PrefazioneForse qualcuno storcerà il naso, o si sentirà offeso nell’animo leggendo questa storia, me ne scuso, ma è purtroppo un argomento che ormai troppo spesso emerge sulle pagine della cronaca quotidiana, affiorando da sottofondi di squallida provincia, dove a volte la mancanza di denaro, di lavoro e di cultura porta al degrado dell’animo umano e dei princìpi più sani dell’individuo. Questa storia è realmente avvenuta e mi è stata narrata dalla stessa protagonista che l’ha vissuta in prima persona alla fine degli anni settanta. Mi sono limitato a metterla per iscritto usando appunti in suo possesso e cambiando solo i nomi dei protagonisti per ovvie ragioni. Ho lottato molto con me stesso, in dubbio se pubblicarla o meno, e alla fine ho deciso per il si, credendo nel principio che storie del genere possono e devono servire anche per spronarci a lottare sempre di più contro quella piaga che risponde al nome di pedofilia.Mi scuso ancora una volta con quanti possano ritenere offensive le righe che seguiranno. Se lo stanno portando via. Chissà se lo vedrò ancora. E’ giusto che sia così, ma perchè allora sento dentro questo senso di angoscia, questo amaro in bocca? Eppure dovrei essere felice, finalmente sono libera. Libera! Sono anni che mi bagno le labbra con questa parola. Libera! Chissà com’è essere libera.L’hanno caricato sulla macchina, mi sembra quasi di vedere la scena, con le manette, in mezzo ai due uomini in grigio. Meno male che non ero lì a vedere; non so come avrei reagito. Forse qualcuno avrebbe pensato chissà che cosa; mio padre, mia madre, non avrebbero capito. No, non avrebbero davvero capito niente. E nemmeno avrei cercato di spiegarmi. E’ finita davvero, se lo sono portato via. E domani? E dopodomani? Libera. Che senso potrò dare a questa parola? E’ vero, continuano a dirmelo tutti, mamma, papà, Silvana: “Hai diciotto anni, solo diciotto anni, hai tutta la vita davanti, e ora puoi finalmente viverla”. Diciotto anni!Ne avevo qualcuno meno quando Sandro entrò per la prima volta in casa nostra. Mi ricordo come se mi guardassi allo specchio con gli occhi di cinque anni fa. Perchè allora mi guardavo spesso allo specchio. Qualche volta anche nuda; perchè mi ero accorta che stavo cambiando, il mio corpo stava cambiando. Ero ansiosa di veder crescere presto i miei seni. Volevo che diventassero come quelli di Marcella, la mia compagna di banco: aveva la mia età, ma i suoi seni erano già da donna. I miei invece erano ancora infantili, due montagnole che ombreggiavano appena il costato, con in centro due ciliegine rosse che si rizzavano al primo contatto ruvido, al primo soffio gelido di vento. Sollevavo le braccia per controllare se i peli che avevano cominciato a crescere sotto le ascelle deturpassero davvero la mia figura, come la pubblicità sulle riviste lasciava credere.Non mi sembrava: erano graziosi, invece, come fili d’erba ammorbiditi dalla rugiada. Castani, come i capelli e gli altri peli che qualche mese prima mi avevano ricoperto, in poco tempo, la “patatina”. La chiamavo così, la si chiamava così parlandone, tra amiche. “Patatina”. Ora, se ci penso, mi viene da ridere. O da piangere, perchè risento la voce di Sandro: “Allargati la fica con le dita, porcellina!”, “Se fai la brava e non rompi troppo i coglioni, quando vengono i miei amici te la faccio leccare da Peppe, che è uno specialista”. Patatina. Non sono più capace di chiamarla così nemmeno col pensiero. Ormai è la fica. Anzi, il ficone, come diceva Sandro ultimamente. “Hai visto che ficone ti è venuto a furia di prenderlo dentro? Guarda, ci passano quattro dita! Sei un po’ conciata per la tua età, ragazzina! prima o poi ti do una coltellata nella schiena, ti sbatto da qualche parte e ti sostituisco con qualche verginella. Parlo sul serio, sai?”Così è Sandro. Se uno non lo conosce non può rendersene conto. Non se lo può nemmeno immaginare, un tipo come Sandro.Quel giorno entrai in casa tornando da scuola. Sentii dire “Ciao”. Alzai gli occhi e lo vidi, appoggiato allo stipite della porta di cucina. Mi guardava con gli occhi socchiusi, con quel mezzo sorriso che avrei imparato presto a conoscere. Su per giù dimostrava la sua età, una trentina d’anni e aveva un viso bello e maschio, ma nei suoi tratti traspariva qualcosa di indefinibile, di vizioso. Era un amico di papà, mi spiegò mio fratello. Quella sera sarebbe restato a cena da noi.Continuò per tutta la sera a guardarmi in un modo strano. Mai nessuno mi aveva guardata in quel modo, prima. E sorrideva, in continuazione, sorrideva in quel modo strano. Ogni tanto mi rivolgeva la parola, sempre in tono gentile; ma sembrava quasi che lo facesse con sforzo, sembrava che le parole che mi diceva servissero più che altro a giustificare i suoi occhi costantemente rivolti su di me.Ci furono altre sere come quella. Sempre più spesso. Prima Sandro si faceva vedere in casa nostra un mese si e un mese no; poi tutti i mesi; poi una settimana si e una no; poi tutti i sabati; poi tre volte la settimana; alla fine, tutte le sere e quand’era libero anche durante il giorno. E tutte le volte mi guardava e sorrideva, mi diceva cose che non interessavano nè me, nè lui, nè le altre persone che lo ascoltavano, e mi guardava.Una sera, circa cinque mesi dopo quella prima visita a casa nostra, volle aiutarmi a sparecchiare la tavola e a portare in cucina i piatti sporchi. La mamma stava poco bene ed era rimasta a letto. Papà era già sprofondato nel suo sonnolento riposino davanti alla televisione, mio fratello appiccicava le figurine sull’album. Posai sul lavello una bracciata di piatti unti di sugo, e subito sentii due mani serrarmi i fianchi.Non era necessario che mi girassi per sapere a chi appartenevano. Restai immobile, senza fiato. Le mani salirono, lente. Le sentii sempre più su, fino alle ascelle. Sentii le dita protendersi in avanti, avvolgermi i seni, schiacciarli. Durò qualche secondo; poi le mani ridiscesero, ma questa volta come spinte da una molla. Le sentii infilarsi sotto il pullover, risalire veloci. le sentii entrare di prepotenza sotto il reggiseno. Le sentii sulla pelle, sui capezzoli che subito si indurirono. Le dita forti s’impadronirono subito delle due ciliegine, le strinsero, le schiacciarono. Rimasi ferma, non dissi una parola. La gola mi si era seccata.Quante volte ho pensato che se allora non avessi taciuto…Sentii le mani scivolare via, liberarmi i seni che immaginavo come solcati da bruciature, perchè in quell’immagine si traduceva la sensazione di calore che mi avevano lasciato sulla pelle. Mi sentii afferrare per la vita, rigirare bruscamente. Poi sentii una lingua dura e bagnata entrarmi di prepotenza fra le labbra, penetrarmi in bocca, scontrarsi con la mia lingua. Fu il mio primo bacio, e mi parve interminabile. La lingua di Sandro mulinava intorno alla mia, lambendola e bagnandola. La percepivo su ogni millimetro quadrato della mia lingua, e con tanta forza che non potei fare a meno di chiudere gli occhi e afferrarmi a qualcosa che mi sostenesse e mi aiutasse a reggere l’impeto di questo umido assalto. Ma l’unica cosa a cui potevo afferrarmi erano le braccia di Sandro. E l’abbracciai, lo strinsi. Sentii la lingua ritrarsi dalla mia bocca. Riaprii gli occhi. Vidi il sorriso di Sandro e sentii la sua voce rovesciarsi nelle mie orecchie in un sussurro.- Troietta. -Quella notte piansi, nel mio letto, sprofondando la bocca nel cuscino perchè mio fratello non sentisse. Risentivo in bocca il gusto della lingua di Sandro, la sua saliva. Risentivo sui seni le sue dita, la sua stretta. Li toccai. Spogliandomi non avevo osato guardarli, quasi temessi di dover constatare che quelle strisce di fuoco che la mia mente aveva immaginato esistevano veramente. Li toccai e li percepii intatti, ma caldi, come mai erano stati. I capezzoli reagirono al contatto delle mie dita, li strinsi, li stuzzicai. Smisi di piangere.La sensazione che le mie dita avevano trasmesso ai seni serpeggiò per tutto il mio corpo, la sentii scorrere come un ruscello su tutta la pelle, più giù, sempre più giù, fino a che la percepii chiaramente sul ventre, dentro il ventre, in fondo. Era come aver voglia di fare pipì, ma più immediata, più bruciante, più esigente.Portai una mano alla “patatina” facendola scivolare lungo tutto il mio corpo. Percepii sotto le dita i peli come rizzarsi all’improvviso al termine della levigatezza dolce del ventre. Erano cresciuti e diventati folti e lunghi, in quegli ultimi mesi. Li accarezzai, intrecciai con essi le mie dita, ci giocai. Ma la tensione, l’urgenza, mi venivano da più in basso, e le mie dita giocando ne trovarono la fonte nel bocciolo di carne che apriva il solco umido più sotto.E strinsi quel bocciolo, lo schiacciai, lo aprii rendendomi conto di quanto somigliasse a un fiore. E più giocavo con quel minuscolo fiorellino, più avvertivo dentro di me l’urgere di una frizione veloce, sempre più veloce. E le mie dita obbedirono a quell’ordine, sfrecciarono veloci immergendosi a turno nell’umidità del solco per poi scivolare leggere a lambire il bocciolo che fremente si rizzava al continuo contatto.Sentii qualcosa dentro di me frantumarsi, poi esplodere, ricadere in polvere. Le gambe mi si irrigidirono, i nervi di tutto il corpo mi si tesero fino a dolermi, ma le dita continuarono il loro frenetico lavoro, mentre il ventre mi si contraeva in spasimi ripetuti, il letto crollava sotto di me e la mia bocca sprofondava nel cuscino per nascondere un gemito lungo, forse un urlo.Inerte, la mano ancora schiacciata fra la morbidezza del materasso sotto di me e quella della peluria pulsante nel palmo, sentii qualcosa dentro continuare a tremare per lunghi minuti ancora, e alla fine il sonno.Il giorno dopo lui tornò a pranzo. Mi sorrise molto più del solito. Tornò anche a cena, la sera, e vidi il suo sorriso trasformarsi in ghigno quando si accorse che evitavo accuratamente di trovarmi da sola con lui. Quello che sentivo dentro non so se sarei in grado di descriverlo, se non a qualcuno che abbia vissuto un’esperienza analoga. Mi sentivo seguita continuamente dai suoi occhi; e i suoi occhi me li sentivo dentro, frugarmi, spiarmi, penetrarmi. Li sentivo sui seni, sulle labbra, sui fianchi, sulle cosce. Li sentivo aprirsi una strada nel solco del mio sesso. Li sentivo accarezzarmi i peli, le labbra umide. Dissi che stavo male, salutai e corsi a coricarmi.Mi spogliai in fretta, restai nuda davanti allo specchio, mi guardai. I seni mi parvero più rotondi, più aggressivi con le due punte rosse e irritate e la macchia di peli tra le cosce mai mi era sembrata tanto scarmigliata e selvaggia. Toccai quei peli, li arruffai ancora di più, li gonfiai sino a renderli simili a una capigliatura ispida. Poi allargai leggermente le gambe e con le dita sollevai quanto più mi fu possibile la pelle mobilissima che percepivo sotto quella pelliccia. Vidi nello specchio le labbra rosse, le dilatai fino a far comparire, timido e molle, il bocciolo di carne che la notte precedente mi aveva quasi uccisa rivelandosi.Lo toccai ripetutamente, ogni volta spingendo il dito a esplorare l’umidità di quel solco che, a ogni mio passaggio, si spalancava sempre più. Sentii più sotto la fonte di quell’umidità, vi penetrai con sforzo, sentendo cedere le lisce pareti. Trassi fuori il dito, bagnato fino all’ultima nocca. Un tremito mi prese improvviso, e temetti quasi di non riuscire più a reggermi in piedi. Spensi la luce e corsi sotto le lenzuola. Due minuti per assaporarne il crescente tepore, e poi di nuovo la mia mano corse là, spinta da una forza cui non era possibile resistere. Avvolsi con la mano tutto il mio sesso; percepivo sul palmo la dolce ruvidezza dei peli e sulle dita il tepore bagnato e pulsante della carne nuda. Mi rivoltai più volte su me stessa, volevo avvolgermi su di me, abbracciarmi, circondarmi, confondermi. Con una mano mi carezzavo le punte dei seni, con l’altra il sesso, poi cambiavo una mano con l’altra, portavo le dita alle narici per percepire l’odore aspro della mia vagina, e ancora volteggiavo su me stessa abbracciandomi, sconvolgendo lenzuola e coperte, carezzandomi le cosce, i seni, le natiche, finchè le dita della destra furono forzate da un’impellenza brutale a impadronirsi della carne bruciante tra le cosce. E per non so quanti minuti il medio della destra lavorò in un allucinante su e giù il punto strategico che aveva individuato nel mio sesso, in un viaggio doloroso che destò nelle mie viscere e su tutta la superficie della mia pelle sensazioni che poterono esaurirsi e trovarono una soluzione solo in un grido finale di liberazione.Rimasi lì così, in mezzo alle coperte sfatte, al mio sudore, al liquido che mi era sgorgato dal sesso e m’aveva bagnato le gambe ed era andato a formare una chiazza umida sotto di me. Ansimavo, e il mio respiro era tanto forte che fu un miracolo se riuscii a percepire il rumore provocato dalla porta nel corridoio che si apriva. Feci appena in tempo a infilarmi sotto le lenzuola; subito si accese la luce della stanza, entrò mia madre.- Gabriella, stai male? – mi chiese, il viso assonnato e preoccupato, lo strofinaccio in mano.- No, mamma, ma ho fatto un bruttissimo sogno, devo aver gridato, credo. – risposi. Non è mai stato difficile imbrogliare mia madre.- Dormi, ora. Vuoi dell’acqua? — No, grazie, mamma. Buona notte. -Mia madre uscì, e io mi rincantucciai sotto le coperte. Tremavo ancora per l’orgasmo che mi aveva scosso, violentissimo e imprevedibile, tremendo.Alla stazione dei pullman incontrai Marcella, la mia compagna di banco. Tutte le mattine prendevamo insieme il pullman che ci portava a scuola.- Ma cos’hai, non hai dormito stanotte? – mi domandò appena mi vide.- Non sto troppo bene, difatti. – ammisi.- Hai due occhiaie… – mi disse maliziosamente. – Non dirmi che anche tu… — Beh… insomma, ho fatto come avevi detto tu… più o meno, come avevi detto tu. – fui capace di dire.- Cioè ti sei sfregata il grilletto? — Beh, si – ammisi, – ma non solo quello. — Ti sei anche messa il dito dentro? – fece curiosa.- Si. Ma per poco, perchè è più bello sul… grilletto. — E sei riuscita a venire? Insomma, hai sentito qualcosa? — Si, si – dissi abbassando la testa.- Ma hai goduto davvero tanto? Ti sei bagnata? — Beh, certo. Si, è stato molto bello – affermai.- Quanto tempo ci hai messo a venire? – proseguì lei. – Io ieri sera ci ho impiegato un sacco. E’ strano perchè di solito in cinque minuti godo. — Io ce ne avrò messi dieci, credo… ma come faccio a saperlo, mica stavo lì con l’orologio. – mi irritai.- Va bene, scusami. In fondo se non ci facciamo queste confidenze tra noi amiche… — Comunque non so se lo rifarò, – ripresi.Arrivammo a scuola. La mattinata passò nel solito modo barboso. Marcella parlottò fitto fitto con il Luciano per tutto il tempo, mentre io me ne stavo lì, a pensare a me, a Sandro, al piacere che per due volte consecutivamente, le ultime due notti, aveva scosso il mio corpo. Sandro, le sue mani, la sua lingua. Una ossessione, per tutta la mattina.Quando uscii di scuola, all’una, quell’ossessione si materializzò davanti a me: Sandro era venuto a prendermi per riportarmi a casa.Se ne stava lì, appoggiato su un gomito al tettuccio della sua “cinquecento” scassata, fumava una sigaretta.Quando mi vide sorrise, quel suo solito mezzo sorriso.- Non te l’aspettavi, eh? Di farti il viaggio di ritorno in macchina? – disse ammiccando.- Come mai… – chiesi.- Passavo di qui e mi è venuto in mente che in questo lugubre luogo una bella ragazzina passa metà della sua giornata. Così mi sono fermato per aspettarti. — Grazie. Ma non doveva scomodarsi. C’è il pullman che mi porta quasi a casa. – dissi a muso duro.Non rispose, ed entrai in macchina dalla portiera che lui mi aveva aperto. L’abitacolo era saturo di fumo.Restai muta per tutto il tragitto. Ma quella strada io non ricordavo di averla mai fatta, nemmeno con mio padre.- Ma sei sicuro… cioè, ma lei è sicuro? – mi corressi.- Dammi pure del tu. Non sono poi così vecchio, mi sembra? – fece Sandro, carezzandomi con la destra i capelli. – E poi, fra noi c’è stato qualcosa, no? -Abbassai il capo. Non mi andava che ne parlasse.- Scommetto che prima non avevi mai baciato, vero? – chiese.- E’… vero – ammisi.- Non te l’ha mai detto nessuno che hai davvero due belle tettine? Piccole piccole, ma dure, lisce. E hai due capezzolini molto vivaci, sai? Basta toccarli che subito… — Oh la smetta! – lo interruppi. Avvampavo.- Scusa ma, ti faccio dei complimenti e tu mi tratti così? – disse divertito, gettando il mozzicone dal finestrino.- Vorrei che non si parlasse più di quella… cosa – dissi.- Avanti, dimmi che non ti è piaciuto – insistette.Tacqui. Potevo solo tacere.In quel momento Sandro sterzò bruscamente sulla destra. Mi accorsi che eravamo entrati in un sentiero in terra battuta circondato da siepi che nascondevano la strada alla vista. Qualcosa mi si bloccò nello stomaco, e mi accorsi di stare sudando. Ma non riuscii a dire lo stesso una sola parola. Sandro fermò la macchina dopo un centinaio di metri. Il silenzio era totale, non una casa in vista, nessuna macchina che mi rassicurasse passando.- Eh, bella la campagna, vero? – disse Sandro, stirandosi e sbadigliando rumorosamente.- Perchè si è fermato qui? – trovai finalmente il coraggio di dire. Lui mi guardò in modo strano.- Scusa, ma non eravamo rimasti d’accordo che mi dovevi dare del tu? – chiese.Non ebbi neppure il tempo di rispondere. Mi abbracciò e incollò le sue labbra sulle mie. Strinsi con forza i denti e le labbra, ma la sua lingua non impiegò molto tempo a farsi strada, e subito mi invase la bocca. Era il mio secondo bacio, e dopo pochi attimi di resistenza che sapevo inutile, mi abbandonai inerte alla bocca di Sandro.- Stai impallidendo, sai? – mi disse dopo aver staccato le sue labbra dalle mie. – E ci metti troppa poca passione. Riprova. -Nuovamente sentii il contatto della sua lingua sotto la mia, sopra la mia, intorno alla mia. Sentii anche le sue mani salire sul mio seno, sbottonare la camicetta, penetrarvi, sollevare la maglia, correre dietro la schiena, sganciare il reggiseno.La bocca di Sandro abbandonò la mia, corse giù a impadronirsi di un capezzolo. Restai abbandonata contro lo schienale, ma il mio corpo era sveglio, e la bocca come una ventosa intorno al mio capezzolo, lo destò ancora di più. Mi trovavo in una situazione assurda, mostruosa, che solo pochi giorni prima non sarei stata neppure in grado di concepire.- Vedi? – disse Sandro, staccando le labbra dal mio seno. – Vedi come si irrigidisce? Ti piace farti succhiare le tette, vero? Ti piace, no? E dillo! -Non parlai. Mi sentivo come una gallina cui stanno tirando il collo. Cosa potevo dire?Sentii uno scatto. Lo schienale si abbassò di colpo dietro di me e mi ritrovai sdraiata, con Sandro di sopra.- E adesso vediamo se anche il resto è bello come queste due tettine – sibilò al mio orecchio.Finì di togliermi di dosso la camicetta, la maglia, il reggiseno. Poi sentii lo zip della cerniera dei jeans.- NO! – gridai. – No! Ti prego, no! — Fai la brava bambina. Non voglio mica farti del male, cosa credi? Anzi… – disse lui.Mi sollevò per i fianchi, sentii i pantaloni sfuggirmi da sotto il sedere, giù per le gambe. Mi strappò via le scarpe, e i pantaloni mi abbandonarono del tutto.- Come non sopporto questi maledetti collant! – fece Sandro. – Erano così belle le calze che si portavano prima, con le giarrettiere! Che moda stupida! -Le sue mani afferrarono il bordo del collant, tirarono verso il basso. Sentii le sue nocche dure sfiorarmi la pelle nuda delle cosce.- Ma che mutandine porti? – Si mise a ridere, toccando il bordo delle mutandine di cotone. – Te ne comprerò di seta, hai capito? Di seta. – Mi misi a piangere. Sapevo che pregarlo non sarebbe servito a nulla. E mentre piangevo sentii le sue dita afferrare l’elastico delle mutandine, sentii il contatto di cotone sfuggire dal mio corpo. Il cavallo restò impigliato fra le mie cosce serrate e lui dovette tirare per riuscire a far scendere l’indumento. Me le abbassò lentamente e le sentivo scendere sulle cosce come le lacrime che mi scendevano sul viso. Ero nuda, e Sandro mi guardava proprio quel punto peloso che io avevo avuto sempre vergogna di far vedere persino a mia madre da quando mi ero sviluppata.- Guarda! Dio, che bella fichetta che hai! Come sono belli morbidi questi peli! – e intanto le sue mani carezzavano leggere il mio ventre, soffermandosi.- Di’, ma te ne fai ditalini? Sai cosa voglio dire, no? Dalle mie parti le ragazzine della tua età sono come cagnette in calore. Non te la darebbero mai, nemmeno per tutto l’oro del mondo. Ma stanno tutto il giorno lì a strofinarsela. In primavera nelle case dove ci sono femmine senti un odore particolare, dappertutto. Odore di femmina. Tutto il giorno se ne stanno a farsi ditalini. Lo dico perchè lo so, ho quattro sorelle… – Sembrò ripensare a chissà cosa, mentre le sue dita continuavano a tirare i miei peli.- Allora? Me lo dici o no? Te ne sei mai fatti? — No – dissi io.- E’ un peccato, sai? Dovrò cominciare proprio da zero – fece Sandro, scuotendo la testa.Le sue dita divennero più insistenti, spinsero più sotto, mi costrinsero ad aprire un po’ le gambe. Le sentii scoprire il punto che tanto tormento e tanta gioia mi aveva dato quella stessa notte.- E’ qui, capisci? Qui che bisogna toccare. Ma adesso non c’è più bisogno che te lo spieghi. Non hai più bisogno di imparare a farlo da sola. Adesso ci sono io, per farlo. -Le sue dita esperte scesero ancora di più, aprirono le labbra del mio sesso. Sentii la punta di un dito forzare l’apertura della vagina, entrare adagio, ma non tanto da non procurarmi un po’ di dolore. Sandro aveva ripreso a baciarmi, e la sua lingua era più esigente e affamata che mai.- Ti piace farti toccare qui? Di’ la verità, è bello. Lo capisco dalla tua faccia che ti piace. -Chiusi gli occhi, stavo abbandonandomi totalmente, ma bruscamente lui staccò le sue dita. Mio malgrado emisi un gemito. Ma presto la carezza ricominciò, e questa volta più dolce, ancora più dolce e delicata. Aprii gli occhi per un breve attimo, e non vidi più il suo volto sopra di me. Le sue mani mi stringevano i seni, e capii in un lampo che quella carezza tanto dolce era la lingua di Sandro a regalarmela. Sentivo la sua barba pungermi l’interno delle cosce, sentivo il suo ansimare profondo, sentivo la sua lingua percorrermi la fica (così lui l’aveva chiamata, e già sapevo che si chiamava così) in tutte le sue pieghe, la sentivo tentare l’ingresso del buco, la sentivo guizzare su per le labbra, la sentivo tornare sul grilletto che l’aspettava vibrante e ansioso come un piccolo animale.Quando venne il momento non riuscii a trattenere, come la notte precedente, un grido. Le mie gambe serrarono la testa di Sandro, ma la sua lingua proseguiva imperterrita in un lavorio che ora, dopo l’orgasmo, era divenuto quasi doloroso.Dovetti afferrarlo per i capelli, per farlo smettere.Sollevò il viso guardandomi beatamente. Metà della sua faccia appariva bagnata, dai lati della sua bocca sgorgavano rivoletti di saliva mista a qualcosa di mio, di profondamente mio.- L’ho detto subito che eri una troietta, – mi disse ridendo. – Vieni come neanche quelle del mio paese. Ti piace farti fare, eh? -Ansimavo ancora per il piacere appena provato. Ero come inebetita. Il rumore di un’altra lampo che si apriva mi giunse alle orecchie come da una lontananza inimmaginabile.Vidi il bastone di carne che si rizzava da un cespuglio ispido di peli neri. Non feci in tempo a pensare ad altro. Sandro mi aveva divaricata, aperta, spalancata. Le mie gambe, aperte a compasso, circondavano ora la sua vita nuda, mentre lui, con le dita, stava divaricando le labbra della mia patatina.Sentii il primo contatto, che percepii bruciante, della mia carne con la punta di quella cosa che avevo visto ergersi dalle cosce di Sandro. Sentii spingere, forzare. Non capivo se mi procuravano più dolore le dita strette sulle labbra dilatate, o quella pressione che si faceva sempre più penetrante. Sentii un dolore acutissimo, urlai a squarciagola agitando la testa.- Metà è dentro. Stai tranquilla – mi disse ansimando.Spinse ancora, sentii qualcosa in me cedere, squarciarsi, urlai ancora più forte e graffiai con le unghie la plastica del sedile. Mi parve di svenire, ma fu solo per pochi secondi. Le pareti della mia vagina percepivano ora un contatto rotondo e ininterrotto. Mi sentivo dilatata eppure riempita. E il contatto cominciò a rompersi, a frazionarsi. Era uno stantuffo, ora, che mi riempiva e mi abbandonava, andava e veniva, mi vuotava in un risucchio umido e tornava a comprimere dentro di me gli umori che non erano riusciti a farsi strada fino allo sbocco della mia natura.Il movimento si fece sempre più rapido, sempre più bruciante, ogni colpo dell’osso del suo pube contro il mio era un dolore nuovo, più violento del precedente.Sentii Sandro accelerare il ritmo del respiro, lo sentii ansimare, grugnire strozzato.Poi un affondo più violento, più deciso. Si fermò, e sentii la mia carne palpitante dilatarsi intorno alla sua carne che palpitava e si dilatava. Fiotti liquidi ardenti invasero il mio ventre, e ogni spruzzo era coordinato al risucchio diligente della mia vagina.Sandro si era abbandonato con tutto il suo peso sopra di me, le sue dita stringevano ancora i miei seni e i miei capelli. Il dilatarsi ritmico del suo arnese dentro di me cominciò a trasformarsi in un deflusso lento. Sentivo la sua carne man mano rimpicciolirsi, occupare sempre meno spazio, restringersi.Di scatto lo sentii ritrarsi. E fu forse più dolorosa l’uscita di quanto lo era stata l’entrata.Giacemmo lì distesi sui sedili ribaltati per qualche minuto, senza dire una sola parola.Sentivo sotto di me la plastica del sedile bagnata ed appiccicaticcia, ma non osavo muovermi, non osavo guardare.- E’ solo un po’ di sangue – disse Sandro aprendo gli occhi e guardandomi, – ma niente paura, capita sempre la prima volta. Il resto è roba mia! -Restai silenziosa. Avrei voluto piangere, ma non mi venivano le lacrime.- A proposito – riprese lui, – non andare a far scenate con tuo padre o tua madre, capito? Tanto sarebbe inutile. Mi deve troppo il tuo paparino; ma queste sono cose che riguardano solo noi uomini. -Non fu necessario che parlassi io. Mi si leggeva in faccia, se non proprio quello che era successo, almeno che qualcosa mi era successo. Non volli pranzare, corsi subito in camera mia e mi gettai sul letto. Sentivo le mutandine impiastricciate di sangue, ma ora c’era lì mia madre a riempirmi di domande, non potevo muovermi, non potevo fare niente.- Ma mi vuoi dire cosa ti è successo? — Niente, mamma, niente. — Piantala di contar frottole. Si vede che non sei normale. E poi lo sai che ore sono? — Ma non è successo niente, ti giuro! — Ho incontrato Marcella, prima. Mi ha detto che non sei tornata da scuola con lei. Mi ha detto che ti ha visto salire su una cinquecento e ho pensato subito che Sandro fosse passato di lì a prenderti. Era lui? — Si, mamma, era lui. -Mia madre tacque. Mi fissò per qualche secondo, poi corse di là, in cucina.Ero sdraiata a faccia in giù sul letto, e sentivo le voci dei miei genitori pervenire indistinte dalla cucina. La voce di mia madre era la più accalorata, mentre mio padre appariva calmo, ma di una calma rassegnata.No, decisamente, non ero più una bambina. Non solo.Avevo un uomo. Un amante. Mio.Rividi Sandro solo una settimana dopo.Era un sabato pomeriggio, stavo al mio tavolino a tentare di risolvere uno dei soliti problemi di matematica sempre uguali, eppure sempre tanto difficili.La porta della nostra casa non era mai chiusa a catenaccio. Entrò e disse “permesso”. Mia madre dalla cucina disse “avanti”. Corsi a nascondermi nello sgabuzzino, porta a porta con la cucina. Sentii tutto ciò che Sandro e mia madre si dissero. Tutto.- Disgraziato! Sapevo che ti saresti rifatto vivo prima o poi, ma non ti facevo così spudorato da tornare tanto presto. — Disgraziato, io? Ma Gianna ti sembra il modo di accogliere gli amici? — Amici? Senti maiale, tu hai un culo così per via che tieni in pugno quell’idiota di mio marito. Ma a me le barzellette non le racconti. Cos’hai fatto a Gabriella? — Perchè, t’ha detto qualcosa? — No, e io nemmeno gliel’ho chiesto. Perchè immagino benissimo cosa le hai fatto. E anche perchè so che lei non mi avrebbe detto mai niente. E’ ancora una bambina, ma certe cose le capisce e se ne vergogna. Piuttosto crepa, ma certe cose non me le racconta. — E allora come fai a essere così sicura? — Sandro, io ti conosco fin troppo. Lasciamo stare eh, che è meglio. -Tacquero per qualche minuto.Poi sentii ancora la voce di Sandro. Era una voce tranquilla, calma, la voce di chi sa che le carte in mano le ha lui.- Senti Gianna, non facciamo casini. Va bene, Gabriella mi piace, e se non sono diventato scemo, anche io le piaccio. E poi è molto più sveglia di quello che tu credi. D’accordo, è una ragazzina, ma in certe cose… E poi senti, se hai paura per quello che dice la gente, va bene, ti prometto che me la sposo, va bene così? — La sposi? Ma cosa credi che abbia io al posto della testa? Che cacchio sposi, se sei già sposato? — Ancora lì sei rimasta? Storia vecchia… ho in ballo le pratiche per il divorzio… -Altro silenzio, questa volta più lungo. Sentivo rumore di stoviglie, segno che la conversazione non aveva fermato mia madre intenta a rigovernare.- Insomma, Gianna, resti fra noi. Va bene, mi sono divertito con la ragazzina, e allora? Stasera ne parlerò anche con tuo marito e sistemiamo tutto. Fai conto che io sia fidanzato con Gabriella, ti va così? — Mi va?… mi va?… Fosse per me, ti spaccherei la testa, anche subito. — Lascia stare quella padella e ragiona. Ho trovato da affittare casa a Rho, fra poche settimane. Tuo marito, l’ultima volta, mi ha detto che ci verreste a stare volentieri anche voi, no? beh, la casa a Rho ve la trovo io. E vicino alla mia. Così Gabriella viene a stare da me, e già vi trovate con un peso in meno. Poi, con il tempo, sistemiamo anche il resto. -Non ce la feci più ad ascoltare e scappai in camera mia.Avevo in testa una grande confusione, non capivo più niente. Sandro che parlava a mia madre di sposarmi. Sandro che era già sposato con un’altra donna. Sandro che voleva che io andassi a vivere con lui, in casa sua. Vivere con lui. Vederlo in ogni attimo della mia giornata. Vederlo nudo. Sandro che mi spoglia e mi sale sopra. Sandro che mi infila dentro il suo arnese enorme quando ne ha voglia. Sandro che mi accarezza i seni, che mi bacia con la lingua. Mi spogliai, mi infilai sotto le coperte.Piansi, e continuai a piangere mentre le mie gambe si agitavano come lamine vibranti sotto le coperte, mentre le mie dita esaurivano il loro percorso in un senso, per subito iniziare quello in senso inverso. E l’altra mano venne in soccorso alla sorella per aumentare il grado di piacere che già stavo raggiungendo. Tre dita mi penetrarono, mentre le dita della destra infierivano, colpo su colpo, sul grilletto teso, rigonfio di sangue e di voglia. E mentre una mano camuffava se stessa, fingendo di essere Sandro e il suo strumento, l’altra mano era la mia consueta mano di adolescente che cerca di spegnere il fuoco che altrimenti non può venire estinto.Questo godimento nuovo, a distanza di una settimana dall’ultima volta che, con Sandro, avevo provato il piacere, mi fece rendere conto della mia debolezza, della debolezza della mia carne. E più che quelle che sarebbero state le decisioni di mia madre e mio padre, decretò la mia condanna.No, non ero la vittima di un bruto violentatore. Ero una femmina con la voglia di un maschio. Non impiegò molto tempo, Sandro, a completare la mia istruzione. Avuto il tacito consenso dei miei genitori, dalla domenica seguente il suo ritorno, volle che lo seguissi, con buona pace dei miei, a Milano, dove diceva, abitava una sua sorella che avrebbe desiderato conoscermi. Come futura cognata, si intende. Dentro di me ridevo: cognata! Una ragazzina, con i seni appena accennati sotto il maglioncino, con le gambe lunghe e magre sotto la minigonna, con la faccia ancora da bambina, bellina si, ma infantile… Cognata! Amante! Moglie!A Milano, logicamente, non c’era nessuna sorella.Salimmo per scale umide e vecchie fino a una specie di abbaino malandato. Sandro abitava lì, di quando in quando.Appena fummo entrati mi si gettò addosso. In meno di un minuto ero completamente nuda, davanti a lui.Si spogliò velocemente, e per la prima volta vidi il suo corpo completamente nudo. Era magro ma robusto, ben fatto; il petto ricoperto da un pelame folto ma corto, quasi lo curasse un parrucchiere. Sotto, si ergeva il membro, duro come mai avrei creduto la carne potesse essere. Potei vederlo bene per la prima volta in vita mia: un bastone di carne rigido, un po’ arcuato che si protendeva oscillando verso l’alto. Partiva da un cespuglio folto di peli irsuti e nerissimi. In cima pareva quasi il bocciolo di un tulipano mostruoso. Sotto, un sacco grosso come un pugno dondolava leggermente. Sandro mi fu subito sopra, mi trascinò sul letto, mi ci gettò. Poi fu la sua lingua dappertutto, sui capezzoli, sui peli della natura, nella natura. Mi rivoltò e sentii la lingua lambirmi i piedi, le gambe, il sedere. Mi divaricò le natiche e la sentii dolce percorrermi il solco del di dietro, soffermarsi a lambire il buco.Mi fece di nuovo girare, e mi strinse i seni in modo tanto violento che non potei non gridare.- Apriti! Apriti la fica con le dita! Dai! – urlò.Feci come mi diceva e con le dita dilatai le labbra preparandomi ad accoglierlo.Mi introdusse il suo bastone con un colpo deciso; le pareti erano bagnate, e sentii il membro scivolarmi dentro fino in fondo.- Ne sentivi la mancanza, di’ la verità. — No… ti prego… non parlarmi così! – lo supplicai.- Di’ la verità! – gridò.- Si… ne sentivo la mancanza. — Dillo che ti piace da morire, sentirtelo dentro! — Mi… piace da morire – balbettai.E intanto lo muoveva, dentro e fuori di me, e lo sentivo entrare e uscire, e davvero mi piaceva tanto sentirlo così in fondo.- Dai, muoviti anche tu – mi incitò.- Co… come – risposi smarrita.- Muoviti anche tu. Non così. Muovi il sedere, e non tenere le gambe lì così. Alzale, mettile intorno alle mie. -Feci come mi aveva detto, circondai le sue gambe con le mie, cominciai ad agitare il sedere muovendolo su e giù incontro ai suoi colpi, muovendolo lateralmente per sentire, in ogni punto della natura, il contatto del suo membro.- Così va bene. Dai, continua a muoverti. Continua. Dai. Più veloce. Così. Adesso dimmi che vuoi che ti goda dentro. — Voglio… che mi goda dentro. – dissi.Sentivo che anche per me stava venendo il momento. Non ci sarebbe più stato bisogno che lui mi incitasse a muovermi. Il mio corpo si stava agitando, scuotendosi contro il suo per accogliere il piacere che stava arrivando.- Si, così, dai, vengo, prendilo tuttoo! – gridò Sandro, e anch’io gridai qualcosa, ma non so cosa, in quello stesso momento, e afferrai i suoi fianchi, li strinsi per farli aderire sempre più velocemente e profondamente ai miei, per sentire il suo bastone scavarmi sempre più in profondità, per sentire il suo liquido schizzarmi dentro con più violenza.Restammo uniti, lui dentro di me, per non so quanti minuti.- Baciami un po’ tu – mi disse poi.- Come? – chiesi.- Mettimi la lingua in bocca, no? Come faccio io a te. -Avvicinai la mia bocca alla sua, gli infilai la lingua fra le labbra. Sentii il contatto della sua lingua, dei suoi denti.- C’è sempre qualcosa da imparare, no? – domandò poi.Non risposi. Più che alle sue parole ero intenta ad avvertire un’altra sensazione. Una sensazione che mi proveniva dal basso. Sentivo qualcosa gonfiarsi dentro la natura, estendersi e allungarsi fino a dilatarmi e riempirmi completamente, come qualche minuto prima.Lui si mosse, lento, lentissimo. Affondò nuovamente il suo membro dentro di me, lo ritrasse, lo infilò ancora, tornò a sfilarlo.I miei fianchi presero a muoversi ubbidienti al ritmo che i fianchi di Sandro stavano dettando.Durò un’eternità, sempre più veloce, dentro e fuori, ogni colpo mi strappava un gemito. Godetti una prima volta, e lo pregai di fermarsi, ma lui proseguì. Godetti una seconda volta, una terza. Ora, a intervalli regolari, il piacere, poi subito il dolore, l’irritazione delle mucose che dopo l’orgasmo cercavano un breve spazio di calma da quella tensione continua. Ma non si fermava. Godetti ancora non so quante volte, e ogni volta era un tremito insopportabile che scuoteva tutto il mio corpo e il mio cervello, erano suoni che mai prima avrei immaginato di udire dalla mia bocca, erano parole, implorazioni, preghiere.Alla fine venne, quando io, distrutta dai suoi colpi subiti ripetutamente per più di mezz’ora, stavo venendo per l’ennesima volta. E mi stupii udendo quello che gridai in quel momento:- Vienimi dentro! Godi, amore, godi! -Mi addormentai, dormii non so quanto.Quando mi svegliai mi accorsi che Sandro era nervoso, la faccia scura.- Dai rivestiti, sbrigati che andiamo. Ho anche finito le sigarette. -Mi rivestii in fretta, mentre lui sbuffava in continuazione e pestava i piedi imprecando perchè non aveva da fumare.Appena fummo in strada, mi sbattè di malagrazia dentro la macchina e partì come un pazzo, facendo stridere i pneumatici. Fu difficile trovare un tabaccaio aperto.Sandro bestemmiava in continuazione.- Porca troia che non sei altro, che cavolo ti sei messa a dormire a fare? Guarda che ore sono! Mi tocca riaccompagnarti a casa, e ho un affare fra mezz’ora. -Non vidi più Sandro per almeno due settimane. Furono due settimane di tranquillità per i miei genitori che parevano temerlo, e due settimane di ansia per me.Mi ero accorta di essere innamorata di lui in modo pazzesco. Non riuscivo a far passare una notte senza pensare a lui, ai momenti passati insieme la settimana prima. E, a furia di pensarci, mi prendeva la voglia e inevitabilmente dovevo masturbarmi ogni volta. Ma non mi bastava più. Volevo la sua lingua, le sue mani, il suo membro nel ventre.Finalmente ci trasferimmo a Rho, e proprio il giorno del trasloco lo rividi. Ci aspettava sotto la casa che avevamo affittato. Salutò mio padre, gli si avvicinò e parlò con lui a bassa voce. Mio padre chinò il capo, lo tenne basso nel corso di tutta la conversazione con Sandro.Poi mi chiamò, mi disse di prendere le mie cose e di andare con lui.L’appartamento che Sandro aveva affittato era a due passi dal nostro. In macchina vi giungemmo in un lampo.Portammo su le mie valigie, i miei libri, le mie cose. Ero una bambina che entrava nella casa del suo uomo tirandosi dietro, per un braccio, la sua bambola preferita.L’appartamento era costituito da una stanza con un largo letto matrimoniale, un cassettone, un armadio; da una cucina grande e spaziosa; da una seconda stanza che era la metà dell’altra, con un tavolo e alcune sedie, e dal bagno, piccolo ma con doccia.Per la dote che portavo non potevo certo lamentarmi.Sandro mi fece sistemare la mia roba nell’armadio. Volevo metterla addirittura in ordine, ma lui mi fermò.- Sbrigati, ho voglia di scopare. -Mi toccò buttare lì tutto alla rinfusa.Mi prese alle spalle e mi buttò sul letto.- Oggi te ne insegno una nuova – affermò ghignando.Mi spogliò, se possibile più velocemente ancora dell’ultima volta che ci eravamo visti a Milano.Come fui nuda, mi fece mettere carponi sul letto e si sistemò sotto di me a pancia in su, ma ponendosi in senso opposto. Prima che potessi dire qualcosa, mi aveva aperto le gambe ed aveva cominciato a leccarmi. Sentivo la sua lingua carezzarmi dappertutto fra le cosce, passando dal solco fra le natiche alla natura, lasciando una scia bagnata al suo passaggio. Poi sentii le sue mani che mi afferravano la nuca e mi spingevano verso il basso. Capii. Aprii la bocca e il membro di Sandro, guidato dalla sua mano, me la riempì. Mi ritrassi un poco, perchè me l’aveva spinto tanto in fondo da farmi soffocare. Lui guidò la mia testa in un movimento di su e giù sincrono all’andirivieni della sua lingua sul mio grilletto. Il suo membro sgusciava e penetrava nella mia bocca con sempre maggior vivacità e impeto. Sentivo la pelle sfuggire e ritornare, dentro e fuori, dentro e fuori.Dapprima con sospetto e un po’ di schifo, poi sempre più conscia e spavalda, la mia lingua faceva conoscenza con la levigatezza della pelle sottile, con l’acre sapore sconosciuto.E alla fine fu golosamente, perchè resa tale dalle sensazioni tremende che la lingua di Sandro mi stava regalando, che la mia bocca inghiottì i getti caldi che il piacere di Sandro stava tributando alla mia insospettata abilità.Mi staccai precipitosamente da lui, e mi guardai disperatamente intorno, alla ricerca di un fazzoletto o qualcosa che lo potesse sostituire. Non vidi nulla, corsi in bagno e scaricai nella tazza lo sperma di Sandro.Quando mi voltai per tornare nella stanza Sandro era davanti a me; mi colpì due volte, uno schiaffo per guancia.- Lo devi bere, hai capito? Imparalo! Ficcatelo nella tua testolina! Lo devi bere! – mi urlò in faccia mentre le sue mani mi stringevano le spalle in una morsa rabbiosa.Riaprii gli occhi, che avevo istintivamente serrato ricevendo i due schiaffi. Vidi Sandro davanti a me, trasformato, folle. Pur tacendo la sua espressione era un urlo in quel momento. Ero impallidita; altre volte mi era capitato di temerlo, ma mai come in quel momento il suo volto mi aveva terrorizzata.- Non lo sapevo… ti giuro… Davvero, non lo farò più. -Sandro sembrò calmarsi; mi voltò le spalle e tornò in camera. Io lo seguii a capo chino, sentivo ancora in bocca il sapore acre che lo sperma di Sandro mi aveva lasciato.S’era disteso sul letto; lo guardai. S’era acceso una sigaretta e fumava con boccate nervose e brevi. Nudo, il suo corpo abbronzato spiccava sul bianco delle lenzuola in un contrasto insopportabile. La sua virilità pendeva afflosciata sul ventre, e un’ultima stilla di liquido biancastro usciva lentamente dal minuscolo foro, andandosi a incollare sui peli scuri. Ormai ero la moglie di Sandro. O qualcosa del genere. L’amante, si dice, no? Ma a me piaceva pensarlo anche se Sandro una moglie l’aveva già.I miei genitori li vedevo tutti i giorni. Andavo a pranzo da loro, al ritorno da scuola. Ci si parlava poco. Ma non era della scarsa loquacità che avrei voluto lamentarmi, quanto del fatto che tutti e due non facevano che guardarmi con aria di commiserazione per tutto il tempo che restavo nella loro casa, e non mancando mai di riferirsi a me, nei loro brevi discorsi, con l’espressione “povera figlia mia”. Insomma, ero considerata la vittima della loro debolezza e di un uomo crudele, un mostro.Ma Sandro non era un mostro, e neppure era crudele.Beveva, questo si, e molto. E quando era ubriaco era veramente imprevedibile. A volte cadeva addormentato, in qualsiasi posto si trovasse; per terra, su una sedia in cucina, una volta nella vasca da bagno, fortunatamente vuota. Avevo imparato a trascinarlo da sola fin sotto le coperte, in quelle occasioni.Ma questo era nelle buone occasioni. Perchè altre volte aveva la sbornia cattiva, e allora dovevo prepararmi a sopportare il peggio. In qualche caso si accontentava di riempirmi la faccia di schiaffi e di lasciarmi lì, mezzo intontita, ad aspettare che si fosse addormentato per andarmi anch’io a infilare sotto le lenzuola. Altre volte invece erano dolori: perchè s’era magari messo in testa che quei cinque minuti di ritardo, che mi erano costati un ingorgo di traffico nel quale s’era cacciato il pullman di linea, li avessi trascorsi in compagnia di chissà quale imprecisato compagno di scuola.- Se ti becco anche una sola volta con uno di quei stupidi figli di puttana, lo sai cosa faccio? A lui taglio i coglioni e glieli infilo in bocca. A te ti porto a casa e comincio a spegnerti le sigarette sul pancino. -A mezzogiorno, andavo a pranzare dai miei, in quell’atmosfera insopportabile che ho già descritto.Poi, o restavo a casa dei miei a studiare fin verso le cinque del pomeriggio, o correvo di nuovo a scuola, per le due ore di lezione di applicazioni tecniche o musica.Alle sei arrivavo puntuale a casa di Sandro, in ogni caso.Avevo la chiave, e salivo indisturbata fino al terzo piano. Non c’era portineria. Appena in casa, cominciavo a pulire in giro; poi era la volta di fare una scappata nei negozi ad acquistare qualcosa da preparare per cena. I negozianti della via avevano imparato a conoscermi, e pensavano che io fossi la figlia di qualche nuovo abitante del rione.Alle sette e mezzo c’era già qualcosa a bollire o a friggere sui fornelli; mai qualcosa di molto speciale, perchè più di tanto mia madre non mi aveva mai potuto insegnare. Comunque devo dire che mai Sandro ebbe a lamentarsi della mia cucina: o perchè mai gli venne in mente, o più probabilmente, perchè tutte le sere tornava tanto affamato che avrei potuto benissimo mettergli nel piatto un brodo fatto con calzini sporchi, o delle suole da scarpe ai ferri, che non se ne sarebbe accorto.Sandro arrivava puntualmente alle otto. Non ho mai capito il perchè di tanta puntualità, visto che, a quanto ne so, lui non ha mai avuto un lavoro precisamente accertabile. Per quanto ne so, avrebbe potuto essere impiegato in banca, o commesso, o ingegnere. Ora dicono che probabilmente trattava affari poco puliti. Ma giuro che, se anche fu così, mai mi coinvolse in qualche modo.Una sera che Sandro non aveva bevuto nè più nè meno del solito, mentre ce ne stavamo sul letto a riposarci dopo un rapporto abbastanza vigoroso, mi disse:- Sai che stavo pensando che, in tre mesi che facciamo l’amore, ancora non ti ho fatto una certa cosa? -Sentii la sua mano scendere sul mio sedere, sentii le dita divaricarmi leggermente le natiche, e alla fine percepii la durezza della sua unghia esplorarmi il buco del sedere.- Dentro qui ancora non te l’ho infilato, vero? — Co… Coosa? -Lo guardai impaurita: sorrideva. In queste occasioni Sandro sorrideva sempre, compiacendosi della sua inventiva, delle sue scoperte. In realtà non mi era mai passato per la testa che quel particolare buco potesse essere usato per altre funzioni che non fossero quelle conosciute come naturali da tutti.- Succhiamelo un po’, leccalo bene, – mi sussurrò, – con tanta saliva. -Deglutii un paio di volte, e feci come Sandro mi aveva detto. Lo presi in bocca, e la mia lingua lo avvolse in spirali umide. Me lo tolse di bocca gocciolante, quasi fosse appena venuto. Mi afferrò ai fianchi, facendomi distendere a pancia in giù; sentii il suo alito scendermi lungo la schiena, le sue mani divaricarmi oscenamente le natiche, la sua lingua immergersi nel buchetto, leccarlo stuzzicandolo. Poi un fiotto di saliva calda colarmi lungo il solco fino ad andare ad arrestarsi nello stretto pozzetto, allagandolo. Le mani di Sandro mi afferrarono più saldamente alla vita, mi fecero distendere sul fianco destro.Le sentii poi, quelle mani, dilatarmi le natiche con forza. E la sua voce:- Cerca di restare calma e non ti agitare. Anche se sentirai male non muoverti o ti prendo a sberle. Hai capito? -Mossi la testa in segno di assenso; ero terrorizzata, tremavo come una foglia e avevo la pelle d’oca in tutto il corpo.La punta del pene di Sandro percorse un breve itinerario lungo il solco fra le mie natiche tremanti, prima che le pareti dilatate del buco ne percepissero il contatto rovente. Le mani di Sandro, nel dilatarmi le natiche, provocavano nello stesso tempo una perfetta aderenza del suo ventre alla mia schiena. Sentii la pressione della punta enorme scavarmi un varco, aprirmi, spaccarmi in una progressione lenta e inesorabile. “Mi penetra”, pensavo, “entra, lo sento millimetro dopo millimetro, mi uccide”Un grido lacerante mi sfuggì dalla gola e tentai selvaggiamente di scostarmi da lui. Non potei allontanarmi di molto però, le mani di Sandro mi trattenevano saldamente bloccata contro il suo ventre. Urlai ancora. Il mio fu un urlo disumano, mi mancò il respiro. Il mio ano vergine aveva ceduto con un rumore sordo ed io mi sentii lacerare. Mi sembrò d’avere un palo enorme e rovente conficcato nel sedere.Non avevo dimenticato il dolore che mi era costato la perdita della verginità: ma questo nuovo dolore, a paragone col primo, era tanto più intenso e più bruciante, quanto più bruciante era il rendermi conto di questa nuova verginità violata.- T’avevo detto di non muoverti, troietta! – mi sibilò in un orecchio. – Ancora non ho nemmeno cominciato col tuo culetto. Non t’azzardare più a muoverti o ti concio per le feste a schiaffoni. Hai capito! Mi hai capito? – mi urlò alla fine.- Ssi… si. – riuscii a balbettare, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime.Lo sentii avanzare millimetro dopo millimetro. Era grosso… troppo grosso perché io potessi sopportarlo… volevo alzarmi, respingerlo, ma la stretta delle mani sui miei fianchi era ferrea.La stretta delle mani di Sandro, la sua penetrazione dentro di me, divennero fatti metallici, eccessivi, quasi fosse una macchina d’acciaio ad aprirmi in due, a penetrarmi in quel modo atroce. Morsi selvaggiamente il cuscino, rantolando.Ma non era metallo quella cosa che sentivo farsi strada dentro di me; perchè la sentivo calda, insopportabilmente calda, bruciante. Sandro dette un colpo deciso, risoluto; urlai come ferita a morte sentendo le ondate di dolore percorrermi tutti i nervi del corpo.Ora il suo ventre aderiva in modo perfetto ed impietoso alla mia pelle. Percepivo sulle natiche il contatto setoso dei peli del suo pube, mentre non percepivo più la sua carne dentro di me, perchè il dolore atroce provocato dalla penetrazione totale era stato talmente forte che ora avevo perfino perduto la cognizione del buco del mio sedere, quasi che al suo posto si fosse aperta una voragine bruciante. Mi resi conto che le lacrime mi stavano bagnando le guance. Sandro, dietro di me, immobile, ansava.- Ti ho fatto molto male? – mi sibilò in un orecchio.- Ssi… no… un po’… – Cosa valeva, cercare di dargli un’idea del tremendo dolore che la sua carne indurita mi aveva provocato, penetrandomi?Quella mazza enorme mi faceva un male lancinante e mi faceva sentire atrocemente la sensazione di essere invasa, riempita, dilatata. Gridai e piansi sempre di più quando lui iniziò a muoversi avanti ed indietro. Sandro si spingeva dentro sempre di più, sembrava volerci entrare anche lui dentro il mio di dietro. Quando lo faceva, mi prendeva con le mani dai fianchi e tirava verso di lui ed io sentivo le mie natiche schiacciate e quel suo grosso arnese infilato dentro incredibilmente a fondo.Sentii ancora le sue mani allacciarmi i fianchi, sollevarmi, pur restando la sua carne dentro di me. Mi fece inginocchiare e lui si sistemò in posizione analoga dietro di me. Mi appoggiai con le braccia alla spalliera del letto. Ora il dolore stava lentamente defluendo e, per ogni grado di bruciore in meno, percepivo un centimetro in più del membro dentro di me. E alla fine riempì il mio buco aperto, offerto.E Sandro ricominciò a muoversi, uno stantuffo lento e regolare che saliva e scendeva, e le mie viscere si aprivano e si chiudevano davanti e intorno al pistone di carne che si muoveva, si muoveva, rigido, violento, cattivo.- Masturbati. – mi sussurrò all’orecchio.Esitai, non mi mossi, ancora intontita dal dolore.- Dai, fatti un ditalino, – riprese. – Come credi di poter godere, se no? -Tenendomi in equilibrio sul braccio sinistro appoggiato alla spalliera del letto, portai la mano ad incontrarsi con il piccolo triangolo peloso; divaricai ancora un po’ le gambe e trovai con le dita il piccolo molle cappuccio. Cercai di coordinare il movimento della mia mano con l’andirivieni regolare di Sandro dentro e contro di me.Sentivo i testicoli ondeggiare, urtando ogni tanto le mie dita, che scendevano a inumidirsi.Venni velocemente incontro a un primo inatteso orgasmo, che mi scosse il corpo con una violenza esagerata; e mi sentii improvvisamente svuotata. Il mio movimento brusco aveva provocato la fuoriuscita del membro di Sandro dal mio ano.Lo sentii pronunciare una mezza bestemmia a denti stretti, e subito mi resi conto di essere stata prontamente infilata di nuovo, e questa volta senza dolore, ma in modo umido e viscido, quasi che le pareti del mio retto fossero state cosparse di olio. Sandro continuò nel suo movimento allucinante dentro di me, continuamente, per lunghi minuti. Sentii rinascere dentro la voglia, e ripresi a masturbarmi.- Dimmi quando vieni – mi bisbigliò Sandro, – voglio venire insieme a te. -Mi masturbavo velocemente, le mie dita percorrevano, rapide come farfalle, tutta la superficie nuda del mio sesso per tornare ad insistere, dopo ogni volo, sul piccolo grilletto erto e bruciante.- Fai presto – sentii di nuovo la sua voce. – Fai presto che non ce la faccio ancora per molto. — Si, adesso, ci sono… – ansimai.Venni, rantolando, e sentii l’urto accelerato del pube di Sandro contro le mie natiche, sentii la carne di Sandro sfregare con la rapidità di una fresa le pareti del mio retto infiammato, sentii gli schizzi caldi invadermi l’intestino, e sentii il piacere riempirmi e defluire poi dal ventre in onde larghe, sempre più larghe.Restò dentro di me, e l’immagine che mi venne spontanea alla mente fu quella della peretta di gomma con cui, io piccola, mia madre curava i miei sporadici mal di ventre. Un’immagine non visiva, ma a livello di sensazione interna: quegli spruzzi, quel fluire liquido nelle mie viscere…Tanto che quasi mi spaventai quando Sandro, abbandonato sulla mia schiena, mi chiese:- Ti è piaciuto il clistere? -Si ritrasse di colpo, creando un vuoto improvviso nel mio buco che iniziò a contrarsi lentamente, un liquido vischioso colava fuori, gocciolando sulle lenzuola e coprendomi i peli intorno alle labbra della natura.Sentii qualcosa, un’impressione, uno stimolo…Mi alzai di scatto e corsi al gabinetto, mi sedetti sulla tazza del water ed evacuai.Sentivo la risata di Sandro provenire dalla stanza.I mesi passarono, così, sempre uguali i giorni, sempre uguali le notti. Amore, schiaffi, odore di alcool, compiti in classe e compiti a casa, cinghiate, ancora amore, letti disfatti, padelle sui fornelli.Compii quattordici anni. Sandro comprò una torta, che mangiò quasi tutta lui, e dei fiori che gettai il giorno dopo perchè durante la notte, Sandro, ubriaco, tirò una scarpa per colpirmi, ma colpì invece il vaso nel quale li avevo messi, fracassandolo. Il giorno dopo i fiori erano tutti appassiti, sparpagliati sul pavimento in una pozza d’acqua. Ne conservai uno, che tengo ancora nel vocabolario di francese, alla pagina “Amour”.A scuola, non so come, andò bene. Fui promossa. I miei compagni mi guardavano sbalorditi: ero passata in mezzo a loro, ero stata una di loro per sei mesi quasi, senza lasciare la minima traccia della mia presenza. La cosa aveva senz’altro stupito moltissimo anche i miei professori, convinti senza dubbio di trovarsi di fronte a un soggetto diligente e studioso, ma quanto mai scontroso e misantropo.L’estate la passai in città con i miei. Sandro se ne andò, non ho mai capito dove, per un mese. E fu per me un mese penosissimo. I miei non parlavano, con me, che delle faccende spicciole riguardanti la vita domestica. Ormai, mi consideravano anche loro “la donna di Sandro” se non proprio “la moglie di Sandro”. L’unica persona con la quale potevo ancora passare qualche ora serena era il mio fratellino. Non aveva capito molto dell’intera storia, e pensava che io stessi con Sandro a fargli da cameriera o qualcosa del genere.Passò l’estate, Sandro tornò e io tornai con lui.Doveva essere stato al suo paese, me lo suggeriva la sua pelle. Abbronzata, scura, calda, confessava di essere stata esposta per lunghe ore ai caldi raggi del sole del sud.Come la sua pelle, nero, pareva anche il suo umore. Dovetti rendermene conto ben presto. Fece l’amore con me la prima volta una settimana dopo il suo ritorno. Per ben tre volte mi rispedì, nel corso di quella settimana, a casa dei miei: diceva che aveva bisogno di star solo per riflettere. In effetti, le sue meditazioni erano accompagnate da bottiglie di birra a non finire: un giorno ne contai tredici vuote, sparse per tutta la stanza, e la sera prima non ne avevo vista neppure una.Ma se quella settimana non fece l’amore con me, neppure mi picchiò. Con la ripresa quasi regolare dei nostri rapporti a letto, riprese anche il suo comportamento violento.Ho detto quasi regolare perchè Sandro sembrava molto cambiato sotto quel profilo. Gli veniva voglia di scopare solo nel primo pomeriggio, ora era quasi sempre a casa, e il tutto veniva eseguito nella maniera ortodossa, e molto rapidamente. Un altro anno passò. Stava per finire anche questo anno scolastico, ed io compii quindici anni. Era stato un anno tranquillo, tutto sommato. Sandro l’avevo visto sempre meno, ma anche stare con i miei, mi scocciava. Così, preferivo starmene a casa sua anche quando lui non c’era; leggevo, facevo le pulizie, lavavo, ascoltavo la radio, di sera mi mettevo comoda in poltrona a guardare la televisione. Se dovessi fare un conto preciso, penso che scoprirei che, nel corso di quell’anno, furono più le volte che mi masturbai di quelle in cui feci l’amore con Sandro.Venne un’altra estate, e Silvana (una mia compagna di classe) mi invitò ad andare a stare da lei, nella sua villa a Rapallo, per un paio di mesi. Inutile dire che Sandro, quando glielo chiesi, si mise a ridere e mi chiese se per caso davo i numeri. Mi rassegnai a trascorrere in città anche questa estate; ma con rabbia, perchè sapevo benissimo che Sandro, i suoi due mesi al sud se li sarebbe fatti senz’altro. Come infatti avvenne. Me lo vidi ricomparire davanti dopo due settimane di assenza; dopo cinque minuti che era in casa mi ordinò di preparargli le valigie.- Parti? – gli chiesi.- Già. Contenta? – sorrise lui.- Perchè? Tanto non ci sei mai. Che differenza fa? — Ti dispiace, eh, che non ci sia mai? – disse prendendomi il mento nel palmo di una mano.- Lo sai che mi dispiace. Lo sai… — Lo so, lo so. Ma dimmi un po’, di cos’è che senti la mancanza quando non ci sono? Di questo? – e si toccò l’inguine.Non replicai, abbassai la testa.- Si, eh? Di questo, vero? – insistette Sandro. – E allora vieni, te ne do un po’ prima di andar via. Contenta? -Mi trascinò sul letto e mi fece sdraiare di traverso, si sbottonò i pantaloni e mi mostrò il suo membro eretto.- Dimmi che lo vuoi – mi disse facendomelo ondeggiare davanti agli occhi.- Lo voglio, Sandro, lo voglio – dissi, e mai ero stata più sincera; era già quasi un mese che non facevamo più l’amore. Sandro mi si buttò addosso, mi sollevò la gonna e mi tirò giù le mutandine. Me l’infilò dentro di brutto e io lo sentii entrare bruciante e invadente come sempre. Sandro prese a scuotersi sopra di me, scuotendomi insieme con lui.Sentivo qualcosa rinascere nel mio ventre, sentivo la presenza enorme dentro di me gonfiarsi e penetrarmi. Venni quasi subito, tanta era la voglia accumulata. Gridai.- Sandro, ti amo, Sandro! -Lui continuò a darmi colpi su colpi, ancora per qualche minuto, poi si sfilò e pretese che mi voltassi a pancia sotto. Capii subito cosa voleva da me e cercai di farlo desistere. Non ero mai riuscita ad abituarmi a quella inusuale e perversa maniera di fare l’amore, e ogni volta mi facevo un male incredibile.- Sandro no, per favore, almeno questa volta non farmelo in quel modo. Lo sai che mi faccio male… – lo pregai.Mi guardò facendosi cattivo in faccia.- E cosa vuoi che me ne freghi a me, accidenti! Che cosa credevi? Voglio divertirmi e lasciarti un bel ricordino prima di partire, e tu ora mi farai divertire… -Mi afferrò con forza ai fianchi e mi rivoltò come una frittata, mi schiaffeggiò sulle natiche, e poi le sue mani, dure, arrabbiate, mi strinsero i fianchi come se invece dei fianchi, tra le mani stesse stringendo il mio collo.Sapevo che stava per arrivare un dolore fortissimo e trattenni il respiro.Eccolo. Lui spingeva e sforzava per sodomizzarmi. Ma non riuscivo a lasciarlo entrare. Sarebbe stato meglio, avrei sentito meno male, ma non ero più eccitata, per niente, ed ero chiusa, stretta, serrata. Sentii la pelle tirare. Perché lo stava facendo? Perché voleva avermi in questo modo? Mi aveva già avuta in ogni modo, ma così, contronatura, contro la mia volontà…Lui si fermò per un attimo, ansava.- Allora non vuoi proprio soddisfarmi ? Ma che cazzo di amante sei?… -Sempre più arrabbiato, mi schiaffeggiò nuovamente le natiche.- Toccati, dai, infilati un dito dentro…muoviti, fatti venire un po’ di voglia…sei solo una grandissima troietta…ma io adesso voglio godere, hai capito?!…Hai capito?! -Feci come lui mi aveva detto, volevo che tutto finisse al più presto. Mi accarezzai come potevo, cercando di arrivare al mio sesso tra il letto e il mio corpo schiacciato dal suo.- Fammi vedere come te lo infili… dai, così… dentro e fuori, dai… -E intanto era di nuovo lì, che cercava di entrare e spingeva. Doveva sentire male anche lui, non era possibile che non fosse così, ma continuò a sforzare la mia carne finche fu dentro. Eccolo, era entrato… che male atroce… mi sentii svenire… mi sentii morire… mi stava dilaniando… era arrivato, tutto dentro.Allora affondò con tutta la forza che aveva, continuando a stringermi per i fianchi, e io piansi, mugolai, mi disperai, pregai, e aspettai solo che arrivasse il suo liquido sperma a bagnarmi, per avere un po’ di sollievo.Partì dopo mezz’ora. Sulla porta di casa mi guardò col suo solito mezzo sorriso.- Non ti mando dai tuoi, se non ne hai voglia. Vuol dire che mentre sarò via ti divertirai a dipingere le pareti e il soffitto. Non sto scherzando. Ti lascio, vediamo… ecco, facciamo centocinquantamila lire. Dovrebbero bastarti, no, per due mesi? Dovrai comprarti anche i colori, i pennelli e una scala. Inutile dirti di non provarti a fare cose di cui poi ti farei pentire. Ci siamo intesi, no? -Spesi ventottomila lire, e mi parve una cifra enorme, per colori, pennelli, rullo e scala. Me ne restavano centoventidue per sopravvivere fino al ritorno di Sandro, e mi parve, tutto sommato, che fossero sufficienti alle mie esigenze.Il materiale acquistato, mi disse il negoziante, mi sarebbe stato portato da un garzone nel pomeriggio. Era una bella giornata, e io ero una creatura libera e indipendente che poteva permettersi il lusso di andarsene a spasso fino all’ora che riteneva opportuna. Passai in diversi negozi ad acquistare alimentari, in edicola a scegliermi qualche giornalino che avrebbe impegnato i miei momenti di relax. Tornai a casa e mi cucinai una bistecca, accompagnandola, sulla tavola, con un bel piatto d’insalata mista. Mi versai un paio di bicchieri di vino, cosa che quasi mai facevo, ritenendo che un alcolizzato in casa fosse fin troppo. Alla fine del pranzo ero lì, intontita dal caldo e dal vino, con un giornalino in mano, padrona di una casa che non era mia. Cercai un po’ di fresco sedendomi a leggere sul pavimento del balconcino che dava sul cortile, ma l’afa era tale che, senz’altro, per sfuggirle, avrei dovuto immergermi in una vasca d’acqua gelata. Pensai quasi di farlo, ma riflettei che non era opportuno, avendo appena terminato di pranzare. Decisi piuttosto di spogliarmi, e rimasi in mutandine e camicetta. Stesi un giornale in terra per non sporcarmi e ripresi a leggere il giornalino, dopo essermi di nuovo seduta.Il trillo del campanello mi riscosse da una specie di torpore strano. Mi alzai, intontita, per andare ad aprire, e mi accorsi di quanto succinto fosse il mio abbigliamento solo leggendo lo stupore dipinto sul volto del ragazzo che mi stava davanti.Ormai era troppo tardi per correre via confusa a rivestirmi, mi limitai pertanto ad invitare il garzone del colorificio a entrare, con scala, barattoli e tutto il resto.Era un ragazzo biondo, alto, dimostrava diciotto o diciannove anni. Chiaramente imbarazzato dalla situazione, entrò, cercando di non far vedere che i suoi occhi, più che cercare un posto dove sistemare il materiale, erano intenti a percorrere le mie gambe per tutta la loro lunghezza, per andarsi a fermare sul triangolo scuro che, sapevo, spiccava appena velato dal nylon delle mutandine, neppure nascoste dalla corta camicetta che mi arrivava, si e no, all’ombelico.- Beh, dove la metto ‘sta roba? – mi chiese alla fine.- Lasciala pure qua in anticamera, – dissi; non mi pareva di dover usare il “lei” con un ragazzo più o meno della mia età.- Il padrone mi ha detto che dovevo anche spiegare come si deve fare per diluire il colore e tutte le altre cose. — Ah, si. Io non me ne intendo per niente – dissi.- Ah, perchè sei… tu che devi dipingere le pareti? – fece lui un po’ stupito.- Già – dissi, – e sarà meglio che ti faccia vedere anche le altre stanze. Così magari mi dai un parere coi colori. Ti va? — Va bene – disse. – Ah, mi chiamo Sergio, se ti interessa. — Io Gabriella – mi presentai.- Ma abiti da sola, qui? — Beh, di solito no. Ma adesso i miei sono via – mentii, – e mi tocca fargli trovare la casa ridipinta per quando torneranno dalle vacanze. -Condussi Sergio a visitare le varie stanze, dicendo quali erano i colori che avevo scelto per ognuna. Lui commentava dicendo “si, perchè no”, “si, mica male”, ” sarebbe meglio il verde qua e l’azzurro la”.Andammo in bagno e lui mi spiegò come avrei dovuto stemperare il colore nella vaschetta apposita, e come avrei dovuto fare per strizzare il rullo dopo averlo impregnato di vernice.Mi chinai sulla vaschetta per eseguire, e feci scorrere il rullo gocciolante sulla reticella metallica.Sergio si chinò anche lui, e mi afferrò il polso per aiutarmi a far ruotare il grosso rullo nel senso esatto.Sentivo il suo corpo aderire al mio, la sua coscia premere sul mio sedere quasi nudo, la sua mano stringere la mia. Una ventata calda mi percorse la pelle, il viso mi avvampò. Sentii l’altra mano di Sergio appoggiarsi sul mio fianco, stringere, palpare; non reagii, e continuai l’operazione con il rullo. Sergio mi baciò sui capelli. Io continuai a occuparmi del rullo e del colore che ne colava.- Sei bella, Gabriella – mi sussurrò all’orecchio.- Senti… – dissi rialzandomi e voltandomi di scatto.Sergio incollò le sue labbra sulle mie, sentii la sua lingua aprirsi un varco fra le mie labbra, incontrare la mia lingua e lambirla, mentre le sue mani mi stringevano le braccia.Chiusi gli occhi e mi lasciai baciare; non so se per il vino che avevo bevuto, o per il sole che avevo preso nel balcone, o cosa ancora, ma sentivo dentro di me una voglia tale di fare l’amore che se Sergio non fosse stato lì in quel momento probabilmente me lo sarei inventato.- Senti – ripresi dopo che lui ebbe staccato le sue labbra dalle mie: – ci conosciamo appena, non fare così. -Lui mi guardò con aria contrita.- Scusami, non volevo. Ma mi piaci davvero tanto e… -Le sue mani non avevano lasciato le mie braccia nude, e ora le stavano carezzando leggermente, in una frizione timida ed imbarazzata che partiva dalla spalla ed arrivava al gomito.- Sai – gli dissi, – io ho il ragazzo, e mi scoccia fargli le corna, capisci? — Se è per questo, anch’io ho la ragazza. Solo che se mi capita di trovarne una che mi piace di più… – alluse Sergio.- Scommetto che è solo perchè sono qui mezza nuda… – dissi.- Anche per questo. Sei bella davvero, sai? Quanti anni hai? – fece Sergio.- Quindici. E tu? – – Diciotto fatti a maggio – rispose.- E la tua ragazza? — Ha la tua età. Si chiama Cristina, è già sei mesi che stiamo assieme. E’ simpatica, ma fa sempre un sacco di storie. — Che storie? Non ci sta? – domandai.- Beh, si, ma più che limonare non si fa. – ammise.- Perchè, scusa, cosa credi di poter fare con una ragazza della nostra età? — Niente, niente, ma sai… E tu? Col tuo, cosa ci fai? — Curioso. Questi sono affari miei. – gli risposi.Mi staccai dalla sua stretta, e camminai fino alla stanza da letto, seguita da Sergio.- Dunque. Io comincerei da questa, cosa ne dici? Avevo deciso di farla rosa. — Senti, puoi farmi un piacere? – fece Sergio.- Cioè? – domandai guardandolo.- Mettiti addosso qualcosa, altrimenti non ti spiego come devi fare per dipingere le pareti. – mi disse serissimo.Lo guardai. Ne aveva voglia da morire, si vedeva e ne avevo voglia anch’io, da morire.Restai a guardarlo, immobile. Non dissi niente.Mi venne vicino e mi baciò di nuovo, infilandomi la lingua in bocca rigirandola, infilandola e ritraendola. La mia lingua cominciò a seguire la sua in questo itinerario.- Tesoro – mi disse staccando la bocca dalla mia.Ci sedemmo sul letto e riprendemmo a baciarci. La sua mano prese a sbottonarmi la camicetta con movimenti goffi e insicuri, e il mio seno rimase esposto alle sue mani che lo carezzavano e stringevano, alla sua bocca che scese a impossessarsene con voracità.- Tesoro… tesoro… – ripeteva Sergio staccando di tanto in tanto le labbra dai miei capezzoli.- Sergio… baciami, mi piace… – Baciava tutto il mio corpo, senza però osare ancora avvicinarsi a una zona che doveva considerare proibita. Ma quando alla fine vi giunse, era tanta la voglia che avevo fino a quel momento accumulato, che non potei trattenere un gemito appena lui mi sfiorò l’elastico delle mutandine. Sollevai i fianchi perchè lui me le sfilasse, e percepii il suo sguardo bruciante posarsi sui peli del mio pube. E le mani seguirono lo sguardo, le dita s’intrecciarono con i peli, li tormentarono. Gli tolsi la camicia e gli lisciai il petto, scesi a sbottonargli i pantaloni.- Tesoro… oh… tesoro… – continuava a ripetere Sergio.Le sue dita avevano trovato la strada della mia umidità nascosta, e ora stavano tormentando la carne fragile delle mie piccole rosse labbra.Gli abbassai assieme pantaloni e mutande, e vidi il suo membro drizzarsi come spinto da una molla fuori da quegli impedimenti di tessuto. Era più piccolo di quello di Sandro, più giovane e meno spaventoso da vedersi, ma ugualmente vigoroso e durissimo. Abbassai ancora di più le mutande, fino a sfilargliele completamente, e subito mi impadronii di quel rigido e vibrante bastone con la bocca. A confronto col pene di Sandro, questo mi pareva tenero e dolce, arrendevole, circondato alla radice da una peluria bionda e giovane, come appena spuntata.Tormentai con la bocca il membro di Sergio, avvolgendolo nelle spire create dalla mia lingua, succhiandolo, leccandolo. Sergio si mosse e cambiò posizione; sentii presto le sue mani divaricarmi le gambe, il suo volto affondare tra le mie cosce, e il bruciore improvviso del contatto della sua lingua affamata sul mio clitoride, sul solco tra le labbra, dentro il buco della mia natura dal quale stavano colando i primi umori di questo nuovo piacere. E mentre le nostre lingue si impregnavano di sapori per entrambi nuovi, le nostre mani percorrevano con frenesia i corpi caldi che entrambi ci offrivamo.Sentii brusco il distacco della lingua di Sergio dal mio sesso, la percepii, dopo una serie di contorcimenti frenetici, vicino all’orecchio, sussurrarmi qualcosa che non compresi.Staccai la bocca dal pene e l’appiccicai alla sua bocca; il mio corpo ruotò, costretto dalle sue mani, fino a trovarsi disteso sul letto, abbandonato. Lo sentii armeggiare fra le mie gambe, sentii il tentativo del suo pene che non sapeva trovare una strada, certo mai percorsa prima.- Non l’hai mai fatto? – gli domandai in un sussurro.- No, mai. Tu si? – mi chiese.- Si, e adesso ti insegno. Vuoi? Vuoi mettermelo dentro? -Non rispose, ma si buttò come impazzito a baciarmi su tutto il volto, a leccarmi il collo, mentre le mie mani divaricavano leggere le due piccole labbra, guidando nello stesso tempo il pene di Sergio a raggiungerne il solco.- Spingi, dai, adesso – dissi in un sussurro che somigliava a un grido.Sentii il membro di Sergio penetrarmi deciso, fino in fondo, spingere ancora e ritrarsi, poi riaffondare, poi sparire in un risucchio di carni molli e liquidi vischiosi.I colpi si susseguivano ai colpi, qualcuno leggero e ripetuto, ogni tanto qualcuno più deciso, doloroso nello scontro del suo pube contro il mio. E intanto le mani vagavano, le sue sui miei capelli, sul mio volto, sui miei fianchi stringendomi, sulle mie cosce graffiandole; le mie sulla sua schiena, sulle sue natiche, sulle sue braccia. Sentii crescere in me l’onda che conoscevo, sentii il piacere venirmi incontro. Mi afferrai alle natiche di Sergio per poter meglio rispondere, e con più decisione, alle sue veloci, ritmiche penetrazioni. Gliele strinsi, gliele divaricai, sentii sotto le dita il solco caldo cosparso di una lieve peluria, trovai il suo buchetto grinzoso, vi infilai decisa un dito proprio nell’attimo in cui l’orgasmo frenetico aveva iniziato a scuotermi i fianchi. Sentii le pareti dell’ano richiudersi di scatto sul mio dito, sentii la bocca di Sergio aprirsi sulla mia spalla come per emettere un urlo. Ma non fu un urlo, furono parole di cui non percepivo il suono nè il senso, furono guaiti, ansiti veloci mentre il tremito convulso delle natiche di Sergio sotto le mie mani dava un senso agli schizzi di liquido caldo nella mia vagina.Restammo così, lui sopra di me, finchè il tremito che continuava a scuotere i nostri corpi non si fu attenuato, poi spento. Non vedevo Sergio in faccia, ma solo i suoi capelli biondi sparsi parte sulla mia spalla, parte sul cuscino.Quando si sollevò e mi mostrò il viso rimasi di stucco. Non aveva la’aria soddisfatta di chi ha appena fatto l’amore, ma l’espressione triste di chi si stia pentendo profondamente di qualcosa di grave che ha commesso.- Ma cos’hai? Non ti è piaciuto? – gli chiesi.- No, no, non è questo… – rispose, evitando di guardarmi.- E allora? – insistetti. – Ti secca perchè hai fatto le corna alla tua ragazza? -Non rispose, si stava rivestendo.Mi alzai dal letto, nuda com’ero, e lo abbracciai.- Lo sai che per essere la prima volta che scopi te la sei cavata molto bene? – gli sussurrai.- Lasciami – disse con astio. – Devo andare, è già tardi. -L’estate finì e Sandro tornò. Il suo commento, vedendo la casa ridipinta e messa a nuovo, fu: “mica male”, dopo di che mi buttò sul letto e mi venne sopra. Ne avevo una voglia pazzesca, da settimane non sognavo altro. Anche Sandro doveva essere a secco da un po’ di tempo, perchè facemmo l’amore quattro volte di seguito, quasi senza interruzione.Non lo sapevo, ma quello era l’ultimo sprazzo di un entusiasmo che si stava spegnendo. Ricominciò la solita routine, mai variata rispetto all’anno precedente. Ora Sandro stava regolarmente via per tutta la settimana, e ancora io ignoravo quale fosse la nuova attività che svolgeva. Rientrava il sabato verso mezzogiorno, e ripartiva la domenica mattina.Aveva quasi smesso di bere; non so poi come si comportasse durante la settimana, quando non lo vedevo. Il sabato notte non sempre si faceva l’amore, e quando lo si faceva era una cosa rapida, fatta in fretta e furia. In una sola occasione mi lamentai di questo suo raffreddamento nei miei confronti, e tutto ciò che ricavai fu un ceffone che mi mandò a sbattere in terra. Logicamente mi guardai bene dal riaffrontare la discussione in seguito.Ricominciò la scuola, e ritrovai una Silvana pimpante ed abbronzata che ardeva dalla voglia di raccontarmi con maggior ricchezza di particolari la sua scopatina estiva.L’anno passò così, quasi in un soffio. Io personalmente non mi accorgevo più del trascorrere del tempo, tanto era regolato rigidamente su quegli eventi fissi e immutabili: la scuola, la casa da accudire, ogni tanto una visita ai miei che si atteggiavano nei miei confronti, ormai, a genitori di una figlia che si è sposata con qualcuno che non si conosce; e al sabato Sandro, che appena entrava in casa si buttava sul letto dicendomi “Come va, piccola?”. E io a guardarlo, per scoprire nei suoi occhi se quella notte avremmo fatto,o no, l’amore.Compii sedici anni e Sandro non se ne ricordò neppure. Ma io non ci feci molto caso, non era questo che volevo da lui, ma la sua bocca, il suo corpo caldo sopra il mio; per il resto avrebbe potuto farmi o dirmi qualsiasi cosa.Passò anche questa estate, trascorsa tra i fiori e le tendine, tra i piatti sporchi e gli stracci della polvere, tra i libri e i giornalini, tra il televisore e brevi passeggiate pomeridiane nelle vie deserte sotto casa.Sandro tornò un mese più tardi del previsto; fortunatamente mi aveva lasciato soldi abbastanza per poter tirare avanti tutto settembre senza molte preoccupazioni.Tornò con una donna, che mi presentò come “la mia amica Lina, tesoro”. Era una donna di una trentina d’anni, il volto duro e maschile ma bello, gli abiti eleganti e di buona qualità. Mi salutò con un sorriso larghissimo e prese subito a trattarmi molto benevolmente, chiamandomi “cara” e “tesoro” ogni tre parole. Scoprii, da quanto mi disse, che era di Milano, che conosceva Sandro da anni, che aveva tanto sentito parlare della “piccola Gabriella” che aveva voluto conoscerla di persona, e che, alla fine, quel “bruto di Sandro” aveva detto si.Lina mi piacque subito, era il tipo di donna che avevo sempre sognato di poter avere per amica, per sorella maggiore, anche per madre. Passammo insieme tutta quella prima giornata, mentre Sandro andava e veniva per la casa sistemando alle pareti certi oggetti, quadretti, manifesti e altro che poi seppi aveva portato dalla Spagna.- Domani devo andare a Brescia – disse Sandro quella sera, mentre eravamo a tavola io, lui e Lina. – Parto stasera stessa. Lei resterà a farti compagnia due o tre giorni. Poi, quando torno, la carico in macchina e la riporto a Milano, dove scommetto che c’è tutto il bel mondo che la sta aspettando con ansia. Vero Lina? -Lei non rispose, mi stava sorridendo e pareva non udire le parole che Sandro stava dicendo.Sandro partì subito dopo cena, verso le nove di sera. Io e Lina ci stavamo dando da fare in cucina, io lavavo i piatti e lei li asciugava e li sistemava nel credenzino.Prima di uscire Sandro venne a darmi un bacio sulla guancia. Ci rimasi di stucco: era la prima volta che Sandro si comportava così con me, e quella era l’ultima cosa che mi sarei aspettata che lui facesse, conoscendolo.Io e Lina, sistemata la cucina, andammo a sederci sul divanetto davanti al televisore. Davano un film stupido, un western americano con l’eroe alcolizzato che alla fine viene ammazzato dai cattivi durante un eroico tentativo di salvare qualcuno.Lina mi aveva passato un braccio al di sopra della spalla, appoggiandolo mollemente sullo schienale del divanetto. Fu durante la selvaggia galoppata del protagonista, che correva a salvare la sua bella rapita dai cattivi, che sentii il contatto morbido della mano di Lina sulla mia spalla destra. L’azione scenica sul piccolo schermo era veramente travolgente, l’incalzare degli eventi emozionante, e fu forse per questo che mi parve naturale stringermi contro il corpo di Lina, che tramite quella mano strategicamente disposta, stava attirandomi dolcemente contro di se. Sentii il fiato caldo di Lina scaldarmi il collo, sentii la sua mano percorrermi il breve tratto fra la spalla e il seno, sentii le dita frugare all’interno della camicetta. Volsi il capo per guardarla in viso, vidi solo i suoi occhi immensi e la sua bocca socchiusa che si avvicinava alla mia. Le sue labbra erano due petali vellutati sulle mie labbra, la sua lingua fu un pistillo carnoso vagante all’interno della mia bocca, mentre l’eroe aveva ormai raggiunto i cattivi e li stava sforacchiando uno per uno in un baillamme di spari ed esplosioni.Risposi al bacio spontaneamente, perchè era quello che da mesi stavo sognando: delle labbra sopra le mie, una lingua nella mia bocca. Ed aveva poca importanza che ora, quella lingua, appartenesse ad una donna piuttosto che ad un uomo.Lina mi stese sul divanetto, continuando a baciarmi. Le sue dita lunghe vagavano ora liberamente sul mio seno scoperto, divertendosi a risvegliare dal torpore i capezzoli che rispondevano all’invito prontamente, drizzandosi come percorsi da una scarica di alta tensione.- Ti va, vero? Non è che ti faccio schifo? – mi chiese Lina interrompendo il bacio.- No… no… non mi fai schifo. – trovai la forza di rispondere.La sua lingua invase di nuovo la mia bocca, con furore rinnovato, e le sue mani mi stavano sfilando di dosso la camicetta ormai inutile. Le sue labbra percorsero il mio petto nudo, sussurrando “bella” ad ogni piccolo bacio che mi sentivo piovere sulla pelle. Le sue labbra scesero ancora, la lingua tentò il mio ombelico, lo lambì, lo bagnò; la lingua proseguì nella sua lenta discesa, preceduta dalle dita che sbottonarono il primo bottone dei blue-jeans, che afferrarono la linguetta della lampo tirando con calma decisione verso il basso. La bocca percorse il tratto lasciato scoperto, fino al bordo superiore delle mutandine, mentre le mani spingevano lontano dal mio corpo i jeans ormai completamente sfilati dalle mie gambe. Mi aspettavo che Lina, ora, passasse a rimuovere l’ultimo lieve ostacolo, invece la vidi scendere con la bocca lungo le gambe, seguendo i jeans che si abbassavano sempre più, fino a che i miei piedi dettero loro l’ultimo colpo, scagliandoli lontano. E fu sui miei piedini che la bocca di Lina andò a posarsi; sentivo la punta della sua lingua lambirli delicatamente, percorrere gli spazi fra le piccole dita, risvegliando brividi che, partendo dal fondo del mio essere, mi percorrevano tutta giungendo al cervello e ridiscendendo al punto solare del mio corpo, chiuso in quell’angolo angusto e umido tra le cosce.La bocca di Lina continuava a torturare le terminazioni nervose dei piccoli piedi, e già il mio respiro si era fatto veloce, ansioso, già il mio ventre cominciava a desiderare con prepotenza quella carezza bagnata. E Lina parve avvertire il mio stato d’animo, perchè sentii la sua lingua risalire, sempre lambendo le mie gambe, sempre più su, mentre le dita nervose stavano eliminando l’ultimo trasparente ostacolo, sfilandolo con delicatezza dai miei fianchi.La sua bocca fu una ventosa improvvisa, una medusa vorace che suggeva dalla mia natura gli umori più deliziosamente sofferti da quando il piacere non era più un mistero per le mie carni. Il ricordo della bocca di Sandro venne offuscato nel giro di pochi, brevi minuti da questa bocca incredibile, che mi distruggeva con un gioco continuo e circolare di tensioni successive che sempre si allentavano per poi nuovamente irrigidirsi in spasimi sempre più forti, sempre più violenti, e fu solo alla fine di un susseguirsi di suoni inarticolati che mi giungevano alle orecchie da un punto non identificato dentro di me, che mi resi conto che la mia gola stava urlando, denunciando alle orecchie di Lina, come alle mie, il piacere pazzesco che quella lingua da rettile mi stava procurando.Rimasi ansante e immobile, stesa a metà sul divanetto, con le gambe divaricate protese all’infuori, la schiena appoggiata non allo schienale, ma sul cuscino del sedile, mentre il sedere sporgeva completamente dal bordo, e dal muschio morbido della natura mi colavano stille di saliva e di piacere.- Di’ la verità – fece Lina guardandomi dritta negli occhi con un meraviglioso sorriso di soddisfazione, – chi è che lo fa meglio? Io o Sandro? — Non avevo mai provato niente di simile. – ammisi.Dalla sua gola uscì una risatina argentina, gorgogliante.- Adesso spogliami tu, piccola, – mi disse. – E fallo bene. -Mi inginocchiai accanto a Lina sul tappeto, e cominciai a sbottonarle la camicetta di seta gialla. Sotto portava un reggiseno di pizzo nero. Le sfilai la camicetta e feci per slacciarle il reggiseno, ma le sue mani mi fermarono.- Non così. Hai visto come ti ho spogliata io, no? – fece.Compresi. Cominciai a baciarla sul collo, mentre le mie mani percorrevano le levigatezza della sua schiena. Trovai il gancio e lo aprii, facendo cadere le spalline del reggiseno. Terminai di sfilarglielo sempre baciandola, ed alla fine inghiottii un grosso capezzolo che mi si gonfiò in bocca. I seni di Lina erano due morbide colline, non molli ma leggermente cascanti, come se obbligate a cadere sotto il loro stesso peso. E su quelle due bianche rotondità, che contrastavano mirabilmente sulla pelle dorata dal sole del resto del corpo, spiccavano due capezzoli bruni, grossi come ciliege mature, ed appunto una di queste gustose ciliege stavo ora gustando, circondandone la rotondità con rapidi movimenti della lingua. Senza che la mia bocca abbandonasse quel seno stupendo, le mie mani scesero per portare alla luce azzurrina che emanava dal televisore, le altre bellezze che un paio di pantaloni di gabardine grigi celavano ancora alla mia vista.Feci scendere a terra i pantaloni di Lina, e percorsi con le mani la rotondità di quei fianchi che ora mi si offrivano nudi. Il ventre piatto di Lina era ora solo parzialmente ricoperto da un minuscolo slip che a mala pena celava alla vista un folto triangolo di pelo scuro. Alcuni ciuffi sfuggivano alla stretta prigione di nylon per far capolino ai lati della stessa.Le mie mani seguirono il rotondo contorno delle natiche di Lina, abbassando un poco l’elastico sottile dello slip, e la mia bocca scese dai seni al ventre, alle cosce, per poi risalire sul versante opposto, sulle morbide natiche bianche. Abbassai ancor di più lo slip, ed alla fine lo sfilai completamente, arrotolandolo fino ed oltre i piedi di Lina.Posai la guancia sulle fresche rotondità del sedere di Lina, poi percorsi in un bacio il solco profondo fra le natiche, che divaricai leggermente, scoprendo un’inaspettata peluria che lo percorreva interamente, addensandosi in un cespuglio scuro intorno all’apertura dell’ano. Fu in quel cespuglio che affondai la lingua, cercando di spingerla il più a fondo possibile. Mi accorsi di un moto di sorpresa da parte di Lina.- Si, dio mio, ancora. – sussurrò in modo appena udibile.La mia lingua lavorò ancora per qualche secondo lo scuro orifizio, per poi addentrarsi nella profondità odorosa fra le morbide cosce. Lina allargò istintivamente le gambe, permettendo alla mia lingua di trovare le molli labbra del suo sesso, che sotto le mie dita si aprirono, mostrando il roseo interno umido. La mia lingua percorse fremendo quella stretta valle, giungendo fino all’imboccatura della vagina che vedevo palpitare e stringersi come la corolla di un fiore umido. Introdussi la lingua nella strettoia, e sentii Lina mugolare, mentre un’agitazione sempre maggiore si impadroniva di quei fianchi morbidi e di quelle calde mucose.Mollemente Lina si voltò su un fianco, facendo in modo però che la mia lingua mai si staccasse dalla sua apertura.Mi sentii afferrata per i fianchi dalle sue mani lunghe e nervose, mi sentii sollevata, mentre la mia lingua percorreva un morbido girotondo nella vagina aperta. Ora lei giaceva distesa sulla schiena, ed io mi trovavo a cavalcioni sopra la sua bocca che aveva ricominciato a dimostrare la sua gratitudine percorrendo in un bacio caldo il mio sesso bagnato. Trovai il carnoso clitoride in mezzo alla folta peluria, e lo strinsi fra le labbra, lo addentai con tenereza, lo tormentai con la lingua, rispondendo alle vibrazioni che mi provenivano dalla lingua di Lina.Le cosce morbide di Lina strinsero spasmodicamente la mia testa in una morsa implacabile, mentre senza averne coscienza diretta, le mie cosce serravano nell’identico modo la sua testa bruna, al culmine di un orgasmo insopportabile che ci aveva travolte entrambe nell’amplesso più allucinante che fino a quel momento avessi subito.Non so quante volte io e Lina, in quei giorni, ripetemmo l’amplesso; non lo so perchè fu un unico amplesso, un continuo correre ad abbeverarsi l’una alla fonte dell’altra, un cercarsi senza interruzione, nel letto come sul pavimento, sulla stuoietta della cucina, sul tappeto della saletta, nella vasca da bagno piena di profumi che Lina vi spargeva con prodigalità; qualsiasi luogo non pareva inadatto per dimostrarsi a vicenda la voglia che l’una aveva del corpo e delle carezze dell’altra.Tutto finì col ritorno di Sandro. Notai che Lina cercò di comportarsi con me in modo distaccato, in presenza di Sandro. Eppure ero sicura che Sandro sapeva perfettamente quanto era accaduto in quei giorni tra noi. Me lo dicevano i suoi sorrisetti ironici, le sue mascherate allusioni: “E’ stata brava la mia Gabriella in questi giorni?”, “Sei riuscita a far contenta Lina?” e così via.Sandro se la portò via, e Lina sulla porta mi baciò.- Verrò a trovarti presto. Stanne certa. – mi disse.Non l’ho più vista, e so solo io quante volte ho sognato ad occhi aperti quei giorni, quelle notti, quei baci, quegli orgasmi ripetuti all’infinito.Che Sandro fosse cambiato nel corso di quell’estate dovetti accorgermene ben presto. Aveva ripreso a maltrattarmi sempre con maggior frequenza, e per tutto l’anno che seguì dovetti subire le sue ire e i suoi maltrattamenti, che spesso raggiungevano il limite della sopportabilità, in non so più quante occasioni.Sessualmente sembrava che non gli interessassi più.- Sai – mi confessò una volta – Lina voleva che ti regalassi a lei. Le ho detto che poteva andare a farsi fottere. Preferisco divertitmi io, le ho detto. -Arrivammo al punto che non si scopava nemmeno più.Purtroppo, oltretutto, era quasi sempre in casa, ed aveva ripreso a bere quanto prima, se non di più. Una sera, era quasi estate ed era passato un anno circa da quando avevo conosciuto Lina, Sandro rincasò con tre amici.- Li ho invitati a cena – mi disse.Dovetti dar fondo alla dispensa per poter sfamare tutti e quattro, restando io digiuna. Alla fine della cena erano alticci e rumorosi.- Fai vedere ai miei amici che belle cose nascondi sotto i vestiti! – ordinò Sandro.Lo guardai terrorizzata. Non avrei mai immaginato che sarebbe arrivato a questo punto. Non mi mossi.- Hai capito cosa ti ho detto? – si adirò lui.Lentamente a capo chino ubbidii.Mi sfilai la maglietta, sganciai il reggiseno, sfilai i jeans. Mentre abbassavo le mutandine sulle cosce, sfilandomele, sentii le lacrime bagnarmi gli occhi e offuscarmi la vista.I tre amici cominciarono a rumoreggiare, a lanciare battute, a dare grandi pacche sulla schiena di Sandro.- Ma dove te la sei trovata? – chiedeva uno.- Ma come fa questo bel fighino a venire con un figlio di puttana come te? – continuava un altro.- Me la lasci scopare? Io ti faccio fottere mia moglie! – rincarava il terzo.- E invece no, non ve la lascio scopare, branco di porci! Vi piacerebbe fottervi la ragazzina, eh? Niente da fare, invece, è roba mia – faceva Sandro, barcollandomi incontro.- Sei sempre una bella fica, Gabriella; ma sei vecchia ormai, sei troppo vecchia per me – mi sibilò in faccia. – Vuoi mica farti sbattere da uno di questi caproni, per caso? -Rimasi immobile, in silenzio, nuda in mezzo a quei quattro ubriachi che mi guardavano, mentre le lacrime continuavano a scendermi lungo le guance.Fortunatamente dopo un po’ erano tutti stesi chi nel letto, chi in poltrona, chi sul pavimento. Mi rivestii ed andai in cucina a lavare i piatti.Ma quello non fu che l’avviso di quanto sarebbe successo poi. La seconda volta che Sandro portò amici a cena, fra questi c’era un ragazzo giovane, sui venticinque anni, abbastanza bello. Alla fine della cena fu ripetuta la scena della volta precedente. Mi spogliai rassegnata e rimasi in piedi in mezzo a loro.- Tu che sei giovane – fece Sandro al ragazzo – perchè non le dai un paio di colpi qui, davanti a noi? -Il giovanotto mi guardò con desiderio, mi si avvicinò. Guardò Sandro e chiese:- Posso? — Bravo, così mi piaci. Bisogna chiederle le cose. Certo che puoi, si capisce. – rispose Sandro ridendo.Il ragazzo mi si avvicinò ancora di più, mi pose una mano sul seno, lo strinse.- Hai due belle tettine, sai Gabriella? – mi sussurrò all’orecchio.Gli altri parevano non fare troppa attenzione a noi. Sandro si era steso sul divanetto e sorseggiava qualcosa da un bicchiere pieno a metà.- Non ti dispiace se te le tocco, vero? – continuò il ragazzo.Scossi la testa.- Ti andrebbe di scopare con me? – azzardò.Feci spallucce.- Ti piace scopare, vero?- riprese.Feci con la testa un cenno affermativo.- Lo faresti qui con me, sul tappeto? – insistette.Non risposi. Non ero una puttana; Sandro non doveva trattarmi come fossi una puttana, la sua puttana.Mi distesi sul tappeto ed allargai le gambe.L’attenzione di tutti parve ridestarsi all’improvviso. Tutte le teste si rialzarono, vidi gli occhi puntati nella nostra direzione; anche gli occhi di Sandro.Il giovanotto si slacciò i pantaloni, li abbassò, mise in mostra il suo membro insolitamente grosso ed eretto.Si abbassò su di me, si inginocchiò tra le mie cosce.- Prendilo tu, e infilatelo dentro – mi disse all’orecchio.Presi tra le dita quel membro indurito dalla voglia e lo diressi verso il centro del mio ventre. Lui non attese che io mi allargassi la natura con le dita. Con un colpo improvviso mi fu dentro, allargandomi dolorosamente e facendomi gridare.Cominciò allora a muoversi dentro di me come una furia, e mentre mi cavalcava i suoi denti mi stringevano in una morsa crudele una spalla.Eppure, anche se così brutale, quell’amplesso era il migliore che provassi da molto tempo, e non dovetti fingere l’orgasmo che mi scosse improvviso dopo qualche minuto.- Guarda come gode la troietta! – sentii la voce di uno.- Sbrigati tu, che me la voglio fare anch’io! – gridò un altro con la voce alterata dall’alcool.Il ragazzo mi venne dentro in spruzzi caldi e prolungati, poi mi tolse il pene dalla vagina con un movimento brusco e improvviso che mi strappò un grido.Vidi sopra di me un altro uomo, già pronto a penetrarmi. Mi penetrò infatti e questa volta la mia vagina, ancora dilatata per l’amplesso appena subito, non oppose resistenza al nuovo irruento ingresso. Il nuovo venuto fu rapido, godette in meno di un minuto e si ritrasse, senza che io avessi provato alcun piacere. Poi fu la volta di un altro ancora. Lo vidi torreggiare sopra di me tenendo in mano, eretto, forse il cazzo più grosso che avessi mai visto o immaginato. Ricordando le misure di quello di Sandro, pensai che questo fosse lungo almeno ventitrè o ventiquattro centimetri, e grosso in proporzione. Mi spaventai e temetti di rimanere storpiata da quel grosso arnese, ma non ebbi il tempo di fare alcunchè, già lui mi era sopra e si accingeva a penetrarmi. Ciò che temevo si avverò, lo sentii infatti penetrarmi con difficoltà, slargandomi, spaccandomi, facendomi urlare, dilatando le pareti della mia vagina quanto mai lo erano state.L’uomo che mi stava montando era il più ubriaco della compagnia, e durò molto a venire. Mi scavò come un pazzo, a lungo, strappandomi ululati di dolore. Sentivo la mia vagina martoriata pulsare come impazzita, le natiche doloranti da tanto sbattere sul tappeto, i nervi di tutto il corpo irritati da tanto dolore. Ogni stoccata che mi infliggeva era un’esplosione di dolore che si ripercuoteva in tutto il mio corpo fino alle unghie dei piedi, alle mani, alle gambe, al ventre.Non smisi di piangere e lamentarmi per tutto il tempo di quell’odioso stupro. Ormai mi sentivo come morta dentro e rimanevo con gli occhi chiusi ad aspettare solo che tutto finisse.Ripresi a gridare ed a lottare con me stessa solo quando mi resi conto che, incredibilmente, il mio corpo mi stava tradendo eccitandosi.L’ultima e più cocente umiliazione me la stavo dando da sola!Senza poter fare nulla sentii un orgasmo arrivare, un orgasmo terribilmente brutto e violento, che gli spettatori accolsero con risate volgari.Solo allora, ridendo soddisfatto, imprecando ed insultandomi oscenamente, il terzo uomo esplose di piacere dentro di me, impalandomi fino in fondo e spruzzando il suo sperma nel mio ventre.Quando il grosso bastone dell’ultimo amante ebbe abbandonato la mia vagina, giacevo inerte, senza quasi più forze, a gambe spalancate sul pavimento.Tutte le membra mi dolevano, quasi fossi stata investita da un autocarro. Temetti, nel mio confuso intelletto, che anche Sandro volesse avere la sua parte.Ma Sandro dormiva saporitamente, sdraiato in poltrona.Episodi di quel tipo si ripeterono quattro volte nel giro di un anno. Sandro portava sempre su qualche amico, in occasioni che lui definiva: “memorabili” e che ora sono memorabili anche per me, e a cena terminata mi abbandonava alle loro voglie.In quasi tutti i casi si accontentavano di sdraiarsi su di me possedendomi rapidamente e brutalmente.Ma non mancarono i raffinati che vollero possedermi in piedi, o sdraiati di fianco. Uno disdegnò la mia natura dopo che già altri due l’avevano riempita di sperma, e preferì rivolgere le sue attenzioni al mio sedere. Era molto tempo che non praticavo più un rapporto sessuale in quel modo, e il dolore che provai fu quasi insopportabile. Dovettero trattenermi in tre perchè l’uomo riuscisse nel suo intento, perchè urlai e scalciai come un’indemoniata cercando in tutti i modi di evitare quella dolorosa e innaturale penetrazione. Alla fine, dopo molti sforzi, l’uomo riuscì nel suo intento e le mie urla dovettero sentirle in tutto il quartiere.Non mi ero mai ribellata alle imposizioni di Sandro, ma in una occasione lo feci.Ubriachissimo, era andato in gabinetto e si era seduto sulla tazza del water. Quando ebbe finito mi chiamò.- Puliscimi con la lingua, per favore, che è finita la carta – mi disse col suo solito sorriso.Lo guardai, ma non mi mossi.- Hai capito cosa ti ho detto? – gridò.Rimasi immobile.- Ti ho detto di pulirmi il sedere con la lingua, visto che ti sei dimenticata di comprare la carta. – insistette.Aprii l’antina dell’armadietto e gli diedi in mano un rotolo di carta igienica nuovo nuovo.- Brutta puttana, credi di prendermi in giro, eh? – sibilò, – ma adesso la paghi, la paghi proprio! -Un giorno non ce la feci a tornare a casa. Approfittai della proposta che m’aveva fatto un compagno di scuola ed andai a pranzo con lui in una trattoria.Il pomeriggio lo trascorremmo passeggiando per i giardini.Quella notte non tornai a casa, andai dai miei. La mattina seguente trovai Sandro che mi aspettava fuori di scuola.Non disse due parole: mi gettò a terra a sberle e mi allungò un calcio nella schiena.Salii in classe sotto gli sguardi di tutti.Silvana mi accolse con un sorrisetto imbarazzatissimo: io non ce la feci più e nel corso di tutta la mattinata non feci che parlare, sfogarmi con lei, raccontandole tutto.Silvana ascoltava a bocca aperta la storia inverosimile che le stavo narrando. Alla fine disse solo:- Quel porco! Ma la paga, la deve pagare, te lo giuro! -Tentai di dissuaderla dal fare qualsiasi cosa. Tanto era inutile, anzi peggio. Cosa avrei potuto fare io senza Sandro?Sono venuti a prenderlo stamattina, ma lui non c’era. Era fuori paese per i suoi traffici.L’hanno preso non lontano da qui, mi è stato detto. Ne ha dette di tutti i colori ai poliziotti.Mi hanno detto che dovrò testimoniare, che ci sarà un processo, presto.Tutti qui intorno dicono: “cose da pazzi!”, gridano: “delinquente di un uomo!”, mi chiamano: “povera bambina”.Io sto solo pensando che Sandro è chiuso in qualche cella dalla quale non potrà più uscire per molti anni, che non lo rivedrò mai più.Sto pensando ai miei diciotto anni, alla mia vita.Ci sarà ancora vita?
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