Era stato attratto dalla pubblicità che decantava il prodotto, per la sua impermeabilità, resistenza a basse temperature, morbidezza, comodità… Si garantiva che era imbottito con morbidissime piume d’oca della migliore qualità. Le dimensioni, inoltre, erano molto maggiori di quelli disponibili, in genere, sul mercato. Logicamente, questi pregi avevano ognuno un costo e, sommando il tutto ne veniva fuori un prezzo non proprio modico. Comunque, le attrattive erano tante, e soprattutto le dimensioni lo attraevano, forse poteva muoversi un po’, non restare come un salame legato! Per questo lo acquistò, anche in previsione che era prossimo il programmato raduno a Toronto. Gli avevano detto che al Glen Rouge Park avrebbe trovato certamente posto, c’era un’area riservata. Comunque, la stagione era tra le migliori. Giorgio alzò le spalle. Considerava una interessante esperienza quel raduno e, molto probabilmente, pensava, si sarebbe sentito un po’ a disagio, dato che i suoi trenta anni lo facevano ritenere al di sopra dell’età della stragrande maggioranza dei partecipanti. Aveva pensato di andare in Hotel e poi partecipare al raduno, ma avrebbe perduto la parte più interessante: vivere in comunità con gente venuta da ogni angolo della terra. L’attrattiva doveva essere la ‘spiritualità’ la ‘religiosità’, ma lui, doveva confessarlo, era spinto da motivazioni più inquadrabili nella sociologia, nell’etnia, nell’osservazione comportamentale. Comunque, carico della ‘special tent’, zaino, sacco a pelo arrotolato, tenuta consueta per quel genere di incontri, scelse perfino il viaggio in charter, per respirare da subito quella tipica aria di incontri folk-religiosi. All’aeroporto di arrivo avevano istituito ‘punti di registrazione’, affollatissimi, dove fornivano anche indicazioni sull’eventuale possibilità di accomodamento, a seconda delle disponibilità economiche del partecipante. Era necessario farsi dare il ‘buono’ per accedere all’area riservata del Glen Rouge Park, dove poteva piantare la tenda. La graziosa ragazza che era dinanzi a lui si attardava a parlare, insisteva, e stava anche accalorandosi. Si esprimeva in un discreto francese, e seguitava a dire che lei non aveva denaro a sufficienza per pagare una sistemazione per le notti, le avevano assicurato che sarebbe stata ospitata, gratuitamente, in qualche istituto religioso o presso famiglie disponibili. Si era fidata di tale promessa, ed ora… Sembrava sul punto di piangere. Giorgio le si mise a lato. Era una bella brunetta, molto giovane, in tuta azzurrina, col suo bravo zaino, e un’aria stanca. Le chiese se poteva aiutarla, cercando il suo miglior francese possibile. La ragazza scuoteva la testa, sconfortata, avvilita. Sul taschino della tuta c’era una bandiera: azzurro, arancione chiaro, rosso. Giorgio ritenne opportuno di dire il proprio nome. “Sono Giorgio, Italiano….” Lo guardò attentamente, con aria di diffidenza, la fronte aggrottata. Poi, forse perché fu rassicurata dall’aspetto e dall’espressione di lui, gli tese la mano. “Elvira, Romena.” “Non disperarti, Elvira. Io sono sicuro che troverai ospitalità. A Glen Rouge Park ci saranno certamente altre ragazze, con tenda, e sono certo qualcuna che potrà accoglierti. Alcune hanno tende grandissime. Tu hai un sacco a pelo per dormire? Sac de couchage?” Scosse desolatamente la testa. “Se vuoi puoi venire con me, al Parco. Prendo il buono d’ingresso.” Gli chiesero per quante persone. “Due, per favore.” Registrarono cognomi, nomi, passaporti. Il Parco era abbastanza lontano, ed erano molti a chiedere informazioni, ad attendere il bus. Giorgio disse a Elvira che avrebbero preso un taxi. “Ma è caro, c’est cher…” “Non ti preoccupare, Elvira, me lo posso permettere.” Salirono sul taxi. Giorgio disse che avrebbe voluto bere qualcosa. L’auto, dopo poco, fermò a un bar. Discesero. Elvira chiese un latte e caffé e adocchiò con occhi avidi le brioches calde che erano nella vetrinetta, sul banco. Giorgio fece cenno alla cameriera di metterne alcune sul vassoio. Elvira lo guardò sorridendo, e prese quella con la crema, che mangiò avidamente. Giorgio disse di assaggiare l’altra, e lei non si fece pregare. Ora sembrava aver perduto ogni diffidenza. Salirono di nuovo in taxi. Lei gli disse che stava imparando l’italiano. Era al primo anno di Università, a Timisoara, si era iscritta ai corsi di pedagogia. La diffidenza iniziale aveva lasciato posto a una simpatica cordialità, di quella caratteristica tra goliardi, anche se Giorgio aveva lasciato l’università da tempo, ma cercava sempre motivi e occasioni per rituffarsi nella vita di quel tempo, come ora, viaggi strani, con la tenda, una di quelle speciali, ed ora il sacco a pelo nuovo e ultramoderno. Erano giunti a Glen Rouge Park. Anche qui, reception desk, il tavolo di accoglienza. Giorgio chiese, se possibile, un’area vicina all’ingresso. Gli fu assegnata: settore A, piazzola 11. Dopo venti metri, sul viale centrale, a destra, un cartello sul paletto indicava la zona, e un altro la piazzola. Giorgio chiese anche se ci fosse la possibilità, per Elvira, di essere ospitata in una tenda comune. Purtroppo niente al momento. “Senti, Elvira, adesso andiamo al posto assegnatoci, poi vedremo.” Le addette al Park, consegnarono a Giorgio due badges, intestati a lui e a Elvira, per l’accesso al Campo e per fruire dei servizi, nonché la piantina con l’indicazione delle toilettes, docce, infermeria, punti di ristoro, snack bar, youth center e youth club…. . Trascinando ognuno il proprio trolley raggiunsero la piazzola assegnata. Subito un giovane e simpatico assistente dell’organizzazione si avvicinò offrendo il proprio aiuto per montare la tenda, collegare l’elettricità… Quando apparve la ‘super-tent’ la guardò ammirato, la toccò, e si complimentò con Giorgio. Era la prima volta che vedeva una ‘roba del genere’. Tutto a posto, in pochi minuti. Elvira che s’era allontanata, per cercare la toilette, tornò; fresca e sorridente. L’assistente assicurò che il servizio di sorveglianza era molto accurato e che loro, del resto, avevano la mappa col posizionamento delle tende e i nominativi che le occupavano. Infatti, Giorgio ed Elvira, gli erano già stati segnalati in arrivo, tramite walkie-talkie. Il viaggio, la diversità di fuso orario, e tutto il resto, li aveva abbastanza stancati. Giorgio propose di riposare un po’, nella tenda. Così, vestiti come erano, sul soffice e isolato pavimento, coperti dal plaid che aveva con sé. Elvira rimase perplessa per un attimo, poi disse che, sì, in effetti era stanca. Non era passato un minuto da quando s’erano sdraiati, ed Elvira dormiva pesantemente. Giorgio, anche lui stanco, non riusciva ad addormentarsi. Pensava. Molto carina, Elvira. Qualcosa di infantile, ma un corpo veramente attraente, e modi dolcissimi. Un misto di timore e audacia. Si era affidata totalmente a lui, non poteva tradirla. Allungò la mano, la pose timidamente su un fianco. Era tiepida, il respiro regolare, il volto disteso. Se ne sentiva attratto. Desiderava sfiorare quelle labbra con un bacio, ma… Ne avrebbe tradita la fiducia? Si girò e rigirò, e non si accorse di assopirsi. Quando si svegliò, Elvira dormiva ancora, ma poco dopo si stiracchiò, aprì gli occhi, lo guardò, gli sorrise. “Buon giorno…. È giorno, vero?” “Certo, è ancora giorno. Ma il viaggio ha un po’ spostato la cognizione dell’orario.” Guardò l’orologio al polso, che aveva regolato sul fuso locale. “Sono le tre del pomeriggio. Hai fame?” “Le brioches hanno fatto il loro effetto, ma, ad essere sincera, un certo appetito…” “Dai, andiamo a darci una rinfrescata, chiudiamo la tenda e andiamo a cercare dove possiamo mangiare.” “C’è la ‘canteen’ del Park…, l’ho vista sulla cartina…” “Se c’è come andare in centro, molto meglio. Via, tra un quarto d’ora qui.” Si alzò, prese l’asciugamano e il sapone, s’avviò alle toilettes ‘uomini’. Furono pronti prima del previsto. Al desk Giorgio chiese dove trovare un taxi. Gli risposero che al posteggio, all’innesto della Main Road, non sempre c’erano, perché distante dal centro e in genere i frequentatori del Camp avevano mezzi propri o usavano i mezzi pubblici, quelli del TTC. Giorgio domandò anche dove mangiare qualcosa di tipicamente locale, e un ‘bel posticino’. ‘C’è un ottimo BB, Bistrò and Brasserie, ma un po’ expensive, in Gerrad Str, quasi all’intersezione con Victoria Str. Forse era meglio prendere il bus, era lontano. Giorgio ringraziò, prese sottobraccio Elvira, e si avviò al posteggio taxi. Ce ne era uno. Disse di voler essere accompagnato in Gerrad Str, al numero 33. “Ottimo locale, Signore.” L’autista si voltò a guardare come erano vestiti. Semplice tenuta sportiva, ma di buon gusto. Era vero, il locale, era molto elegante, ma a quell’ora potevano entrare anche così, in tenuta casuals. Elvira, sussurrò all’orecchio di Giorgio che lei a soldi… “Sei ospite mia, questa sera.” Poca gente, un tavolo in angolo, con bella vista dell’ampia sala. Giorgio chiese il Menu, e quando il maitre lo portò, gli dette la carta di credito. Il viso del Maitre si distese, divenne sorridente. Elvira gli disse che si affidava a lui, e lui fece le cose alla grande. Ostriche, aragosta bollita, con salsa al burro, come diceva la lista, patate fritte, yukon gold. Caratteristica cucina franco-americana! Vinello leggero. Elvira, che aveva letto i prezzi, strabuzzò gli occhi, si chinò verso lui. “Tu sei un ‘millionaire’, o andremo in calabush?” “Niente di tutto questo, un turista che vuole assaggiare…” “Ma il tipo di raduno è per persone di modeste possibilità economica, ed ha anche un prevalente sfondo religioso: incontro di giovani, per pregare per la pace nel mondo.” “E noi pregheremo… dopo, però… adesso assaporiamo quanto sta per esserci servito.” Elvira socchiudeva gli occhi, golosamente, gustando le ottime ostriche, e non riuscì a trattenere un gridolino di entusiasmo quando apparve l’aragosta in bellavista. Era felice, lo sprizzava da ogni poro della pelle, e allorchè uscirono, dopo che Giorgio ebbe firmato un conto che lei ritenne stratosferico, gli si aggrappo’ al braccio e gli schioccò un sono bacio sulla guancia. Taxi, di nuovo, passeggiata sul lungo Ontario, sosta per un drink ed era quasi buio quando tornarono al Camp, dove c’era molto movimento, specie nelle canteen, con giovani che, in gruppi, bevevano soft drinks, e suonavano vari strumenti. Si unirono a un gruppo che suonava della bella musica melodica. Erano finlandesi. Chitarre, violini, fisarmonica. C’era del profondo sentimento, in quelle note. Quando fu l’ora di sciogliere quei piccoli gruppi, Elvira guardò Giorgio. “Non abbiamo chiesto dove devo andare a dormire…” “Lo faremo domani. Puoi arrangiarti da me. Vedrai, ho un sacco a pelo che è la fine del mondo!” Quando Elvira tornò dalla toilette, Giorgio era già in tenuta per la notte: una leggera tuta-pigiama. Disse alla ragazza che lui si sarebbe allontanato un momento, intanto, lei poteva organizzarsi per dormire. Il sacco a pelo, larghissimo, era preparato. Elvira sentiva la necessità di liberare il suo corpo dai vestiti che indossava. Chiuse la tenda, si denudò, infilò pantaloncini corti e una corta casacchina. Finalmente respirava. Aprì la zip della tenda. Nel centro penzolava la lampadina fornita dall’organizzazione, collegata alla rete elettrica del Camp. La spense. S’infilò nel sacco, morbido, accogliente, e si mise supina, tutta da una parte. Giorgio rientrò. “Già dormi?” “No.” “Ti da fastidio la luce?” “Se non ti dispiace preferisco tenerla spenta.” “OK” Tolse i sandali e anche lui s’infilò nel sacco, lentamente, curando di non sfiorare la ragazza. “Hai sonno, Elvira?” “Un po’. Ma ripensavo alle cose che mi sono capitate oggi, tutte insieme, e a quella magnifica aragosta… alle ostriche… grazie…” Avvicinò il viso al volto di lui, lo baciò lievemente sulla guancia, tornò a rincantucciarsi dalla parte opposta a lui, si voltò sul fianco, dandogli il dorso. Dopo poco il respiro divenne pesante. Dormiva. Giorgio era abbastanza agitato, anche se non voleva ammetterlo, e quella vicinanza, il tepore del corpo di lei, che avvertiva, il respiro, a pochi centimetri da lui gli davano un certo senso di disagio. Non era l’adolescente che s’eccitava al solo pensiero della femmina, però…. Era proprio vero il detto goliardico: ‘Il più gentile é sempre LUI! Quando vede una donna si alza. Quando entra si scappella. Quando esce si inchina’. E il ‘suo’, doveva riconoscerlo, era nella prima… fase della gentilezza. Allungò timidamente la mano. Quello era il ‘culetto’ di Elvira! Tiepido, sodo, dolce da carezzare. La leggera stoffa, però, impediva di sentire la pelle che, pensava Giorgio, doveva essere vellutata, come una pesca. Già, la pesca… il solco della pesca… L’eccitazione cresceva. I corti pantaloni, dalla gamba larga, sembravano fatti appositamente per intrufolarvisi. Con garbo, però, con cautela, prudenza… La mano, discreta ma decisa, non seppe resistere alla tentazione. Bingo! Proprio velluto, di quello splendido, serico. E il contenuto di quella pelle meravigliosa era ben sodo. Oddio, una palpatina non l’avrebbe certo svegliata. Che bello. Ecco il solco. Più caldo del resto, e appena umido, e più le dita procedevano nell’esplorazione, più il tepore cresceva. Quello che palpitò al leggero contatto era il buchetto. Oltre. Peli di seta… aumento dell’umidità… Un leggero movimento di lei, un lungo respiro… Una gamba, adesso, era distesa… appena discostata dall’altra… la mano si sfilò da quella non facile posizione, uscì dai pantaloncini, e questa volta vi si introdusse da sopra, dalla cintola, dopo aver tolto i bottoni dalle due asole che li tenevano. Triangolo, morbido della lanugine che ricopriva il pube, ed ecco di nuovo le grandi labbra. Il fallo di Giorgio soffriva la prigionia di quella tuta. Giorgio si spostò, verso Elvira, sempre su un fianco. Doveva tentare qualcosa che, sia pure parzialmente, andasse incontro alla sua crescente eccitazione. Mosse rapide, non sempre caute, e via i suoi pantaloni. La sua possente lancia di carne era bene in posizione. Bastava farle sentire, appena un poco, il sapore della pelle di Elvira. Riuscì ad abbassarle i pantaloncini. Quel culetto fantastico era la, con le sode natiche appena prominenti. Elvira tornò a raggomitolarsi, come prima, e il sedere fu una tentazione irresistibile. Ormai i pantaloncini di lei erano lungo le gambe, al di sotto dei ginocchi. Ma dormiva? Giorgio si immobilizzò. Respiro profondo e regolare. Ancora un piccolo avvicinamento. Una cosa, però, era infilare qua e là le dita di una mano, ed altra era la mole del fallo eccitato. Comunque, se fosse riuscito a infilarlo, appena appena, tra quelle chiappette prensili, si sarebbe calmato! Sapeva che mentiva a sé stesso, Giorgio, ma intanto… In qualche modo la sua manovra stava riuscendo. Il glande sentiva nettamente il ‘buchetto’ e le contrazioni ritmiche che lo animavano. Elvira si mosse… si sporse verso lui… le natiche si stringevano…. Si allargavano… Quello era un vero e proprio supplizio…. Le dita di Giorgio presero il fallo e lo portarono più giù, nel caldo rorido delle grandi labbra… le gambe di Elvira si mossero… quello era l’ingresso palpitante della vagina… una leggera spinta e, come nel canto goliardico, si scappellò ed entrò… per un bel pezzo… e fu accolto con tutti gli onori…. Mani di lui sotto la casacca, tette bene strizzate, capezzoli tormentati, poi giù… stuzzicare il clitoride, e lei che si dimenava sempre più, col respiro affannato, con un lungo gemito e parole incomprensibili che le sortivano dalle labbra…. Una agitazione crescente, sempre di più… un grido soffocato, la spinta di lei indietro, quella di lui in avanti, le contrazioni della vagina, il relax, l’inondazione che l’invase…. Erano sudati, ansanti… Lei girò appena il capo verso lui… “Ora, Giorgio, ognuno ha il suo ‘sacco a pelo’!”
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