Mastro Bonaventura si stava inerpicando lungo un sentiero sterrato, sul quale passava a stento la sua Panda 4 x 4, era diretto verso il nido d’aquila ove si stagliava a strapiombo un ex monastero di frati francescani, ora divenuto una minuscola comunità religiosa con appena otto suore, che tramandavano antiche tradizioni di farmacologia, lasciate loro dai monaci e meticolosamente trascritte su tomi ammuffiti. Era l’inizio dell’estate ed il cielo terso permetteva ai raggi del sole al tramonto, di rifrangere con luce quasi spettrale le antiche mura abbarbicate sul cucuzzolo della montagna; Bonaventura avvertiva lo sguardo in lontananza di suor Fiorenza, la Madre Superiora, che dalla vetrata dello studiolo affacciata verso l’orizzonte, lo stava aspettando con ansia, essendo ormai diversi mesi che egli non ritornava colà. Bonaventura è un pittore – restauratore cinquantenne, sembra una caricatura di una stampa del settecento: barba scura e folta, capelli neri e lunghi, in cui si intravedono i primi filamenti color argento, occhi chiari che emanano luce intensa, alto e corpulento, vestito da sempre con pastrano ed abiti di velluto consunto; è ben apprezzato dalle autorità ecclesiastiche per le sue indubbie qualità artistiche, è specializzato nel restauro di affreschi antichi ed anche in questa circostanza è stato chiamato per risistemare una parete, nel luogo di culto di quel lontano convento. Suor guardiana, la più anziana delle sorelle presenti in quell’anticamera del Paradiso, aprì le porte in legno massiccio salutandolo: ben arrivato Maestro, mi auguro abbia fatto buon viaggio, suor Fiorenza la sta aspettando nel suo studio! La Superiora lo accolse con un certo affanno, come sempre le accadeva quando rincontrava l’uomo che l’aveva sverginata, ella aveva quarant’anni ed un corpo ancora fragrante, anche se leggermente appesantito, lo nascondeva sotto le lunghe vesti nere del suo Ordine; era diventata badessa da alcuni anni, essendo mancate in poco tempo tutte le suore più anziane, a parte suor guardiana, una settantenne quasi cieca che ormai era di scarso aiuto alla loro comunità, tanto che le erano state assegnate tre nuove giovani sorelle e due novizie. Bonaventura illuminò la stanza con il suo sorriso radioso, cercò di attenuare la tensione che segnava il viso di suor Fiorenza, stretto dal velo, sussurrando: gli intrugli che preparate in questo luogo sperduto riescono a fermare il flusso delle stagioni, per te il tempo non passa mai, sei come la prima volta che ti ho visto, mi auguro di esserti mancato! La Madre superiora aveva ascoltato con il cuore in subbuglio quelle parole, che avevano l’effetto di lusinghe tentatrici a cui non riusciva a sottrarsi, conosceva l’abilità dialettica di quell’uomo che le stava davanti, egli sapeva incantare con incisi dotti e poetici, allo scopo di raggiungere ciò che si prefiggeva, la sollevò dalla poltrona dietro la scrivania mormorando con tono suadente: su da brava, fammi vedere se davvero ti sei preparata a ricevere il mio preannunciato arrivo! La suora appoggiò i gomiti sul tavolo seguendo un rituale che le era noto, le mani villose di Bonaventura si abbassarono per brandire le vesti, che vennero sollevate lentamente per lasciare alle pupille la gioia di scoprire, centimetro dopo centimetro, la candida pelle che emergeva lanciando bagliori simili ad una via lattea: oh sì che mi aspettavi mia dolce compagna di gioie passate, quando ci avvicinavamo con foga ai piaceri proibiti, attraverso i sentieri sublimi del peccato, gorgogliò il pittore trovandola completamente nuda sotto l’abito religioso. La pelle fremeva al passaggio delle mani che si appropinquavano al culo maestoso della suora, un paio di sonori buffetti fecero seguire un vibrar di natiche che si propagò nella stanza come un afflato, mentre Bonaventura la interrogava mellifluo: ti sei purgata in questi giorni, lo sai che mi piace mettertelo nel culo mentre emana rumorose flatulenze. Sì, sì, sospirò suor Fiorenza, sei un diavolo tentatore, ho cercato di scacciare i cattivi pensieri che mi separavano da questo nuovo incontro, senza riuscirci, le tue lusinghe ancora una volta stanno prendendo il sopravvento: si, sì, ho svuotato il mio intestino, ero certo che la tua coda demoniaca volesse trafiggermi, pungente e devastante, per consentirmi poi di potermi redimere. Bonaventura non si accontentò delle affermazioni dell’amante, estrasse dalla tasca una confezione di supposte alla glicerina e gliene infilò una nel retto, spingendo l’intero dito all’interno per trattenerla nel canale oscuro: suor Fiorenza sentiva crescere il calore stimolante di quella intrusione, a cui il Maestro sostituì l’asta svettante, iniziando a sfondarla con bordate assordanti, che si incrementavano di note rumorose con cui il culo faceva trombetta. Un fiume di sborra si propagò nelle viscere assorbendosi con gli ultimi residui intestinali che la supposta era riuscita a raschiare, non appena Bonaventura si ritrasse sfilandosi la cinghia dai pantaloni, la suora perse ogni ritegno e trattenendosi le vesti sollevate sui fianchi, si accucciò lasciando defluire lunghi rivoli scuri, mentre lui le flagellava le natiche con la cinta: era questo il modo che la religiosa prediligeva, dopo un rapporto carnale, per espiare i propri peccati. Lo condusse nella stanza che gli era stata assegnata e che avrebbe occupato per circa un mese, il tempo necessario per permettergli di completare il lavoro commissionato: attraverso i silenti corridoi del convento, il Maestro seguiva suor Fiorenza, che a capo chino e con la testa coperta dal velo, procedeva a mani giunte, fendendo quei luoghi mistici come se alcun peccato l’opprimesse, l’aveva conosciuta novizia oltre vent’anni prima. Fiorenza aveva diciannove anni e da due era entrata in un convento, subito dopo la disgrazia che le aveva fatto perdere quello che riteneva l’unico e insostituibile amore della sua vita, un coetaneo con cui aveva trascorso l’infanzia inebriandosi di un amore platonico che solo negli ultimi tempi era giunto a fuggevoli toccamenti proibiti; il ragazzo era morto sotto i suoi occhi in un incidente stradale attraversando la strada: lei credette che fosse un segno del destino, spinta dal parroco del paese e dai suoi familiari di origini contadine, si convinse della immanente vocazione. Bonaventura a quel tempo era un artista ventiseienne già affermato, a cui venivano affidati lavori di restauro di una certa qualità, si trovava in una Chiesa poco frequentata, attigua ad un importante complesso religioso, rigorosamente separato tra sacerdoti e suore: da diversi giorni osservava quella giovane novizia dalla faccia triste, che si soffermava a pregare, a volte con le lacrime agli occhi, nelle vicinanze della cappella ove lui stava restaurando alcuni affreschi, ammuffiti dalle ingiurie degli anni. Fece in modo di incrociarla in un momento in cui non vi era nessuno nei paraggi, bloccandola, il suo eloquio avvolgente contribuì ad una spontanea simpatia da parte della novizia, che si lasciò circuire dalle inebrianti elucubrazioni attinenti i temi religiosi rappresentati dagli affreschi in corso di restauro: ella cominciò così a frequentare il luogo di lavoro di Bonaventura, a cui confidò le sue intime lacerazioni, a causa delle quali non si sentiva ancora pronta a divenire una ancella del Signore. Al giovane Maestro non fu difficile introdurla in un terreno infido, che spaziava su alcuni principi religiosi, fino ad affrontare le ripercussioni prodotte dal manicheismo sul pensiero cristiano, a cui l’ingenua novizia non sapeva contrapporre alcuna valida argomentazione, essendo troppo superficiali la sue conoscenze. Ella ascoltava il suo improvvisato mentore a bocca aperta, assorbendo i concetti che gli propinava come dogmi assoluti; quando si accorse che pendeva dalle sue labbra, Bonaventura spostò gli accenni su temi più scottanti, che lei assunse turbata, pur se convinta che quel saggio Maestro avesse effettivamente individuato quali fossero le vere motivazioni che la rendevano titubante nella definitiva decisione di prendere i voti. Devi poter separare le cose terrene, e gli atti che le contraddistinguono, da quelle spirituali: nulla è proibito al corpo se l’anima segue gli insegnamenti religiosi, senza dannarsi, mentì spudoratamente Bonaventura, accorgendosi di aver colto nel segno; non sei la prima né l’ultima che trova difficoltà a superare questa dualità che è insita in ognuno di noi, voglio condurti a visitare un luogo sotterraneo ove un paio di secoli fa erano portate le novizie, per la loro iniziazione al cospetto delle più alte autorità religiose e nobiliari. Attraverso una porticina Bonaventura introdusse la giovane nel sottosuolo, trattenendola per un braccio affinché non scivolasse sui gradini umidi, la fioca luce di un lume consentiva loro la lenta discesa verso quei meandri oscuri ed inaccessibili ai più; la temperatura si era notevolmente abbassata rispetto all’esterno e Fiorenza respirava affannata mentre il suo corpo tremava sotto la candida veste di tessuto leggero: un’altra porta venne spalancata ed il Maestro esercitò una leggera pressione sulla schiena della novizia per farla entrare, il lume venne appoggiato in un’apposita mensola di pietra ed alla loro vista si affacciò un tavolo rettangolare in pietra, a cui lati vi erano disposte quattro sedute in legno zuppe di umidità, mentre a fronte si stagliava una poltrona regale, con decori in mosaico, incastrata in una nicchia. Ho paura Maestro mormorò Fiorenza infreddolita, lo so mia giovane creatura rispose Bonaventura, tutte l’avevano quando venivano introdotte al cospetto delle autorità ecclesiastiche e del nobile feudatario; la loro sorte era già stata decisa, la superiora che accompagnava la novizia le toglieva le vesti, mentre i subdoli preti si segnavano con la croce, per esorcizzare il rito profano a cui erano stati chiamati ad assistere: Fiorenza ascoltò attonita quelle parole appena sussurrate mentre le mani del Maestro si destreggiavano abili, lasciando cadere a terra, uno dopo l’altro, i verginali indumenti che indossava. Un brivido infinito scosse la spina dorsale della giovane quando venne distesa sul tavolo umido, un freddo glaciale le trapassò le ossa bloccandone i movimenti, ma fu solo una questione di qualche attimo perché il Maestro, sfoderata l’asta svettante, ne artigliò i glutei prima di impossessarsi della sua verginità, affondando nella sua vagina intonsa con frenetiche stoccate, al fine di scemare l’enorme tensione accumulata nei preparativi. Un urlo straziante accompagnò la deflorazione di Fiorenza, la quale incitata dalle rappresentazioni ancestrali del suo stupratore, si immedesimò nella parte partecipando con trasporto in quel suo primo rapporto sessuale: oh, sì mio Signore, prendimi, scalda il ventre inaridito della tua umile serva, sì, sì, la carne brucia, spegni il mio desiderio con il tuo poderoso vessillo! Al termine dell’amplesso Fiorenza, dopo essersi ripresa dai fumi esilaranti del piacere, guardò affranta gli spruzzi di sperma che scendevano dal pube alle cosce, in uno con un rivolo di sangue che scorreva sul tavolo in pietra, ove si era consumata l’iniziazione. Bonaventura la strinse a sè scaldandone il corpo: è un passaggio obbligato mia giovane vestale, ora che hai provato le gioie terrene potrai meglio avvicinare la tua anima a quelle spirituali; non le lasciò il tempo per riflettere perché spostò la bocca in mezzo alle cosce, assaporando la rugiada di cui era pregna, mentre lei si abbandonava lasciva a quel nuovo appagante piacere. Fiorenza prese i voti qualche mese dopo ma non rinunciò a rivedere il suo precettore, gli incontri proibiti, a volte fuggevoli e per questo ancor più intrisi di carica passionale, li obbligò a rinunciare ad alcune cautele, che avevano invece accompagnato nel tempo la loro peccaminosa relazione; vennero scoperti da una suora viziosa, che prima di denunciarli li aveva spiati diverse volte, traendo morboso piacere dalla vista dei loro corpi avvinghiati: fu grazie all’intervento di un alto prelato, molto affezionato a Bonaventura, che la cosa fu messa a tacere, egli riuscì a destinare suor Fiorenza nello sperduto eremo ove adesso si trovava, facendo in modo che non restasse traccia alcuna di quanto accaduto. Fortuna volle che suor Fiorenza divenisse la Superiora dopo qualche anno dal suo arrivo in quel posto sperduto, e tale suo privilegio le consentì di attenuare i momenti di depressione, dovuti alla lontananza dal suo amato Maestro, con il coinvolgimento di alcune sorelle della comunità che amministrava: buon soggiorno Maestro sussurrò Fiorenza nell’aprire la porta dello spartano alloggio che gli aveva assegnato. Così dicendo la Madre Superiora aveva allungato la mano carezzandogli l’uccello ammosciato da sopra i pantaloni: spero che tu ne riserbi la parte migliore alla tua prima e devota ancella, a proposito suor Adelaide non vede l’ora di servirti la cena, noi ci vediamo domattina di buon’ora, così stabiliremo assieme come organizzare il tuo lavoro. Suor Adelaide aveva trent’anni ed era addetta alla cucina, un po’ per metabolismo ed un po’ per il piacere della gola, si portava appresso oltre settanta chili su un metro e sessanta di altezza, la sua carne era ancora fresca e soda, pur con accentuati grumi di cellulite sulle cosce, ciò non di meno le poche persone che avevano potuto godere della vista del suo corpo nudo, restavano stupite nello ammirare i seni ed il culo molto prosperosi, assieme ad un monte di Venere davvero imponente. Arrivò di lì a mezzora bussando alla porta con il vassoio contenente la cena, pur se aveva già assaporato la gioia del peccato carnale in occasione di una precedente venuta del Maestro, quando si trovava al suo cospetto un senso di paura e di colpa la bloccava: ben tornato Maestro balbettò trovandolo disteso sull’umile giaciglio, mentre appoggiava il vassoio sul tavolino. Ben ritrovata sorella, grazie per la cena, la Madre superiora mi ha confidato che eri desiderosa di rivedermi: è la mia persona od il mio imperituro discepolo che assillano la tua mente, rispose con un sorrisetto provocatorio Bonaventura, spostando di lato la coperta e mostrando l’uccello a cui accennava metaforicamente, che fuoriusciva interamente dalla patta; sai me lo stavo menando aspettando il tuo arrivo! Vi prego, vi prego Maestro, non fate così, sapete quanto mi vergogni ad affrontare certi argomenti, lo so sono una peccatrice, ma pur sempre una timorata di Dio, sussurrò quasi impercettibilmente la suora con il volto paonazzo e gli occhi fissi sull’oggetto del suo desiderio; va bene, va bene sorella, non dilungarti, se vuoi puoi finire tu di farmi la sega, a meno che tu non preferisca mi scarichi nella tua cavità orale, per ingoiare il frutto del mio piacere. Oh, no, no, è peccato borbottò sconvolta suor Adelaide cadendo in ginocchio, mentre la sua mano fremente muoveva nervosa verso quel consistente arnese, che avviluppò nel palmo sudato, titillando il prepuzio che fissava con occhi incantati, travolta dalla magica atmosfera che un pene ritto e duro sa creare, così perfido e stimolante. La mano del Maestro si posò sulla testa velata della suora, facendola scendere lentamente verso il cazzo pulsante, che ella imboccò chiudendo le palpebre, iniziando a suggerlo con eccessiva foga che ne accentuava la scarsa dimestichezza al pompino, la cui pratica le era stata insegnata proprio da Bonaventura, dopo che la Madre Superiora ancor prima le aveva fatto conoscere il piacere carnale, affrancandola dalla castità che ne aveva segnato il cammino fino all’età di ventisette anni. La bocca calda e carnosa della religiosa trattenne al suo interno l’asta vibrante nascondendola alla vista del Maestro, che leggermente sollevato sui gomiti, osservava con occhi torbidi quel vampiro travestito da suora, che sembrava volesse staccargli il membro dalla radice: i flutti densi e copiosi rimbalzarono in gola, saturandola, il saliscendi si attenuò sebbene ella desse l’impressione di non volersi più ritrarre da quel pezzo di carne bollente, a cui aveva ormai prosciugato ogni residuo seminale, trangugiandolo fino all’ultima goccia. Dio mi perdoni mormorò suor Adelaide staccandosi di scatto, come se fosse stata colpita da una scarica elettrica, non rispose nemmeno al saluto del Maestro e si allontanò contrita, a passo svelto; Bonaventura cenò soddisfatto mentre la sua mente vagava solitaria, sfogliando gli indelebili ricordi che riaffioravano, tutti contigui all’ambiente religioso al quale era ormai indissolubilmente legato. Suor Fiorenza, dopo la delazione che portò alla scoperta dei suoi intrighi amorosi con Bonaventura, venne rinchiusa nella sua cella del convento, ove dovette rimanere per diversi giorni in solitudine, pregando e meditando, a pane ed acqua, fintanto che una notte fu prelevata e portata al cospetto di un alto prelato: quando venne introdotta in quel palazzo oscuro, era impaurita oltre che sfinita e tremante, restò inginocchiata per quasi mezz’ora, in una stanza illuminata solo dal chiarore di una candela, prima di veder comparire una figura austera che indossava paramenti color porpora. Ella si prostrò restando con la fronte incollata al pavimento mentre la voce tenebrosa del prelato, le ricordava spietatamente tutti i peccati commessi: ho un debito di riconoscenza verso Mastro Bonaventura, disse concludendo la prima parte del suo discorso ampolloso, spostandosi verso il cero acceso che spense con un soffio; la stanza restò soffusamente irradiata dai raggi della luna, che penetravano dalla vetrata della grande finestra, mentre le parole del prelato divennero più esplicite: resterai in questo palazzo fintanto che ti troverò una nuova sistemazione, lontana dai luoghi che ti hanno portato alla perdizione, intanto continuerai ad espiare, anche se, come altre tue consorelle incorse nel tuo stesso peccato, sono certo che non saprai più sottrarti ai piaceri della carne. Adesso solleva la fronte da terra e dimostra la riconoscenza che mi spetta! Fiorenza aveva ascoltato sgomenta le ultime parole, sollevò il busto rimanendo inginocchiata, trovandosi davanti alla bocca il cazzo teso: un silenzio inquietante, interrotto solo da alcuni sospiri più accentuati, accompagnò lo struggente pompino della suora, che festeggiò lo scampato pericolo ingoiando tutto lo sperma che le venne scaricato in gola. Un paio di giorni dopo, a notte fonda, venne raggiunta nella stanza ermeticamente chiusa, ove era stata relegata, dal suo Bonaventura: i loro corpi nudi, appena rischiarati dalla tremula luce di una candela, per consentire all’alto prelato di spiarli dallo spioncino della porta in legno massiccio, si avvilupparono in un lungo e travolgente atto d’amore; mentre rifiatavano Fiorenza rimase indecisa se informare il Maestro della riconoscenza che aveva dovuto concedere al suo arrivo, in pochi attimi però i suoi pensieri divennero pleonastici: tutto era già stato deciso a sua insaputa! Bonaventura l’aveva accucciata in mezzo alle gambe facendole imboccare l’uccello, affinché le sue labbra turgide lo rianimassero, lo scricchiolio della porta bloccò Fiorenza, che per qualche secondo sentì il cuore scoppiarle nel petto; continua a succhiare sussurrò il Maestro poggiandole una mano sulla testa, mentre un’altra voce già ascoltata si propagò nella piccola stanza, dopo aver spento la candela: la strada per redimerti è ancora lunga e tortuosa sorella! Questa volta l’alto prelato affondò le mani, soffermandosi nell’esplorazione della pelle vellutata, prima di insinuare l’uccello dentro il pertugio: scivolò nei suoi anfratti con rapidi colpi, guadagnando posizioni entro quel buco nero, fintanto che la penetrò fino alla radice; il suo corpo venne percosso da fremiti che ne facevano vibrare la carne ad ogni affondo, mentre il bruciore lungo il canale rettale si sostituì improvviso al piacere, che prese il sopravvento, avviandoli tutti assieme, quasi simultaneamente, in un esplosivo orgasmo. Bonaventura si alzò all’alba del giorno dopo, assaporando il sole del mattino che si affacciava in lontananza dietro la collina, si avviò verso la piccola chiesa da dove si innalzavano melodiose le voci delle suore che ringraziavano il Creatore, solo due di loro avevano le vesti bianche: erano un paio di novizie, candide ed immacolate; ristette ad osservarle in posizione defilata, fintanto che quel piccolo manipolo si allontanò, con in testa la Superiora, verso il refettorio. I suoi occhi si posarono sull’esile figura di sorella Matilde, rimanendo abbagliati dalla sua bellezza eterea: due occhi chiarissimi che emanavano dolcezza infinita, erano incastonati entro il suo volto pallido, quasi emaciato, le vesti linde ne avvolgevano il corpo splendente, facendo solo intuire i tesori nascosti; l’uccello dentro i pantaloni si agitò istintivamente, stimolando il pensiero del Maestro che già immaginava di poter possedere quel dono del Signore. Suor Fiorenza lo raggiunse davanti all’affresco oggetto di restauro, che egli aveva già individuato; in tanti anni aveva imparato a conoscerne persino le pulsazioni: ti vedo pensieroso, cosa ti affanna l’idea del restauro o forse la vista di una delle mie allieve? Bonaventura si scosse dal torpore e sbuffò: è splendida, sembra un angelo, ha movenze divine, da dove ti è piovuto addosso un regalo così prezioso? Ha appena vent’anni ed è orfana, è vissuta in comunità religiose da quando aveva otto anni, credo abbia origini abbienti, la vocazione l’ha colta un paio d’anni fa, è immacolata persino nelle timide parole con cui si approccia, l’hanno spedita in questo eremo per verificare se sia veramente degna dei voti: credo che posto peggiore non potessero scegliere, qui conoscerà quello che la sua mente, limpida come uno sgorgo d’acqua pura, ha finora vagamente sfiorato; sono soli sei mesi che è con noi e non sono ancora riuscita a scalfirla nemmeno con timidi accenni impuri, tu però mi aiuterai a condurla verso la perdizione, è un presente che ho tenuto in serbo per te, mio inseparabile amante! Il Maestro non seppe trattenersi, trascinò la Superiora nella propria stanza scaraventandola con foga nel giaciglio: sollevati le vesti sporcacciona e mostrami la tua fessura peccaminosa! Come fossero state avvolte da un colpo di vento le vesti si librarono leggiadre, esponendo la fica glabra, che la religiosa teneva rigorosamente depilata, così come piaceva al Maestro: leccamela, ti prego, mormorò con un sussurro straziante! La lingua spessa di Bonaventura navigò all’interno di quel nido ricolmo di umori, strappandole gemiti che le arcigne mura impedivano di far uscire all’esterno, seguì un amplesso al colmo della libidine nel quale la religiosa, tra un ansimare e l’altro, fece scoppiare in un orgasmo debordante il suo uomo, come da tempo non accadeva, accennandogli al modo con cui intendeva servirgli in un piatto d’argento la verginità di sorella Matilde. Tra le tante pozioni medicinali che vengono preparate e conservate al convento, ve ne sono alcune che hanno effetti afrodisiaci, ne curerò personalmente la somministrazione, in modo che tu possa abusare del suo corpo immacolato gradualmente, portandola inesorabilmente verso l’abisso. Sorella Matilde venne destinata all’assistenza di Mastro Bonaventura durante il lavoro di restauro, ciò consentì lui di circuire quella candida Venere, giorno dopo giorno: ella si lasciò catturare dal fascino di quell’uomo all’antica, che sotto l’apparente patina di persona retta e rigorosa, celava il vizio sublime della lussuria. All’inizio la novizia sembrava immune al peccato, ma dopo qualche giorno, gli intrugli che la Superiora le faceva ingerire, cominciarono ad evidenziare i primi sintomi di un esplicito turbamento, che ne minavano la purezza del pensiero: sempre più spesso ella si accaldava, ascoltando le ridondanti spiegazioni del Maestro, che interpretava alcuni dipinti antichi, cogliendone l’aspetto erotico e peccaminoso. Egli sentiva il suo corpo vibrare ogni qual volta la sfiorava, o si soffermava a leggerne gli occhi limpidi come uno sgorgo di acqua pura, e gli piaceva ascoltare il suo respiro affannato allorquando, dopo averle insegnato a riporre su alcune ciotole gli impasti, la redarguiva anche per motivi futili, cogliendo la fragilità che stagnava in quel fiore immacolato, quasi pronta per essere frantumata dalla sua azione demolitoria. Intanto la Superiora, conoscendo gli affanni che sempre affliggevano suor Adelaide dopo il peccato carnale, l’aveva convocata nel suo studio, costringendola a raccontare, prostrata a terra, fin nei minimi particolari, l’incontro nella stanza del Maestro, il giorno del suo arrivo; dovette strapparle le parole dalla bocca mentre, con le vesti sollevate da tergo e le mutande abbassate, le frustava il culo e le cosce. Devi pentirti peccatrice le intimava suor Fiorenza, che quando posò la frusta si inginocchiò al suo fianco facendo scorrere la mano sulla carne martoriata; un brivido intenso percorse la spina dorsale di suor Adelaide, quando la voce melliflua della Superiora le sussurrò: ti sei pentita o ti sei ulteriormente eccitata nel raccontare i tuoi peccati? Suor Adelaide restò ammutolita, ansimando come una mantice mentre la mano della Superiora raggiungeva la ficona inzuppata: no, no, così non va sorella, soggiunse senza poter nascondere l’eccitazione che trasudava dalla sua voce incrinata, dovrò punirti ancora! Le piaceva sculacciarla con il palmo aperto, eccitandosi nell’ascoltare il fragoroso rumore che emanavano le natiche mentre si arrossavano: perdonatemi, perdonatemi, reverenda Madre implorò suor Adelaide, con voce piagnucolosa ma carica di libidine, quando con la coda dell’occhio vide la Superiora, alla fine della punizione, estrarre da una tasca interna della veste, un cilindro di metallo lucente, grosso come un membro, che ella era solita usare per deflorare le consorelle di quella comunità religiosa, in cui la cultura del peccato era la regola prevalente. Con il sedere sollevato avviluppò dentro la vulva polposa quel freddo oggetto inanimato, lasciando che le poderose stoccate con cui la Superiora le scavava la fica, la trasportassero verso quel piacere intenso già conosciuto, a cui non riusciva più a sottrarsi: sarà il Maestro questa notte che ti farà dono del suo randello, verrò a prenderti a mezzanotte nella tua cella! Dopo il vespro Suor Adelaide si ritirò nella sua stanza come tutte le altre sorelle del convento, ma non riuscì a riposare affannata dall’attesa dell’incontro notturno, in cui per la prima volta al Maestro non sarebbe bastato usare solo la bocca della religiosa; quando la Superiora entrò silenziosa nella cella buia, ella era già in un bagno di sudore: il suo corpo nudo venne coperto da un leggero velo, che non poteva certamente nascondere le accentuate rotondità; si incamminarono sotto i raggi della luna per raggiungere il chiostro, dove Bonaventura le aspettava. La Superiora le fece ingurgitare due tazze con una pozione amarognola, a cui fece seguire quasi due litri d’acqua tepida, il velo scivolò leggero a terra scoprendo interamente il suo corpo formoso, la cui pelle color latte brillava di luce non vera; fu fatta avvicinare vicino al pozzo ove il Maestro l’aspettava seduto su una panca di marmo: le mani dell’uomo si dilettarono a strizzare le porzioni di ciccia che rimbalzavano frementi sotto i polpastrelli, mentre suor Fiorenza si denudava anch’ella, e come una baccante partecipava a quel rito carnale, assalendo da tergo suor Adelaide, che venne letteralmente azzannata dalla sua bocca famelica. I primi rumorosi brontolamenti si propagarono stentorei nel chiostro, dando inizio agli effetti di quanto era stata costretta a trangugiare: cominciò a manifestare difficoltà di ritenzione ed i primi flussi di piscio innaffiarono la mano di Bonaventura, che aveva continuato a sfregarle la succosa vulva, come pure altrettanti rivoli scuri scesero incontrollati dal sedere, imbrattandole le cosce su cui ora la Superiora si stava accanendo. Suor Adelaide si sentiva spossata e dalla sua bocca uscivano languidi lamenti supplichevoli, quando venne accucciata a terra: con la bocca incollata alla fica della Superiora fu sfondata alla pecorina dal consistente uccello del Maestro, che prima di raggiungere l’apice spostò il randello nel tenebroso buco posteriore, riempiendo il chiostro di scoppiettanti note musicali che si esaurirono di lì a poco al raggiungimento di un orgasmo travolgente. La suora fuggì di corsa verso la sua cella lasciando i due amanti soli nel chiostro: rimasero allacciati in tenere effusioni ancora per diversi minuti, cogliendo nuova carica erotica nel raccontarsi i diabolici piani che intendevano mettere in pratica, per far soggiacere alle loro perverse voglie altre religiose della piccola comunità. L’atteso momento si presentò un pomeriggio quando Bonaventura vide sorella Matilde più euforica del solito, a causa dell’incrementata dose afrodisiaca che la Superiora le aveva diluito nella minestra servita a pranzo, ne colse alcuni sintomi di mancamento solo vedendola avvicinarsi con difficoltà di deambulazione; durante il lavoro ella si lascio sfuggire una ciotola che rimbalzò a terra imbrattando il pavimento, il Maestro si finse adirato: che avete sorella possibile che non riusciate a concentrarvi! Perdonatemi Maestro sussurrò con un filo di voce, da qualche giorno non mi sento bene, ho come dei giramenti di testa di cui non so darmi spiegazione. Ma che avete siete impallidita, ma allora dovete farvi curare, su lasciatevi vedere, soggiunse stringendole amorevolmente le braccia, in modo da apprezzare la flessuosità di quel corpo che vibrava indifeso: sì, sì, aiutatemi Maestro, borbottò, lasciandosi trasportare verso la stanza di Bonaventura, poco distante dal luogo in cui si trovavano. Il Maestro richiuse alle sue spalle la porta, dal cui fondo penetrava un tenue raggio di luce, nella penombra della stanza gli fu più facile ammaliare l’ingenua novizia, che si fece circuire dalle sue parole mendaci: ben conosco il male che vi affligge, ho studiato ed acquisito molte conoscenze in campo medico, su spogliatevi sorella che voglio visitare il vostro esile corpo, al cui interno ristagna un fuoco che solo io potrò spegnere. Matilde intuiva che vi era qualcosa di peccaminoso in ciò che le veniva chiesto, pur se avvertiva davvero il fuoco a cui lui accennava, tentò una labile difesa nel sentire le vesti che si slacciavano da dietro, sotto l’esperta regia delle mani dell’uomo: oh no, no Maestro, sono stata promessa al Signore, solo a Lui posso mostrar il mio corpo immacolato! E’ l’anima che avete promesso, ribattè pronto Bonaventura, il vostro corpo appartiene alla vita terrena, non temete farò solo quanto necessario per spegnere il calore che si cova dentro di voi: le vesti scivolarono a terra, seguite dal copritesta che espose i corti capelli tagliati a spazzola, in cui il volto minuto la faceva somigliare ad un uccellino impaurito; le membra restavano ancora avvolte da una leggera tunica bianca, sotto la quale si intravedevano le corolle dei seni appuntiti, che parevano appena sbocciati come quelli di una ragazzina, ed i mutandoni grandi e larghi che ne coprivano abbondantemente la zona pelvica, incrementando nell’uomo l’ansia di veder scoperto anche quell’ultimo baluardo, che celava alla vista i tesori più preziosi. Anche la tunica cadde a terra e la novizia, con le gote che si erano abbondantemente colorate, si distese sul giaciglio tenendosi i palmi sopra i seni per proteggere la loro beltà alla vista del Maestro; egli guardò qualche attimo estasiato quel corpo candido che brillava nella stanza semibuia, ascoltando il respiro che usciva affannoso dalle morbide labbra, riuscendo a stento a trattenere l’impulso di strapparle di dosso anche l’ultimo indumento, spostò le sue mani dalle coppe appuntite, sussurrando: su da brava, lasciatemi cercare il male che vi affligge! Le dita ruvide del Maestro si dilettarono a solcare la pelle vellutata, strappandole brividi e sospiri che riempivano armoniosi quel piccolo ambiente, egli ristette sui capezzoli irti scendendo poi a vellicare lo stomaco sin a ridosso dei buffi mutandoni, la novizia pur se eccitata dagli effetti dirompenti degli intrugli ingeriti, ebbe un ultima supplichevole lacerante reazione: no, no, Maestro, basta, basta, mi avete ingannato, non vorrete approfittarvi del mio stato confusionale, vi prego non fatemi pentire di aver dato ascolto alle vostre parole! Oh sì mio piccolo angelo, è vero voglio portarti verso il piacere sublime, scovando la linfa che ristagna entro la tua fessura incontaminata, voglio farla sgorgare copiosa fino a prosciugarla con le mie labbra, intanto le dita si erano intrufolate sotto i mutandoni raggiungendo quel piccolo nido d’amore, che si era inumidito. Matilde cominciò a sussultare e contorcersi avvertendo i prodromi dell’eccitazione, quasi temendo di esserne travolta: no, no, non voglio, dovrete costringermi con la forza, resisterò alle tentazioni del demonio con lo stesso spirito che ha sempre guidato il mio cammino; invero cercava solo di convincere sé stessa perché quando Bonaventura cominciò a legarle i polsi e le caviglie ai quattro lati del giaciglio, dicendole sì, sì, mi impossesserò del tuo corpo anche senza il tuo consenso, ella non oppose resistenza limitandosi a balbettare: no, no, che fate…. non potete! Con uno strattone il Maestro abbassò i mutandoni, liberando alla vista lo splendido monte coperto da rada peluria, i cui riccioli biondi lasciavano ben intravedere la conchiglia rosata appena dischiusa; si tuffò ad assaporare i primi timidi umori che facevano capolino, inserendo la lingua in quel bocciolo inesplorato, che trasmetteva le prime contrazioni, navigando al suo interno fin nelle zone più recondite, per legarla indissolubilmente a quelle sensazioni per lei ancora sconosciute.La folta barba del Maestro si intrecciava con quella rada del pube della novizia, le cui iniziali straziate proteste si erano trasformate in un canto melodioso, ove i gemiti si intersecavano con il piacere della lussuria che ne devastava il volto, in cui la dolcezza restava la componente principale, dalla sua bocca uscivano anche gli ultimi sussurrati tentativi di mettersi a posto la coscienza, affermando l’opposto di quello che il suo corpo palpitante lasciava intendere: oh Maestro, vi odio, vi detesto, mi state portando alla perdizione…… ma poi un orgasmo dirompente le fece morire in bocca il prosieguo di quelle frasi smozzicate. Bonaventura estrasse in un baleno il cazzo svettante e lei intravide quella coda lucifera, solo per qualche attimo attraverso gli occhi socchiusi, il glande si poggiò sull’apertura allargata dall’azione che la lingua aveva appena concluso, forzando appena quell’incantevole forziere: egli ristette al suo interno stuzzicandole la vulva con un lento andirivieni che la fece esasperare. Ancora, ancora mormorò Matilde stravolta dalla libidine, mentre Bonaventura immergeva il suo dardo di qualche centimetro ulteriore: allora non mi odi più dolce fanciulla, vuoi assaporare fino in fondo il calore del mio pistillo che viola il tuo intonso anfratto? Oh, sì, sì, vi amo, vi amo, mio insaziabile stupratore, prendetemi, sarò la vostra ancella per tutta la vita! La tensione accumulata non consentì a Bonaventura di trattenere a lungo l’esplosione, che giunse dopo pochi affondo, nei quali aveva assaporato la gioia infinita, che solo il possesso di quel corpo diafano poteva erogare, restandogli avvinghiato addosso, quasi a fermare per sempre quegli attimi di sconvolgente piacere. La Superiora colse negli occhi della novizia l’avvenuta iniziazione, prima ancora che il suo amante potesse ragguagliarla, come sempre una punta di gelosia la pervase, anche se la stessa venne immediatamente mitigata, al pensiero che presto avrebbe potuto anche lei intingere le labbra in quella fonte d’acqua pura. Il mattino dopo sorella Matilde raggiunse il Maestro nel luogo di lavoro, senza riuscire a nascondere l’ansia che l’opprimeva per quanto accaduto il pomeriggio precedente, Bonaventura cercò di stemperare la tensione e con naturalezza le carezzò il volto impaurito, sentendo fremere la pelle sotto i polpastrelli: ben arrivata sorella, siete più splendente del solito, stamani avete seguito il mio consiglio nell’indossare le vesti? Matilde annuì arrossendo vistosamente mentre la mano del Maestro le solcava le natiche da sopra le vesti: oh sì, brava, avete rinunciato a quegli inutili mutandoni, starete più fresca ed io potrò meglio levigare la vostra pelle vellutata, oggi però dovrete esser voi a stimolare i miei sensi, se vorrete poi esser ripagata dal mio instancabile membro! Oh vi prego Maestro, evitatemi queste inutili torture, oramai avete ben capito che non so resistervi, balbettò la novizia con il volto rosso fuoco e con il corpo fremente, che la rendeva ancor più desiderabile; Bonaventura la prese per mano spostandola dietro all’impalcatura: sollevatevi le vesti e mostratemi il vostro cespuglio dorato! Signore perdonatemi borbottò Matilde lasciandosi ammirare dal Maestro, che la fece anche piegare in avanti per bearsi della vista delle sue candide mezzelune, sulle quali affondò le mani fino a raggiungere il pertugio stretto e contratto, che forzò appena con la punta di un dito: vi prego, vi prego Maestro potrebbe arrivare qualcuno mugolò sconvolta la novizia. Non temere piccolo dolce frutto di passione terrene, nessuno ci disturberà so che la Superiora oggi è occupata in altre faccende, mentì lui che già aveva intravisto l’amante in posizione defilata che li stava spiando; oggi saranno le tue labbra a donare piacere, avviluppandosi alla mia asta bollente, che freme dalla voglia di scaricarsi nella tua bocca: la fece inginocchiare ai suoi piedi e sfoderò il randello teso davanti al suo viso, insegnandole ad usare la lingua ed a risucchiare il vibrante fardello, che entrava ed usciva imperlato di saliva dal suo forno appena acceso. Suor Fiorenza non rimase indifferente alla vista di quel che si stava consumando a pochi passi da lei, fissò il suo amante incrociandone lo sguardo e sollevate le vesti, fece uso del suo cilindro in metallo per profanarsi la fica con smodate percussioni, che si conclusero solo al raggiungimento di un orgasmo sfrenato, al quale seguì l’immediata successiva inondazione che occluse la gola della novizia, facendola annaspare e tossire, impreparata com’era a ricevere colate così copiose di liquido seminale. Quella sera giunse inaspettata la richiesta della Curia, che comunicava al Maestro la necessità del suo immediato rientro per degli importanti lavori che non potevano essere procrastinati; all’alba del mattino dopo Bonaventura si avviò lentamente lungo il tortuoso pendio, che lo allontanava da quell’eremo sperduto, ove aveva raccolto il frutto verginale di una nuova ancella del Signore: gli occhi languidi della Superiora ne seguivano il procedere fin a perdersi nell’orizzonte, ma questa volta non era sola, altri occhi religiosi osservavano affranti, da postazione diversa, il dileguarsi del Maestro.
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