Non aveva mai compreso per quale motivo Sarai, la moglie di Abramo, successivamente era divenuta Sara. Comunque, della Bibbia non aveva capito numerose cose. E’ vero che narrava eventi che si asseriva essere accaduti alcuni millenni innanzi, ma lei pensava che certi comportamenti, oggi considerati del tutto immorali, sarebbe stato bene che non si fossero mai verificati, neanche in tempi remoti. Inoltre, era assalita da tanti altri dubbi, specie per certi interventi, sostenuti prodigiosi, che sollevavano sospetti, considerate tante altre sconcezze. Come definire l’uomo che, presa per moglie la propria sorellastra, la fa passare per sua sorella e non per consorte per tema che il Faraone lo faccia uccidere, allo scopo di fregargliela? Se, invece, riesce a farla ritenere sua sorella, il Faraone se la sarebbe scopata lo stesso, ma lui, il marito cornuto creduto fratello, ne avrebbe tratto vistosi benefici materiali, ed enormi ricchezze. E così fu. Ma questa disonestà non é isolata. Solo un intervento fuori dell’ordinario impedisce ad Abimelech di farsi quel pezzo di donna, che era moglie di Abramo, ancora una volta contrabbandata per sorella. Dimostrazione che, da che mondo é mondo, le corna possono essere fonte di ricchezza. Senza parlare dell’altruismo delle figlie di Lot che, preoccupate del decremento demografico del paese, ubriacarono il padre e si fecero ingravidare da lui, a rotazione, assicurando il ripopolamento della zona. C’é anche da ricordare la preoccupazione di Abramo che, senza figli, rischia di far ereditare ai servi ogni sua ricchezza. Allora, d’accordo con Sara, questa volta nel ruolo di moglie, mette incinta la schiava Agar, salvo, poi, a scacciarla, quando un ancor più nebuloso intervento fa scoprire gravida Sara, anche se da tempo le é cessato ciò che avviene regolarmente alle donne. Prodigiosa mediazione, potenza di certo seme. Obbedienza assoluta, al Signore che può dare e togliere. Quindi, se lo comanda, sacrifichiamogli il figlio, pur di tenercelo buono. Chissà perché i suoi le avevano messo nome Sara. Si stava preparando per andare alla cena in onore di Ahmed Ben Hashim, il nuovo presidente della società internazionale, l’arabo che l’aveva rilevata grazie all’enorme disponibilità di liquido e alla immensa rete di conoscenze internazionali. Aveva convocato a Montecarlo, dov’era ancorata la sua barca, alcuni dirigenti delle varie sedi europee, loro e le loro donne. Voleva conoscerli, ed esporre le politiche aziendali che si proponeva realizzare. Ahmed Ben Hashim era al primo piano, ad accogliere gli ospiti. Quando apparve Sara, ai piedi dello scalone, sembrò folgorato, strinse distrattamente le mani di chi gli stavano presentando, ma non lasciò un istante, con gli occhi, la donna che saliva maestosamente verso di lui. Il segretario, dietro di lui, al quale venivano consegnati i biglietti d’invito ritirati da un maggiordomo, presentò: Mister and Mistress Dario Bruni. Chinando lievemente il capo, Dario strinse la mano che gli veniva tesa e puntualizzò: Sara, my sister in low, mia cognata. Ahmed la guardò incantato, sorridendole, e si voltò a seguirla con lo sguardo mentre la coppia entrava nel salone. “Perché sarei tua cognata, Dario?” “Sai, lui é un integralista islamico, a quanto si dice, e Sara é un nome ebraico.” “Che stronzata. Se tua cognata é Ebrea lo è anche tua moglie. Potevi trovare una scusa migliore. Sei sempre il solito contorto da quattro soldi. Vorrei proprio sapere cosa ronza nel vuoto della tua testa.” Dario scrollò le spalle, senza rispondere, ma pensò che doveva tornare sull’argomento, parlando col boss, e chiarire come la donna era sua cognata. Seguitò a camminare, sorridendo, al braccio di Sara, salutando con la testa qualche intervenuto che conosceva. Il ricevimento, in perfetto stile musulmano, e quindi rigorosamente senza alcolici, era degno d’un sultano. Si sentiva, però, una certa tensione nell’aria, il timore di qualcosa di indefinibile, di misterioso. Probabilmente era solo il fatto che la proprietà era passata da mani protestanti a mani islamiche. Gli si avvicinò il segretario del padrone. “Mister Bruni, Ahmed Ben Hashim desidera parlarle. E’ di là, nel salotto. Venga. Anche lei, signora.” Ahmed s’alzò per baciare la mano a Sara, e indicò le sedie. Parlava un ottimo Italiano. Sorrise cordialmente, e spiegò che aveva frequentato l’Accademia Navale di Livorno, alla quale sono ammessi alcuni ufficiali del suo paese, specie se appartenenti alla famiglia reale, precisò. “Dunque, Mister Bruni, lei é reggente della sede Italia, ma é mio desiderio che i capi siano nel pieno possesso di tutti i loro poteri. Solo in tal modo possono accertarsi le reali capacità di ognuno e le responsabilità. Se lei é il reggente, malgrado la sua giovane età, devo arguirne che é il più idoneo per tale incarico, e non c’é che un modo per verificarlo: nominarlo titolare della posizione e stare a vedere. Tra sei mesi, o una conferma con sostanzioso ritocco remunerativo, o lei dovrà trovarsi un altro lavoro. Cosa mi risponde?” “Che aspiro all’aumento della retribuzione.” “Bene, lei, da subito, è il mio luogotenente per l’Italia, il Khalifah, come diciamo noi. Prepari un piano operativo per il prossimo semestre, e me lo porti… diciamo tra quindici giorni?” “Dove?” “Qui. Ora parliamo un po’ di noi. Perché non é venuta sua moglie?” “E’ convalescente per una delicata operazione.” “Mi auguro che vada tutto bene. E questa gentile signora, sua cognata, é la sorella di sua moglie?” “No, Mister Ben Hashim, é la vedova di mio fratello.” “Molto giovane e molto bella. Quindi anche da voi se viene a mancargli lo sposo la vedova é accolta nella casa del fratello maggiore del marito. E’ così?” “Più o meno.” “Well, vi ringrazio d’essere venuti. Vorrei, però, parlare ancora con lei. Vi aspetto domani, per il lunch, sul mio panfilo. Grazie e buona sera. Salàm.” Si alzò, baciò di nuovo la mano a Sara, che era rimasta tutto il tempo in silenzio. La coppia tornò nel salone delle feste. Sara, avvolta in una leggera vestaglia, era seduta alla toilette per un accurato demaquillage, Dario in maniche di camicia era sprofondato nella poltrona, col volto assorto, e le mani congiunte. “Se stai pregando, caro il mio beccaccione, fai bene, e chiedi perdono per essere così ignobile. Sei anche pusillanime e meschino. Sei pronto a gettare la tua donna nel letto del tuo padrone, pur di ottenerne dei vantaggi, ma non hai il coraggio di dire che é tua moglie.” “Non esagerare, sei sempre estremista. E’ vero, ti guardava con ammirazione. Del resto sei bella, giovane, elegante. Potrà anche farti la corte, non lo escludo, ma da qui al fatto che io ti butto nel suo letto ci corre.” “Si, perché tu credi che un uomo del genere si accontenti di sorrisi e smorfie, si tenga a bada con un flirt platonico. Quel come si chiama lui, se non ti sbatte a suo comodo e piacimento si sente sminuito nella sua virilità. Come fai a non capirlo? Non hai visto come mi guardava? Mi spogliava cogli occhi, mi penetrava, mi frugava. Mi sentivo in preda alla sua libidine.” Dario la guardò con aria divertita. “Mi stai eccitando. Andiamo a letto.” “Fatti una bella doccia ghiacciata, che questa sera non é aria. Sono incazzata nera.” “Dai, ti calmo io.” S’era spogliato completamente, e avvicinato alla donna, alle spalle. Le cercò il piccolo e sodo seno, tra i veli della vestaglia, le titillò i capezzoli sentendone l’improvviso turgore. Sara si lasciò condurre sul letto. Giacque col sedere sul bordo, i piedi poggiati sul tappeto. Sentì Dario che la penetrava, e la conduceva al piacere, con consumata perizia, con sperimentata abilità. Raggiunse il magico godimento che la illanguidì dolcemente. Provò il desiderio di ribellarsi per aver ceduto ai sensi. Prese tra le mani il volto del marito e lo guardò con occhi sfavillanti, e nari frementi. “Chissà se Ahmed scopa meglio.” Lui non fu da meno. Si alzò, lasciandola ancora ansante, con le gambe divaricate, il grembo palpitante. Allungò la mano, le afferrò alcuni peli del pube e li strappò, deciso. “Te lo auguro.” Burak, il candido e imponente yacht di Ahmed Ben Hashim, sovrastava di gran lunga gli altri, per mole, forma, eleganza, splendore di metalli e cristalli. Dario e Sara, attesi al limitare della passerella da un cameriere in giacca bianca, furono condotti nella sala dei quadri dove li attendeva Ahmed, elegantissimo, in compagnia di un uomo, certamente arabo anche lui, vestito con sobria ricercatezza, di età indefinibile, volto olivastro, occhi scuri, leggermente circondati d’un naturale ombretto tendente al violaceo, barba curata, brizzolata, come i capelli. “Mio cugino Abu Bakr, mio prezioso consigliere e Vice Presidente del Gruppo. Uomo di cultura e intelligenza eccezionali, che ha perfezionato la sua sagace preparazione nelle migliori Università Inglesi e degli Stati Uniti. Gli ho già parlato di voi, della mia decisione riguardo Dario. Lui, forse, ha da chiedere ancora qualcosa, lo farà dopo.” Dario chinò lievemente il capo, Sara gli dedicò uno dei suoi più seducenti sorrisi. Ben si chinò a baciare la mano della donna e strinse vigorosamente quella di Dario. Ahmed era cortese e cordiale. “Fra qualche minuto andremo a tavola. Non sapendo se la cucina araba fosse di vostro gradimento, ho preferito far preparare del pesce alla francese.” Sara gli disse di essere molto curiosa di gustare cibi arabi originali, non modificati ad uso dei turisti. Ahmed le assicurò che, presto, avrebbe organizzato un party ispirato all’antica tradizione dei suoi avi, e Sara sarebbe stata l’ospite d’onore, facendo uno strappo ai loro usi che non sempre ammettevano le donne a simili riunioni. “Io, pur geloso degli usi e costumi della mia gente, e osservante della legge dell’Islam, sono convinto che, rispettando la sostanza, dobbiamo adeguare la forma alla realtà che ci circonda. Il grande Papa Giovanni XXIII, ha giustamente affermato che, appunto, bisogna cogliere il segno dei tempi. Oggi le nostre donne hanno un ruolo impensabile nel passato, studiano, esercitano professioni che erano riservate agli uomini, indossano eleganti abiti di foggia occidentale. Mia moglie, Aisha, é una giovanissima donna, moderna e sportiva.” Sara lo guardò interessata. “Lei é sposato, Mister Ben Hashim?” “Ma non ancora abbiamo figli.” “E’ vero che la vostra religione consente la poligamia?” “Dobbiamo distinguere quanto é consentito da quanto é praticato. Se le condizioni economiche lo permettono, si possono avere quattro spose regolari e sono ammesse anche delle concubine, ma attualmente é molto diffusa la monogamia. Ci comportiamo come voi. Abbiamo una moglie e… il resto, eventualmente, lo facciamo più o meno di nascosto.” Sorrise appena. Il suono del gong avvertì che il lunch era servito. “Mangeremo, ovviamente, intorno a un tavolo apparecchiato secondo l’uso europeo. Mancherà, e chiedo scusa, il vino. Vi precedo per mostrarvi la strada.” Dopo l’ottimo cibo, servito impeccabilmente e silenziosamente, da perfetti camerieri, e terminato con deliziosi dolci arabi, delicatamente aromatici e profumati, erano passati in un salotto con soffici cuscini, splendidi tappeti, e straordinari paesaggi riprodotti sulle pareti. “Questo é il caffè che si beve nel deserto.” –disse Ahmed- “Verde scuro, come il fiele, si manda giù di colpo. Ti afferra lo stomaco, per un istante, ma poi senti il vigore che ti pervade le membra, che ti dona il desiderio di proseguire la tua strada.” Sara osservò come Ahmed Ben Hashim agitava abilmente la tazzina senza manico. Lo imitò, inghiottì il contenuto, e restò per un attimo senza fiato, poi sentì un flusso magnetico partire dal centro del corpo e diffondersi dovunque, a ridonare nuova forza. Ahmed si volse agli uomini. “Credo che Ben voglia parlare di qualcosa con Dario. Potete andare nello studio dove sono le carte da consultare. Se Sara me lo consente, le farò visitare la barca.” Ben e Dario s’alzarono, uscirono. Ahmed prese la scatola di legno che era sul basso tavolo, vicino a lui, e l’aprì, la porse a Sara. “Sono delle sigarette confezionate con un tabacco biondo e tagliato sottile, lo chiamano la barba del sultano. Ne gradisce?” “Grazie, ma non fumo. Lei, però, fumi pure, a me piace l’odore del tabacco.” Ahmed richiuse la scatola e la rimise dov’era. “Mi scusi, Sara, desidero rivolgerle alcune domande, ma deve promettermi che la conversazione rimarrà assolutamente riservata, qualsiasi cosa accada.” La sua voce era calma, parlava lentamente, a bassa voce, ma con tono che non consentiva replica. Sara lo guardò, tra il sorpreso e il preoccupato, soprattutto curiosa. “Promesso. Ma é una cosa molto seria?” “Non lo so, forse lei potrà aiutarmi a comprenderlo.” “Come crede che potrei riuscirvi?” “Molto facilmente, basta essere sincera.” Sara ebbe la sensazione d’una minaccia incombente, forse d’un ricatto. Cercò di minimizzare. “Posso avvalermi della facoltà di non rispondere?” “Non posso obbligarla a rispondermi, ma il suo silenzio sarebbe più eloquente di qualsiasi risposta.” “D’accordo. Chieda.” “Perché suo marito l’ha presentata come cognata? Perché é stato così ingenuo da ritenere che io non abbia consultato le cartelle personali di tutti gli invitati al convegno? A parte il fatto che voi siete regolarmente sposati, secondo le vostre leggi civili e religiose, a me non interesserebbe nulla il contrario, sempre che non abbia a ripercuotersi negativamente sul buon nome della mia società. Dario é un giovane dirigente, molto preparato, e con lusinghiere possibilità di carriera. Ma posso fidarmi di chi mi mente così stupidamente? Perché l’ha fatto?” Sara l’aveva guardato, stringendo le labbra. “Se glielo dico, distruggo Dario.” “Non tema, questa chiacchierata é e rimarrà riservata e senza alcuna conseguenza. Secondo lei, perché ha mentito?” “Lei comprende che potrei giuocarmi il mio matrimonio?” “Non per quello che mi dirà.” “Dario, così efficiente nella sua professionalità, per il resto preferisce chiudere gli occhi per non vedere e affrontare il rischio. Lui ritiene che io possa essere oggetto di attenzioni da parte di altri uomini, ed é convinto che gli arabi siano particolarmente attivi in proposito e che un capo arabo sia portato a considerare le mogli dei suoi collaboratori come possibili ospiti del suo harem. Questo come marito non può tollerarlo. Come cognato lo offende meno. Non ci si ribella se il proprio boss si porta a letto la cognata. Il tutto é meschino, anche volgare, ma é la verità.” “Lo avevo intuito. Quello che non comprendo, però, é come non abbia pensato che, così agendo, soprattutto offende lei.” “Quando glielo ho detto, é restato senza parole.” “Sono realmente perplesso. L’ultima cosa che voglio é minare il vostro rapporto. Ma sarei tentato di farle una corte sfacciata, per esasperarlo, provocarne le reazioni e vedere quali.” “Comunque sarei io a pagarne le conseguenze.” “Ha ragione. Non farò nulla di tutto questo, né manderò Urìa a Rabbà.” Sara lo guardò maliziosa. “Questo, però, avvenne… dopo.” Ahmed sorrise. Ben e Dario rientrarono. Dario si rivolse alla moglie. “Ti piace lo yacht?” “Non l’ho ancora visitato, siamo rimasti qui a parlare del più e del meno.” Ahmed, intervenne. “Le dicevo del particolare concetto che la mia gente ha dei rapporti familiari, della fedeltà soprattutto. E’ vero che da noi esiste il ripudio, anche se esercitare tale diritto é molto meno semplice di quanto si creda, ma oggi si preferisce una separazione consensuale, salvo nel caso di adulterio.” Dario lo seguiva attentamente. “In questo caso che si fa?” “Se il tutto é accaduto senza scandalo si sta sempre tra ripudio e divorzio.” “E se c’é scandalo?” “Un vero arabo dovrebbe lavare nel sangue l’offesa ricevuta. Lei che farebbe, Dario?” “Io mi sentirei vero arabo in ogni caso, poco mi interesserebbe se l’accaduto fosse o meno di pubblico dominio.” “Questa giustizia tribale a quali donne della famiglia lei applicherebbe?” “A tutte quelle che portano il nome del mio casato. Adulterio o non adulterio.” “Credo, Dario, che la sua religione consenta di scagliare la prima pietra solo se si é senza peccato.” “Vuol dire che trasgredirei la legge del perdono.” “Sua moglie rabbrividirebbe a sentirla parlare così.” “Non ne avrebbe motivo, l’assoluta fiducia che ho in lei mi dice che non mi troverò mai di fronte a una situazione del genere.” “Potrebbero indurla in tentazione.” “Certo, ma non é detto che darebbe ascolto alla lusinga, alla suggestione d’una passione momentanea, senza domani, che si rivelerebbe squallida e meschina.” “Vedo che Sara la osserva con meraviglia.” “Mi sembra di leggere nei suoi occhi soprattutto apprezzamento.” “Anche sua moglie si chiama Sara, vero?” “Verissimo. E non ci sarebbe cognata se io fossi meno povero di spirito, se riuscissi a scacciare dalla mente alcuni luoghi comuni, alcuni pregiudizi.” “Ad esempio?” “Se un Siciliano si dimostra geloso, tutti i Siciliani sono gelosi.” “Lei é molto diplomatico e gentile. Mi risulta, però, che ci sono molte riserve, in giro, sull’affarismo degli arabi che oggi, grazie al petrolio, dispongono di ingenti mezzi finanziari.” “Non lo escludo, ma questo significa non conoscere il mondo degli affari, estendere alla generalità qualche caso particolare, come ho detto prima, e non ricordare le varie mafie, da quella italo-americana a quella russa e a quella cinese. Non escludo che vi siano arabi, o italiani, o americani, affaristi, ma nulla hanno a vedere con i business men delle solide strutture internazionali. Se così non credessi, oggi non sarei qui.” “E il Califfato?” “Non lo cambierei, certo, con la serenità del mio spirito.” “Non mi piacerebbe averla avversario, Dario.” “Questo dipende solamente da lei, Sir.” “Mi auguro che presto mi chiami Ahmed.” “Anch’io mi auguro di poterlo fare.” “Spero che non vi siate annoiati. Io partirò questa sera, e verrò a Roma per leggere il suo programma, come ha concordato con Abu Bakr.” “Sarò lieto di accoglierla nella sede italiana della sua compagnia, Sir.” “Sara, é stato un vero piacere, incontrarla. Dario, arrivederla.” L’auto di Hashim li attendeva all’imbarcadero. Sara era raggiante, appena in auto si mise sottobraccio al marito che, immobile, guardava fisso innanzi a sé, nel vuoto. Rimasero in silenzio fino all’albergo, ritirarono la chiave, salirono in camera. “Sei stato meraviglioso, Dario. Non hai ceduto d’un millimetro. Hai giuocato duro, vorrei dire a carte scoperte.” Dario s’era seduto in poltrona, Sara andava svestendosi, guardandosi ogni tanto nello specchio. “Carte quasi scoperte, come lui. Abbiamo fatto a chi era più stronzo. Ma ha ragione, ho cominciato io. Pavido più di un coniglio, ho pensato che questo sultano del cavolo avrebbe subito posato gli occhi sulla mia donna, forse anche per il gusto di umiliarmi. Ho escogitato un basso espediente, per non so io stesso quel fine. Se non é mia moglie non ci proverai, e se lo farai non potrai umiliarmi. Che verme sono stato. Avrei dovuto dirti subito, che se ti sentivi assediata, molestata, sarebbe stato meglio fargli capire che non c’era niente da fare… se così era per te, e decisamente, senza temere conseguenze. Salvo che a te non piacesse starci.” “Dario… non farlo anche con me.” “E’ una merda. Sulla sua scrivania, nel lussuoso studio della sua reggia galleggiante, aveva copia della mia cartella personale con tutti i dati anagrafici che riguardano te e me. C’erano anche delle foto, certamente scattate dal suo intelligence service, con tanto di didascalia. Dario Bruni e sua moglie Sara. Io ho barato, d’accordo, ma lui non é venuto a vedere. E’ stato al giuoco.” “Siete proprio una bella coppia.” “Eravamo. Adesso faccia pure il boss sorridente, perfino mellifluo, e sostanzialmente carogna. Ma se si azzarda a guardarti in modo appena irrispettoso…” Sara, in reggiseno e reggicalze, si fermò di fronte a lui, guardandolo teneramente. “Sai bene che é la femmina a suggerire il modo di essere guardata.” “Questo non vale per gli stalloni arabi.” “Vale anche per loro. E’ la giumenta ad alzare la coda. E’ la civetta che invita al flirt. Io l’ho fatto solo con te, e tu lo sai bene.” I riccioli scuri del pube erano vicini al volto di Dario. Lui le poggiò le mani sui fianchi. “Mi sembra che tu lo stia facendo di nuovo.” L’attirò a sé, e affondò il viso, golosamente, nel morbido, seducente e invitante grembo della donna, tempestandolo di piccoli vogliosi baci.. Sara gli si accostò ancor più, carezzandogli i capelli. “Si, di nuovo, adesso e sempre, perché mi piace da morire.” Tra un bacio e l’altro le sussurrava che era bellissima, stuzzicante. “Sara, mi sto giuocando il Califfato.” “Vada a fare… lui e il suo Califfato. Noi abbiamo temi ben più interessanti da trattare, e sento che i tuoi argomenti sono solidi e convincenti. La premessa promette molto bene, credo che sia il momento di passare all’introduzione, e poi ai capitoli successivi, per giungere dolcemente alla sublimità d’un epilogo noto e sempre meravigliosamente nuovo.” Sbottonò lentamente il reggiseno, lasciò cadere il reggicalze. Dario la sollevò abbracciandole le gambe, la portò sul letto, la depose con delicatezza, si liberò rapidamente degli indumenti, seguitò a baciarla. Era silenzio, tutt’intorno, e Dario steso su un fianco, la carezzava lentamente, dagli occhi, alle labbra, al seno, al ventre, alle gambe. Lunghe, interminabili carezze, che la facevano fremere. “Dario, ci amiamo veramente, ci vogliamo bene, o la nostra é solo attrazione sessuale?” “Io credo che ci amiamo. Viviamo bene insieme anche quando non stiamo a letto.” “Forse in attesa di andarci.” “Può anche essere, ma non c’é nulla di male.” “Perché discutiamo così spesso, anche scambiandoci improperi?” “Perché siamo gelosi delle nostre personalità. Amare, del resto, non significa annullarsi. Ogni tanto emergono, specie in te, le pretese di far vivere l’altro secondo i nostri particolari e non sempre giusti punti di vista, e allora tra carica positiva e carica negativa scoppia la scintilla, la folgore, e seguono i tuoni.” “Certo che tu hai un caratterino…” “E tu un caratteraccio.” “Stiamo ricominciando.” “Seguitiamo, per non perdere l’abitudine.” “Sei sempre così inflessibile.” “A te non manca il modo di ammorbidirmi.” “Pensi continuamente alla stessa cosa.” “E tu?” “Incessantemente.” “Allora?” “E’ vero, ci attiriamo perché siamo di segni opposti, e per lo stesso motivo facciamo scintille. Vorrei che tu rimanessi sempre in me, portarti in me dovunque io vada, dovunque sia.” “A me piacerebbe tanto.” “Credo che questa notte sia accaduto qualcosa di meraviglioso, sento che per lungo tempo conserverò in me il tuo ricordo.” “Cosa vuoi dire?” “Che dopo lo battezzeremo. Penso Carlo. Perché é qui, a Montecarlo che lo abbiamo concepito.” “Come fai a dirlo?” “Perché non ti ho sentito solo come sposo e amante, ma anche come colui che dona la vita, che sparge il suo seme perché nascano nuove piante. Ed io mi sono sentita la terra fertile che accoglie il seme, lo custodisce, lo sviluppa, lo fa germogliare e al momento giusto lo porta alla luce del sole che lo scalderà e lo farà crescere.” Dario le carezzò il grembo. “Ciao Carlo, ti verrò a trovare spesso, non dubitare. Anzi, subito.” E tornò a rifugiarsi in lei. “Pronto, Sara?” “Si, tesoro.” “Domani arriverà a Roma il boss.” “Rimarrà molti giorni?” “Non lo so. Però c’é una novità. Verrà con la moglie e Ben Abu Bakr mi ha detto che farei bene ad invitarli a casa, da noi.” “Ma io non conosco la cucina araba.” “E non devi conoscerla. A Roma gli offriremo una cena italiana, evitando, logicamente, cibi non ammessi dalla religione islamica.” “Mi auguro di sapermela cavare.” “Ci riuscirai certamente. Primo, perché sei brava, secondo perché faremo preparare tutto da un ristorante dove servono carni macellate secondo il rito musulmano. Anche loro provvederanno al servizio. Ti telefoneranno per prendere accordi su quando e come apparecchiare la tavola. Saremo in sei, perché verranno anche Abu Bakr e Selim, l’assistente.” “Speriamo bene, caro.” “Andrà tutto bene, vedrai. Tu pensa solo alla casa. Come sta Carlo?” “Ma Dario, sono trascorsi solo pochi giorni da Montecarlo, io sono convinta di attenderlo, ma non ne ho la certezza.” “Lo attendi, lo attendi. L’ho sentito. Anzi, sai, stasera vi porto a cena fuori.” “Vi porto? Chi?” “Te e Carlo. Ma mi hai interrotto, volevo dirti che prima di uscire voglio fare un salutino al bimbo.” “Ho capito, non si esce.” “Ti dispiacerebbe?” “No, mi entusiasma, ma allora devo pensare alla cena.” “Niente affatto. Prima un delicato salutino a Carletto, e poi a cena.” “Va bene, in ogni caso guardo se c’é qualcosa in frigo.” “Aspettami, sarò da te prima del solito, non più tardi delle diciotto.” “Ciao.” “Ciao, e attenta a Carlo.” Aisha era una splendida giovanissima donna, di bellezza eccezionale. Un corpo armonicamente statuario, in un elegante abito di seta turchese, di taglio perfetto. Un ampio spacco laterale, insolito per una donna araba, lasciava generosamente intravedere agili gambe che salivano seducentemente all’allettante curva di un fondo schiena di sogno. Occhi nerissimi, grandi, in una sclera lievemente viola, dai riflessi metallici. Ciglia lunghe, che nascondevano e rivelavano lo splendore abbagliante dello sguardo. La pelle, leggermente dorata, d’una sericità conturbante, destava il desiderio imperioso del contatto al quale a stento si riusciva a resistere. Era la donna che, dovunque fosse, diveniva il centro dell’interesse, monopolizzando l’attenzione degli uomini, spesso suscitando gelosia nella maggior parte delle donne. Ahmed Ben Hashim la presentò. “Questa é Aisha, luce degli occhi miei.” Un affettuoso abbraccio a Sara, un cenno di saluto, col capo, a Dario, che già pregustava la sensazione di posare le labbra su quella incantevole mano. Aisha racchiudeva in sé la fierezza della sua antica nobiltà, la grazia flessuosa d’una gazzella del deserto, il fascino della sua terra, la cultura antica della sua gente, il gusto e la sensibilità per l’arte e le lettere, affinati nel corso degli studi, a Perugia. Un seducente mix di cui, pur non ostentandolo, era pienamente cosciente. Seduta accanto a Sara, le si rivolse confidenzialmente, come due vecchie amiche. “Mi é stato accennato alla confusione provocata da Dario, facendoti passare per sua cognata, a causa dei suoi vaghi pregiudizi. Ho anche saputo che al momento opportuno, però, ha sguainato la scimitarra, contro tutti e contro tutto, senza badare a possibili conseguenze. E’ meraviglioso un uomo così. Sta attenta. Non di me, te lo assicuro, ma attira le femmine come il fiore le api.” Sara sorrise allegramente. “E’ troppo preso dalla sua ape e, almeno per il momento, non presta attenzione ad altre.” “Dobbiamo coltivarli con amore i nostri fiori, e suggerli in modo che nulla resti per la concorrenza, senza, però, farli appassire. Quel tanto che basta, e che consenta loro di rifiorire ogni alba.” “Sei poetica, Aisha.” “E’ solo l’antica e sempre attuale prudenza della mia razza.” La villa era circondata da un alto muro sormontato da robusti rotoli di filo spinato. Il solido cancello di ferro, rinforzato con pesanti pannelli metallici, era sorvegliato da videocamere accortamente situate, e di notte illuminato. Su uno dei pannelli, una lucida targa di rame conteneva una iscrizione in arabo e, sotto, la trasposizione in lettere latine ‘El Mansùr’. Il cancello si aprì lentamente, all’interno, in un gabbiotto in metallo e massicci vetri, una robusta guardia salutò sorridendo e parlò al microfono. “Prego, proseguire lungo viale, fino all’edificio.” Sara avanzò lentamente. La strada curvava a sinistra, poi ancora a destra, fino a giungere in uno slargo dove s’ergeva una moderna ed elegante costruzione. Ai piedi delle poche scale che conducevano all’ingresso, attendeva, più bella che mai, Aisha e, poco discosto, un cameriere in divisa. Sara fermò, aprì lo sportello, e fu accolta dall’abbraccio di Aisha. “Lascia pure, Lebèn porterà l’auto nella rimessa.” “Solo un moneto, prendo…” “Ci pensa Lebèn al bagaglio.” “No, é una piccola cosa per te.” Andò verso lo sportello ancora aperto, e dal sedile vicino al posto di guida prese un piccolo pacco. Tornò verso Aisha. “Un pensierino per te.” “Sono curiosa. Andiamo dentro che voglio subito vedere.” Entrarono in un vasto ingresso, dal cui lato destro si dipartiva una larga scala a gradini bassi, che conduceva al piano superiore. V’erano molti specchi, comode poltrone, piccoli tavolini. “Sediamoci un momento qui. Vuoi? Desidero scartare subito questo pacchetto. Intanto ci facciamo portare da bere. Un tè alla menta?” Sara annuì, e, seguita da Aisha, sedette sugli accoglienti cuscini di un basso sofà. Aisha aveva aperto la scatola contenuta nell’involucro di carta, e ne aveva tratto uno strano oggetto che andava rimirando. Guardò Sara. “Cosa é?” “Un bracciale, in uno speciale vetro infrangibile, realizzato da un fantasioso artista di Murano. Come vedi, é incernierato in due parti, ed ogni parte si compone di due tubicini intrecciati e comunicanti tra loro. Contengono delle strane sostanze liquide, di colore diverso, che si mescolano e si dividono senza rispettare alcuna regola, a caso. Un liquido é giallo oro, e rappresenta il sole, il maschio, un altro é argento luna, la femmina. S’uniscono e si separano a loro piacimento, a loro capriccio.” “E’ bellissimo, grazie. Si comprende che é stato ideato da un maschilista. Perché il sole é maschio? E’ la femmina che ha e dà più calore, più luce, che alimenta la vita. Non avevo idea di simili gioielli. E’ splendido. Sono sicura che piacerà molto anche a El Mansùr.” “E’ il nome sul cancello, vero? Chi é?” “El Mansùr é il vittorioso. Mio marito l’ha messo al posto del suo nome. Modesto, vero?” Risero gaiamente. “Non mi hai detto come hai conosciuto Ahmed, Aisha, o é stato un matrimonio combinato? Lui é Saudita e tu del Marocco, Paesi distanti tra loro. Sono indiscreta?” “Nessun segreto. Il nostro é un matrimonio che potrebbe definirsi all’occidentale. Ci si incontra, ci si telefona, ci si vede, si constata che c’é reciproca simpatia, poi si scopre che é amore, si giunge alle nozze. Niente sesso, prima. Mafish.” “Come vi siete incontrati?” “Ero andata ad Al Jahra, a pochi chilometri da Kuwait city, a trovare Miryam, una mia compagna di studi di quand’ero a Perugia, il giorno dopo, non so se per caso , giunse da Ar Ryad suo cugino, Ahmed Ben Hashim, e tutto é cominciato quel giorno. Lui mi disse che i suoi conoscevano bene la mia famiglia, e che sarebbe stato lieto di poterli andare a trovare. Si mise in contatto con mio padre, venne a casa nostra, col suo jet personale, ci colmò di regali, parlò dei suoi studi, dei suoi interessi nel campo petrolifero. Facemmo in modo di incontrarci di nuovo, al Cairo, a Roma, mi ricoprì di attenzioni, con insistenza, senza presuntuosità. Insomma, mi fece innamorare di lui e, dopo un lungo colloquio che ebbe con mio padre, si stabilirono le nozze, nella nostra grande casa di Rabat. Finora il bilancio é abbondantemente positivo, stiamo bene insieme, sempre e dovunque. Adesso che ne diresti di una nuotata in piscina? O, nelle tue condizioni, preferisci non affaticarti? Mi hai detto che attendi un bimbo, devi riguardarti.” “Sono agli inizi della gravidanza, ed é bene che faccia un po’ di movimento, senza eccedere.” “Allora, andiamo. Puoi adoperare uno dei costumi che sono nello spogliatoio, nuovissimi, mai usati, ancora nella confezione originale.” “Certo, io non ne ho portato.” “Se ne può fare anche a meno, perché é un luogo riservatissimo e scrupolosamente sorvegliato da personale femminile specializzato.” Attraverso un sottopassaggio erano giunti alla piscina coperta, dalla quale si levavano lievi vapori. Sul muro, in alto, in lettere dorate, a mosaico, una scritta: ‘Quale del Bulicame esce ruscello’. Aisha la indicò a Sara. “L’acqua della piscina é naturalmente calda, viene direttamente dal Bulicame, la sorgente poco distante da qui. Ricordi i versi di Dante?” “Si, Inferno, ma, se non sbaglio, é il rivo ‘che parton poi tra lor le peccatrici’” Aisha si strinse maliziosamente nelle spalle. “Non é quella la diramazione che giunge a noi.” Andarono nello spogliatoio. Sara disse che preferiva indossare un costume. Anche Aisha era dello stesso parere. Ne scelsero due che, però, non coprivano molto. “Meglio usare le cuffie per i capelli, l’acqua sulfurea non é l’ideale per le chiome.” Quando furono pronte s’immersero nel liquido piacevolmente tiepido, e nuotarono con lunghe e lente bracciate. Di quando in quando si attardavano a farsi carezzare pigramente dai getti caldi dell’acqua che entrava. Passarono bellissimi minuti in quel bagno deliziosamente rilassante e nel contempo ritemprante. Sara uscì per prima, e attese Aisha. “Andiamo nel solarium, Sara. E’ un po’ il nostro vanto. E’ stato costruito con i più avanzati criteri, perché i raggi non nuocciano alla pelle e alla vista, e siano regolabili per renderli del tutto simili a quelli che si possono godere nel mio Paese. Anche l’igrostato é programmabile. Puoi scegliere il sole e l’umidità di ogni mese, di ogni ora del giorno, e di varie località della mia terra. Possiamo liberarci dei costumi, e goderci un meraviglioso bagno di sole, come se fossimo a Marrakesch, in un mattino d’avanzata primavera.” Sembrava entrare in un locale creato dalla fantascienza. Sul computer Aisha impostò il programma: MKH JUNE2 09AM 0030’ RT28C. Sara seguì con attenzione, poi la guardò interrogativamente. “Marrakesch, 2 giugno, ore 9 del mattino, durata dell’esposizione 30 minuti primi, temperatura della camera 28 gradi centigradi. Dopo tre minuti da quando darò il via inizierà a funzionare l’impianto, e si spegnerà dopo mezz’ora.” “Fantastico!” “Andiamo a sdraiarci sui lettini. A metà del tempo, e quindi nel nostro caso dopo un quarto d’ora, una voce ci suggerirà, in inglese, di cambiare la posizione del corpo. Se si é supini, di solito, ci si mette a pancia sotto, o viceversa.” Raggiunsero i lettini, lasciarono cadere sul pavimento i minuscoli costumi, si distesero sui comodi lettini. Dopo un paio di minuti furono avvolti dalla luce soffusa e dai raggi d’un virtuale sole d’Africa, in un ambiente gradevolmente riscaldato e con l’umidità che non inaridiva la pelle, né ne consentiva la perspirazione. Se qualcuno avesse potuto godere tale visione, avrebbe certamente creduto di essere, infinitamente beato, nel paradiso di Allah, tra le meravigliose vergini dagli occhi neri, le hurì. Donne splendide, languidamente abbandonate al tepore dell’invisibile sole che le lambiva, con gli occhi chiusi, il florido seno proteso in provocante promessa, il respiro lieve che ne faceva ondeggiare incantevolmente l’inebriante ombra del grembo. Quando la voce del computer sussurrò l’avviso, si voltarono mollemente, offrendo all’immaginario e fortunato ammiratore il fascino delle più concupiscibili e inimmaginabili bellezze callipigie. Allo scadere del tempo, sedettero sui lettini, guardandosi. “Sei splendida, Aisha.” “Sei favolosa, Sara. Io suggerisco di indossare un accappatoio e andare a vestirci, con tutto comodo, nelle nostre camere. Ci rivedremo in veranda, per un aperitivo alla frutta, poi un leggero lunch, un corroborante caffè, e un riposo in attesa dei nostri mariti. Sono certa che si sentiranno obbligati all’esibizione tennistica. Per loro é una specie di noblesse oblige, che spesso subiscono come un inevitabile martirio. Poi ci sarà la doccia, e così via. Fino alla cena. Solo dopo, nell’intimità della camera da letto, conquisteremo la loro attenzione.” “Potrebbe anche esserci una modifica del solito programma.” Aisha la guardò sorridendo. “Prevedi o speri?” “Entrambe le cose. E tu?” “Hai ragione, oggi é un giorno diverso dagli altri. Hanno detto che torneranno presto, ma fino a qui ci vuole almeno un’ora. Facciamo così. Li accompagniamo in camera con la scusa di aiutarli a cambiarsi per il tennis, poi vediamo come va a finire, ma ci promettiamo di raccontarci tutto, proprio tutto, dopo, quando resteremo sole. D’accordo?” “D’accordissimo, con la speranza di avere molto da raccontare.” Indossarono gli accappatoi e salirono nelle loro camere. Quel giorno le racchette non furono toccate e le palle rimasero inattive. Quelle da tennis. L’indomani, sabato, il cielo era sereno, il clima tiepido. Ahmed e Dario, in abbigliamento casual, sorseggiavano una spremuta d’arancia, seduti nell’ombra del gazebo. “Vorrei il tuo parere su un nuovo assetto della nostra struttura organizzativa, Dario. Ci sto pensando da qualche tempo, e credo che sia giunto il momento di decidere. La nostra competenza nelle problematiche del petrolio, dalla ricerca, all’estrazione, al trasporto, alla raffinazione, e così via, sta facendo sempre più ampliare l’area dei nostri interventi, per cui ritengo opportuno un certo decentramento operativo, lasciando all’alta direzione centrale il compito di definire le politiche da seguire e di curare la supervisione dell’attività di ricerca. Mi sembra logico che i responsabili dei raggruppamenti operativi costituiscano un cabinet che affianchi il board of directors.” Tolse i bicchieri delle bibite e li depose sul carrello, aprì la cartella che aveva portato con sé, ne trasse una mappa colorata in diverse tinte, la spiegò sul tavolino. “Vorrei suddividere il mercato in aree: Americhe; Australasia, ad esclusione dell’Indonesia e del Medio Oriente; ed EMEAI, cioè Europa, Middle East, Africa ed Indonesia. Che ne pensi?” “Credo di comprendere i motivi di una tale suddivisione e i criteri seguiti. Mi sembra che sia una soluzione moderna, rispondente alle esigenze tecniche e commerciali. Non ho capito se ogni raggruppamento si occuperà anche di ricerca.” “Certamente, solo quando essa si presenterà particolarmente riservata e delicata ci si dovrà rivolgere al Research Central Lab.” “Le sedi?” “Non ancora individuate definitivamente. La sede legale rimane ad Ar Ryiad, anche per le connessioni bancarie, Headquarters dov’é ora, a New York, per analoghi motivi, le altre potrebbero essere Los Angeles, o Houston, Tokio o Korea, e Roma.” “L’Arabia Saudita coordinata da Roma?” “Si, e Roma sarebbe il Centro d’Area più vicino alla sede legale.” Dario annuì pensierosamente. “Quale é il parere degli altri?” “Non credo che debba chiederlo. Io ho il sessantacinque per cento delle azioni e ne controllo almeno un altro venti per cento. E’ il tuo parere che desidero, non quello del Consiglio d’Amministrazione.” “Grazie per la fiducia e il privilegio. Confermo che é un’ottima idea, anche se richiederà molto impegno e massima cura da parte di chi sarà chiamato a dirigere le singole aree. Altro che Khalifah.” “In effetti, potranno considerarsi dei veri e propri sovrani, che dovranno osservare e applicare le leggi del Sultano. Per questo ho previsto di affidare tali compiti a dei Vice Presidenti.” “Quando sarà ufficializzato tutto questo?” “Tra una settimana.” “Quindi é tutto deciso, anche a New York?” “Ho convocato il Consiglio per lunedì sera. La mattina andremo a Londra col mio aereo e poi in USA. Saremo di ritorno mercoledì. Venerdì convocherò a Roma i Vice Presidenti, e il lunedì successiva assumeranno i nuovi incarichi.” “Quindi, gli interessati sono già stati informati.” “Tu sei il primo, gli altri lo sapranno martedì.” Dario balzò sulla sedia. “Io?” “Certo, tu. Chi credi che sceglierei a Roma, visto che é in questa città che desidero trascorrere la maggior parte del tempo?” “Io?” “Sveglia, Dario, altrimenti dovrei ritenere di aver sbagliato tutto.” “In effetti, mi sembra tutto un sogno.” “Non c’é nulla di più vero. Ma avremo tante cose di cui parlare.” “Quindi, devo ringraziare…” “Non so che lo debba fare se tu od io, é una bella soma che addosso alle tue spalle. Comunque, un segno di amicizia lo pretendo.” “Di amicizia?” “Certo, di quella profonda, sincera, vincolante, come si usa tra la mia gente.” “Quale segno?” “Da adesso in poi, se non mi darai il tu non ti parlerò. Capito?” “Sissignore!” “Come inizio stiamo proprio bene.” Aisha e Sara si avvicinarono. Aisha si fermò sulla porta del gazebo e abbassò la testa. “Disturbiamo, padrone?” Gli uomini si alzarono. Ahmed salutò col tipico gesto degli arabi. “Il sole é luce e calore, ed oggi Allah, potente e misericordioso, ce ne ha dati due. Accomodatevi.” Le donne entrarono e sedettero di fronte ai loro mariti. Ahmed si rivolse a Sara. “Aisha mi ha detto della vostra bella amicizia. Ne sono felice. Spero, allora, che la breve assenza di Dario, breve questa volta, le consentirà di restare qui, nostra gradita e preziosa ospite, in attesa che noi, mariti, si torni.” Sara lo guardava divertita. “Credo di comprendere che partirete entrambi. Per dove, di grazia?” “Si, ci assenteremo, ma per pochissimi giorni, da lunedì mattina a mercoledì sera. Ci restano solo oggi e domani per i teneri saluti di commiato. Bisogna approfittarne. Noi faremo una visitina a New York.” Aisha tese la mano a Sara. “Resterai con me, vero?” Sara annuì sorridendo. Il volto di Ahmed era impenetrabile, non si capiva mai quando si divertiva ad essere ironico e quando, invece, diceva cose molto serie. “Sara, questa volta deve curare particolarmente i riti di commiato, perché al suo ritorno Dario non sarà quello di prima. Stia tranquilla, non verrà sottoposto a sacrifici mutilanti, ma a New York sarà aggravato di un pesantissimo onere. Infatti, al ritorno, Dario sarà Vice Presidente.” Sara guardava sorpresa. “Vice Presidente di che cosa?” “Della Compagnia per la quale lavora! Che sperava, degli stati Uniti?” “Vice Presidente della Compagnia?” “Si, con giurisdizione su Europa, Africa, Medio Oriente, Indonesia. Le é consentito congratularsi con lui, ma qui si limiti a baciarlo!” Sara corse a rifugiarsi tra le braccia di Dario. Quella che Ahmed Ben Hashim chiamava la casa di città, era una vasta splendida villa, immersa nel verde dell’area dell’Appia Antica, lungo la silenziosa strada che collegava la via romana alla Torricola Vecchia, quasi a ridosso del fosso di Grotta Perfetta. Vi abitava quando soggiornava in Italia, ed era una delle case preferite da Aisha che, pur avendo scelto Roma come sua residenza abituale, amava soprattutto crogiolarsi nel tepore delle smeraldine acque del Bulicame, e sognare dolcemente carezzata dai raggi del solarium. La nuova formula organizzativa impegnava moltissimo Ahmed e Dario, spesso lontani dalla famiglia, anche se cercavano di limitare al massimo le loro assenze. Aisha e Sara erano sempre più inseparabili. Aisha aveva più volte invitato Sara a trasferirsi da loro, logicamente con Dario. La villa era grande, con ingressi indipendenti. Sarebbero stati benissimo. Tanto più che Sara era con Aisha quasi tutti i giorni e per tutto il giorno, specie quando i mariti erano fuori sede. I coniugi Bruni ne avevano parlato lungamente, e avevano concluso di declinare l’invito, con molta cortesia e decisione, per conservare alcuni angoli di vita tutta per loro, nell’appartamento a Sant’Alessio, che abitavano da quando erano sposati, e al quale erano affettivamente legati. Era il loro nido, il loro focolare, non una gran casa, parva sed apta mihi. Nell’ala orientale della villa, a pianoterra, Ahmed aveva realizzato la sua oasi, un vasto studio, arredato con eleganza, un salotto, un piccolo locale dove, quando poteva, si raccoglieva in preghiera. Vi accedeva a piedi scalzi, al bianco acquaio sino nell’angolo si lavava le mani e le braccia fino al gomito, i piedi fino al malleolo, si sciacquava la bocca, si bagnava la testa. Si poneva sulla Saggada, rivolto alla Mecca, e con le braccia levate al cielo, annunciata la grandezza di Allah, iniziava la prima sura: Nel nome di Allah, il Clemente, il Misericordioso… Ahmed , in qaftan e pantofole, era comodamente seduto sui cuscini, nel salotto ricoperto di antichi e preziosi tappeti, e sfogliava distrattamente una rivista tecnica. Accolse Dario a braccia aperte, come se non si vedessero da tanto. S’erano lasciati solo poche ore prima. “Ti attendevo, Dario. Gradisci un tè, fatto come nella mia terra?” “Si, grazie.” Batté le mani e, al cameriere silenziosamente apparso, disse qualcosa in arabo. L’uomo uscì per rientrare immediatamente con quanto richiestogli e, sempre in silenzio, si allontanò di nuovo. “Sono sereno e disteso, perché, anche se in parte, ho potuto rispettare il nostro venerdì. Avremmo bisogno di più frequente raccoglimento e maggiore meditazione. Ci farebbe bene e faremmo del bene. Ho visto Sara con Aisha, meriterebbero, entrambe, la presidenza onoraria dell’associazione arabo-italiana. Sono la testimonianza evidente che ogni eventuale barriera tra le genti é voluta e interessata. Sara é in perfetta forma. Quando nascerà il bambino?” “Tra cinque mesi.” “E’ di questo che desidero parlarti, in tutta confidenza, e non ti nascondo che devo superare un certo disagio.” Dario lo guardò incuriosito. “E’ un argomento che non avrei mai immaginato di riuscire ad affrontare, soprattutto imbevuto, come sono, del tribalismo dal quale non é facile staccarsi. Se ne parlassi con i miei, indicherebbero soluzioni che non voglio assolutamente prendere in considerazione. L’occidente mi ha inculcato concetti che ho perfettamente assimilato, divenendo parte del mio pensiero.” Dario seguitava a guardarlo, con estrema attenzione, e a non comprendere. “Dario, Aisha ed io non possiamo generare un figlio, e io non intendo separarmi da lei per nessun motivo al mondo. Capisci?” “Intuisco cosa ciò significhi per una giovane coppia, posso ben immaginare l’amarezza di non avere una discendenza, un erede, ma non mi é chiaro l’accostamento di ciò alla gestazione di Sara. Siete sicuri che non si possa fare nulla? In tale campo la scienza é riuscita a cose che hanno del prodigioso.” “Nel nostro caso, i migliori centri specializzati di tutto il mondo, hanno scosso la testa, sconsolatamente. E giungo al nocciolo di tutto. Aisha ed io vorremmo essere vicinissimi a voi, sia quando nascerà il bimbo che nel seguirlo dopo che sarà venuto al mondo. E’ vostro figlio, certo, ma vorremmo considerarlo anche un poco nostro, come zii che hanno solo quel nipotino da cullare. Questo é il motivo per cui abbiamo sempre esercitato delle affettuose pressioni, su voi, perché vi trasferiate qui. Ci consentirete di accogliere il bimbo anche come parte della nostra famiglia?” “Sono confuso.” “Vedi, se fossimo cristiani ci offriremmo come padrini di battesimo e di cresima ma, pur avendo lo stesso ed unico dio clemente e misericordioso, ciò non ci é consentito, e se, per pura ipotesi, ci convertissimo al cristianesimo tutto il programma che sogno, e che desidero realizzare, sarebbe impossibile.” “Volete essere chiamati zii?” “Vorremmo essere considerati, come dire, co-genitori.” “Mi sembra inconcepibile.” “Non ritengo che inconcepibile sia il termine esatto. Infatti, io l’ho concepita tale possibilità, ed essa é legata solo alla volontà degli uomini, e non arreca male ad alcuno, anzi. Potremmo dire che ciò non é molto consueto, e che in altre situazioni sarebbero ipotizzabili diverse soluzioni come, ad esempio, l’affiliazione. Non immagino neppure che voi, comunque, vi avreste aderito. E’ solo per distinguere l’inconsueto dall’inconcepibile.” “Ci sono infiniti problemi, di razza, di religione, di lingua. Come crescerebbe questo bambino? Nel disordine, nel caos.” “Circondato da un amore infinito. Anche lui figlio dell’unico vero Dio, clemente e misericordioso, lungi da ogni razzismo, alimentato da due antiche e profonde civiltà, da varie lingue, fondendo in sé usi e costumi di popoli saggi ed evoluti. Non respingere la mia supplica senza averla meditata, a lungo e serenamente, con Sara. Ti prego, parlatene. Non credo che al momento sia il caso di soffermarsi sui particolari, che pur costituiscono importante sostanza.” Dario e Sara stavano rientrando lentamente nel loro appartamento. Dario guidava in silenzio, pensando a quanto gli aveva detto Ahmed. “Sei taciturno, Dario. Non hai detto parola durante tutta la cena, giustificandoti con un mal di testa che ritengo del tutto pretestuoso. Lo stesso motivo hai addotto per tornare a casa prima del solito. Hai condizionato la nostra solita visita a Villa El Mansùr al sentirti sensibilmente meglio, riservandoti di telefonare entro domani. Cosa non va?” “Ho avuto un lungo e singolare colloquio con Ahmed. Ne devo parlare con te, ma ti prego di attendere di essere a casa, comodi, bevendo qualcosa di proibito agli Islamici. Ne ho bisogno.” “Non puoi anticiparmi nulla? Mi fai preoccupare.” “Non c’é da preoccuparsi, tesoro. Siamo già in Piazza Albania, quasi a casa. Ancora qualche minuto. Poi ti racconterò.” Erano arrivati al cancello. Dario azionò il comando elettronico, attese l’apertura, entrò nel parcheggio all’aperto, sistemò l’auto sotto la tettoia, scese, aprì lo sportello di Sara, le tese la mano per aiutarla a smontare. Andarono al portone, entrarono, presero l’ascensore, salirono all’attico, al loro rifugio. Le solite piccole cose dopo ogni rientro. L’accensione del programma musicale della filodiffusione, appena percettibile, un po’ di libertà nell’abbigliamento, una rinfrescata rapida. Dario andò a sedere sul divano del salotto. Dopo poco apparve Sara, in vestaglia, con un bicchiere in cui erano dei cubetti di ghiaccio. Andò al tavolo dei liquori, da una bottiglia di cristallo vi versò una generosa quantità di whisky, andò a sedere sulle ginocchia di Dario, lo baciò sulla bocca. “Ne assaggio solo un goccio.” Prima di porgergli il bicchiere, vi accostò le labbra e fece un piccolo sorso. “Stai comoda, bambina?” “Dove potrei stare meglio che in braccio a te?” Ancora un bacio, appassionato, mentre Dario cercava di mantenere in equilibrio il bicchiere. “Che mi devi dire?” Dario riferì della conversazione avuta con Ahmed, senza nulla aggiungere. Parlò con tono sommesso, calmo, quasi incolore. Sara ascoltava attentamente, osservando il muoversi delle labbra del marito. “Mi ha detto di parlarne con te, l’ho fatto.” “Veramente, caro, mi hai informata. Non ne abbiamo parlato. Tu cosa pensi? Per me il tuo boss é matto.” “Per usare il suo modo di precisare, direi, soprattutto, strano.” “Strano vuol dire anormale, che sta anche per matto.” “Non credo, tesoro, Ahmed Ben Hashim é perfettamente lucido, cosciente, e agisce, come sempre, da astuto e interessato calcolatore. Ci ha messo in angolo. Lui vincerà comunque, per KO o per abbandono. Comunque, resterà El Mansùr. Forse aveva tutto in mente dal primo giorno che ci ha incontrato. Io credevo che volesse portarti a letto, e forse lo voleva in principio, e può anche aver carezzato l’idea di avere un figlio da te. Tutto sommato può anche ritenerci suoi schiavi, e tu, donna del suo schiavo sei, a tua volta, sua schiava. Cambia il nome, questa volta é Sara e non Agar a generare.” “Mi sta girando la testa, Dario, credo che il tuo boss ti abbia contagiato, stai sragionando. Cerchiamo di abbandonare le fantasie bibliche, che mi perseguitano da quando sono nata. Io sono Sara, e il figlio che porto nel mio grembo é figlio di mio marito, dell’unico mio signore. Ahmed vuole nostro figlio, che non gli appartiene neppure per un micron. Che ne vorrebbe fare?” “Vorrebbero essere i co-genitori.” “Ma che cavolo significa? Coerede é chi eredita insieme a un altro, coeditore chi pubblica unitamente a un altro, coesistente, e tanti altri co… che stanno sempre a indicare parità di partecipazione. Ma lui che vuole, essere genitore insieme a chi? E in nome di quale presunta partecipazione?” Dario la carezzò teneramente, la baciò sugli occhi, sulle labbra. “Calmati, bambina mia, non agitarti, non devi farlo, lo sai. Prima di gettare la spugna dobbiamo fargli scoprire le carte, dobbiamo conoscere le sue mire, anche per poterlo sputtanare come merita. Lo manderemo a quel paese. Non morremo di fame. In un modo o nell’altro ce la caveremo. Dimostreremo che lui, i suoi miliardi, il suo yacht, non ci fanno né caldo né freddo. E per giunta, giuocheremo sul suo terreno, a casa sua. Tu cerca di far parlare quella santarellina smorfiosa della tua pseudoamica. “Aisha é veramente buona, adora il marito…” “E per i suoi soldi é disposta a tutto.” “Non giudicarla male. Immagina come deve sentirsi. Per tutte le donne l’impossibilità di divenire madri é una maledizione, é sapersi deserto, pietra che non fa germogliare il seme, che non produce fiori. Povera Aisha, così fiorente, così bella, non poter avere la gioia di stringere al seno una sua creatura. E’ la tenebra assoluta, per una donna, la sterilità, e nel mondo arabo é marchio d’inutilità, ragione di ripudio, d’allontanamento dalla famiglia.” “Che fa, le regaliamo il nostro bambino, quando nascerà?” “No, Dario, né questo né gli altri che avremo. Perché noi concepiremo altri figli, il seme che voluttuosamente spargerai in me, germoglierà e darà frutto, grazie alla benedizione del signore. Ma Aisha non é benedetta.” “Sai d’accordo che devo tentare di capire le finalità del gran capo?” “Per curiosità, certo. Non perché possano interessarci.” “Gli telefono che sto meglio, e domani andremo a El Mansùr.” “Si é fatto tardi, amore, cosa diresti di farmi dormire tra le tue braccia?” “Dormire? Si, ma dopo.” Ahmed guardava ansiosamente Dario. “Ne hai parlato con Sara?” “Accennato. Vorrei conoscere meglio, e in modo chiaro, limpido, senza riserve, cosa ti proponi. Vediamo, nasce il figlio di Sara e mio. Voi, tu e Aisha, cosa fareste di lui e per lui?” “Noi tutti, cioè voi e noi, faremo una grande festa, con pochissimi invitati, solo i vostri parenti. Io costituirò a favore del bambino una cospicua rendita irrevocabile, per assicurargli una vita serena, per consentirgli adeguate possibilità di istruzione, ed eliminargli preoccupazioni materiali. Senza alcuna condizione, limitazione o vincolo. Vorremmo, Aisha ed io, vederlo crescere, godere i suoi progressi, le sue affermazioni, con la speranza che ci consideri come suoi padrini, vice genitori. Entrerebbe nella nostra Compagnia, perché a lui sarebbe destinata la mia poltrona.” “Speri che si affezioni, per tale motivo, più a voi che ai suoi veri genitori?” “Non lo voglio, per nessun motivo. Chi si allontana dal proprio padre non saprà stare vicino agli altri.” “Che mi succederebbe, se non accettassimo tale proposta?” “Rimarresti il Vice Presidente della Compagnia, ma non potrei più considerarti mio fratello, come ho sempre fatto in cuor mio. Sei l’unico, lo sai, ospitato nella mia casa di Ar Ryad, l’unico non parente col quale mi scambio tanta confidenza. Io penso che se morissi, tu dovresti occuparti di Aisha, ma conoscendo la tua religione io non mi occuperei di Sara se tu venissi meno.” “Non ti nascondo che mi metti paura e nel contempo mi sento mortificato per non saper scacciare il sospetto che ci sia qualcosa che non mi dici.” “Ti comprendo benissimo, Dario. Ricorda il tempo che ho vissuto in Accademia, a Livorno. Ho imparato anche qualche espressione non proprio conveniente a un ufficiale di marina, ma che qualche volta sfuggiva tra di noi. Capisco come tu possa chiederti, nel tuo intimo, cosa mai possa volere ‘sto stronzo! Vuole considerare tuo figlio come parte della sua famiglia.” “Aisha conosce tale tua idea?” “Freme nell’attesa di poter cullare, qualche volta, il figlio di Sara.” “Mi sta capitando qualcosa che neanche un fantasioso soggettista di telenovela potrebbe immaginare.” “La realtà é sempre più imprevedibile di ogni fantasia.” “Devi lasciarci valutare la nostra capacità di vivere una stranezza come quella che proponi. Riprenderemo il discorso appena possibile.” “Insh’Allah!” Carlo Bruni festeggiava i suoi diciotto anni. Alto, biondo, occhi color del mare, fisico magnifico, invidiabile, generosamente donatogli da madre natura e intelligentemente curato dalla famiglia. Era cresciuto tra le premure di Sara e le tenerezze di Aisha, saggiamente guidato dagli uomini che ne curavano la personalità e la formazione. Gli avevano insegnato che, prima di tutto, bisogna sempre ottemperare ai doveri del proprio stato, di figlio, di studente, di amico, e rispettare una disciplina sostanziale che rende i nervi saldi e la mente sveglia. Lo sport ne aveva fortificato il fisico. Dario e Ahmed si integravano in questo continuous training da quando Carlo aveva cominciato a camminare e che durava ancora. E chissà per quanto. Aveva assimilato e fuse le culture delle persone che lo amavano, e quelle dei numerosi Paesi che aveva visitato. Diciotto anni di preparazione invidiabile, anche in un individuo maturo. L’amore materno e la mite dolcezza di Aisha, gli avevano fatto conoscere e dimostrato la tenerezza che sa donare una femmina. Come gli apparivano diverse le due donne. Fin da piccolissimo, si rifugiava tra le braccia della madre per sentirsi sicuro e protetto, correva a stringersi al seno di Aisha per percepirne il profumo, coglierne il pulsare del cuore, riposare beato, tranquillo e soddisfatto. Come erano differenti i baci, che riceveva e che dava. Sul viso della mamma, sulle labbra di Aisha. Com’era bella la mamma, quando, certa del sonno sereno del suo bambino, restava qualche attimo nel candore della sua nudità, prima di rivestirsi. Aisha lo accompagnava nel solarium, ad abbronzarsi, si distendeva sul lettino accanto al suo, lasciava cadere in terra il velato asciugamano, e restava così, splendida e conturbante, fulgida e ammaliante, all’ammirazione affascinata di Carlo. “Aisha, poso venire accanto a te?” Restava col capo sul seno, fiorente e rigoglioso, della donna, dal quale, quand’era piccolo, non comprendeva perché non sgorgasse il dolce latte, come da quello che gli porgeva la mamma. “Aisha, mi fai dormire con te?” L’abbracciava forte, sempre più forte, quasi a farle male. Ogni volta di più, provava un rimescolio fatto d’attrazione, di richiamo, di timore, di qualcosa di cui pian piano andava prendendo coscienza. Le carezze del bimbo che s’erano andate trasformando in curiosità sempre più pruriginosa, erano divenute piacere del contatto. Aisha non riusciva a negare quanto le desiderasse, quanto erano mutati i suoi sentimenti per quel giovane che avrebbe voluto come suo figlio, ma non lo era. Lo aveva visto crescere sotto i suoi occhi, é vero, ma non era uscito dal suo grembo. Non aveva più l’età per stare insieme nel solarium, tanto meno per dormire abbracciati. Lo aveva capito da tempo, lo aveva chiaramente appreso dalle carezze, dai baci, dall’evidenza di sempre meno impacciate eccitazioni. Ne fu turbata, alla sua età, una vera sconcezza concupire un giovane. Si guardò nello specchio. Il suo corpo era perfetto, sodo e attraente come quello di una incantevole giovinetta. Pensò ad Ahmed, alla passione che li aveva uniti era subentrata l’abitudine, un rituale senza entusiasmo, spesso senza piacere, compiuto distrattamente, senza alcun coinvolgimento. La vicinanza di Carlo la sconvolgeva, sentiva il grembo fremere smanioso, le labbra bruciare assetate di baci. Ormai era trascorso più d’un anno, dall’ultima volta che aveva sentito accanto a sé il calore di Carlo. Forse non ce ne sarebbero state più. Sedeva, elegantissima e sempre bella, sul divano di raso azzurro. Carlo le si avvicinò, le prese il volto tra le mani, la baciò in fronte, si mise accanto a lei. “Tu, Aisha, cosa mi regali per il mio compleanno? Spero che non mi darai un assegno, anche tu, dicendo di comprarmi quello che desidero. I miei e Ahmed hanno fatto così. Ma non c’é sorpresa. Dicono che sono restati solo per pranzare tutti insieme, e che tra poco devono partire per New York.” “Anche Sara?” “Questa volta anche lei é del gruppo. Torneranno tra quattro giorni, proprio alla vigilia della ripresa delle scuole. Si comincia l’ultimo anno.” “Carlo, non mi hai fatto conoscere la tua ragazza.” Il giovane rise divertito. “La conosci, Aisha, la vedi ogni volta che ti guardi allo specchio. Te lo ripeto da diciotto anni che voglio sposare te.” “Sto parlando seriamente, Carlo.” “Stai svicolando. Non mi dici cosa mi dai per regalo.” “E’ una sorpresa.” “Fino a quando devo attendere?” “Non molto. Spero che ti piacerà.” “Sono curioso, impaziente, ma sono certo che sarà una cosa bellissima. Tutto quello che viene da te é bellissimo.” Erano soli, nella grande villa. I domestici stavano rimettendo in ordine le stanze. Carlo sedeva sul divano di vimini e cuscini della veranda. Le luci interne erano spente, dai lampioni del giardino filtrava un chiarore vago. Aisha lo raggiunse, gli si sedette accanto. “Cosa fai al buio?” “Volevo leggere, ma ci rinuncio. Sto meglio così.” “Cos’è quel libro?” “Il Corano.” “Il giorno del tuo compleanno, a quest’ora, al buio?” “Volevo leggere La Luce, Sura 24.” “Perché proprio quella?” “Così, senza particolari motivi.” “Io, invece, ho perso il ricordo del Corano. Pensa, ho una coppa di champagne gelato.” “Bevi champagne?” “Per la prima volta. Lo assaggerò solo.” Gli porse il bicchiere. “Bevine un sorso. Ne raccoglierò poche gocce dalle tue labbra.” Carlo bevve dalla coppa. Aisha gli si avvicinò, gli lambì le labbra con la lingua. “E’ buono, ne voglio ancora.” E lo baciò avidamente. Carlo si sentì pervaso dal travolgente impulso di baciarla ancora, si riempì la bocca di champagne, prese il volto della donna tra le mani, poggiò le labbra su quelle di lei, che si dischiusero accoglienti, e vi spinse lentamente il liquido frizzante che Aisha assaporò golosamente, carezzandogli la nuca. La donna ebbe la conferma di quanto intuito da tempo, la certezza d’un presagio. Non ne fu sorpresa, ma emozionata, turbata. Lo desiderava con tutte le forze, anche a costo della stessa vita, ma la terrorizzava il dopo, perché un dopo ci sarebbe stato. Prese Carlo per mano, si alzò e, così tenendolo, s’avviò allo scalone. “Vieni, avrei voluto dirti che é il regalo per il tuo compleanno, ma sei tu a farmi il più gran dono che abbia mai sognato.” Carlo la seguiva, come stregato, incredulo. Da tempo Aisha era nei suoi sogni, provocante e sfuggente. Si chiedeva se era normale desiderare ardentemente una donna che aveva oltre vent’anni più di lui, che conosceva da sempre, dalla quale era stato cullato, vezzeggiato, trattato teneramente. Quella donna lo tormentava, nei sogni, offrendosi e poi sparendo improvvisamente. Forse anche quello era un sogno. Aisha sarebbe scomparsa da un momento all’altro. Salirono lentamente le scale, entrarono nella camera di Aisha, appena soffusa di luce, lei gli carezzò il volto, con le agili dita cominciò a sbottonargli la camicia. Lui la guardava incerto, titubante, allungò timidamente una mano verso il vestito di lei, ne slacciò una spallina, poi l’altra. L’abito cadde sul pavimento. Indossava solo quello. Lui l’aveva vista tante volte in quel modo, ma ora era diverso, la frugava con lo sguardo, la voleva. Aisha l’aveva liberato da ogni indumento. Restarono così, guardandosi incantati. Lei andò a rifugiarsi tra le braccia di quel robusto ragazzone che non vedeva l’ora di accogliere in sé. L’alba li colse stretti in sempre rinnovati intrecci voluttuosi, instancabili, ancora non sazi. “Ho fatto man bassa della tua gioventù, Carlo. E’ inqualificabile per una della mia età. Ti chiedo perdono, ma non condannarmi, non biasimarmi. E’ l’unica cosa bella che ho avuto dalla vita. Non m’interessa di cosa mi attende. Tu, però, non disprezzarmi, ti prego.” Carlo la strinse a sé, la carezzò, la baciò. “Ti ho desiderata da sempre, Aisha. E’ un dono che non osavo sperare. Mi auguravo di viverlo in sogno, ma non immaginavo di goderlo nella realtà. Una felicità che non so descrivere. Sono certo che neppure nel tuo paradiso esiste una donna come te. Sei la più bella del mondo, più giovane d’una adolescente. Non potrò esistere che in attesa di rivivere questi momenti. Vuoi?” “Voglio, bambino mio, con tutta me stessa, e mi tormenta il pensiero delle difficoltà che indubbiamente si frapporranno tra noi.” “Quali?” “Dimentichi Ahmed?” “Non voglio che tu faccia l’amore con lui.” Aisha si sollevò a baciargli gli occhi, le labbra, il petto. “Non c’é amore tra me e lui, però c’é lui, ed é mio marito. Sai cosa m’attende se viene a conoscenza di quanto é accaduto? Non voglio neppure pensarlo. Per te e facile, lo considererai un ridicolo capriccio d’una tardona, e ci sorriderai con gli amici. Pensa –dirai loro- quella matta ha quasi l’età della mia mamma. Diciotto anni sono tanti, per un giovane come te. E andrai con le ragazze tue coetanee.” “Hadigia aveva quindici anni più del suo sposo, furono felici, e generarono una discendenza.” “Lei, comunque, non doveva rendere conto a nessuno, era vedova ed era trascorsa l’Idda, i tre mesi di vedovanza. Lei tornò ad essere sposa, non adultera, come me.” Carlo l’attirò su di sé, e la volle ancora. Gli eventi si susseguirono precipitosamente, senza lasciare il tempo di riflettere, di decidere. Del resto, ogni decisione era già stata presa dalla fatalità della sorte. Così era scritto e così avvenne. Ahmed fu trovato esanime, al suo tavolo di lavoro. Era rientrato il giorno prima, da New York, col suo staff e con Sara. Il testamento era chiaro: cinquantuno per cento del suo patrimonio ad Aisha, il resto a Carlo, senza condizioni. La società continuava e Aisha ne assumeva la Presidenza, affiancata da Dario, come senior Vice President. Le vacanze di Natale furono agitate. Sara non approvava la sempre maggiore confidenza tra il figlio ed Aisha. “Dario, Aisha lo sta stregando. Carlo é ancora un bambino e quella lo mangia con gli occhi, specie da quando ha perduto il marito. E’ una sconcezza.” “Sara, quel bambino é alto un metro e ottanta, e se se la spassa con quel tocco di donna di Aisha fa del bene a lei e sta calmo pure lui. Non dimenticare, inoltre, che ha il cinquantuno per cento di tutto.” “E’ uno schifo, Dario, Aisha, alla sua età, che va a letto con Carlo.” “Beato lui.” “Non scherzare, é facile per una donna del genere far perdere la testa a un ragazzo.” “Vedrai che gli passerà, lascialo sfogare.” “Ma é lei che non lo mollerà.” “Diamo tempo al tempo.” Aisha era appena uscita, felice e ansante, dall’abbraccio travolgente di Carlo, giaceva, discinta e supina, con le nari frementi. “Come definiresti un prodigio, tesoro?” “Un evento che non rientra nell’ordine naturale delle cose e che, pertanto, appare come un miracolo. Sono promosso?” Gli dette una affettuosa pacca sul petto. “Non ancora. Sei a conoscenza di miracoli?” “Si, prof, quelli del Vangelo, quelli attribuiti ai santi, ai luoghi sacri come Lourdes, Fatima, e così via.” “Non c’é qualche prodigio nell’Antico Testamento?” “Non é materia per oggi, prof.” “Serietà, Carlo. Ti ricorda nulla Sara?” “Mia madre?” “No, la moglie d’Abramo.” “Ah, si, la moglie d’Abramo. Allora?” “Era sterile. In età avanzata, un messo del Signore, forse Higaz, lo stesso che apparve a Mariam, le predisse che avrebbe generato. E così fu.” La strinse a sé, carezzandole il volto, passandole l’indice sulle labbra. “Che ne diresti di spiegarmi tutto questo discorso, bella araba?” “I prodigi accadono, Carlo. Io ho girato il mondo, tutti mi hanno detto, i migliori specialisti della Terra, che il mio grembo era irreversibilmente sterile. Ieri ho concluso gli accertamenti medici che ho fatto, a causa di strani sintomi che ho avvertito nei giorni scorsi. Sono incinta… Di te.” Lo baciò teneramente. Carlo s’appoggiò su un gomito, la guardò incredulo. “Scherzi?” “Fortunatamente no. Aspetto un figlio, tuo.” “Come lo spiegano, i medici?” “Una frase che dice tutto e nulla: Sblocco psicologico.” “Sarebbe a dire?” “Quasi che, per concepire, ci vuole la coppia giusta.” “Noi lo saremmo?” “Sembra proprio di si.” “Sarei padre?” “Lo sei.” “Che ne pensi?” “Sono strafelice?” “E la tua gente?” “Vada a farsi benedire.” “Noi che facciamo?” “Se io fossi più giovane, o tu più vecchio, ti chiederei perché non sposarci?” “Che cavolo c’entra l’età, ogni tanto tiri fuori questa storia.” “E’ una verità.” “Ti ricordi quanto parlammo di Hadigia? Ora anche tu sei vedova.” “Vorresti incatenarti a una vecchia vedova?” “Vorrei legarmi alla madre di mio figlio, alla donna che mi affascina.” “Hai poco più di diciotto anni.” “Avremo più tempo per fare l’amore.” “Fra pochi anni sarò un vecchio rudere, inguardabile.” “Mi risulta che Hadigia fece l’amore fino a quando morì, a sessantacinque anni, dopo aver dato quattro figlie al marito.” “Conti di sbarazzarti di me quando io raggiungerò, se la raggiungerò, quell’età?” “Se seguiti ad essere così pignola, molto prima.” “Tu devi essere matto, se pensi di sposarmi.” “Ne parlerò coi miei.” “Li addolorerai.” “Non credo, ti vogliono bene.” “Ma sei il loro piccolo bambino.” “Anche tu mi chiami così, in certi momenti, ma poi hai visto cosa riusciamo a combinare.” “Oltre il divario di età c’é il problema della religione.” “Sono sicuro che sono ostacoli superabili con la buona volontà delle parti. Questa volta la domanda la faccio io. Se non ci fossero difficoltà, e rimanesse solo il divario di età, come lo definisci tu, mi sposeresti? Vorresti passare con me il resto della tua vita?” “Si, soprattutto come adesso.” Gli si mise a cavallo, baciandolo furiosamente, e si fece penetrare, deliziosamente, voluttuosamente, a lungo. “Questa é la passione della sposa. Per sempre.” Aisha informò Dario che intendeva cedere a Carlo il cinque per cento della sua quota societaria, trasferendogli, in tal modo, il pieno controllo. Il tutto senza contropartita economica e da effettuarsi immediatamente. Dario ne parlò con la moglie, con un’espressione strana nel volto, tra il preoccupato e il malizioso. “Tuo figlio l’ha proprio stregata.” “Sono angosciata per questa situazione. Come andrà a finire?” “In effetti anche io ci penso. Carlo ha risolto invidiabilmente i suoi problemi sessuali, Aisha non ha perduto tempo per colmare gioiosamente il vuoto lasciato da Ahmed. Entrambi appaiono appagati e sereni. Fin che dura…” “Tu non sbagli a considerare tutto sul piano della materialità, diciamo pure del letto. Ma ti sembra giusto che una donna, intorno ai quarant’anni, se la spassi con un ragazzino che va ancora andare a scuola?” “Intanto, é una donna che sembra una ragazzina e con un fascino eccezionale.” “Dario, ha ammaliato anche te?” “L’ho sempre detto che é un gran pezzo di araba, al cui cospetto impallidiscono anche le top model d’ogni razza. Se a letto rende quello che il solo ammirarla lascia immaginare, Carlo ha trovato quanto di meglio poteva sperare.” “Dario, mi stai quasi offendendo.” “Cerchiamo d’essere obiettivi. Tu sei splendida, Sara, e mi piaci come nessun’altra donna mi é mai piaciuta, oggi come ieri. Mi sembra di dimostrartelo con l’entusiasmo, la passione, il desiderio di sempre. Il tuo sex appeal mi turba ed eccita, come sai bene, ma questo non ha nulla a che fare con Aisha e il suo fascino. Lascia dirmi le cose come le sento. All’età di Carlo si cerca una femmina, nella situazione di Aisha si cerca un maschio. Niente di strano che, incontrandosi, si siano trovati reciprocamente soddisfacenti. Per Carlo, poi, é quanto di più raro possa offrirsi a un giovane: tocco di donna, sana, senza marito, ricca, disponibile, certamente immune da AIDS, e che non devi nemmeno preoccuparti di mettere incinta. Che altro potrebbe desiderare?” “Ma Aisha l’ha cullato, ha fatto finta di allattarlo, l’ha fatto dormire nel suo letto, fino a qualche anno fa.” “Perché, non credi che adesso faccia lo stesso, e con maggior piacere?” “Come andrà a finire?” “Questo non lo so, e sono ancor più impensierito per la cessione della quota che fa di Carlo il big boss della Società.” “Che ci sarà dietro?” “Il tentativo di legarlo a lei sempre più.” “Intendi parlarne con nostro figlio?” “Appena possibile e con la massima prudenza.” “Ciao, papà.” “Ciao, Carlo. Come mai non sei a scuola?” “Assemblea di classe. A me non interessa.” “Hai fatto bene a venirmi a trovare in ufficio. Ho un momento di libertà e desidero parlarti. Lo devo fare.” “Devi?” Dario sorrise. “Sono il curatore del mio padrone, adesso che hai la maggioranza.” Carlo simulò caricaturalmente un atteggiamento dittatoriale. “Eccomi, sono tutto subordinazione e potere.” “Aisha ti ha detto il perché della sua decisione? Con me é stata molto vaga.” “Mi sembra che la maga ritenga opportuno trasferire la sede legale in un Paese d’Europa, o negli Stati Uniti, e stringere una solida joint venture con qualche colosso americano che scoraggi eventuali ritorsioni da parte dei padroni del petrolio. Essendo la maggioranza in mani europee, su di lei non potrà essere esercitata nessuna pressione.” “Come ha giustificato tale cessione?” “Ha avuto una lunga conversazione con i parenti di Ahmed, poi qui, a Roma, con lo zio del defunto marito, e sembra che lo abbia convinto che la cessione é l’unica strada per impedire il sorgere di concorrenti in grado di invadere il mercato.” “Si, Ben Jalud mi ha accennato qualcosa, ma era molto irritato, ed é ripartito del tutto insoddisfatto. Temo che suggerisca di fondare una nuova Compagnia, che dovrebbe agire contro di noi.” “Questo é il motivo della joint venture. E’ difficile per il Medio Oriente mettersi contro la potenza economica dell’USA, le ritorsioni sarebbero gravissime.” “Avrei voluto sentire queste cose da Aisha.” “Non ha ancora idee ben chiare.” “Io sono il suo uomo di fiducia, deve parlarmene, come fa con te, a quanto sento.” “Con me lo fa distrattamente.” Dario lo guardò duramente. “Tra una scopata e l’altra?” Carlo avvampò, e ricambiò l’occhiata. La sua voce era calma. “Lo so, papà, che voi sapete tutto. O quasi.” “Che significa quel quasi?” “Che ho ognuno ha angoli nel suo animo e nella sua personalità che neppure chi ci vuol bene, neppure i genitori, riescono ad esplorare.” “Anche tu?” “Come tutti.” “Allora, dato che lo sappiamo, vuoi dirmi come andrà a finire questa avventura?” “Non so risponderti, ho bisogno di tempo, di star a vedere come sviluppa la situazione. Diglielo, alla mamma, che non stia in pensiero. Sono preso dalla malia di Aisha, é vero, ma non fino al punto di essere cieco e sordo. Quello che é certo che ho fatto il grande salto, sono divenuto uomo, non solo nel fisico.” “Nessuna predica, Carlo, ma confidati con tua madre e con me. Attento ai passi falsi. Me lo prometti?” “Certo, papà, ve lo prometto. Tu, intanto, cerca di identificare con chi potremmo realizzare una struttura societaria forte e competitiva, tale da scoraggiare scalate d’ogni tipo. E dovrai, dopo, iniziare cauti sondaggi.” “Ahmed ed io non abbiamo perduto tempo, con te, hai proprio il senso degli affari, in una temibile fusione di oriente e occidente. Adesso, inoltre, hai anche una incantevole ispiratrice.” “Aisha vi vuole molto bene, e confida in te e in mamma. Come vedi, si é affidata completamente a noi, a te. Certa di non essere delusa.” “E non lo sarà, Carlo. Assicuraglielo.” “Aspetto un figlio, Sara.” Sara accostò l’auto al marciapiede, la fermò, guardò sbigottita l’amica che le sedeva a fianco. “Lo sanno i tuoi?” “Non ancora.” “La famiglia di Ahmed?” “No.” “Non intendi dirlo?” “Non lo so.” “Chi altro lo sa?” “Il mio medico.” “Dovrai pur comunicarlo alla tua famiglia, a quella di Ahnmed.” “Verranno a saperlo, sicuramente, quando sarà nato.” “Scusa, Aisha, tu ed io da qualche tempo ci trattiamo con minore sincerità che nel passato, sappiamo di sapere ma non ce lo confidiamo. Vuoi parlarne?” Aisha si strinse nelle spalle. “Se vuoi, Sara, parliamone. Io non mi sento in colpa, e se colpa fosse sono pronta a pagarne le conseguenze, io sola, perché é mia ogni responsabilità.” “Puoi immaginare quali e quanti pensieri siano passati per la mente di una madre. Se ho taciuto é proprio perché non riesco a stabilire eventuali colpe, chi ne abbia di più, anche se sono naturalmente portata ad addossarne la maggior parte a chi é da ritenersi essere più forte, più conoscitore della vita.” “Il fatto é che neppure io sono forte o esperta di vita. E’ avvenuto, Sara, non so spiegarti come.” “Carlo sa che sei incinta?” Aisha annuì. “Che dice?” “Che é felice d’essere padre.” Sara sobbalzò, pallida, con le labbra esangui, deglutendo a fatica. “Il padre?” Aisha abbassò la testa. “Si, Sara. Carlo é il padre della mia creatura. Tutto é cominciato la sera che siete partiti per New York.”. “La sera del compleanno di Carlo?” “Si, poi non siamo stati capaci di lasciarci. Non cerco giustificazioni. Lo amo, sento che morrei senza lui.” Sara si aggrappò all’ultimo filo di speranza. “Come puoi essere certa che sia di Carlo? Per una donna sposata non é sempre facile stabilirlo, quando incontra altri uomini, oltre il marito.” “Ahmed era mesi che non mi veniva a visitare. E poi, il fatto è recentissimo…” Sara portò le mani al volto, scuotendolo sconsolatamente. “In che modo é potuto accadere. Avete raccontato, tu e Ahmed, di aver girato il mondo, senza risultato, per generare un figlio, abbiamo accettato, e in un certo modo subito, una singolare alleanza per non farvi, soprattutto non farti, sopportare il peso, la condanna, d’una casa senza figli. Non credi che é poco meno di un incesto?” Aisha ebbe un sussulto. “Carlo non é legato a me da parentela o affinità. Lui non é stato generato da me. Puoi rimproverarmi tutto, ma non torturami cercando d’insinuare il dubbio d’un turpe peccato, che non ho commesso. Sono stata adultera, perché Ahmed era ancora in vita, una cattiva amica, tutto quello che vuoi, ma non incestuosa. Potete lapidarmi, scacciarmi, cancellarmi dalla vostra mente, ma non condannarmi per colpe che non ho.” “Ti sembra bello quello che hai fatto?” “Non bello, meraviglioso, inenarrabile, insuperabile. Pensa, Carlo mi ha fatto concepire un figlio, non sono la pianta sterile buona solo per essere bruciata. Io sono in fiamme, ma non per divenire cenere, perché Carlo mi ha trasmesso il suo fuoco di vita, la sua carne ha generato carne, in me. Tu sei madre, Sara, e comprendi cosa significa, come io riesca, e solo, adesso, sentirmi completamente donna. E questo lo devo a tuo figlio, alla carne della tua carne. Grazie.” Il volto di Aisha splendeva, trasfigurato, come rapita in estasi. Bellissimo. Sara commossa, non riusciva a parlare. Restarono in silenzio qualche minuto. Mise nuovamente in moto, si staccò lentamente dal marciapiede, s’inserì nella corrente di traffico, avviandosi verso El Mansùr dove, di solito, trascorrevano il fine settimana, tutti insieme. Sul pannello metallico del cancello riluceva una nuova targa, al posto della precedente, con una scritta, in arabo e in altri caratteri: Jibril. Poco dopo giunsero anche Dario e Carlo. Ci fu un sommesso ma concitato parlottare, tra i coniugi. Sara e Dario decisero di mostrare la massima indifferenza, di discorrere del più e del meno. Dario, meno turbato di quanto si sarebbe aspettato, avrebbe mostrato l’espressione di chi non sa nulla. Carlo andò a salutare Aisha e poi si diresse verso la sua camera, per cambiarsi. La cena si svolse abbastanza regolarmente. Dario informò Aisha che aveva cominciato a sondare alcuni magnati americani, e di averli trovati prudentemente interessati. Aisha lo ringraziò e lo pregò di tenerla al corrente dello sviluppo della situazione. Si erano trasferiti sulla veranda. Carlo era seduto accanto ad Aisha. Lebèn servì il caffè, all’italiana. Mentre girava il cucchiaino nella tazza, per favorire lo sciogliersi dello zucchero, Aisha alzò gli occhi su Dario. “Ti ha detto Sara che Carlo ed io vi stiamo per rendere nonni?” L’unico che, evidentemente impreparato, sobbalzò palesemente, fu Carlo, che s’affrettò a mettere sul tavolino la tazzina, ancora piena. Aisha lo carezzò sulla gamba, tranquillizzandolo, proteggendolo. Dario guardò il figlio e Aisha, con un sorriso indefinibile. Era appena visibile la minor giovinezza di lei, e appariva, comunque, una coppia fantastica, composta da un magnifico giovanotto che mostrava come se avesse superato vent’anni e da una incantevole donna con qualche anno di più. “Allora, Dario?” “Cerchiamo di rendercene conto. Personalmente, penso al nascituro che si troverà con un papà adolescente, una mamma affascinante e una nonna seducente.” “E un giovane nonno in gamba. Grazie, vi sono debitrice della vita, qualunque cosa accada.” Dario seguitò a guardarli. “Voi, piuttosto, che propositi avete? Lo sa, Carlo, che quest’anno ha l’esame che una volta si chiamava di maturità. Quello scolastico, intendo.” Carlo deglutì, si schiarì la voce. “Lo so, papà, sto studiando intensamente.” Aisha seguitava a tenergli la mano sulla gamba, si vedeva che di quando in quando la stringeva. “E per il resto, figliolo?” Sara guardava ora l’uno ora l’altro, senza dir motto. Aveva preso la mano di Dario e la teneva tra le sue. Aisha, commossa, aveva gli occhi lucidi. “Desidero dirvi che non chiedo nulla a Carlo. Mi ha già fatto il dono più grande della mia vita. Se e quando lo vorrà, mi allontanerò in silenzio, e gli rimarrò schiava per il resto dei miei giorni.” Carlo respirò profondamente. “E’ quello che mi ripete continuamente, papà, e temo che quello che sto per dirvi lo consideriate dovuto ad una mia presunta immaturità. Lo so che non é da tutti divenire padre quando non si hanno ancora diciannove anni, e mi sono posto una domanda, in termini crudi. Se Aisha, che adoro da tempo, m’avesse proposto di fare un figlio con lei, come avrei reagito? Avrei pensato solo al piacere di averla tra le mie braccia? Vi ho meditato lungamente, anche nella penombra mistica d’una chiesa, ed ho concluso che ne sarei stato felice, a condizione, però, che il figlio sarebbe stato allevato da noi, giorno per giorno. Credo di avervi risposto. Vero, mamma?” Il volto di Sara era rigato di lacrime, lei guardava il suo bambino che sentiva allontanarsi ineluttabilmente. Il ramo si staccava da lei, viveva per proprio conto, generava i suoi frutti. Vincendo l’emozione, cercò di parlare con voce chiara. “Hai risposto, tesoro, hai risposto. E’ che la tua mamma non vuole staccarsi da te, non vuole perderti, non riesce a saperti, così giovane, lontano da lei.” “Non cambia nulla, mamma. Viviamo tutti insieme da sempre, e seguiteremo a farlo. Tra qualche mese ci sarà un nuovo fiore da curare. Ho chiesto ad Aisha di vivere con lei, per sempre, lei mi guarda con tenerezza pensando, forse, che é una infatuazione temporanea perché ancora non sa che voglio sposarla.” Aisha lo guardò, sbalordita. Dario sapeva controllarsi perfettamente. “Sposarti? Come? Hai pensato ad eventuali impedimenti?” “Papà, il primo, e credo unico, potrebbe per qualcuno essere l’età.” “Questo é un impedimento soggettivo. Hai pensato alla religione?” “La legge italiana, come sai, non prevede impedimenti al matrimonio per questioni di razza o religione. Io non chiedo ad Aisha di abbandonare la sua religione, come lei non lo chiederebbe a me, e, logicamente, non avendo mai parlato, tra noi, di matrimonio, non abbiamo neanche considerato quello civile, o quello religioso.” “Scusa, Carlo, ma sei certo che Aisha voglia legarsi a te in matrimonio?” Carlo si volse alla donna. “Aisha, vuoi sposarmi?” Aisha s’inginocchiò di fronte a Carlo, gli prese le mani e gliele baciò, posò la testa sulle ginocchia del giovane, col petto scosso dai singhiozzi.” “Sei tu che mi prendi come sposa, mio signore, che mi offri la felicità, come pensi che io non la gradisca?” Carlo la fece alzare, e sedere di nuovo al suo fianco. Sara seguiva tutto, come se assistesse a uno spettacolo che non la coinvolgeva. Pensò di intervenire. “Battezzeresti tuo figlio?” “Noi tutti crediamo nello stesso Dio, quindi non vedo motivo per rinnegare la religione che professo, né che lo facciano gli altri. Se il mio sposo decidesse di battezzare i nostri figli, e di allevarli nella sua religione, io gli ubbidirei senza riserve. In ogni caso, sappiate che la volontà del mio uomo é la mia legge, che sia o non sia il mio legittimo consorte.” Carlo intervenne timidamente. “Papà, diverrebbe presto cittadina italiana.” Dario annuì, senza rispondere. Una periodo denso di notevoli eventi. A Chicago, la firma della joint venture tra l’American Chemical Co. e la Società di Carlo e Aisha. Superamento degli esami scolastici, da parte di Carlo, col massimo dei voti. Nascita d’un florido bimbetto, dai capelli biondi e gli occhi cerulei che s’attaccò avido al turgido seno della mamma, sotto gli occhi amorevoli della giovane nonna, stringendo nella piccola mano rosa il dito del giovanissimo papà. Dario era al colmo della felicità: le azioni della Società di suo figlio erano in notevole rialzo, Carlo s’apprestava ad entrare all’università e a pieno titolo nella Società, la famiglia Bruni continuava nel tempo. All’anagrafe era stato registrato il figlio di Carlo Bruni e di Aisha Ben Abu Rashid, Gabriele, Teodoro. Avevano voluto una cerimonia intima, senza tanti invitati. Dopo lunghi colloqui telefonici, la famiglia di Aisha aveva deciso di parteciparvi. Sarebbero stati presenti, in rappresentanza, due fratelli. Il padre non poteva viaggiare, per ragioni di salute. Erano due distinti ed eleganti signori, che curavano la loro agenzia di import-export, la più grande del Paese. Una bella giornata di fine ottobre, nella villa dove il Bulicame entrava ad alimentarne la piscina. La mattina, nel Palazzo del Comune, Carlo e Aisha erano stati dichiarati marito e moglie. Poi, il corteo d’auto, s’era trasferito nella grande Chiesa, a fianco della storica loggia, per il battesimo di Gabriele, tenuto in braccio dalla madre, più bella che mai. Ora, nel vasto giardino, sapientemente riparato dal sole da immensi ombrelloni, era un continuo rallegrarsi, in più lingue, intrecciarsi di saluti, tra i camerieri che servivano le delizie arabe e italiane prelevate dal chilometrico tavolo imbandito verso la veranda. Sara s’avvicinò alla splendente Aisha, accanto al carrozzino dove riposava il bimbo. “Gabriele, come si dice in arabo?” “Il suo nome é scritto sulla porta della sua casa, da prima che fiorisse in me: Jibril..
Aggiungi ai Preferiti