Non vedevo l’ora di riabbracciarla. In quegli ultimi chilometri che ci separavano, il tempo beffardo sembrava dilatarsi, lo stesso minuto sembrava ripresentarsi ad ogni giro di lancetta. Ormai assuefatto agli schiamazzi incessanti dei miei compagni, mi ritrovavo come isolato, li, a fissare l’orizzonte, con il viso appiccicato al finestrino, immerso nella nebbia fumosa delle mille sigarette, sul sedile posteriore di quel furgone che per due settimane ci aveva accompagnato attraverso l’Europa. Finalmente le vie famigliari di tutti i giorni scorrevano sotto le nostre ruote, e gli odori della città, cosi angusti, sembravano diventare profumi di casa. Sulle dita della mano un numero, il numero dei compagni che prima di me dovevano esseri accompagnati alle proprie residenze. Pian piano le dita si abbassarono l’una dopo l’altra. Era il mio turno. Scesi e, quasi non sentendomi più le gambe per la stanchezza, salutai mia madre che aspettava al balcone. Presi tutti i miei bagagli, un sorriso complice agli amici e su per le scale! Per l’ascensore non c’era tempo. L’abbraccio con la mamma, un colpetto sulla spalla del papà. La solita serie di domande post vacanza che io tanto odio. Ma non fa nulla. Finalmente ero a casa, e questo voleva dire essere di nuovo vicino a lei. Ma la stanchezza ebbe il sopravvento: la doccia, un pasto frugale, un po’ di tv sul divano, e il pensiero di lei, sempre nella mia testa, mi accompagnò in un lungo riposo. Mi svegliai nel tardo pomeriggio. Dopo pochi secondi di offuscazione, la cosa che mi venne subito naturale fu di chiamarla. Il telefono fece pochi squilli e poi la sua voce, già carica di emozione, come se sapesse anzitempo chi fosse dall’altra parte del filo, rispose. La gioia, la commozione. Ma una telefonata non era nulla in confronto all’idea di vedere di nuovo, dopo tanto tempo, il suo viso. Appuntamento per la sera, che ormai si affacciava alle spalle di un sole stanco, che a lungo aveva arroventato le nostre giornate. Decidemmo di incontrarci direttamente a casa mia, nella mia vecchia casa, dove avevo vissuto per più dei miei primi venti anni, ora diventata il luogo perfetto per consumare in piena comodità serate intime e romantiche. Io arrivai la prima, per sistemare quella casa vuota e polverosa in un nido degno di ospitare il nostro amore. Era gia tardi, ma mi soffermai ugualmente nell’addobbare la tavola in modo che fosse il più piacevole possibile, anche se non riuscii completamente a fare quello che lei solitamente riusciva a fare: dare calore alle cose. Forte di precedenti esperienze sapevo che la cena doveva essere stuzzicante e leggera. Quindi preparai un menù a base di verdure fresche, gamberetti, mozzarelline, salsine piccanti e dolci, ed altre cibarie invitanti, frutto del mio estro creativo, che in queste occasioni avevano già riscosso successo. Da bere acqua, e un vino rosso, giovane e frizzante, non da intenditori, ma per chi, come lei, non abituato a bere, in occasioni come queste non può rifiutare. Stavo ancora sistemando i piatti di portata in tavola quando il citofono suonò. Corsi a rispondere: “Sono io” disse una voce vibrante. Aprii senza rispondere. Un salto in bagno per guardarsi e sistemarsi al meglio, un’occhiata veloce in giro, per controllare che tutto fosse al suo posto, e poi a togliere la mandata di chiave alla porta. Dopo pochi istanti udii la porta dell’ascensore chiudersi e l’uscio di casa, da cui filtrava la luce delle scale, aprirsi. Il momento tanto atteso, forse il più bello di tutto l’anno, era arrivato. Era bellissima. I capelli biondi schiariti dal sole, la pelle d’orata, gli occhi verdi raggianti accarezzati dalle ciglia lunghe e nere. Il suo sorriso bianco era circondato dalle labbra sottili e sinuose, per l’occasione evidenziate con una colorazione rosso intenso, che solitamente nel pallore invernale non le donava, ma che ora le stava splendidamente e le conferiva un’aria aggressiva e passionale. Al collo, delizioso, portava un collarino nero che lei sa le conferisce un’aria intrigante. Indossava un abito da sera elegante e sensuale che si fasciava sulle sue forme, lasciandole scoperte le spalle e le braccia affusolate, e faceva intravedere un sottile perizoma di colore scuro. Ai piedi indossava delle scarpe con un tacco altissimo che le slanciavano la bella figura. Ero in estasi. Poche parole e un abbraccio lungo e vigoroso. Con il viso tra i capelli lunghi e lisci come seta le annusai il collo profumato di una fragranza inebriante che mi riempiva e mi portava in uno stato di eccitazione fortissimo. Le sue mani mi accarezzarono ripetutamente la schiena per poi finire tra i miei capelli, che le piaceva toccare mentre mi massaggiava la testa. Ci distaccammo, uno sguardo occhi negli occhi e poi un bacio lungo e profondo. Riassaporai il piacere della sue morbide labbra, che tanto mi piaceva mordicchiare, cosi come lei adorava fare con le mie, e il sapore della sua saliva che copiosa scorreva nella mia bocca accarezzando le lingue che si incontravano in un movimento sinuoso ma frenetico, come per voler recuperare il tempo in cui erano rimaste lontane. Questo lungo bacio appassionato era il punto di giunzione di due corpi eccitati che si sfregavano l’uno contro l’altro, mentre le mani si posavano vicendevolmente su tutta l’altra persona per riscoprire quelle piacevoli forme che i nostri polpastrelli adoravano toccare e stringere. Momentaneamente appagato da quel incontro tenero, la presi per mano e la portai in soggiorno, dove la feci accomodare sulle mie ginocchia, mentre mi dondolavo sulla scricchiolante sedia di legno, un po’ sofferente sotto il peso dei nostri corpi. Teneramente abbracciati ci raccontammo gli episodi salienti delle rispettive vacanze non mancando di sottolineare i momenti di nostalgia che entrambi avevamo provato in quel lungo mese di separazione. Trascorremmo cosi una buona mezzora; ma poi improvvisamente, senza che nessuno dicesse nulla di esplicito all’altro, ci alzammo, e snobbando la cena servita di fronte a noi, illuminata dalle stesse candele che ci avevano fatto luce fino a quel momento, la presi in braccio e la portai attraverso il corridoio fino in camera da letto, un tempo dei miei genitori. Facendomi largo fra il buio della stanza, orientandomi a memoria, giunsi al letto, dove la posai delicatamente. Ad una ad una accesi la decina di candele – le più svariate – che avevo disseminato nella stanza e appoggiato ovunque fosse stato possibile. Nel frattempo lei si era distesa nel centro del letto, su un fianco, con un braccio a farle da sostegno alla testa tenuta leggermente in obliquo, da cui scendevano morbidi i capelli a coprirle da un parte la spalle e dall’altra il contorno del viso. Il suo sorriso ammiccante, illuminato da quella luce soffice che proveniva, tremolante, da ogni direzione, le conferiva insieme alla raffinatezza della sua figura che ancora indossava elegantemente le scarpe con il lunghissimo tacco, il fascino di una dea. Ero eccitatissimo, e quasi per paura che quella splendida sensazione potesse interrompersi, esitai ad avvicinarmi e rimasi immobile per diversi istanti a fissarla mentre la brezza del ventilatore, appena acceso, le muoveva tenuemente i capelli biondi che di tanto in tanto le si appiccicavano alle labbra ritoccate nuovamente con quel rosso acceso che i miei baci le avevano tolto qualche minuto prima. Fu lei ad invitarmi con un gesto della mano ad avvicinarmi. Mi sfilai le scarpe senza neanche usare le mani e mi coricai vicino a lei, sul quel morbido giaciglio coperto dal verde delle lenzuola che ancora portavano i profumi degli oli esotici usati in precedenti incontri amorosi. Ci guardammo negli occhi, a pochi centimetri di distanza, l’uno respirando il caldo fiato dell’altro. Cominciai ad accarezzarle il viso, poi il collo, le spalle e giù per i fianchi fino alle natiche, dove mi soffermai a contemplarne la dolce forma e morbidezza. Mi avvicinai lentamente alle sue labbra, sempre osservato dal suo sguardo da cerbiatta, ed inizia a mordicchiarle, curandomi di tanto in tanto di colpirle con piccoli e veloci tocchi di lingua. Socchiuse leggermente la bocca e si spinse impercettibilmente verso di me, come per invitarmi ad esplorarla più profondamente. Non glielo concessi, volevo stuzzicarla ancora, e continuai con quel gioco un po’ sadico ma che sapevo le piaceva perché provocava dentro di lei il desiderio, sempre più forte, di avermi completamente. Intanto le mie mani si erano insinuate sotto l’abito e scorrevano sulla pelle vellutata della schiena e del piatto ventre, per poi spingersi ancora sulle natiche, che tanto adoravo, passando il palmo sul solco che le separava, coperto solamente da un sottile filo di tessuto. Fu lei a farmi capire che non riusciva più a resistere. mi appoggiò una mano sul petto e mi spinse giù, con la schiena contro il letto. Poi, dopo essersi alzata, con un gesto, slacciò il vestito che, scivolandole addosso fino a terra, scoprì ai miei occhi affamati il corpo splendido, asciutto e abbronzato, che in quei giorni di lontananza doveva essere stato oggetto di grandi attenzioni e cure. Mi fissò ancora con quel sorriso intrigante, atteggiandosi, come chi è consapevole e sicuro dei propri mezzi. Successivamente si mosse sinuosa verso di me, per salire a cavalcioni sul mio corpo rigido di tensione. Con la mano sapiente, nascosta dietro al movimento ritmico del bacino sulla mia pancia, incominciò ad accarezzarmi tra le gambe, massaggiandomi i testicoli, afferrando il pene che quasi imbarazzato si era chinato di fronte a quello spettacolo. Non ci vollero però che pochi saggi movimento affinché la mia asta recuperasse vigore e si facesse spazio tra i pantaloni che ancora, come il resto, indossavo. Uno dopo l’altro slacciò i bottoni della camicia, così come quelli dei jeans che sfilò contemporaneamente insieme agli slip. In un attimo ero nudo, li, sotto di lei, in balia dei suoi baci e delle sue carezze. Incominciando dal collo, iniziò a baciarmi e a leccarmi intensamente, non scordandosi di tanto in tanto di infliggermi dei leggeri morsi, che mi provocavano brividi di piacere lungo tutta la schiena. Mi affondava la lingua calda e umida tutt’intorno e dentro l’orecchio, che sapeva essere una delle zone erogene per me più sensibili. Le mani veloci e decise si muovevano su tutto il mio corpo intrecciandosi occasionalmente con le mie, che nel frattempo, si erano posate saldamente sui seni sodi e bianchi, mentre le dita si agitavano per tormentare i capezzoli turgidi. Scese lungo il mio corpo, leccando con cura ogni centimetro della mia pelle che rimaneva lucente di calda saliva, per tornare di tanto in tanto a baciarmi profondamente in bocca. Lentamente, giunse fino all’ombelico su cui si soffermo per giocarci, come gli piace fare, con la lingua. Scese ancora, riempiendomi di baci il basso ventre, sfregando con malizia, come se fosse accidentale, il viso contro il mio cazzo che ormai era gonfio e pulsante, e le lasciava sulle guance piccole goccioline dell’umore acre che secerne quando è in erezione. Improvvisamente chino la testa tra le mie gambe e con movimenti rapidi, facendosi spazio tra la peluria di quella zona, prese a succhiarmi le palle, dure e compatte, che a causa del forte eccitamento incominciavano a dolermi, come per invogliarmi ulteriormente a svuotarle il più presto possibile. Appoggiò la lingua giù in fondo, accarezzandomi parte dell’ano, e salì premendo con decisione, per assaporare la maggior quantità di superficie possibile, passando ancora una volta sulle palle ormai bagnate, per poi proseguire lungo l’asta che dritta si ergeva sino all’ombelico. Rimase a leccarmi e a succhiarmi il corpo del sesso sfiorandone soltanto la testa violacea. Faceva scorrere le labbra socchiuse lungo tutta la sua lunghezza; con la mano intanto riprese a massaggiarmi e a strizzarmi le palle. Poi, alzando leggermente il busto e infilando le mani sotto il mio sedere, prese a succhiare avidamente il cazzo in tutta la sua dimensione, partendo dalla punta e spingendoselo giù in gola fino alla radice, quasi non curante dell’istintivi conati che la scuotevano. La cavità della sua gola sfregava contro la cappella donandomi sensazioni di rara intensità, mentre la lingua girava vorticosamente sul resto dell’asta che riuscivo a toccare attraverso le sue guance che gli erano strette intorno. Ogni tanto si rialzava per farmi vedere lunghe fila di saliva che calda colava lungo tutto il pene, formando alla base un piccolo laghetto. Sapeva cosa mi piaceva, e a lei piaceva vedermi estasiato mentre mi donava quelle indescrivibili sensazioni; per questo mentre me lo succhiava avidamente mi guardava sempre fisso negli occhi, premurandosi anche di non trattenere, anzi di amplificare i suoni, gli schiocchi provocati dal suo gesto. Continuò ancora per diversi minuti con il suo ritmo infuocato ma leggero, premurandosi di cambiare periodicamente posizione e mettendo in pratica tutte quelle tecniche di bacio e movimenti che in anni di intimità aveva affinato per farmi raggiungere livelli di piacere sempre più alti. Sentivo ormai che l’orgasmo era vicino, e volendo regalare anche a lei il piacere che mi stava dando, mi alzi leggermente sui gomiti e accennai a sussurrarle qualcosa. Non feci in tempo ad emettere un fiato che mi ritrovai con la sua mano sul viso a coprirmi la bocca, lasciandomi a dosso la fragranza della sua saliva mischiata all’odore del mio cazzo, e la vidi strizzare gli occhi, come per dirmi che aveva già capito leggendo sapientemente i sussulti della verga, cosa stava per accadere. Mi distesi nuovamente e la lasciai fare. Si mise in ginocchio, e con la testa accovacciata sul cazzo ricominciò a succhiarlo con un ritmo frenetico, su e giù, dalla punta fina alla radice, dove riusciva perfino a stuzzicarmi le palle con la sua agile lingua. Ero madido di sudore, i muscoli in tensione, la respirazione affannata. Avevo raggiunto il punto di non ritorno. Sentii i muscoli dell’uretra irrigidirsi e salire lungo la verga, in un crescendo di piacere, il seme che da tempo era custodito gelosamente nelle palle che ora erano strette fra le sue mani. Con il primo, caldo, copioso schizzo le inondai la bocca che, serrata intorno alla gonfia cappella, continuava a succhiare imperterrita. Poi di colpo alzò la testa sfilandosi dalle labbra l’asta che indomita prosegui l’intesso orgasmo, ora aiutata dal movimento ritmico della sua mano. Mentre gemevo dal piacere lei si lascio raggiungere in viso da alcuni schizzi, accogliendoli a bocca aperta, passandosi la lingua sulle labbra per raccogliere il seme che come piccoli rigoli le scorreva sulla pelle ambrata del volto. Ero in estasi. Finalmente la voglia di passione che avevo da tempo dentro di me era traboccata. E poi la visione di lei, che giocava con il mio seme, fuoriuscito da quel piccolo buchino in grande quantità, mi eccitava incredibilmente: senza aver minimamente perso lo sguardo voglioso e intrigante, si passava le mani sui seni turgidi per spalmarsi della mia gioia che era giunta fin li; le vedevo deglutire soddisfatta, giù per la gola, i flutti che gli avevano copiosamente riempito la bocca. “Adoro la tua sborra!” esclamò ad un tratto. Anche l’ultimo tabù era caduto, anche quel sapore dolciastro che non aveva mai gradito tanto, ora sembrava essere diventato per le sue papille gustative un nettare irresistibile. Si avvicinò e con impeto mi diede un bacio profondo che esprimeva tutto il suo piacere nell’avermi fatto godere. Ancora inebetito per l’orgasmo poderoso, subii quel bacio energico, che mi rapì per alcuni minuti, facendomi assaggiare i miei stessi sapori e riempiendomi le narici di quell’odore caratteristico che proveniva dal suo viso impiastricciato di sperma. “Ti è piaciuto?” chiese con un sorriso ironico di chi sa già la risposta. Non risposi. La guardai dritto negli occhioni verdi e sgranati in cerca di gratificazione. La presi per le spalle e la buttai con forza sul letto; poi incominci a mia volta a baciarla in bocca con grande passione, mentre con una mano, da sotto il collo, le sorreggevo la testa e con l’altra le strizzavo con vigore una tetta. Lei mi strinse forte le braccia intorno al torace come per dirmi che avevo risposto alla sua domanda nella maniera migliore. Fu un lungo ed intenso bacio che si protrasse per svariati muniti, avendo cosi, come effetto secondario, quello di far trascorrere il tempo biologico necessario affinché potessi raggiungere una nuova erezione. E cosi fu. Lei se ne accorse, e immediatamente scivolò giù a prendermelo di nuovo in bocca succhiandolo delicatamente e leccandolo come per ripulirlo dello sperma che ancora ricopriva la cappella. La lasciai fare per pochi minuti, giusto per permetterle di rinvigorirmi il pene. Soddisfatto della notevole erezione che ancora una volta avevo raggiunto, la presi delicatamente per la nuca e la trascinai su, verso di me, e la feci distendere a pancia in giù. Dopo averle sfilato il perizoma e le scarpe che ancora indossava, le infilai un cuscino sotto la pancia e le divaricai leggermente le gambe, in modo che il suo sesso, bagnato e gonfio di piacere, fosse ben esposto fra le natiche morbide e rotonde. Era bellissimo poter osservare le chiappe sode, il piccolo buchino dell’ano e quella gentile fessura messa a nudo dalla completa assenza di peli, che aveva evidentemente provveduto a rimuovere con grande accuratezza. Iniziai a baciarla sulla nuca, sul collo e sulle guance, allungandomi talvolta per riuscire a strapparle un bacio sulla bocca, mentre con le mani le massaggiavo i seni e i capezzoli. Passai a succhiarle le orecchie dandole un brivido di piacere che mostrava agitandosi convulsamente. Molto lentamente, ricoprendola di baci e assaporando ogni centimetro di pelle, scesi lungo la schiena fino a giungere a quel unico triangolino bianco scampato al sole, posto sulla parte più alta del suo deretano. Sfilai le mani da sotto il suo busto lasciandole le tette per affondare i polpastrelli nelle natiche che iniziai a pizzicare, massaggiare e a sculacciare. Poi la feci godere: con la lingua umida di saliva scorrevo lungo il solco delle chiappe sfiorando l’orifizio del culetto e il lembo di pelle posto fra quest’ultimo e la vulva. La sentivo godere e come segno tangibile vidi il buchino, inizialmente stretto, che lentamente si rilassava per permettere alla mia lingua e alla saliva, che lo inumidiva copiosamente, di penetrarvi. Nel frattempo il mio dito le gingillava il clitoride che di minuto in minuto si gonfiava di piacere, fino ad assumere le sembianze di un piccolo pene. Sapevo che quella posizione la faceva godere tantissimo, ma quella sera doveva essere particolarmente presa perché la sentivo gemere di piacere con un’intensità tale che il mio pensiero andò per un attimo ai vicini di casa. Smisi per un momento di leccarle lo sfintere per dedicarmi alla passera che da qualche minuto aveva cominciato a gocciolare sulle lenzuola, creando una piccola pozzanghera di umido. Le appiatti tutta la lingua sulla fessura, in modo da coprirne la maggior parte, e poi, con un colpo deciso, le leccai via quello strato di liquido delizioso che la ricopriva e che mi faceva eccitare come nessuna altra bevanda al mondo. Le immersi la faccia nella vagina, aiutandomi con le mani, tirando verso l’esterno le grandi labbra. Facevo girare la lingua in ogni direzione per esplorare tutta la superficie interna che riuscivo a raggiungere. Ai gemiti si unirono anche parole, inizialmente monosillabiche, che ben presto divennero espressioni di incoraggiamento: “continua, cosi dai!”, “mi fai impazzire!”, “godo come un maiale!”. Dopo poco venne con un potente orgasmo che la fece vibrare, e sentii la mia bocca scivolare lentamente ancora più in profondità in quella calda vulva che per il piacere si era dilatata ulteriormente. Era in trance. Improvvisamente mi prese per i capelli e con decisione mi riportò all’altezza dell’ano che con mio piacere vidi essersi notevolmente rilassato. Incoraggiato dalla pressione della sua mano ricomincia a leccarlo e inumidirlo con fiumi di saliva, per affondarci dentro sempre di più. Dopo poco la mia lingua era totalmente immersa in quel caldo e profumato pertugio. Proseguii per alcuni minuti in questo modo, con la lingua nel culo e due dita che le esploravano la vagina mentre l’alluce continuava a massaggiarle il clitoride. Ad un tratto, alzando il sedere e inarcando la schiena, esclamò: “scopami!, voglio che mi scopi tutta!”. Non mi feci pregare due volte: mi accomodai dietro di lei, in ginocchio, nella classica posizione della pecorina e la penetrai con vigore mentre con le mani ben salde le spalancavo le chiappe per mettere in mostra quel buchetto caldo e aperto che aspettava impaziente il suo turno. Le sferravo colpi potenti, facendole scorrere dentro, in tutta la sua lunghezza, il mio cazzo, che non aveva perso neanche per un secondo la sua fierezza. Ogni colpo era accompagnato da urla di piacere. Si alzò, appoggiandosi con la schiena contro il mio petto, facendo si che il cazzo le andasse ancora più in profondità. mentre lei si strizzava i duri seni e si torturava i capezzoli dritti e turgidi, presi a masturbarle il clitoride, gonfio e duro almeno come il mio pene. Poi lentamente le infilai dentro due dita, che di li a poco divennero tre. Le stavo sconquassando la passera con un ritmo frenetico sia con il cazzo che con le dita che lo circondavano. Lei urlava sempre di più mentre sentivo i suoi umori colarmi lungo il braccio della mano che la penetrava. Ruotandole la testa nel tentativo di baciarla, vidi la sua espressione estasiata che esprimeva, come nessuna parola può fare, la goduria che stava provando. Quando pensai che fosse all’apice del piacere la senti sussurrare: “fammi godere ancora! Scopami! Scopami il culo! Ora!”, e mentre pronunciava queste parole affannate, mi sfilò il cazzo dalla vulva e se lo premette con vigore contro la porta del culo, ancora inumidito dalla mia saliva e dai sui stessi umori. In un attimo le fui dentro le viscere fino alla radice, con le palle che sbattevano contro quella figa magnificamente aperta a mostrare tutti i suoi segreti. Rimase vuota per poco, perché mentre la pistonavo con ritmo incalzante, lei prese a masturbarsi, da prima massaggiandosi, successivamente infilarsi dentro due dita. Continuai a penetrarla a lungo, sentendo le pareti del suo culo che allentavano progressivamente la pressione intorno al mio cazzo, segnò che lei era completamente perduta nel piacere che le stavo facendo provare. Ad un tratto si destò di colpo e senza perdere il ritmo, girando la testa verso di me, mi chiese: “ti andrebbe l’idea che ci fosse un altro cazzo a scoparmi mentre tu mi sfondi il culo!?”. Senza attendere una mia risposta si allungò verso il mobile alla testa del letto e afferrò uno tra i tanti gadget erotici che in questi anni ci eravamo regalati: era un un’enorme cazzo di lattice gel trasparente, color rosa brillante, misurante più di trenta centimetri di lunghezza, con due grosse cappelle, una su ogni estremità. Fui felice e sorpreso di questa iniziativa, in quanto non era mai stata molto propensa all’uso di quell’articolo. Lo prese in bocca e lo succhio per bene facendogli colare sopra una grande quantità di saliva che sarebbe servita da lubrificante. Poi, forzandomi a rallentare il ritmo con cui le sfondavo il culo, si appoggiò la testa enorme di quell’archibugio sull’ingesso della figa colante di umori. Fui ulteriormente sorpreso quando vidi quell’asta enorme entrarle dentro senza troppo fatica, e soprattutto senza causarle dolore. Evidentemente la lunga penetrazione contemporanea del mio cazzo e di tre dita, avevano allargato a sufficienza il passaggio, anche per quell’ariete. Era una scena spettacolare: lei, che urlando di piacere come una furia, si dimenava spingendosi dentro e fuori quasi due spanne di fallo, ed io che sudato e ansimante le sfottevo il culo e le palpavo le tette e il clitoride. Ben presto, entrambi sovraccarichi di eccitazione, raggiungemmo l’orgasmo. Lei mi anticipò, di poco: inarcandosi ulteriormente aumentò bruscamente il ritmo con cui si ficcava dentro il cazzo di gomma. Poi con un colpo deciso, accompagnato da un urlo di piacere, se lo sfilò fuori, e uno spruzzo copioso di umore fuoriuscì con violenza, come se fosse urina, da quella passera gonfia e aperta. Pochi secondi e sentii che anch’io dovevo esplodere. Lei si appoggiò con la faccia al letto e alzando ulteriormente il bacino mi offrì ancora di più il suo culo, permettendomi colpi ancora più potenti e profondi. Venni con una intensità che non avevo mai provato prima, riempiendogli le viscere di caldo sperma. Mentre il mio cazzo si contraeva ancora per eiaculare, lo estrassi da quel tunnel che mi aveva dato sensazioni fortissime, e le regalai gli ultimi schizzi di sborra sopra il culo e sulla schiena. Ancora stordito per la sensazione appena provata, rimasi incantato ad osservare quel buco, dilatato al punto di permettere la visione delle pareti interne, che fino a pochi minuti prima era serrato come una morsa. Quasi istintivamente presi il cazzo di gomma che era appoggiato sul letto e glielo spinsi lentamente dentro il culo, che evidentemente non era ancora del tutto appagato, lubrificandolo con la sborra che lo aveva inondato qualche secondo prima. Mi infilai sotto di lei in modo da assumendo la posizione del celebre sessantanove, ed inizia a leccarle e succhiarle avidamente la vulva fradicia, completamente divaricata dai colpi inferti durante le penetrazioni prima del mio cazzo e poi di quel mostro rosa che adesso sotto la mia guida le stava scorrendo su e giù per l’intestino. La sentii irrigidirsi mentre faceva una smorfia di dolore. Per quanto dilatato, il suo culo aveva bisogno di un po’ di aiuto per ricevere quel grosso fallo di plastica, evidentemente più grosso del mio. Presi allora dal comodino una crema apposita per le penetrazioni anali e la spalmai tutt’intorno allo sfintere e sull’asta stessa. Ripresi lentamente a farlo scorrere mentre sentivo dai suoi movimenti che il dolore aveva lasciato posto a nuovo crescente piacere. Intanto che il ritmo delle stantuffate aumentava, così come la profondità della penetrazione, lei prese a leccarmi e a masturbarmi il cazzo che, ancora un po’ giù di tono, in un attimo, grondava di nuova calda saliva. La mia lingua le donava piacere assaporando gli ampi spazi interni della vagina, il fallo di gomma le scorreva impetuoso fra mille brividi giù per l’intestino, la sua bocca e la sua mano sempre più veloci ondeggiavano sopra il mio cazzo. Senza togliersi la verga, ora dura e possente, dalla bocca mi implorò di spingere la testa del mostro ancora più in profondità: ormai lo aveva quasi completamente inghiottito dentro di se, lasciando fuori una piccola parte che mi bastava a malapena per tenerlo. Sentivo defluire i succhi vaginali con maggiore abbondanza dentro la mia bocca come ad indicare che l’ennesimo, intenso orgasmo era vicino. Allora, con le dita della mano libera, iniziai a penetrarla e stimolare il punto G e l’uretra che immediatamente rispose gonfiandosi di piacere. Bastarono pochi minuti di questa stimolazione per farla venire: improvvisamente, con il cazzo di gomma che le scorreva veloce nel culo, che ormai non offriva più la minima resistenza, mi ricoprì il volto con una grande quantità di liquido biancastro, simile al mio sperma, che uscì come urina dal buchetto dell’uretra. Le grida di piacere che emise credo svegliarono tutto il condominio. Mi premette il sesso gonfio contro la faccia permettendomi di raccogliere ogni goccia di quel delizioso nettare che raramente le avevo visto produrre, e mai in tale quantità. Rallentai il ritmo delle penetrazioni nel culo ma senza smettere perché, nonostante avesse raggiunto l’orgasmo, continuava a trarne grande piacere. Adesso fu lei a concentrarsi sul mio cazzo per dare a me lo stesso piacere che io le avevo dato. Si passò un dito sulla vagina, per lubrificarlo con i suoi umori, e poi, in un attimo lo infilò dentro il mio culo, premendo con energia sulla prostata, sapendo che in questo modo poteva farmi raddoppiare l’intensità dell’orgasmo. In quella configurazione ci misi poco, sotto le gentili pressione del suo dito e le abili carezze della sua bocca, a raggiungere il massimo piacere. Fu un’esplosione potentissima che per la prima volta fece urlare di piacere anche me. Dello sperma, che schizzava violento contro il suo palato, non ne fu sprecato neanche una goccia, lo inghiottì tutto, avidamente, facendolo scorrere lentamente giù per la gola. Ci sdraiammo supini, l’uno affianco all’altro, spossati, guardando verso il soffitto. Ci stringevamo la mano. Rimanemmo li come statue, per diverso tempo, non so quanto. Poi, come svegliatomi da un bellissimo sogno, mi alzai per andare a bere qualcosa in cucina, per togliere l’arsura che avvolgeva la gola. Ne approfittai anche per infilare qualcosa sotto i denti, alla luce di quello che rimaneva delle candele che, ormai agli ultimi, erano state accese qualche ora prima. Quando tornai in camera la trovai girata su un fianco, leggermente accovacciata, con le gambe completamente spalancate, per ricevere la brezza del ventilatore, per rinfrescarsi la vagina e il culetto che erano stati messi a dura prova e che forse ora le bruciavano un poco. Non si era accorta che ora tornato. Rimasi dapprima sulla soglia della porta, poi mi avvicinai lentamente, in silenzio, osservando con ammirazione quello spettacolo. La vulva, arrossata, era completamente aperta, tanto che avrei potuto inserirci un dito senza toccarne le pareti. Le grandi labbra, erano coperte dal biancastro degli umori che si erano seccati all’aria, mentre le piccole labbra, caratterizzate da una leggera asimmetria, erano ancora umide. Il buco del culetto ridimensionato, anche se ancora rilassato, era invece coperto da una leggera patina del mio seme, come una bolla, che di tanto in tanto usciva in piccole quantità scorrendole giù lungo il solco, per finirle nella vagina. Mi accomodai infondo al letto e incomincia a baciarle i piedi e le caviglie risalendo rapido lunghe le gambe affusolate per arrivare a morderle dapprima le cosce sudate, per poi affondare con tutto il viso nella meraviglia che avevo ammirato fino a qualche istante prima. La baciai dolcemente assaporando ancora una volta quei miscugli di reciproco piacere versato copiosamente sul suo sesso, che ora avevano assunto un sapore più aspro. La vulva come l’ano si riaprirono nuovamente con piacere alle carezze che la mia lingua, con consumata esperienza, le porgeva. La ruotai leggermente per accomodarla sulla schiena. Per la prima volta nella serata e dopo tanto tempo potei ammirare il monte di venere della mia bella, che per l’occasione era particolarmente curato: la vulva completamente implume tra gli inguini, sottostava al grazioso clitoride che stanco si era ritirato nella sua tana di carne. Il pelo pubico castano, tenuto notevolmente corto, quasi rasato, era stato modellato a forma di striscia molto sottile che si estendeva in verticale, a partire da sopra il clitoride, per quattro – cinque centimetri, verso l’ombelico. Tutto in torno, dove abitualmente altri graziosi peli si arricciolavano, la pelle era completamente pulita e levigata, e mostrava i segni di un’insolita abbronzatura in quella zona tipicamente pallida. Dopo aver dedicato qualche istante a gingillare il clitoride, sali lentamente, leccandole la pancia e il petto fino ad accomodare il bacino fra le sue cosce e a guardarla nuovamente in volto. Aveva un espressione serena, contente. Lo sguardo tenero di quegli occhioni verdi mi commosse e mi fece ricordare quanto ero fortunato a poter essere li ,fra le sue braccia, a godere del suo amore. Aiutato dalla pressione delle sue bracci intorno alla mia schiena, mi immersi interamente dentro di lei, alzandomi leggermente sui gomito per poterle baciare la bocca. Rimanemmo incastrati in quella posizione, concentrandoci solamente nella contrazione dei muscoli che circondano i genitali. Quei movimenti impercettibili all’esterno, ci davano sensazioni meno intense delle precedenti. Tuttavia il piacere di questa nuova situazione era altrettanto sublime poiché lo gustavamo in uno stato d’animo diverso, più tranquillo, appagato rilassato, voglioso di tenerezza. Fu un momento indimenticabile che ravvivò dentro di me l’amore che provavo nei suoi confronti. I baci teneri sulla bocca e sul collo si alternavano alla contemplazione dei suoi meravigliosi seni, ampi e sodi, sovrastati da due graziosi bottoncini rosa, con cui giocavo leccandoli delicatamente. Continuammo a coccolarci in quel modo a lungo finché, sfiniti, non cademmo in un sonno profondo. Mi destai verso mattina, le quattro o le cinque. Aprii leggermente gli occhi e intravidi la mia bella che era intenta a giocherellare con il mio pisello. Le accarezzai la testa per farle capire che anch’io ero sveglio. Incominciò allora a succhiarlo più energicamente provocando la dovuta reazione nel mio pene. Quella mattina fu un dolce risveglio segnato dall’ennesimo orgasmo. Stavolta però, quando sentì il mio seme sopraggiungere iniziò a menarmelo furiosamente con entrambe le mani appoggiandoselo in mezzo alle tette. Le venni addosso ricoprendole i seni, il ventre, il collo. Soddisfatta del buongiorno che mi aveva dato mi bacio e mi strinse a se. Parlammo per almeno un’ora di come ci eravamo divertiti quella sera, dei nostri sentimenti reciproci. Poi affamati ci alzammo e prima di buttarci sulla cena ormai diventata un’abbondante colazione, ci lavammo l’un l’altro in un bagno di schiuma, nella vasca. Dopo esserci asciugati con cura, non mancando di coprirci di baci sulla pelle fresca e profumata, andammo in cucina per abbuffarci. Ricordo come se fosse ieri. Stava mangiando un frutto. D’improvviso alzò lo sguardo e mi fissò. Le luci dell’alba che entravano dalle imposte rimaste aperte le illuminavano il viso. Gli occhi le luccicavano. Le guance rosa facevano da contorno al suo dolce sorriso. Per me era come una dea. Fu allora che, per la prima volta, le dissi… …quanto la amavo.
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