Un “grosso” problema risolto da un’abile specialista e da una fanciulla (poco) innocente…Da alcuni giorni l’uccello continuava ostinatamente a rimanermi duro giorno e notte: avevo provato a masturbarmi, ma il cazzo si manteneva orgogliosamente – e dolorosamente – impettito, e non c’era verso, per quante situazioni eccitanti gli proponessi, di svuotare le palle. La faccenda era divenuta a tal punto imbarazzante da essere costretto a farmi visitare dal mio medico di fiducia, per un’ovvia preoccupazione relativa sia al mio stato di salute sia in ragione di un possibile danno alla mia reputazione, visto che esercito un’attività a diretto contatto col pubblico.Questi timori mi furono confermati quella stessa mattina quando, salito sulla metropolitana, mi trovai di fronte alla ragazzina che era solita fare il tragitto con me, seduta in fondo al vagone.Vestita da innocente educanda, con tanto di cartella di pelle marrone, camicia bianca, gonna in plaid a quadri che cadeva appena sopra il ginocchio, scarpette di vernice nera e calzette corte bianche, la mia adorata studentessa mi incantava, come ogni mattino, grazie al suo sguardo ingenuo ed ai suoi lunghi capelli corvini pettinati in due graziose treccine.Stretto nella calca, non potei fare a meno di aggraparmi alla maniglia sospesa sopra di lei, trovandomi, involontariamente, con il mio manganello a dieci centimetri dalla sua bocca.Ero arrivato quasi a destinazione quando notai lo sguardo della studentessa, la quale avrebbe potuto essere mia figlia: per un attimo, infatti, aveva sollevato il suo viso, sorridendomi maliziosamente.Allibito, vidi la porcellina riprendere, come se niente fosse, l’attività alla quale, senza che ne fossi consapevole, si era certamente dedicata per tutta la durata del tragitto, e cioè osservare, in maniera a dir poco spudorata, il pacco che puntava verso di lei da sotto la stoffa dei miei pantaloni, leccandosi le labbra rosee e toccandosi la passerina, che sospettavo umida ed implume, con la mano nascosta sotto la gonna.I movimenti sempre più inconsulti ed indecenti in cui si esibiva mi fecero capire che quella birichina, silenziosamente, stava godendo, mordendosi le labbra e alzando gli occhi vitrei al cielo.Visti i suoi mugolii indecenti, ritenni opportuno tapparle la bocca, cercando di non farmi notare: non con il mio uccello, come avrei voluto, bensì con la mano sinistra, stretta attorno al suo piccolo mento.Per fortuna, prima di compiere qualcosa di cui mi sarei potuto pentire, ero arrivato a destinazione…Giunto dal dottore, ancora stravolto da quella esperienza, mi stupii del fatto che non ci fosse nessuno in sala d’attesa. Notai, allora, un cartello che segnalava che quella era l’ultima giornata in cui il mio medico era sostituito da tale dottoressa Betty L.: maledicendo la mia sfortuna e titubante, mi decisi, infine, a bussare alla porta. La dottoressa, alzatasi, si presentò e mi fece accomodare: era una biondina col viso da adolescente, occhiali dalla montatura elegante e capelli corti a caschetto.Non potei fare a meno di notare le aureole dei suoi seni, che puntavano contro il maglioncino di cachemire, ed il suo culetto perfetto, fasciato da una minigonna di pelle nera cortissima, che scopriva generosamente le sue cosce nude: tutto quel ben di Dio era avvolto, più che celato, dal camice bianco.Dopo aver spiegato con dovizia di particolari il mio problema (compreso quello che era successo nella metropolitana), la dottoressa, che mi aveva ascoltato con attenzione, disse: “Il suo problema non è grave, però penso che sia necessario visitarla attentamente…si spogli!”.Calati i pantaloni, vidi che mi osservava la patta gonfia con la stessa espressione famelica della ragazzina nella metrò: avvicinatasi, si mise in ginocchio davanti a me: mi abbassò i boxer, dicendo: “Ritengo opportuno procedere, se è d’accordo, per la sua salute e per il bene della scienza, ad un’esame approfondito, seguito da un’adeguata terapia orale…”Non ebbi neppure il tempo di obiettare che la dottoressa inizio a segarmi con le sue lunghe dita affusolate, massaggiandomi e palpandomi delicatamente i testicoli.Successivamente, iniziò a giocherellare con il mio membro, soffiando sulla turgida cappella che, nel frattempo, sembrava divenuta gonfia e sugosa quanto un frutto maturo.A quel punto iniziò a sbocchinarmi, lubrificando, con la sua saliva mista alle prime gocce perlacee del mio seme, il glande, in modo da poterlo ingoiare adeguatamente, tanto che non riusciva ad impedire che quell’osceno sciroppo straripasse e traboccasse dagli angoli delle sue labbra.La dottoressa Betty mugolava oscenamente, talmente era colma la sua bocca del mio cazzo, tanto che temevo si sarebbe slogata le mandibole, visto il movimento che le imponevo, stringendole la testa fra le mani.Al culmine di quel trattamento d’urto quella specialista mi infilò con decisione un dito nel buco del culo: fu un vero toccasana, in quanto iniziai a schizzare ripetutamente dai coglioni, costringendola ad ingoiare parte di quella semenza che si era accumulata in questi ultimi mesi…Ma la dottoressa non era ancora convinta della riuscita della sua cura: le sue labbra continuarono a pompare, riuscendo a mantenere in tiro la mia verga.Non so quante volte venni ma, infine, riuscii a spalmarle completamente la faccia di sborra calda, e ne ebbi ancora abbastanza da innaffiarla abbondantemente sia tra le cosce sia nello stretto budello tra le sue chiappe!Betty mi diede, infine, il numero di telefono del suo studio privato, in modo da proseguire la terapia nelle prossime settimane…Era ormai tarda sera, quando riuscii a prendere, trafelato, l’ultima corsa della metropolitana.Il vagone, a differenza che all’andata, era completamente vuoto, salvo per la ragazzina con le treccine, seduta, inaspettatamente, allo stesso posto della mattina.Decisi, pur in assenza di qualsiasi pretesto, di piazzarmi, in piedi, di fronte a lei. Intimorita, mi osservava con i suoi timidi occhi azzurri.Presi, pertanto, l’iniziativa: “Bambina…non ti vergogni di essere stata egoista questa mattina, godendo tutta sola, mentre ero così eccitato? Se lo sapessero i tuoi genitori, cosa penserebbero di una sgualdrinella come te?”Arrossendo, la fanciulla non osava più guardarmi, ma sussurrò, solamente, “come posso aiutarla, signore?”Le accarezzai teneramente la nuca, avvicinandola in grembo, fino a farle appoggiare il volto al mio bastone nodoso e vellutato, che si era fatto di nuovo prominente, dicendole: “Cosa faresti per farti perdonare, figliola?”Quella puttanella, che aveva ripreso ad osservarmi maliziosamente, rispose: “Farei qualsiasi cosa, signore, ma lei non dirà niente a nessuno, vero?”Senza attendere la mia risposta, quella piccola sporcacciona aveva iniziato, nel frattempo, ad aprirmi la cerniera dei pantaloni.A quel punto, il mio uccello durissimo ed ancora luccicante degli umori della dottoressa, emerse dall’apertura dei boxer puntando in direzione del suo pallido viso, non più trattenuto dai miei pantaloni.La troietta non fece a tempo ad aprire, sorpresa, le sue labbra rosee, tanto desiderate, che la forzai ad ingoiarlo.Mentre la stringevo a me, cominciò a lavorarlo, coscienziosamente, di bocca, finchè, incapace di resistere oltre, mi aggrappai violentemente alle sue treccine, mentre si gustava in silenzio la mia crema bollente che eruttava abbondantemente sul suo viso e sulle sue tettine sode. A quel punto, mentre si ripuliva le labbra con il fazzoletto che le avevo, compassionevolmente, allungato, visto lo stato in cui le avevo inzaccherato i vestiti, il viso e, perfino i capelli, la birichina mi chiese se l’avevo perdonata, o se doveva fare qualcos’altro…La costrinsi, pertanto, ad appoggiare il volto sul sedile imbrattato di sperma, nonché deIl’umore colato in abbondanza dalla sua fichetta, e la misi a novanta gradi.Sollevata la gonna sulle sue chiappette sode e strappate le mutandine, cominciai a stantuffare poderosamente la sua fichetta depilata.La piccola urlava e godeva, ma non ero ancora sazio: sfilai violentemente il mio pene con uno schiocco rumorosamente osceno e le appoggiai il glande violaceo sulla rosellina dell’ano.La porcellina, pur dibattendosi e protestando che lì era ancora vergine, dovette cedere: iniziai ad abusare del suo candido sederino, ingroppandola come un montone in calore.Non so quante volte venni in quello stretto buchetto, ma, infine, portatomi di fronte a lei, le inondai completamente la faccia di sborra calda, che si innalzava in continuazione dal mio innaffiatoio: il suo viso era incremato da tanta di quella roba bianca che neppure sua madre l’avrebbe riconosciuta.Ero, ormai, certo di essere guarito, pur se non avrei trascurato le visite di controllo dalla dottoressa Betty…Mentre scendevo dal vagone, la ammonii: “Domani ti aspetto in classe, Cindy, per proseguire la lezione.” “Sì, signor professore…” mormorò la ragazzina.Domani avrebbe capito cosa intendevo per tempo pieno…
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