Forse non ci crederete, ma i miei quarant’anni li porto ancora bene. Non posso dire di possedere il corpo di una diciottenne, ma non ho né adipe né smagliature. Sono alta 168 centimetri e peso 57 chili. Volete sapere le mie misure? Vi accontento subito: 95-62-95. Insomma, a detta di amici e amiche sono quella che si può definire una gran fica! Sono sposata da dieci anni con Carlo, un marito che mi adora e che, pur di accontentarmi, sarebbe disposto a fare qualsiasi cosa per me. Se mi domandate come procede la nostra vita sessuale, vi rispondo: bene! In maniera normale. Perlomeno fino a qualche giorno fa. La risposta potrebbe sembrarvi futile e forse anche banale, ma tutto è relativo. In dieci anni di vita coniugale non l’ho mai tradito. Non ci credete? Eppure è così, lo giuro! Ogni volta che facevamo all’amore avevo l’impressione di scoprire un uomo nuovo, diverso. La fisionomia del suo corpo restava uguale, ma erano i comportamenti ad essere difformi, poiché di volta in volta sapeva offrirsi in maniera differente, inusuale. I suoi inaspettati travestimenti, le fantasie erotiche che metteva in atto, mi coinvolgevano in maniera assurda. Ciò che sto dicendo potrebbe ai più risultare incomprensibile, ma facevo di tutto per assecondarlo nel realizzarle. Quando facevamo l’amore non si comportava come un marito obbligato a svolgere il proprio dovere nel letto coniugale, ma da tenero amante. Ogni volta era una sorpresa. Poteva succedere che si presentasse davanti l’uscio di casa vestito da imbianchino pretendendo di pennellare il mio corpo nudo con vernici multicolori, oppure in tuta da idraulico per verificare che la mia fica non avesse perdite di alcun tipo. Era accaduto che tornasse a casa vestito da portalettere, imbucandomi biglietti da centomila lire nella fessura fra le tette e su per il culo, oppure col grembiule da bottegaio tentando d’infilandomi una baguette nella fica. Qualsiasi tipo di mascheramento gli frullava per la mente serviva a eccitarlo ed io con lui. Prediligeva i travestimenti che riguardavano le professioni sanitarie. Era in quel modo, diceva lui, che poteva prendersi miglior cura del mio corpo. Amava presentarsi in camera da letto vestito da infermiere, dottore, radiologo, biologo o quant’altro gli passava per la mente. Ahimè, fu proprio durante uno di questi travestimenti che accadde l’irreparabile che ora andrò a raccontarvi nei minimi particolari. Era un tipo metodico. Si preoccupava molto della messinscena. Prima di fare l’amore curava ogni minimo particolare. L’ambientazione raggiungeva sembianze talmente realistiche da sembrare vere. Fu così anche la volta in cui, nei panni di un infermiere, volle farmi un clistere. Per rendere più verosimile la scena mi fece infilare un camice di carta: di quelli che i pazienti ricoverati in ospedale indossano prima di un intervento chirurgico. Completamente nuda mi ritrovai coperta da un esile camice allacciato dietro la schiena da sottili fettucce. Carlo, nel frattempo, aveva indossato gli abiti da infermiere e aveva provveduto a preparare un enteroclisma di circa tre litri di acqua tiepida, disciogliendovi frammenti di sapone di Marsiglia. Stavo distesa supina sul letto in attesa d’iniziare la seduta quando lo vidi apparire sull’uscio della camera. Fra le mani stringeva l’irrigatore. Un deflussore in plastica collegava il recipiente ad una sonda del diametro di circa due centimetri che avrebbe introdotto nel mio orifizio anale. Con le dita pigiò il tubetto della vaselina e ne depositò alcune gocce sulla estremità della sonda. Pose lo sguardo nella mia direzione e con un tono di voce rigoroso disse: – Signorina, si sdrai sul fianco sinistro. Alla vista di quell’enorme quantità di liquido non vi nascondo che mi prese una certa preoccupazione. – Come farò a contenere nell’addome tutta quella roba lì – pensai. Non ebbi che pochi istanti per pensarci poiché, subito dopo, con fare deciso, “l’infermiere” mi sollevò la natica di destra e mise in luce il buchetto nero dello sfintere. – Stia ferma signorina, non sentirà alcun male. Con un certo riguardo posò il dito medio sullo sfintere e vi depositò un poco di vaselina. – Ora signorina, per facilitare l’ingresso della sonda, dovrà spingere con forza verso l’esterno come quando va di corpo. Questo tipo di atteggiamento lo conoscevo alla perfezione. Lo adottavo da tempo per non sentire troppo male nel momento in cui Carlo introduceva l’uccello nel mio culetto, ma non c’era proporzione fra il calibro di quella piccola sonda e il rotolo di carne del mio Lui. “L’infermiere” appese l’irrigatore, ripieno di tre litri d’acqua, alla parete, ad una certa altezza, fissandolo con una corda ad un chiodo su cui in precedenza stava affisso un quadro. La legge dei vasi comunicanti avrebbe fatto scendere il liquido nell’addome. Non sentii alcun dolore nell’introduzione della sonda nel mio culetto, tanta fu la bravura e delicatezza con cui eseguì la manovra. – Respiri con calma. Esegua dei respiri profondi, senza troppo affannarsi – furono le uniche parole pronunciate da Carlo che assisteva alla caduta del liquido. Il suo viso lasciava traspirare una certa eccitazione. Lo avevo notato dal modo in cui ingurgitava la saliva. Gli succedeva spesso in quelle occasioni. Sotto il camice bianco avevo notato una leggera protuberanza a livello dell’inguine. Era l’uccello che prigioniero della patta cercava la libertà. All’apertura del rubinetto il liquido iniziò a scendere rapidamente nell’intestino, senza incontrare ostacoli di sorta. Solo verso la fine, quando ormai restavano pochi centilitri di liquido, iniziai ad avvertire i primi sussulti all’addome. Fu questione di pochi attimi, dopodiché Il liquido trovò la giusta collocazione nelle viscere. L’infermiere estrasse la sonda e la depositò ai piedi del letto, subito dopo iniziò a spogliarsi. – Ora signorina, per far sì che il clistere abbia effetto, occorre rimescolare l’intestino con un’asta, così come si mescola la polenta. Si sdraiò supino al mio fianco e mi fece mettere cavalcioni col bacino sulle sue ginocchia, poi mi attirò a se. Fui svelta a risucchiare il cazzo dentro di me. I movimenti dell’uccello, da prima lenti e squisitamente delicati, accelerarono rimescolando le viscere del mio corpo. Il dolore alla pancia si accompagnava al piacere del cazzo che sentivo dentro di me. Ero madida di sudore, accaldata come in una calda giornata d’agosto, ma il piacere che provavo era superiore ad ogni altra sensazione. Le pareti della vagina iniziarono a contrarsi spasmodicamente sull’uccello, stringendolo come in una morsa. Per nessun motivo lo avrei lasciato uscire dalla fica, tanto era il godimento che mi recava. Mentre continuava a pomparmi col suo arnese presi a toccarmi il clitoride, solleticandolo con le dita bagnate del mio umore. A causa di quei movimenti la pancia prese a dolermi ancora di più. Il liquido doveva avermi riempito ogni anfratto dell’intestino e spingeva contro le pareti. La fica continuava a secernere umore in grande quantità, facilitando lo scorrere dell’uccello nel suo interno. – Come vede signorina la terapia che le sto somministrando ha degli effetti benefici su di lei, vedrà che nei prossimi giorni starà molto meglio. Furono le sole parole che accompagnarono il nostro amplesso, perché subito dopo arrivò l’orgasmo ed iniziai ad urlare. Mai avrei immaginato di raggiungere un simile godimento. Ebbi un orgasmo e subito dopo un altro ancora, e ancora…. In tutto quel trambusto iniziai a perdere un poco di liquido e qualche colpo d’aria da dietro. Poco importava, ero felice d’essere curata così benevolmente dal mio “infermiere”. Subito dopo mi girò carponi sul letto e facilitato dall’umido che circondava l’orifizio anale, introdusse l’ uccello nel mio deretano. Spingeva senza pausa l’uccello avanti e indietro senza preoccuparsi degli schizzi d’acqua che fuoriuscirono dal mio buchetto sporcandogli l’addome. Eccitato da quell’accadimento aumentò il ritmo delle pompate fino a quando lo sentii venire, tutto tremante, dentro di me.
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