Adesso mi prendo tutto il tempo che mi ci vuole, come davanti ad un sorriso non ci sono parole, come dentro un cuore che palpita l’inizio d’un’altra storia d’amore. Ora mi prendo tutto il tempo che mi ci vuole, un battito d’ali, un germoglio di fiore dentro questo seno che bolle ed una faccia di bimbo distante ci si affoga l’odore. Da vera maestra affino la voglia perché possa pensare d’accarezzarmi la pelle e spalmarmi il calore avendo certezza che i vent’anni di troppo li tocca e li può toccare. Ora mi prendo tutto il tempo che mi ci vuole, dietro la tenda l’aspetto e fingo d’indugiare, perché le mie unghie non appaiano esperte, perché la mia mano che sale trattenga la stoffa dello spacco che s’apre. Da amante inesperta abbasso lo sguardo perché lui non possa temere il giudizio ed io lasciarmi andare per esser convinta che i vent’anni che aspetto li tocco e li posso toccare. Adesso mi prendo tutto il tempo che mi ci vuole sotto questi occhi imprecisi che fanno fatica a capire, quanta voglia s’annida sotto una gonna di madre, sotto una bellezza che scade, quanta ne affiora sulle labbra che schiudo, come un fiore che a primavera rinasce, che d’inverno poi muore. Adesso mi prendo tutto il tempo che mi ci vuole, nel ricordo pungente di uomini avidi, di sessi veloci che non mi lasciavano odore. Sotto questo dito che lento si muove ed orbita attorno al mio seno vestito, come se dentro questi cerchi avessi davvero trovato l’amore o l’illusione che un viso senza peli possa farmi sbocciare. Trattengo il respiro e gli guido la voglia, assecondo lo sguardo negli orli di stoffa, nelle pieghe di pelle dove al tatto non conosce il sapore, la forma d’un sesso di donna che scopre. Chissà se a vent’anni trova troppo grandi i miei seni? Troppo bianchi per affogarci l’amore, i pensieri distratti che si lasciano andare dentro bretelline più acerbe, gambe più giovani che non serve lavare. Adesso mi prendo tutto il tempo che mi ci vuole, che importa se sono un ripiego, se il mio nylon che veste le gambe sa di signora e profuma d’antico, se i miei capelli di stoppa non sono leggeri, se i tacchi che porto non l’ha visti nemmeno. Mi gonfia l’attesa e questo mi basta, mi riempie le ore per guardare la luna, per sperare che almeno domani potrò liberare il mio seno. Sopra questa terrazza ci divide una strada, una qualunque di macchine e nuvole, entra ed esce, s’avvicina e si ritrae come se ogni volta fosse l’inizio, come se il tempo trascorso finora l’avesse passato da qualche altra parte. Lo vedo che fa capolino, che scosta la tenda e gioisce se vede il mio seno. Ha lo stesso mio fiatone, la stessa premura di non prevaricargli la voglia, di non anticipare di un niente il destino che stringe, che ora m’insegue dove fiorisce il piacere, che ora tralascia come se non fosse mai entrato. Adesso mi prendo tutto il tempo che mi ci vuole, sua madre lo sta già chiamando, esce in balcone e lo prega d’entrare. E’ bella sua madre! Chissà se ne ha fatto già paragone, se in un sera d’inverno ci ha scambiato le facce, i suoi seni più piccoli che in un sogno proibito li tocca e li può toccare. Lo vedo che mi guarda, che sotto le ascelle stringe un cannocchiale, che magari vorrebbe, che magari ha già visto il mio sesso che nudo s’aspetterebbe di meglio, che umido non sente lo sguardo che ora fissa e rifissa la mia parte migliore. Sarà che ci torno ogni sera, che di giorno nulla m’accade per essere altrove, quando l’imbrunire mi rende insolente la voglia e due occhi m’aspettano ed io mi lascio spogliare. Sarà che continua a guardarmi e sua madre ritorna ed io chiudo la tenda, che magari m’aspetto uno squillo, uno qualunque per sentirmi un fremito tra le gambe e la gola, tra la pazzia e la voglia che stanotte potrebbe essere un’altra. Ma tra poco abbasserà la serranda, tra poco scomparirà nello stesso oblio dove sto andando, dove soltanto un lenzuolo mi copre e mi dà calore. Adesso mi prendo tutto il tempo che mi ci vuole.
Aggiungi ai Preferiti