Era stata una matta! E dire che la mattinata sembrava essere iniziata per il meglio. D’accordo con Piero, il suo ragazzo, avevano deciso di non seguire la lezione di Diritto (primo anno di Università), per dedicarsi a faccende per loro più interessanti. Così erano saliti in macchina dirigendosi verso il parco cittadino. Lì, addentrandosi tra gli alberi, Piero aveva trovato un posto abbastanza appartato e, subito, erano iniziate le scaramucce amorose. Cinzia già sentiva il pene del suo ragazzo gonfiarsi a dismisura sotto la stoffa dei pantaloni e pregustava il momento in cui lo avrebbe accolto tra le labbra. Aveva un sapore afrodisiaco, un qualcosa che ogni volta la spingeva a succhiarlo avidamente il più al ungo possibile. Poi, chissà come, lui aveva ripreso il discorso su Giacomo: un ragazzo conosciuto in discoteca una sera in cui era andata sola con le amiche e con cui, sotto l’ebbrezza dell’alcool, si stava scambiando un bacio quando era arrivato Piero, scatenando un casino. In un attimo l’atmosfera nell’abitacolo si era raggelata. Si erano staccati ed avevano iniziato a litigare. Ad un certo punto, non aveva retto più la sua gelosia morbosa ed era scesa dall’auto iniziando a camminare nervosamente. L’aveva sentito avviare il motore ed allontanarsi velocemente. Il silenzio che ne era seguito l’aveva aiutata a riprendere il controllo dei nervi ma, col passare dei minuti, era stata sopraffatta dalla paura. Cosa ci faceva lei, lì da sola, nel mezzo della boscaglia? Era da quasi mezzora che girovagava da un lato all’altro, cambiando ripetutamente direzione, cercando inutilmente di stabilire dove si trovasse. Avrebbe voluto sentire un rumore qualunque per orientarsi, magari quel cretino che tornava a prenderla, oppure il traffico delle auto. Invece, il silenzio era assoluto. Poi una voce l’aveva fatta sobbalzare. “E tu che ci fai qui?” Si era girata spaventatissima ma, subito, aveva tirato un sospiro di sollievo, rassicurata dalla divisa che aveva di fronte: forse era un forestale o qualcosa di simile. In ogni caso l’avrebbe aiutata a ritrovare la strada. Per la tensione accumulata e la felicità di avere visto la soluzione alle sue paure era scoppiata a piangere e, singhiozzando, era riuscita a spiegare a quell’uomo quel che era successo. Lui l’aveva tranquillizzata, le aveva dato tutto il tempo per calmarsi, poi le aveva chiesto di seguirlo. Si erano incamminati subito e dopo poco tempo avevano raggiunto un sentiero. “Da qui arriviamo alla mia postazione. Devo fare un rapporto, poi prendo l’auto e ti accompagno a casa.”, le aveva spiegato. Avevano proseguito per circa un chilometro sino a quando non si erano ritrovati dinanzi un piccolo prefabbricato in legno. “La mia stazione” le aveva detto aprendo la porta d’ingresso e facendola entrare. “Accomodati lì. Io faccio in un attimo.” Le aveva indicato una sedia appoggiata ad una parete. Cinzia si era seduta, stanca per la camminata e si era girata intorno con lo sguardo. Era un’unica stanza, abbastanza ampia, con una porticina da un lato (probabilmente un gabinetto, aveva pensato). C’era una scrivania con una poltroncina dietro, un mobile basso e scaffali dappertutto. La confusione regnava sovrana. L’uomo aveva preso posto dietro la scrivania. Aveva cercato dei moduli e, subito dopo, si era chinato affaccendato a riempirli. Erano rimasti in silenzio per pochi minuti, poi lui aveva rialzato il capo e le aveva chiesto con voce decisa: “ma che ci facevate tu e il tuo ragazzo in un posto come quello?” La domanda l’aveva risvegliata dal torpore in cui era caduta. Il tono, poi, l’aveva scombussolata. Imbarazzata, aveva incominciato a farfugliare mille stupidaggini ma l’uomo, con un cenno della mano, l’aveva interrotta. “Lascia perdere. Non ci vuole molto a capire perché eravate lì. Quello che mi sembra strano è come abbia potuto lasciarti da sola. E poi…” Cinzia lo aveva visto alzarsi e dirigersi verso di lei. Arrivatole accanto l’uomo aveva allungato una mano, accarezzandole il viso, “…una ragazza così graziosa.. ma come ha fatto a non approfittarne?” Cinzia era sconvolta da quella metamorfosi repentina, però non era riuscita a muovere un dito, né a fiatare. L’uomo aveva proseguito, spostando la mano sui capelli. “che belli! Allora, bambola. Cosa fate quando siete soli? Non è che rischiate la denuncia per atti osceni?” La ragazza era in balia di quell’individuo. “ma ci pensi? Se non fosse stato per me saresti ancora in mezzo agli alberi.” Si era allontanato di un passo, squadrandola. “Io dico che in qualche modo ti dovrai pure sdebitare. Sei d’accordo?”. Così dicendo aveva incominciato a sbottonarsi la patta dei pantaloni e, un attimo dopo, sfoderava un pene per metà eretto. “Toccalo, dai! Mica ti morde.” Ipnotizzata da quella visione, Cinzia aveva allungato una mano verso l’uomo e le sue dita erano andate a sfiorare la pelle del membro, sfacciatamente esposto. Quello si era avvicinato nuovamente. Ora aveva il pene tra le labbra, lo aveva sentito gonfiarsi subito. Una mano era scesa sotto lo scroto, l’altra aveva impugnato l’asta a metà corsa, mentre la lingua scivolava lentamente sulla punta. L’uomo l’aveva lasciata fare per qualche minuto, non lesinando apprezzamenti osceni sulle sue qualità di bocchinara, poi si era staccato. “fatti vedere un po’ meglio, ragazza.” L’aveva accompagnata verso la scrivania, facendola chinare col busto sul ripiano. Lei, docile, aveva lasciato che le alzasse la gonna sulla schiena e le sfilasse le mutandine. Un secondo dopo aveva sentito le dita ruvide frugarla nei luoghi più intimi. Provava vergogna, eppure quella violazione le stava piacendo. “Non mi sembri strettissima. L’hai già fatto?” Sotto quel tocco burbero ma sapiente, mirato a farla godere, Cinzia iniziava a perdere il controllo di se stessa. Voleva che finisse al più presto ma, dall’altro, sperava che quell’individuo continuasse nel suo gioco perverso. Gli aveva risposto di si. “Col tuo ragazzo?”. Si, certo. “L’hai mai tradito?”. No. “Davvero?”. Si, certo. Le dita le sembravano due pistoni impazziti. Stava tremando per l’orgasmo imminente. “Allora è tempo di superare questa cosa.” La ragazza si era dovuta aggrappare ai lati della scrivania per non cadere. Appena finito di proferire quelle parole, l’uomo aveva sfilato le dita dalla fregna inzuppata, sostituendole col suo cazzo. L’aveva sfondata brutalmente al primo colpo, sprofondandole dentro per l’intera misura. Poi ci aveva dato di brutta, pistonandola a più non posso. Le sembrava di impazzire per tutta quella foga. Le faceva male e, al contempo, stava provando un livello di godimento mai raggiunto sino ad allora. Aveva dovuto distendere tutto il busto sul tavolo per resistere in qualche modo alle spinte di quello che le sembrava un ariete. Lo sentiva sino in gola! L’aveva strombazzata alla grande. Aveva continuato in quella posizione per qualche minuto ancora. Poi, l’aveva butta giù, sul pavimento, senza per questo uscirle da dentro. Così aveva continuato a trivellarla mantenendo sempre un ritmo forsennato e, soprattutto, manifestando il massimo disinteresse alle sue esigenze. Eppure era stata lei la prima a raggiungere l’apice del piacere. Era venuta abbondantemente, urlando a squarciagola. Lui l’aveva imitata poco dopo, sfilandosi dal mezzo delle gambe per inondarle la gola. Venti minuti dopo quella scena, Cinzia scendeva dall’auto dinanzi il portone di casa sua. Ad attenderla, col viso preoccupato, c’era Piero. Le era andato incontro, scusandosi a più non posso e non aveva più smesso di ringraziare quell’individuo che aveva soccorso la sua ragazza.
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