Spalancandosi, la porta rivelò il sorriso ansioso di Sara; rimase piantata all’ingresso dell’ufficio, la mano sulla maniglia; le gambe divaricandosi tendevano il tessuto della gonna. Entrò al centro della stanza muovendosi sui neri tacchi alti, bella e decisa.Giorgio dietro la scrivania sembrava stanco. La luce del neon illuminava a raso la pelle del viso, irritata dalla barba che ricresce, e la fronte unta di sudore che rapprende. La mano destra manteneva la cornetta all’orecchio, la sinistra, ma non era mancino, scribacchiava un post-it logoro. Lo sguardo di Giorgio volò dai riflessi notturni della finestra alle calze di Sara, alla camicetta sbottonata in cima, al trucco e ai capelli perfetti nonostante fosse sera inoltrata. La sua mente era tutta per il Capo, dall’altra parte della cornetta, con cui stava discutendo la presentazione di un importante progetto per il giorno successivo; ci fosse o non ci fosse Sara, la sua dedizione al lavoro rimaneva immutata; solo sentì la pressione del sangue battergli più vivacemente alle tempie, mentre lei si avvicinava con lo sguardo di un rapace in caccia.Girò intorno alla scrivania, si posò dietro di lui e sporgendosi per baciarlo sulla guancia divise con lui il peso del seno, abbandonandolo contro le sue spalle. Gli mordicchiò la cartilagine dell’orecchio libero, il lobo; poi, sentendosi volgare, gli inumidì l’interno con la lingua. Aspettò alcuni secondi alle sue spalle un cenno di risposta. Delusa, planò in una stretta spirale, chinandosi sotto il suo braccio proteso sul tavolo, atterrando tra le sue gambe, appollaiata sotto la scrivania. Sentì la gonna risalirle lasciva lungo le cosce, ma nessuno la vedeva là sotto, lasciò correre.Gli occhi di Giorgio erano rimasti puntati alla porta, dalla quale a quell’ora non provenivano più rumori di attività. Si sentiva vecchio, affatico, desideroso di riposo, di una vita che gli restituisse ora quello che gli aveva sottratto da giovane. La carriera fulminea, il successo, il rispetto dei colleghi, sì ma anche notti tirate a lungo in ufficio, la casa vuota e sporca al ritorno, le donne tenute a distanza da un eccesso di rigore professionale.Un giorno ebbe paura. Alzatosi presto come sempre, ma con più stanchezza del solito, preso un caffè al bar sotto gli uffici che non lo risvegliò dal torpore, ebbe paura e non si presentò a lavorare. Si chiese mentre inghiottiva il caffè bollente in un sorso, se la sua fosse una vita che valesse la pena di vivere; una vita in cui le relazioni sociali si erano disidratate poco a poco, una vita in cui, può sembrare sciocco, non aveva più tempo neanche per andare al cinema. Quel giorno decise di non andare a lavorare, così i successivi. Forse, imponendo agli altri la sua assenza, voleva solo provare a se stesso l’importanza del suo ruolo, per trovare di nuovo gli stimoli necessari. Oppure aveva solo bisogno di staccare la spina. Non so. Fatto sta che davvero in quel periodo aveva ferma intenzione di mollare tutto, ricominciare in modo diverso; lavorava spesso fuori e i suoi colleghi erano abituati alla sua assenza: nessuno lo avrebbe cercato per un pezzo e lui ne approfittò il più possibile. Fu in quei giorni che incontrò e conobbe Sara. Sara giovane neanche trentenne, più giovane di lui, forte, viva, gioiosa. Sara appassionata amante, che gli donò le sensazioni di anni perduti e il coraggio di affrontare di nuovo la sua vita, di tornare al suo lavoro. Giorgio, superficiale, correva spesso il rischio di lasciarsi scivolare tutto tra le dita, come sabbia.Sara lo vide perso nei meandri dei suoi doveri. Lo riportò alla realtà, prendendolo alla patta con le lunghe dita ad artiglio e lanciando un grido stridulo abbastanza forte perché il Capo chiedesse all’altro capo di che cosa si trattasse. Lui sobbalzò guardando in basso; le prime rughe si addensarono ai lati degli occhi. Lo stava provocando. Freneticamente gli slacciò la cintura e la cerniera dei pantaloni, abbassò gli slip mettendo a nudo il suo sesso che gli cresceva tra le dita e mentre lui cercava di tirarsi indietro divincolandosi, lo afferrò con la destra, bloccandolo e tenendolo vicino al viso; lo guardava curiosa espandersi nel suo pugno stretto, il glande sbocciare alla luce. Giorgio, confuso, spiegò al Capo i nuovi dettagli del progetto. Sara si fiondò sul cazzo con la bocca, le labbra che si richiudevano intorno alla cappella e rimanevano serrate sull’asta mentre se lo spingeva in gola, giù fino alle palle e ritorno, sporcandolo di rossetto; colpì un paio di volte il glande con la lingua, lo liberò dall’abbraccio delle labbra e ne baciò la punta. Poi di nuovo tutto in gola.Giorgio farfugliò ancora qualche frase, balbettò, si inceppò. Era tutto rosso in viso. Inventò una scusa davvero stupida e riattaccò. Tanto stupida che Sara rise di gusto, mostrando i denti stretti sul cazzo. Giorgio era davvero alterato. La fece alzare e le sbottonò con furia la camicetta. Con violenza le tolse il reggiseno. Sara ebbe paura, era disorientata. La girò e la stese a pancia in giù sulla scrivania. Con un solo movimento alzò la gonna e abbassò le mutande a metà coscia.Rabbioso, senza nient’altro, la inculò. L’urlo di Sara si alzò di tono e potenza mentre il cazzo dell’uomo le violava il retto. Con le mani cercava di allargarsi le chiappe per alleviare il bruciore. A testa alta, le spalle tirate indietro, la bocca aperta in un grido ora muto, gli occhi spalancati, poggiava sulla superficie fredda della scrivania solo con il seno nudo e matronale. I capezzoli, nell’onda dell’inculata, venivano premuti continuamente contro i plichi, le penne, le grappette presenti sul tavolo di lavoro.Prossimo a venire, Giorgio uscì e la girò a pancia in su. Era avanzato di slancio con la foga di un esercito vincitore; ora, guardando i suoi occhi insaziabili, si ritraeva insicuro. Fu Sara, arpionandolo con le gambe dietro la schiena, stringendogli la vita tra le cosce, a costringerlo a continuare, a fotterla in figa. Guidando il ritmo della scopata con gli spasmi delle sue gambe contro il sedere di lui, aggrappandosi con le mani ai bordi della scrivania, abbandonava la testa reclinata oltre il bordo, gli occhi e la bocca socchiusi nell’estasi.Da quella posizione vide arrivare un ragazzo; era il neolaureato in carriera appena assunto che passava a salutare Giorgio. I due si somigliavano molto, nonostante la differenza d’età. Vedendo la scena, al ragazzo quasi prese in colpo; ma quando fiutò l’odore del sesso e vide la bocca della donna spalancarsi guardandolo, avanzò come inebetito, portandosi una mano alla cerniera.”Che cazzo fai, stronzo? Vai a farti inculare da qualche altra parte!”, lo fulminò Giorgio.Ma Sara mosse il braccio in un gesto d’invito ed emise un flebile mugolio di desiderio. Giorgio si zittì indispettito e il ragazzo si fece avanti, già con le braghe calate. Sara si aggrappò a lui abbracciandogli il sedere; a testa in giù, si accinse a prendere in bocca lo sconosciuto arnese. Non fu un pompino fine. Giorgio aveva dato forza ai suoi colpi, spingendo la sua donna contro il cazzo del giovane. Sara non poteva fare altro che farsi passivamente scopare in gola. Nonostante questo, il ragazzo venne in fretta, sottraendosi alla sua bocca come per un senso di colpa e le sborrò sul mento, sugli occhi, sulle guance, sulle labbra; il suo viso assunse una sorta di angelica bellezza. Così imbrattata, mentre il ragazzo si sistemava e scappava, Sara venne a sua volta; così, fatalmente, anche il suo amante dentro di lei. Giorgio chinò la testa ansimante sul suo seno, lei la abbandonò affannosamente all’indietro. Rimasero in quella posizione per alcuni istanti.Infine, Sara si ridestò, lo scosse e allegramente lo salutò: “Buona sera”.Giorgio sorrise e le prime rughe si addensavano ai lati della bocca; rispose: “Andiamo a casa”.
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