Lo scippatore era in agguato nella larga via che dall’autostrada entra nella grande città, ma non lo sapevo ancora. Il ragazzo con lo scooter ed il casco danzava attorno all’auto mentre prendevo consapevolezza che avrebbe potuto essere una rapina. La macchina cominciava a sbandare -segno che la gomma era stata bucata- ma non rallentavo la mia corsa, illusa di arrivare nella piazza principale in piena luce. Mi ero arresa. Un altro era sbucato dal nulla, aveva afferrato la mia borsa portandosela via ed un pensiero fulmineo mi aveva attraversato la mente: voglio fargli male. Brutto pensiero …… non mi apparteneva, ma era mio in quel momento e, con una forza che non sapevo di avere, avevo spinto il ragazzo rimasto, facendolo finire a terra senza casco. Cavalcioni su di lui, a gambe divaricate, l’avevo immobilizzato con le ginocchia sulle braccia. L’incavo delle cosce era molto vicino al suo viso, lo spingevo in avanti volutamente e gli facevo male ……….. lo sapevo. Lui non si muoveva, lì, per terra, forse preparava un attacco. Non mi importava, intuivo che era dubbioso, si chiedeva cosa volessi. Ormai ero arrivata a contatto con il suo mento ispido di barba nera trascurata sul viso giovane e pallido. Avevo scostato lo slip costringendolo a prendermi tutta in bocca e con l’altra mano tastavo la consistenza del gonfiore, ormai evidente sotto la cintura dei jeans. Credo gli piacesse, stava sicuramente pensando che poteva andargli peggio. Lo lasciavo fare, stava appassionandosi al lavoro assegnatogli, era bravino, forse meno giovane di quanto sembrasse a prima vista. Sentivo la sua lingua invadermi, le sue labbra succhiare, i suoi denti solleticare. Ondeggiavo su di lui e non gli davo tregua con la mano intrufolata dentro l’apertura dei pantaloni. L’adrenalina stava assolvendo il suo compito, lì, sulla strada deserta nella notte fredda, sulla bocca di uno sconosciuto che stavo odiando. A gambe aperte come, forse, non mi era mai successo, improvvisamente defluivo la mia rabbia e la mia paura. Lo scippatore si stava rilassando, certo, ormai, di averla fatta franca: errore. Avevo sfilato la mano da tanto turgore e, raccolte tutte le forse rimaste, gli avevo sferrato un pugno devastante. Aveva aperto la bocca, ma non aveva nemmeno urlato, era svenuto subito. Mi ero alzata, ricomposta e chiamato il 112, poi, me n’ero andata.
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