Finalmente, dopo tanti anni di ricerca dei pezzi originali e centinaia d’ore dedicate alla mia ossessione di riportare agli antichi splendori, quello che era stato il sogno di mio padre prima, poi il mio, stavo sfrecciando con la mia Ac Cobra, ogni pezzo fino al più piccolo bullone, la vernice gli interni, tutto era originale. Guidarla mi donava sensazioni magiche, ero come se fossi riuscito a fermare il tempo, o come se un vortice temporale avesse riportato ai giorni nostri un simbolo della perfezione automobilistica del passato. Indossavo jeans, una t-shirt nera, giubbotto di pelle e rayban, volutamente retrò ma in linea con il mio bolide. Il vento sul volto, mi scompigliava i capelli, giovane avvocato, alto atletico, una macchina da sogno, il mondo era mio. Improvvisamente dalla semicarreggiata opposta, subito dopo la curva vedevo un SUV sbandare e venirmi incontro, mi si gelò il sangue nelle vene, la strada era stretta ed i guard rail mi impedivano qualsiasi via di fuga, frenai poi il nulla …..- Ciao Claudia, sono Anna.- Anna, che hai, perché piangi?- Alberto, mi ha appena mollata. Mi ha mollata al ristorante, capisci … davanti a tanta gente, per evitare una scenata, che stronzo, figlio di puttana.- Anna, ora dove ti trovi?- Sono in macchina, sto tornando in città.- Vieni da me, non puoi certo stare sola.- Mi sta colando il trucco.Lasciai il volante per un istante, presi la borsetta e rovesciai il contenuto sul sedile del passeggero, rovistando alla ricerca di un fazzolettino, nel prenderlo feci rotolare giù dal sedile la boccetta del profumo mi chinai a prenderla, mentre Claudia cercava di rincuorarmi …- Anna, Anna, cos’era quel boato, cosa è successo, Anna rispondimi ti prego …- Claudia, chiama un’ambulanza, un pazzo mi è venuto contro con la macchina.Claudia, mi raggiunse in ospedale, ero furiosa a causa dell’incidente avevo battuto la testa, la macchina era a pezzi e l’infortunistica della stradale non la smetteva di fare domande.Un’agente della stradale mi porse un biglietto, sopra c’era un nominativo Alfredo Pochi, dati anagrafici, la targa di una macchina e l’assicurazione. – Scusi, questi sono i dati di quel pazzo. Io lo denuncio per tentato omicidio, mi poteva ammazzare. Dov’è la mia macchina.- Signorina, la sua macchia è sotto sequestro penale, il pazzo come lo chiama lei è in prognosi riservata se dovesse morire lei sarebbe accusata di omicidio colposo, qui siamo in Italia non in Inghilterra e si tiene la destra, credo di aver risposto alle sue domande.Un collega porse un referto appena ritirato, all’agente che avevo dinanzi, e questo scuotendo la testa rivolgendosi al collega disse: “questo dal coma non si risveglia più”- Dì alla centrale di rintracciare la famiglia.- Già fatto, non dobbiamo avvisare nessuno, orfano, single, professione avvocato, chi vuoi che lo pianga.Claudia mi portò a casa sua, dove rimasi per qualche giorno, terminata la convalescenza, tornai a casa mia, non volevo affrontare un viaggio di 800 km per tornare dai miei genitori, ai quali non avevo detto nulla dell’incidente, presi una settimana di ferie e noleggiai una macchina, per distrarmi un pò feci shopping, mentre osservavo le vetrine di una boutique, mi specchiai passandomi quasi in rassegna capelli neri lunghi e mossi, occhi azzurri, naso piccolo leggermente all’insù, da discola come diceva mio padre, labbra carnose, sensuali anche senza rossetto, collo lungo, seno prosperoso e sodo, alla faccia delle mie coetanee a 30 anni non indosso il reggiseno, il mio top mi rimandava un immagine che mi inorgogliva, vita stretta, piercing all’ombellico, i jeans a vita bassa coprivano un bel sedere sodo e alto da far invidia ad una brasiliana, gambe lunghe, coperte fino al polpaccio dal jeans, poi scarpe con tacchi rigorosamente a spillo, sopra il top avevo un giubbino corto lasciato aperto. Solo un difetto, un livido violaceo alla fronte, parzialmente coperto dai capelli. Mentre mi specchiavo, notai un ragazzo che cercava di scendere dallo scivolo dei disabili, parzialmente ostruito dalla mia macchina in sosta. Attesi che andasse via con la sua sedia rotelle, poi salii in macchina allontanandomi, mi sentivo, no so, ma dovetti ricacciare indietro le lacrime, iniziai a vagare senza meta, poi quando mi fermai mi accorsi di essere dinanzi il pronto soccorso dove ero stata medicata, entrai e chiesi in quale reparto si trovasse Alfredo Pochi.Giunta a reparto, non era orario di visite, ma l’infermiera scambiandomi per un familiare mi lasciò passare. Lo trovai circondato da strani macchinari, fasciato come una mummia, entrarono dei medici, io mi ritrassi in un angolino della stanza. Parlottavano fra di loro usando un linguaggio quasi sconosciuto, cogliendo qualche parola qua e là, capii che stava migliorando e che c’era la possibilità che uscisse dal coma. Il professore scorgendomi, mi chiamò, prego signora, suo marito ha una fibra eccezionale, nutriamo ottime speranze che si risvegli e si rimetta completamente nonostante il terribile incidente, suo marito è un uomo fortunato, Dottor Nervi disponga che gli effetti personali dell’Avv. Pochi siano subito consegnati alla signora, poi salutò e si allontanò seguito dagli altri medici. Rimasi lì ad ascoltare il primario, in silenzio senza la forza di controbattere, volevo urlare che non ero la moglie di quell’uomo, ma non riuscivo a distogliere lo sguardo da lui.Qualche minuto dopo, un’infermiera mi consegno una busta, meccanicamente la presi ed andai via dall’ospedale. Mi ritrovai in lacrime, seduta in macchina con la busta tra le braccia. Senza pensarci due volte l’aprì, dentro c’era il portafoglio, con i documenti, un pò di sodi e svariate carte di credito, un portachiavi con delle chiavi di casa, un orologio e un cellulare rotto. Dai documenti scoprì l’indirizzo, e dopo circa quaranta minuti gironzolavo nella casa dell’uomo che avevo quasi ucciso. Era una villetta unifamiliare arredata in maniera sobria e moderna, molto hi-tec, la domotica ed l’eleganza sembravano aver trovato un punto di equilibrio, il garage sembrava accentuare i contrasti o la commistione notata nell’arredamento della casa, all’interno una vecchia Maserati Sebring con molti pezzi mancanti, una Bizzarrini A3C Gt Strada ed una Mercedes slk ultimo modello. Risalì nell’appartamento, presi qualche oggetto che poteva servire alle infermiere che lo accudivano, e mi chiusi la porta alle spalle. Iniziai ad andare assiduamente a trovarlo, in pratica passavo con lui tutto il mio tempo libero, le infermiere mi permettevano di entrare ed uscire a qualsiasi orario, no so dire il perché, ma mi faceva star bene andare da lui, anche se in coma era diventato il muto depositario dei miei segreti, gli parlavo praticamente di tutto, di tanto in tanto andavo a casa sua ed una volta avevo persino dormito nel suo letto.Poi un giorno …- Dove sono, cosa …- Stai calmo, hai avuto un incidente automobilistico, e ti sei appena risvegliato. Frattanto suonavo forsennatamente il campanello.Il Medico di turno e due infermiere, si precipitarono nella stanza, e mi fecero uscire. Dopo circa 1 ora mi lasciarono rientrare.L’infermiera tutta sorridente, disse: “Alfredo, mi scusi avvocato Pochi, qui c’è la sua bella mogliettina, che le è stata vicino da quando è entrato in coma”.- Non si preoccupi Alfredo va benissimo, mia moglie?- Avvocato, il suo stato di coma può aver lasciato delle lacune sulla sua memoria, quale è l’ultima cosa che ricorda?- Il rombo della mia Ac cobra, l’odore dell’erba tagliata di fresco portato dal vento e un Suv nero che mi veniva incontro senza che ci fosse nessuno alla guida.- Bene, si riposi.- Come bene, dove sono, da quanto tempo sono qui, che fine ha fatto la mia macchina, … merda … le mie cause, chi ha curato i miei clienti.- Non si agiti, lei è stato in come per 2 mesi, sua moglie le spiegherà il resto.- Mia moglie? ma … Uscirono tutti lasciandomi in stanza con una donna di circa 30 anni, sembrava un ex modella, molto bella, ma sembrava un pò spaventata.- come ti chiami.- Anna.- Non sei mia moglie, non potrei mai dimenticare di aver sposato una donna così bella …non capisco, io ricordo, io non ti ho mai visto … hai… per caso hai una piccola voglia a forma di stella sul pube … ma come …- Mio Dio!! no!! ricordi tutto quello che ti ho detto mentre eri in coma.- Sono confuso, ho dei ricordi di te, ma non so chi sei- Io sono Anna, la tua investitrice.- Ma cosa ci fai qua, non capisco.- Non lo so … me lo sono chiesta tante volte, ma non lo so.Cercai di prendere il pulsante per chiamare l’infermiera, ma era troppo lontano. Allora cercai di alzarmi per andare in bagno ma non riuscivo a coordinarmi.- Cosa c’è, di cosa hai bisogno?- Dovrei chiamare l’infermiera, ho una necessità fisiologica.- Non preoccuparti, non hai lesioni di nessun tipo, per rimetterti in forma basterà la fisioterapia.Mentre parlava si era avvicinata ed aveva preso un pappagallo dall’armadietto, aveva scostato le coperte mi aveva preso il pene con delicatezza ed aveva introdotto il glande nel pappagallo.Frattanto avevo appreso che il mio cazzo funzionava ancora, perché sarà stato il suo profumo, o il tocco della sua mano o la scolatura della sua camicia, il mio cazzo si era rizzato.- Non preoccuparti, è normale, non è la prima volta che ti succede, le infermiere in questi casi ci lasciavano soli.Anna mi masturbò a lungo fino a farmi venire, mentre mi faceva la sega la osservai in viso, era concentrata nel suo compito e si mordeva le labbra, lasciai scivolare una mano sotto la mini gonna, raggiungendo la sua fica coperta solo da un piccolo slip, e la masturbai a mia volta.- Anna perché sei qui.- Forse tu lo sai meglio di me, io in questi due mesi ti ho confidato tutta la mia vita, e ormai dovresti conoscermi meglio di me stessa.- Adesso devo andare, se me lo permetti tornerò domani alle 14.00, ti prego non cacciarmi.- Resta ancora un pò, ti prego, ho dei flash, dei ricordi della tua vita, alcuni sono bizzarri, altri intimi, non riesco a provare astio nei tuoi confronti, come vedi sono solo, vorrei approfondire la nostra conoscenza, vorrei sapere cosa è successo nel mondo mentre ero in letargo ed ho paura.- Paura di che cosa.- Ho paura di non rivederti.- Devo andare, ho bisogno di una doccia, poi devo riposare un pò, domattina devo andare al lavoro- Sono solo scuse, la doccia la puoi fare anche qui, rimani ancora un pò.Mentre lei saliva in camera mia per farsi una doccia nel bagno annesso, telefonai al supermercato, dettando una lista della spesa per riempire il frigo, poi ad un ristorante, il cuoco era un amico ed anche se non effettuavano consegne a domicilio, per me avrebbe fatto uno strappo, ordinai per due sperando di convincere Anna a rimanere a cena. Poi salì anch’io in camera, sentivo l’acqua scorrere nella doccia, mi spogliai indossai un accappatoio, persi delle asciugamani ed entrai, rimasi a contemplare il suo corpo flessuoso per qualche istante rapito dalla sua bellezza. Poi mi avvicinai, lei mi vide, lasciò cadere la spugna continuò ad insaponarsi con le mani, accarezzandosi sensualmente, posai le asciugamani, sfilai l’accappatoio ed entrai. Anna mi attirò a sè, abbracciandoci, le nostre lingue si incontrarono in un bacio interminabile, restammo abbracciati per un pò, come se il solo contatto dei nostri corpi che aderivano l’uno all’altro fosse sufficiente. Poi iniziai a baciarla sul collo sui seni sul ventre, fino alla sua dolce e succosa fica, quando tuffai la lingua suggendo i suoi umori mi sentì come rinascere, era un secondo risveglio dal coma, Anna era una urlatrice, gemeva rumorosamente e urlava il suo piacere, mi rialzai e la penetrai in piedi, entrai in un so colpo era bagnata e calda, nonostante le dimensioni del mio cazzo mi accolse gemendo di piacere, lei era appoggiata al vetro della doccia con le braccia avvinghiate alla mia schiena, quando stavo per venire, lei sopraffatta dal suo imminente orgasmo, mi cinse con le gambe, le venni dentro mentre lei urlava il suo piacere, restammo per alcuni minuti seduti a terra dentro la doccia, abbracciati e sopraffatti dalle sensazioni provate, poi quasi ridestandoci da un sogno il suono del campanello ci riportò alla realtà. Indossai l’accappatoio e ritirai la spesa, mentre sistemavo alla rifusa i sacchetti nel frigo, arrivò il catering, ritirai tutto sentendomi affamato, non dovetti neanche pagare nulla il mio amico mi aveva mandato cena e champagne con un biglietto “in attesa di rivedere il redivivo, spero che consumerai questo frugale pasto in compagnia di quel gran pezzo di fica che ti accudiva in ospedale”. Volevo chiamare Anna per dirle di scendere, ma non sapevo come chiamarla, Anna non bastava, non c’era un nomignolo, un vezzeggiativo, tesoro non mi …, svuotai la mia mente e la chiamai: “Anna, amore hanno portato la cena …”, amore … la prima parola che avevo pronunciato senza pensare era amore …Anna, scese dal primo piano con i capelli bagnati, indossando solo una mia camicia di seta sul corpo nudo e bagnato, la camicia le si era appiccicata addosso, disegnando le sue forme, ero proprio affamato, ma non di cibo, le andai incontro gettando a terra l’accappatoio, lei mi abbracciò e mi chiese in lacrime, come mi hai chiamato?- Amore.- Fredo, anch’io ti amo, ma pensavo di essere pazza a sperare di essere ricambiata, ogni giorno che venivo in ospedale, mi rendevo conto che non era rimorso, ma che c’era qualcosa di più, questo mi ha portato a confessarti i miei più intimi segreti, ma non speravo che tu un giorno risvegliandoti mi avresti … amata.Anna non tornò a casa sua, non era necessario bisogno era già a casa.Qualche mese dopo Anna fu citata in giudizio per lesioni colpose, io come vittima, ci presentammo insieme tenendoci per mano, quando il cancelliere ci chiamò, indossai la mia toga e chiesi la parola, il p.m. ed il giudice rimasero perplessi, ma nessuno si oppose. Dissi che Anna era ormai mia moglie, aspettava un figlio, nostro figlio, e mi dichiarai pronto a difenderla da qualunque accusa. Al di là delle proteste, che come vittima non potevo assumere la difesa dell’imputata, il fascicolo fu archiviato. Io ed Anna, abbiamo intrapreso una nuova vita, e lei non guida più.
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