisteva ancora qualche brace ardente del falò al quale avremmo dovuto partecipare anche noi. Capitolo 5 Non ci siamo detti nulla mentre passeggiavamo. Guardavo il falò che si stava spegnendo e per un attimo ho pensato che anche la nostra nottata stava rapidamente finendo proprio sul nascere. Erano quasi le 5 e dovevo farmi oltre 100 km. prima di tornare al mio letto. Io non avevo minimamente sonno malgrado a tavola non mi fossi mai tirato indietro quando mi riempivano il bicchiere. Ma una serata così quando ti ricapita? Per un attimo credevo di sognare. In fin dei conti ero lì, di notte, abbracciato ad una ragazza bellissima, la più bella che avessi mai avuto per le mani, che ci stavamo incamminando a caccia di un posticino tranquillo dove poter osare qualcosa di più. Stavo per fare sesso con lei. E’ una cosa impossibile. Per un attimo mi passò per la mente la frase di Mario: “Se riesci a trombartela, ti offro una cena di pesce dove vuoi tu”. Ma cosa vuoi che m’importi della tua cena di pesce. Tra l’altro non mi piace nemmeno più di tanto. Però un pizzico di orgoglio c’era e un sorriso involontario si stampò sulle mie labbra. – “A cosa stai pensando che ti vedo sorridente?” Le parole di Silvina mi risvegliarono di colpo dai miei pensieri e il mio sorriso si fece ancora più marcato: non sto sognando; sta accadendo a me, proprio ora! – “Stavo pensando a noi due. A come ci siamo conosciuti, alle lunghe serate di quest’inverno passate a chiacchierare di mille cose. A come siamo stati sempre bene quando eravamo assieme. Al feeling che ci unisce e che stasera ha trovato il modo di esprimersi al massimo. In poche parole stavo pensando a te, Silvina”. E cosa potevo fare dopo una conclusione simile, se non darle un bacio profondo, attraverso il quale trasmetterle tutta la mia passione, la mia eccitazione, il mio desiderio di lei? Sembra il copione del finale di un film hollywoodiano. Adesso scorrono i titoli di coda e un applauso accompagna il finale romantico e un po’ mieloso. Le luci si accendono e la gente scema lentamente. Ma non ci sono i titoli di coda e non sento nessun applauso. E’ ancora buio intorno a me, anche se un po’ meno pesto. Svegliati, non sei seduto a guardare un film. E’ incredibile come queste situazioni ti annebbino il cervello. E’ proprio vero che l’uomo non ha abbastanza sangue nelle vene: quello usato per l’erezione viene sottratto al cervello. Capitolo 6 – “Andiamo lì su quel muretto” Era quel muretto che divide la spiaggia dall’entroterra. E’ alto poco più di un metro e abbastanza largo da poter sedervici sopra. Non avevo mai notato che sembra creato apposta proprio per queste situazioni. Fin’ora l’avevo sempre considerato come “mola” per affilare i bastoncini dei ghiaccioli. No, non sto uscendo di senno anche se un po’, vista la situazione, forse lo sono. Da piccolo avevo tanto bisogno di mare per i miei bronchi, ma mia madre, vedova e con altri due figli in età adolescenziale da tirar su, non poteva permettersi di portarmi tutte le estati al mare. E così per un paio d’anni mi ha affidato alle cure di una colonia, struttura ormai decaduta. Durante quel mese di colonia, le “signorine” (così chiamavamo noi le ragazze che ci badavano. Ce n’era una per ogni camerata che era formata da circa 20 bambini) ci portavano a fare lunghe passeggiate lungo la spiaggia e ci facevano camminare vicini a quel muretto. E noi portavamo via i bastoncini dei ghiaccioli e durante il cammino li strusciavamo sopra il cemento del muretto, ora da un lato, ora dall’altro, in modo da trasformare la normale rotondità dell’estremità del bastoncino in una punta per poi usarla nei più disparati modi. Andava benissimo, per esempio, come “penna” per scrivere sulla sabbia. L’alzai di peso e la misi a sedere su quel muretto. Lei allargò le gambe così da permettermi di avvicinarmi di più a lei. I nostri sessi erano a stretto contatto, come le nostre bocche. Eravamo così appiccicati quasi da voler entrare l’uno nell’altra e formare un tutt’uno. Le tolsi la camicetta e lei si slacciò velocemente il reggiseno. La sua disponibilità era totale come la sua voglia di fare l’amore. Istintivamente mi abbassai su quei seni a tastarne con le labbra la consistenza, il sapore, il profumo di donna che riempiva l’aria. Mi stava inebriando. I capezzoli resi turgidi dalle mie carezze morbide e dalla lingua che seguiva il cammino fatto precedente dal dito della mia mano. Il suo respiro aveva cambiato frequenza ed intensità ed era perfettamente in sintonia con il mio. Sembrava quasi che qualcuno ci desse il tempo: espira, inspira, espira, inspira. Le sue mani sulla mia schiena, sulla nuca, ad intrecciarsi tra i capelli, e intanto mi baciava l’orecchio. Sentivo benissimo la sua umida linguetta giocare sui profili della cartilagine per poi succhiare dolcemente il lobo. Sentivo il suo alitare caldo e questo mi dava non pochi brividi. Avevo avuto già altre storie sia d’amore che di sesso puro, ma non avevo mai goduto così tanto dei preliminari e delle sensazioni che stavo provando. Intendiamoci, non sono uno che parte e va subito al sodo, anzi! I preliminari sono quasi più piacevoli del puro atto sessuale, a mio avviso. E’ lì che il piacere ti pervade per tutto il corpo. L’orgasmo è come il caffè o il bicchierino a fine pasto. Un ultimo piacere che mette la parola fine. Eppure il bello di un pasto non è il caffè, ma il pasto stesso. E’ tutta la serata che è divertente e vorresti non finisse mai se sei con le persone giuste, l’ambiente è bello e il cibo è buono. Però, ad un certo punto arriva il caffè. E tu sai che la cena sta per finire. Io invece ero ancora all’antipasto. Un po’ per i baci, un po’ perché comunque era notte fondissima e molto umido, ma i suoi capezzoli erano tesi e turgidi tanto da farle un po’ male e lei aveva brividi per tutto il corpo. – “Ho i brividi, non so se sia per il freddo o sia colpa tua. Tutte e due probabilmente.” – “Aspetta” – le dissi togliendomi la camicia bianca di cotone un po’ grosso che era rimasta sbottonata ancora dagli scogli – “mettiti questa. Non sarà molto ma qualcosa ti ripara” Era una dea. Dentro quel camicione bianco c’era il suo corpicino abbronzato. La luce della luna esaltava ancora di più il bianco della camicia e lei sembrava ancora più scura. Quasi una mulatta. La gonna l’aveva tirata su quando l’ho messa a sedere e quindi si vedevano benissimo le mutandine gialle. Indietreggiai di un passo, l’ammirai in tutto il suo splendore e poi mi riavvicinai a lei, stavolta con un po’ di più foga. Purtroppo non avevamo moltissimo tempo. L’alba si stava avvicinando a grandi passi. Il cielo nerissimo a ovest era di un azzurro abbastanza chiaro a est. Sembrava quasi mi avesse letto nel pensiero e con fare deciso scese dal muretto rimanendo appoggiata ad esso, mi slacciò la cintura e mi sbottonò i jeans andando a cercare il mio membro sopra i boxer. Quindi mi guardò negli occhi e cominciò a scendere senza mai distogliere lo sguardo. Scendendo tirò giù jeans e boxer assieme lasciandomeli a mezza coscia. Con una mano lo impugnò bene, quasi avesse paura che potesse scappare via, mentre con l’altra si fermò a solleticarmi un capezzolo. Non stette lì tanto a perdere tempo. Lo prese subito con la bocca inghiottendolo per metà. Il suo movimento avanti e indietro era quasi impercettibile, ma una cosa che non dimenticherò è la lingua che lo avvolgeva. Una lingua morbida, non irrigidita. Non deglutiva mai, per cui la bocca si stava riempiendo velocemente di saliva. Era riuscita a ricreare quall’ambiente naturale per cui l’organo genitale maschile è stato creato. Non deglutiva mai. E quando la saliva era troppa per contenerla, la lasciava colare fuori. Ed essa scendeva in rivoli lungo l’asta per continuare poi la sua corsa sullo scroto. Il contatto della saliva che scendeva con la brezza marina mi procurava dei nuovi brividi. Non ce la facevo più. Ero davvero al limite. Le misi una mano sulla nuca intrecciando le dita tra i suoi capelli. Strinsi un po’ le dita in modo da tirarglieli e la staccai con forza da quello che posso definire il pompino più intenso della mia vita. La sollevai quasi di peso per i capelli finchè non fosse completamente in piedi, quindi la preso sotto le ascelle e la rimisi a sedere sul muretto. Scostai le mutandine e la ripagai con la stessa moneta. Lingua morbida e piena sulle sue grandi labbra che si sono aperte come un bocciolo di rosa. Avevo la bocca asciutta dopo il suo pompino a furia di ansimare quasi in silenzio. Ma ora era tornata come prima. Era molto umida e aveva quel buon sapore che solo una donna che sta amando davvero riesce ad avere. Non riuscii a giocare a lungo con la lingua sulla sua patatina. Le sue mani che prima mi guidavano e mi trattenevano su suo sesso, ora mi stavano togliendo da lì per portare la mia bocca sulla sua. – “Mettilo dentro, subito!” – riuscì a dire prima di infilarmi la sua lingua in bocca in un modo molto meno romantico di prima. Era di botto cambiato tutto. Tutta la dolcezza e il romanticismo che aveva caratterizzato la serata erano sparite quasi del tutto. Lo prese con la mano e lo guidò verso il suo sesso. Entrò solo il glande. La posizione era troppo scomoda e il muretto troppo ruvido. Rischiavamo seriamente di graffiarci in posti un po’ delicati. Ma non si perse d’animo. Ridiscese da quel muretto e si girò appoggiandosi con le mani. Attorcigliò la gonna in modo da lasciare completamente scoperte le natiche e scostò bene le mutandine. Non disse nulla. Mi avvicinai subito e in quella posizione entrò del tutto. A lei scappò un “sìììììì” che durò tutto il tempo della prima penetrazione fino in fondo. Poi cominciò lei a muoversi e io seguìì il suo ritmo. Ogni donna è diversa, e ogni momento è diverso. Ci sincronizzammo così bene che sembrava lo avessimo fatto da sempre. Ogni affondo era un gemito. Ogni volta che uscivo da lei sentivo freddo sul pene dovuto a quel fenomeno fisico di sottrazione del calore che l’aria provoca facendo evaporare un liquido e che il nostro corpo usa in modo sublime con la sudorazione. I suoi gemiti erano ora più lunghi e profondi. Io non capivo più nulla. Lei mi ha detto qualcosa. Io ho solo capito di non venirle dentro perché non prende nulla. Poi mi sembrava di aver sentito qualcosa tipo “scopami, scopami forte. Sono una troia!”. Ma forse è stata la mia mente maschile a capire questo. Dopo le coccole di prima riesce difficile credere che possano uscire certe parole da una ragazza così dolce come Silvina. Ormai sentivo che non avrei potuto continuare ancora per molto. La presi per i capelli e le tirai con decisione la testa all’indietro. Sembrava avessi toccato un interruttore: – “Godo, godo, godi che vengo… vengo…” – e un ultimo vengo liberatorio le uscì di bocca quasi incomprensibile che si sommò al mio: – “sto per venire anch’io Silvina. Non ce la faccio più”. – ” Aspetta, non dentro” – e si girò sfilandosi il mio cazzo e tenendolo stretto con una mano. Si accovacciò davanti a me sedendosi sui talloni con le gambe divaricate e lo puntò perso il suo seno, continuando a masturbarlo. Mi guardò negli occhi. Il suo volto era cambiato. Aveva un’espressione beata e allo stesso vogliosa. Non sembrava nemmeno la stessa. Nel suo sguardo c’era un non so che da porca. E non mi stavo sbagliando: – “Vieni, vieni qui sulle mie tette. Sborrami addosso”. Era da un anno che la conoscevo e mai avevo sentito da lei questo liguaggio. Anche quando parlavamo di sesso, sia io che lei cercavamo di usare le parole meno volgari. Cazzo era l’unica eccezione. Tutto il resto veniva reso più dolce dai diminutivi: fighetta, culetto, ecc. – “Eccolooo, sìììì, senti che caldo che è” – e mentre diceva questo smise di masturbarmi e se lo spalmò letteralmente quasi fosse una crema di bellezza. Anche se alcuni dicono che comunque faccia bene alla pelle. Dalla spiaggia partì un applauso. Mi vennero in mente per un attimo i titoli di coda del famoso film di prima. Ma non eravamo nella sala. Chi ha applaudito? Saranno state 3 o 4 persone. Non le vedevamo bene, ma ad una trentina di metri da noi, ora che l’alba aveva rischiarato il cielo, potevamo scorgere un grumo per terra formato dai sacchi a pelo. Ed erano abitati. Non ce n’eravamo accorti prima. Ci fu un certo imbarazzo, ma ormai non c’era più nulla da fare. Si alzò, ci baciammo e rimanemmo abbracciati almeno 5 minuti senza dire nulla. Ascoltavo il suo respiro che si faceva più regolare. Il suo cuore che batteva sempre meno velocemente. E il suo corpo che piano piano stava riprendendo coscienza e cominciava a tremare sia per la stanchezza che per il freddo. Ormai erano quasi le 6. L’alba sembrava volesse prepotentemente scacciare la notte. Ci avviammo lentamente verso l’auto consapevoli che quella era stata una notte speciale, unica e irripetibile. Mi restituì la camicia e si rimise la sua. Non parlammo ma continuavamo a scambiarci baci e carezze. Lei era pensierosa, lo vedevo. Ma non volevo chiederle cos’avesse. Mi sembrava una violazione alla sua intimità più profonda. Mi sarebbe piaciuto comunque sapere cosa le stava passando per la mente? Stava pensando alla serata? O forse pensava al suo ragazzo? Era un momento delicato che rispettai e mai parlai del rapporto con il suo ragazzo anche in occasione di incontri futuri che comunque non si spinsero più fino al punto di fare l’amore. Sì, perché io quella sera ho fatto davvero l’amore con lei. Rientrai a casa verso le 8 mentre i più mattinieri amanti della spiaggia e del sole si stavano alzando e si preparavano la colazione. Feci colazione con loro e poi andai a dormire. Durante la colazione mi chiesero come mai ho fatto così tardi. Risposi semplicemente che andammo piano per strada, e tornando mi fermai a dormire un po’ per evitare un colpo di sonno. Ci credettero e tutto finì lì. Ma ecco comparire dalla porta che divide la sala da pranzo dalla zona notte Mario che con un sorsetto maligno mi chiese: -“E allora? Devo pagarti questa cena di pesce? Te la sei rombata?” – Avevo tutti gli occhi puntati addosso. Un silenzio di tomba era caduto nella sala interrotto solo dal tintinnare di un cucchiaino che mescolava lo zucchero in una tazza di caffelatte. – “No, non avanzo nessuna cena di pesce. Non l’ho trombata” Avevo detto la verità: non l’ho trombata come dice Mario, abbiamo fatto l’amore. E’ diverso. E mentre lavavo le tazzine, Rosa, l’unica ragazza del gruppo, è venuta a darmi una mano e mi ha disse: – “Bravo, sei stato un signore.”
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