La luce di quel pomeriggio di primavera avanzata, a casa di Teresa, induceva a rimanere inerti e godere, immoti, di quei primi, lievi tepori che presagivano l’estate, la loro stagione. Era andato a trovarla come aveva fatto tante altre volte ma, stavolta, aveva trovato lei sola. Era appena uscita dalla doccia, tutta accaldata ed umida, profumata del legno di sandalo dei sali da bagno. Indossava, soltanto, un accappatoio bianco allacciato in vita. Si erano seduti in salotto, per sorseggiare un caffè; parlavano quasi sussurrando, assaporando il suono sommesso delle loro voci. Vivevano intensamente ogni attimo di quella conversazione; i sensi dell’uomo erano totalmente assorti nel lieve sospiro della voce di lei, nel corpo appena e morbidamente coperto dal telo di spugna: gli occhi accarezzavano senza sosta le gambe superbe, statuarie e quella pelle ingenuamente segreta, morbida e bianca, cosparsa di radi, biondi peluzzi, che, di tanto in tanto, ad un lieve movimento di lei, appariva fugace, tra le pieghe dell’accappatoio, mozzandogli il respiro. La desiderava in modo appassionato da anni, ma per mille trascurabili motivi, mille piccoli gesti, mille lievi comportamenti e, forse, fraintendimenti non riusciva a sperare che lei volesse assecondare la sua attrazione ormai divenuta continua, assillante, famelica. Non pensava che a lei, alla sua carne bianca e soda, resa elastica dal continuo esercizio fisico, alla sua schiena dalla curva lombare leggermente più accentuata della norma che dava morbido risalto alle sconvolgenti sinuosità delle natiche piene e perfette, rinnovatrici del mito mediterraneo di Venere callipigia. Era lei, per lui, la quintessenza della voglia sessuale; era il contrasto tra la dolce, apparente ingenuità, ispirata dal tenero modo di proporsi di Teresa, e la bellezza prorompente, aggressiva delle sue sfere posteriori a farlo sognare, spesso ad occhi aperti, ad impedirgli talvolta il sonno; era lei, ad animare i suoi pensieri nei lunghi percorsi, di notte, in autostrada quando, vincendo la noia delle monotone ore di guida, fantasticava di far l’amore con lei, di accarezzarle le spalle frementi e la schiena, di baciarle i piccoli, irti seni, di percorrere con le labbra il ventre muscoloso, giù giù fino al centro delle gambe, tra le umide, delicate labbra del pube, dove lei, non più muscolosa e superba, era dolce ed indifesa, dove l’avrebbe baciata a lungo, fino a sentire il sapore dei suoi intimi umori, ad accendere i gemiti, che immaginava deliziosi, di quella voce seducente il cui suono era voluttuosa carezza per i suoi timpani. “Vieni in camera mia”, disse lei, ad un tratto, “è un pomeriggio speciale, ascoltiamo insieme la cassetta che mi hai regalato l’altra sera”. Lo prese per mano ed entrarono nella piccola camera su cui campeggiava il letto in cui lei dormiva. Accese l’impianto stereo e, mentre le prime note si diffondevano, leggere, nella stanza, sedette sul letto. Lentamente, forzata dal leggero fremito del ventre e dai suoi movimenti, l’annodatura dell’accappatoio si sciolse: i lembi del telo si aprirono leggermente, scoprendo larga parte delle gambe e del petto, togliendogli il respiro ma non lasciando intravedere le parti più intime che gli occhi di lui cercavano, frementi. Cominciarono a fissarsi con sguardi immoti, profondi, immergendosi e perdendosi negli spazi senza fine evocati dai loro occhi; dopo un pò, lei, con movimento lento, si volse verso il cuscino e, dolcemente, si distese sul letto, aprendo i lembi dell’accappatoio e poggiando il seno ed il ventre, nudi, sulle lenzuola, ma, maliziosamente, facendo si che, anche questa volta, gli occhi di lui rimanessero insoddisfatti. Rimase così, supina, i capelli tutti sparsi sul cuscino, le gambe ritte ed unite, con il telo da bagno che, dietro, la copriva tutta, dal collo fino alle ginocchia, disegnando morbidamente l’incavo della schiena, subito seguito dal dolce, tondo pendio delle natiche; di quelle natiche là dove risiedeva, come lei aveva ormai capito, il più forte e profondo desiderio di lui. Lui si inginocchiò al suo fianco. Rimasero, ancora a lungo, totalmente immersi, sprofondati, nei reciproci sguardi, con il respiro rotto dall’emozione, dall’intenso turbamento che entrambi, torbidamente, implacabilmente, li invadeva: le labbra sempre più vicine, finalmente, si unirono in un lungo bacio. Senza staccare gli occhi dal viso di lei, l’uomo appoggiò una mano sul letto e, lentamente, la portò sul lembo inferiore dell’accappatoio: lievemente cominciò a spostare il telo ed a scoprirla. Lei portò le sue mani sul cuscino, intorno ai capelli, e, tremando leggermente nell’avvertire la frescura sulla pelle nuda, che, lievemente sfiorata dalle carezze, veniva percorsa da dolci fremiti, socchiuse gli occhi rimanendo immobile. Così, mentre lei rimaneva immobile, la testa appoggiata sul letto, la scopriva, dal basso verso l’alto; apparvero prima le bianche, levigate cosce, poi, pian piano, saggiando lievemente con i polpastrelli delle dita ogni lembo di pelle, il lieve pendio dell’anca e, finalmente, l’oggetto primario del desiderio: le natiche mirabilmente tonde e piene, morbidamente emergenti dal termine della schiena, perfettamente individuate dal loro più vivo candore, bianche più delle altre parti del corpo, perchè segrete, sempre coperte; bianche di quel candore che accendeva, incontenibilmente, il suo desiderio, d’estate, quando dopo il lungo inverno la pelle di lei veniva esposta al primo sole, ed era, al contempo, più imperfetta e virginale. Il sogno di tanti momenti, il sogno di lunghi anni finalmente si avverava; Teresa era lì, davanti a lui; distesa a ventre in giù, completamente scoperta, offriva alla sua voglia prepotente, ai suoi appetiti più torbidi, quelle terga, per lui mitiche, superbe nella loro esuberante bellezza e, nel contempo, innocenti nella loro candida morbidezza, fresche come lei, apparentemente ignare della rudezza del desiderio maschile. Rimase ad ammirare, a lungo, quel culo stupendo che aveva sempre sognato; poi, lentamente, sfilò l’accappatoio denudandola del tutto. Mentre lei rimaneva sempre ferma con gli occhi chiusi, si spogliò in tutta fretta, salì sul letto, si inginocchiò intorno alle sue gambe, il membro, già insostenibilmente gonfio e trasudante umori, puntato su di lei come una spada. Cominciò a baciarla teneramente lungo tutta la schiena, ma, volutamente, solo sfiorando quelle perfette ed irresistibili rotondità posteriori, così docilmente offerte. Ad un tratto, smise di baciarla, si sollevò e con i due pollici paralleli, cominciando dal collo, percorse, con leggera pressione, il centro delle spalle, poi la schiena e, infine, salendo dolcemente, giunse sulla lunga fessura posta fra le tonde natiche: con infinita dolcezza e lentezza, quasi sfiorando la pelle di lei, i polpastrelli dei pollici cominciarono, quasi impercettibilmente, ad allargare le due morbide, bianche sfere e così, scostando gli umidi, caldi lembi, poco a poco, lei fu del tutto aperta. Apparve, sul fondo del caldo incavo, profumato del legno di sandalo dei sali da bagno e del naturale, inebriante odore della sua pelle, roseo, umido, carnoso il buco di Teresa; aveva provato mille volte ad immaginare il centro, le intime, deliziose, segrete labbra di quel bellissimo culo; ma, ora, quella nascosta bocca gli appariva ancor più desiderabile che nel sogno più ispirato: straordinariamente morbida e sensuale, in tutte le sue piccole pieghe, contornanti il circolare scuro abisso centrale, inaspettatamente ampia, mirabilmente ampia e accogliente promessa di calde, vellutate carezze. Il roseo anello di Teresa, con la sua inconsueta larghezza e la morbida carnosità dei suoi contorni era la straordinaria risposta alla sconvolgente promessa di quelle morbide, piene, bianche, tonde natiche da sfiorare e sfogliare come i petali di un’orchidea; un irresistibile, polposo frutto da aprire e penetrare, creato apposta dalla natura per stringere caldi, vibranti abbracci forieri di piacere immenso. Mantenendola tutta aperta, affondò la testa tra i due morbidi lembi, verso l’invitante, dolce orifizio; cominciò ad accarezzare e inumidire con la lingua il piccolo, grande buco troppo a lungo desiderato, prima lambendone il rinserrato ciglio, per far si che, gradualmente, allentasse la sua stretta e poi tentando, con insinuanti colpetti, di affondare dolci, superficiali penetrazioni verso l’irresistibile interno. Lei cominciava a respirare in modo deliziosamente affannoso: sentiva quella ruvida, umida lingua che umettava e provava a far rilassare il suo anello che, prima tutto chiuso, ora sentiva, gradualmente, ineluttabilmente, indifeso, aperto e pronto, per la prima volta, ad essere violato. Mai avrebbe immaginato, anche fino a pochi minuti prima, di voler restare, sul suo letto, sulle soffici e bianche lenzuola, impudicamente distesa, con la schiena focosamente inarcata all’indietro, completamente aperta, in una posizione che lei stessa avrebbe giudicato insopportabilmente lubrica ed indecente. Mai avrebbe immaginato di desiderare, in modo così torbidamente violento, di essere ora, subito, penetrata e posseduta, con prepotente inclemenza, attraverso quel suo più segreto e profondo orifizio. Lui assaporava, gustando voluttuosamente ogni frazione di quei momenti mille volte immaginati, ogni minimo fremito di quella calda, tonda apertura, dalle pareti di seta e di velluto che stava per aprirsi, in tutta la sua deliziosa, inconsueta, fremente larghezza, accogliendolo, con agevole, lubrico scivolamento, con tutto il suo essere, nella più calda e profonda intimità di lei. Ora lui, nudo, si chinava pian piano su quelle bianche coltri su cui lei, bianca, era distesa, supina, con la faccia affondata nel cuscino, tremante, tutta ed irrimediabilmente aperta, indifesa. Si appoggiò dolcemente su quella schiena lungamente sognata ed il suo membro si trovò con naturalezza, subito, a diretto contatto con la lunga fessura delle morbide natiche di Teresa, alla giusta altezza. Gli bastò spingere appena un pò, tra quella carne fremente che avvolgeva il pene in un caldo, morbido abbraccio, per sentire, soavi, sulla rigida, fredda punta, le umide labbra dello sfintere che, ora, in sintonia con il respiro ansimante di lei, si aprivano e contraevano con frenetica e irrefrenabile intermittenza. Le appoggiò le mani sui fianchi, afferrandola e spingendo verso l’esterno in modo da allargarla ed aprirla il più possibile e cominciò a spingere sul delizioso pertugio con grande lentezza ma con inesorabile continuità e potenza. Lei sentiva, sopra il suo buco, la vibrante pressione della testa, viscida come il corpo di un lungo e grosso serpente, la sentiva spingere e vincere, pian piano, la stimolante resistenza del suo anello che, inesorabilmente, si apriva ed allargava distendendo tutte le sue pieghe, circondando ed accogliendo dentro di se il glande di colui che stava forzandola ed empiendola per possederla profondamente, nel modo più primitivo. Ad un tratto la grossa, quasi inverosimilmente gonfia e dura, testa della verga sprofondò, per intero, forzando crudelmente il dolce orifizio e facendola gemere mentre il suo viso si stravolgeva per il dolore misto alla eccitazione. Lui si fermò un attimo, ma solo un attimo perchè, dopo un lieve arretramento, diretto a gustare, voluttuosamente, per tutta la lunghezza del pene, la vibrante dolcezza di quella vellutata penetrazione, spinse energicamente: il buco, ormai profanato, allargò nuovamente le sue labbra risucchiando, quasi di schianto, il glande e, via via, tutto il resto del membro, fino alla radice, fino all’intimo, più caldo e profondo angolo delle viscere di Teresa. Adesso lei sentiva il corpo estraneo e prepotente che la empieva e allargava implacabilmente, godendo del suo anello e del suo morbido canale con intensi e impetuosi affondi, verso le più segrete pieghe di lei, ed alternati rientri. In voluttuosa sincronia con l’instancabile, rigido stantuffo, lei alternava istanti di spossata tensione, che la portavano a stringere, con tutte le forze, il suo anello intorno al corpo della serpe che, in tutta la sua lunghezza e la sua vibrante grossezza, ormai, aveva preso pieno predominio su di lei, sul buco di lei, ed istanti di bollente avidità di essere penetrata e riempita fino alle più intime profondità della sua spossata apertura: così toglieva le mani da sopra il cuscino, le stringeva sulle sue stesse natiche per allargarle in modo quasi insostenibile e, ritmicamente, inarcava le pelvi, spingendo all’indietro per offrirsi incondizionatamente alla penetrazione più assoluta. Immaginava, in quello stato di eccitazione estrema, di offrirsi, in quella torbida e vergognosa posizione, allo sguardo di una moltitudine di occhi curiosi e lascivi; immaginava di lasciare che tutti potessero osservare lei, ormai doma e offerta incondizionatamente al piacere prepotente e primitivo del membro che la invadeva, che la percorreva, con inebriante violenza, possedendo quelle terga fino a qualche attimo prima superbe nella loro intangibile bellezza, ed insisteva in quella penetrazione, con proterva potenza, fino a raggiungere il culmine del proprio esclusivo piacere. Il bastone che instancabilmente le percuoteva le viscere, ad un tratto, si irrigidì insostenibilmente e, sussultando con grande vigore, la scosse fin nelle profondità riempiendola del suo liquido, copiosamente, come lava bruciante; un brivido, lungo, percorse tutta la schiena di Teresa, un incipiente tremore la invase mentre, ritmicamente, in piena sincronia con i ruvidi colpi inferti dai sussulti del pene, inatteso, tracimante, un orgasmo di inconsueta intensità la travolgeva. Teresa era, ormai, sua, ineluttabilmente sua, duramente sottoposta al suo potere, vinta dalla profondità ed intensità della penetrazione subìta; da allora in poi lui avrebbe disposto a suo totale piacimento di quelle natiche, di quel grande e dolcissimo orifizio destinato al suo esclusivo e prepotente piacere: estrasse pian piano il membro da quella stretta dolcissima e Teresa, ora voluttuosamente desiderosa di profonda sottomissione, si volse, si inginocchiò davanti a lui ed accolse, come mai aveva fatto, in gola, fino in fondo, il membro; lo accarezzò, a lungo con le morbide labbra, lo lambì instancabilmente con la lingua frenetica, poi, estenuata, ebbra, si ridistese sul letto. E lui era suo, ora apparteneva incondizionatamente e consapevolmente a lei, alla tenera e delicata Teresa, alle sue viscere che lo accoglievano, lo prendevano in un intimo abbraccio in cui si immergeva anche la sua anima, incapace di chiedere nulla di più, ma con l’unico, impossibile desiderio di entrare tutto in lei, di essere, nuovamente, sempre, tutto custodito e protetto in quel corpo di donna, grande e dolcissima padrona. Un impeto prepotente di incontenibile amore per quella carne, per quella docile, serena donna che si donava a lui, senza limite, lo invase. Cominciò a stringerla a sè, a riempirla di baci. Non riuscivano a staccarsi l’uno dall’altra, si unirono, di nuovo, di nuovo, di nuovo …
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