Un nonno molto severo ovvero Le voluttuose esperienze di una vecchia zitella 1^letteraCara Nellie, so di averti da lungo tempo promesso un resoconto delle ragioni che spiegano il mio debole verso la frusta che, a mio parere, è una delle istituzioni più voluttuose e deliziose della vita intima, specie per una vecchia zitella come me, ufficialmente rispettabilissima. Devo però dirti che la confessione delle mie debolezze mi riesce alquanto ardua e mi fa provare la stessa vergogna che provai quando la governante di mio nonno denudò per la prima volta il mio povero deretano in fiamme, per compiacere i desideri del vecchio. Unica mia consolazione, la speranza di riscaldarmi al ricordo, a mano a mano che procederò nel racconto. Mio nonno, come tu ben sai, era un celebre generale che aveva prestato a lungo servizio nell’esercito, Sir Eyre Coote, quasi altrettanto rinomato per la clamorosa sconfitta che aveva subito alla testa dei “mantelli blu” e per i servigi che aveva reso alla sua patria. Era amante della disciplina, e nulla lo rendeva più lieto dell’opportunità di usare il bastone con i suoi sottoposti — ma queste sono cose di cui ho solo sentito parlare perché accadevano prima che io nascessi. Ambedue i miei genitori morirono quando ero giovinetta, e il vecchio generale, che era stato travolto da uno scandalo a causa delle sue tendenze sessuali poco ortodosse — gli piacevano un po’ troppo i ragazzini — ed era stato costretto a ritirarsi a vita privata, non avendo altri parenti si prese cura di me, che alla sua morte fui nominata erede universale con una rendita di circa ************ sterline l’anno. Il nonno abitava in una grande villa a una trentina di chilometri da Londra, e fu lì che passai i primi mesi della mia vita da orfana, sola con il custode, la governante, signora Manseil e le domestiche Jane e Jemina. Il vecchio generale si era recato in Olanda, alla ricerca, come poi seppi, di certe edizioni originali di un tale Adriano Fornelli, un italiano che era stato un celebre confessore ed era autore di un singolare studio sulla flagellazione dei penitenti. Il nonno tornò a metà estate, e subito mi resi conto che la libertà di cui avevo goduto fino a quel momento si sarebbe notevolmente ridotta: avevo l’ordine di non cogliere né fiori né frutti in giardino, e ogni mattina il vecchio autocrate in persona mi impartiva una lezione. E le lezioni, all’inizio abbastanza facili, si facevano più difficili di giorno in giorno e solo adesso, ad anni di distanza, mi rendo conto che il nonno ricorreva alla tattica del lupo e dell’agnello, costringendomi a cedere alle sue brame mascherate da indignazione. In compenso, il vecchio detestava il lutto, non voleva saperne di vedermi vestita di scuro. Avevo. dato prova di rispetto e affetto per i miei genitori defunti restando in nero per mesi, ma lui adesso pretendeva che mi abbigliassi come si conveniva a una fanciulla di belle speranze. E, sebbene di rado avessimo ospiti, eccezion fatta per qualche vecchio, mummificato, antichissimo commilitone del nonno, fu messa a mia disposizione un’enorme quantità di abiti eleganti e alla moda, splendide scarpe, pantofole, biancheria intima di ogni genere, tutta ornata di bellissimi pizzi, e non mancavano magnifiche giarrettiere, alcune delle quali munite addirittura di fibbia d’oro, e il vecchio insisteva ad aiutarmi mentre le indossavo, non curandosi affatto del mio rossore, e pretendendo inoltre di sistemarmi a dovere gli slippini, come si usavano in quegli anni, parlo degli anni attorno al 1960. Ben presto, come ho detto, le lezioni si fecero più difficili, e io stentavo a venirne a capo. Un giorno il nonno prese a rimproverarmi: “Ah, Rosy, Rosy, perché non studi un po’ di più e non stai più attenta? Se continui così, sarò costretto a punirti.” “Ma nonno,” replicai, “come faccio a mandare a mente, ogni giorno, tutti quei terribili vocaboli francesi? Sono certa che nessuno riuscirebbe a venirne a capo.” “Zitta là, signorina, io sono miglior giudice di un’impertinente ragazzina come te.” “Ma nonno, sapete quanto bene vi voglio, e sapete che faccio del mio meglio.” “E allora, dimostrami più amore e più diligenza in futuro, altrimenti il tuo fondo schiena farà la conoscenza di un bel frustino che ho in serbo proprio per te,” ribatté il vecchio gentiluomo con tono burbero. Passò un’altra settimana durante la quale ebbi modo di notare che, quando comparivo a tavola in abito da sera (e a cena bisognava sempre essere molto eleganti), gli occhi gli si accendevano di un insolito bagliore, e il vecchio non mancava mai di suggerirmi di mettere in risalto la mia splendida carnagione con un mazzolino di fiori freschi. Ma la crisi era ormai prossima. Il nonno non faceva che scoprire nuove pecche e, con tono grave, mi offerse un’ultima possibilità: o soddisfacevo le sue esigenze, o guai a me, ma la prospettiva della punizione mi rese talmente nervosa, che mi riuscì più che mai difficile seguire le lezioni, e due giorni dopo fu il crollo. “Ah, Rosy, allora ci siamo!” disse il vecchio gentiluomo. “Inutile continuare così, ti ci vuole proprio una punizione. Suono il campanello, e alla signora Mansell prontamente accorsa ordinò di preparare la stanza delle punizioni e di tener pronta la servitù, caso mai lui ne avesse avuto bisogno, dal momento che, come si espresse, “la signorina Rosy è talmente pigra, e i suoi studi peggiorano a tal punto, che devo proprio prendere io le redini in mano, altrimenti la signorina Rosy rischia di rovinarsi per sempre”. Uscita che fu la governante, mi ingiunse di tornarmene in camera mia e di riflettere sul danno che mi aveva procurato la mia pigrizia. Piena di indignazione, confusione e vergogna, corsi in camera e mi ci chiusi a chiave, decisa a non aprire perché non intendevo sottopormi a un pubblico oltraggio davanti alle due domestiche. Mi gettai sul letto, dando la stura alle lacrime almeno per un paio d’ore; poi, visto che nessuno veniva a cercarmi, conclusi che si trattava solo di un piano per spaventarmi, e infine sprofondai in un sonno ristoratore. A risvegliarmi fu una voce, che riconobbi per quella di Jane. “Signorina, signorina,” mi sussurrava attraverso il buco della serratura, “farete tardi per cena.” Replicai che non avevo voglia di mangiare, visto che dovevo essere punita. “Vattene, lasciami in pace,” le ordinai. “Ma signorina, il generale è stato tutto il pomeriggio in giardino di ottimo umore. Credo che si sia dimenticato tutto. Non fatelo arrabbiare di nuovo non venendo a cena.” Girai la chiave, feci entrare Jane, la quale mi esortò: “State allegra, signorina, scendete come se nulla fosse accaduto, e chissà che il temporale non sia passato davvero. Il generale non ha molta memoria, specie se voi vi mettete quel mazzolino di fiori che tanto gli piace.” Seguii il suo consiglio, e mi presentai al nonno con la miglior cera possibile, quasi persuasa che l’ascia di guerra fosse stata seppellita. La cena trascorse piacevolmente. Il nonno bevve parecchi bicchieri di vino, e al dessert mi parve che mi guardasse con il solito interesse. Notò il mazzolino di fiori e disse: “Perfetto, Rosy, quei fiori sono come te, vedo che segui i miei consigli. Il mazzolino ti dona moltissimo, ma niente a paragone di quel che ti procurerà il mio frustino quando lo assaggerai sulle tue belle chiappette, che tra poco assumeranno l’aspetto di queste pesche. Bene, il grande momento è arrivato,” concluse suonando il campanello. Sentendomi prossima a venir meno dalla paura, corsi disperata verso l’uscio, ma solo per finire tra le braccia robuste di Jemina, e il nonno allora: “Procediamo con l’esercizio di punizione. Jemina, tu vai avanti con la colpevole e voi, signora Mansell e Jane, seguitemi”, ordinò a queste due che in- tanto erano a loro volta comparse. Ogni resistenza mi pareva inutile. Fui trascinata in una stanza che non avevo mai visto e che conteneva soltanto un tappeto e una comoda poltrona. Ma alle pareti facevano mostra di sé 5 mazzi tra bastoni e fruste, e in un angolo scorsi qualcosa che pareva una scala; era ricoperta di una stoffa ‘ rossa e provvista di sei anelli, due in basso, due a mezza altezza e due in cima. “Legatela al cavalletto e mettetevi all’opera,” comandò il generale sedendosi sulla poltrona per contemplare a tutto suo agio lo spettacolo. “Vieni, Rosy cara, non fare la testarda e non fare arrabbiare tuo nonno più di quanto già non sia,” disse la signora Mansell sfibbiandosi la cintura. “Spogliati, mentre le ragazze sistemano il cavalletto in mezzo alla stanza.” “No, no! Non mi piace essere frustata,” gridai. “Nonno, vi prego, abbiate pietà,” implorai gettandomi ai suoi piedi. “Su, da brava, non essere vile, Rosy, è per il tuo bene,” replicò il vecchio tiranno. “Basta con i piagnistei. Signora Manseil, fate quello che dovete fare e cerchiamo di finire questa penosa operazione al più presto. Non voglio vedere mia nipote così priva di coraggio quando si verrà al dunque.” Le tre donne tentarono di sollevarmi di peso, ma io presi a scalciare, a sputare e a mordere, e per qualche istante la mia rabbia ebbe la meglio, ma alla fine le forze mi vennero meno e Jemina, che aveva la mano sanguinante per un mio terribile morso, mi trascinò, trionfante di vendetta, verso la macchina spaventosa. In quattro e quattr’otto, mani e piedi mi furono legati agli anelli in basso e in alto. La scala o meglio il cavalletto venne poi aperto, per cui fui costretta ad allargare ben bene le gambe, dopodiché un laccio, passato nei due anelli intermedi, mi bloccò anche i fianchi. Intanto sentivo Sir Eyre borbottare deliziato: “Per Giove! Ecco una che ha carattere, una vera Coote! E brava la mia Rosy. Svelte, voi, preparatevi.” Disperata, mi vidi strappare di dosso gli abiti, la gonna mi venne alzata e fermata attorno alle spalle; ma quando le tre cominciarono a calarmi gli slip, ebbi un altro accesso di furore, e mi volsi a gridare insolenze al vecchio che, gli occhi scintillanti, faceva sibilare un fascio di rami freschi. Mi sentivo il sangue ribollire e il mio deretano fremeva in anticipazione dei colpi, tanto più quando Jemina mi lasciò andare un colpetto sulle natiche per farmi capire quello che mi sarebbe presto accaduto. “Dovete essere una bestiaccia crudele, per farmi trattare in questo modo,” urlai al nonno. “Certo che sono una bestiaccia,” rispose lui con tono severo. “E lo vedremo tra poco, cara la mia signorina. E allora forse sentirai il dovere di chiedermi scusa,” e avanzò alla mia volta. “Pietà, pietà, ……..” singhiozzai allora. “Non volevo proprio dirlo, m’è sfuggito di bocca.” Egli allora,, parlando come se si rivolgesse ad altri: “E un caso serio. Questa ragazza è pigra, viziosa, e come se non bastasse mi insulta, offende me, che sono il suo unico precettore, invece di trattarmi con il debito rispetto. Non c’è via di scampo: l’unico rimedio, per quanto penosa possa apparire la scena a noi che dobbiamo infliggere la punizione, è quello di eseguirla subito, com’è nostro dovere, pena altrimenti che questa disgraziata sia rovinata per sempre. Eh, sì, è proprio una che ignora l’autocontrollo.” “Oh, nonno,” singhiozzai, “punitemi in qualunque altro modo, ma non così. So di non poterlo sopportare, è una cosa troppo terribile e crudele.” “Bambina mia, queste tue lacrime di coccodrillo non mi impressionano affatto. Se adesso te la dessi vinta, tu rideresti della faccenda e ti comporteresti peggio di prima. Scansati, Jane, non possiamo perdere altro tempo.” E così dicendo fece sibilare nell’aria i suoi rami freschi, suppongo solo per dare una dimostrazione, perché non mi toccò. Mi avvidi che gli occhi di Jane erano imperlati di lacrime, che sulle labbra di Jemina si era disegnato un sorriso malizioso e che la signora Manseil aveva assunto un’aria grave, ma non ebbi il tempo di riflettere perché in quella mi piombò sulle natiche una frustata, secca anche se non troppo forte, seguita da un’altra e da un’altra ancora, in rapida successione, non tali però da non farmi pensare che, dopotutto, la punizione non sarebbe stata così terribile come temevo; strinsi forte i denti senza pronunciare una parola, ben decisa a rivelare il meno possibile dei miei pensieri e sentimenti. Sei furono i colpi che mi piovvero addosso; mi sentivo il sedere bruciante, a ogni colpo mi sembrava che il sangue mi saettasse nelle vene. “Ora, oziosa bestiolina,” disse il generale, “vedi quali sono i frutti della tua condotta? E oserai ancora chiamarmi bestiaccia?” Al che, aggiunse un colpo più forte degli altri. Avevo in corpo ancora tanto coraggio da obbligarmi a non gridare, cosa che sembrò renderlo più furioso. “Cocciuta e ostinata, per Giove!” riattaccò. “Non credere, signorina, che mi lascerò vincere da una come te. Beccati questo, questo e questo,” e mi colpì con crescente energia, terminando con una frustata tale da farmi credere che m’avesse tolto brandelli di pelle. Un altro colpo così, mi dicevo, e il sangue sprizzerà fuori, ma proprio allora il suo furore cessò, credetti per mancanza di fiato, mentre ora so benissimo che il vecchio voleva solo prolungare il suo squisito godimento. Illudendomi che fosse finita, lo pregai di lasciarmi andare, ma fu un errore, e me ne avvidi subito. “Non ancora, ragazzaccia, non siamo neppure a metà della punizione, per tutti i tuoi morsi, gli sputi e la tua impudenza,” gridò Sir Eyre, e l’odiosa sferza sibilò nell’aria e mi piombò sulle natiche e le cosce, dolenti sì, ma che non sanguinavano affatto, come se il vecchio facesse bene attenzione a misurare i colpi. “Allora, darai ancora morsi? Sputerai e ti ribellerai ai miei ordini? Cara Rosy, adesso sai cosa ti aspetta. Morsi, sputi e ribellioni, eh? Morsi, eh?” si accalorava il vecchio, dandoci dentro con la frusta finché il sangue non cominciò davvero a irrorarmi le cosce. Soffrivo moltissimo a ogni colpo, e sarei svenuta se non fosse stato per le sue parole che, chissà come, mi davano forza, quasi si trattasse di un cordiale. E inoltre, frammista al dolore, cominciavo a provare una sensazione piacevolissima, un’eccitazione impossibile a descriversi, ma che tu, mia cara, che questo mio stesso trattamento hai subito più e più volte, certamente conosci. Ma ormai il coraggio mi era venuto meno, ormai singhiozzavo e mi lamentavo, pur ostinandomi a non chiedere pietà; i miei unici pensieri erano di vendetta, mi dicevo che mi sarebbe piaciuto flagellarli tutti a mia volta, farli a pezzi, specie il generale e Jemina e la signora Manseli, e anche la povera e lacrimosa Jane. “Maledizione, non vuoi chiedere perdono? Non intendi chiedere scusa, puttanella?” sibilò quel vecchio feroce. “Sei più dura e ostinata di qualsiasi altro in famiglia. Un vero ceppo di antica razza. Signora Mansell, io sono sfinito, datele voi una mezza dozzina di strisciate come si deve con un mazzo di rami freschi perché impari che, se può sconfiggere un vecchio, ci sono altre forti braccia pronte a dispensare giustizia.” La governante diede di piglio a una nuova frusta e prese a contare ad alta voce: “Uno, due, tre, quattro, cinque, sei,” ogni volta menandomi un colpo pesante, non però altrettanto crudele di quelli di mio nonno. “Ecco fatto, signorina Rosy, avrei potuto colpire più forte, ma ho avuto pietà per questa prima volta.” Mezza morta, a pezzi, ma vittoriosa, fui poi trascinata in camera mia. Ma era poi una vittoria, la mia? Ero sanguinante e in brandelli, e oltretutto certa che il generale avrebbe rinnovato i suoi attacchi alla prima occasione favorevole. La povera Jane piangeva e rideva sulle mie natiche straziate, mentre teneramente mi puliva con amica e acqua, e sembrava a tal punto avvezza a quell’incombenza, che quando ci mettemmo a riposare — la feci restare a letto con me — le chiesi se avesse spesso avuto in cura deretani così malconci. “Sì, signorina,” rispose, “ma voi dovete mantenere il segreto e far finta di non sapere nulla. Sappiate che anch’io sono stata frustata, e non senza crudeltà, anche se non con la stessa cattiveria toccata a voi. E sappiate anche che, dopo le prime due o tre volte, la cosa comincia a piacere, soprattutto se i colpi non sono troppo forti. La prossima volta vi converrebbe gridare per ammansire il generale; chiedetegli perdono, così si calmerà. E stato malissimo, si è molto stancato per lo sforzo di frustarvi, tanto che la signora Manseil voleva mandare a chiamare il medico. Ma Jemina ha detto che una buona frustata gli avrebbe fatto meglio, facendogli defluire il sangue dalla testa, e così gliele ha date sode, finché è ritornato in sé, esigendo che la smettessero.” Finì così la mia prima lezione. Nelle mie prossime lettere, ti racconterò del mio rapporto con Jane, come è continuato quello di amore e odio con il generale, e tutto il resto. Intanto, mia cara Nellie, abbiti un abbraccio dalla tua affezionatissima amica un nonno molto severo 1File Inviato: Un nonno molto severo 1.doc ===> File ricevuto: Un_nonno_molto_severo_1.docGia’ autoreSI autorizzo la pubblicazione dei mie dati personali come autore del testo inviato.IP: 81.208.106.72 SI, dichiaro, sotto la mia personale responsabilità, di essere MAGGIORENNE e che il racconto si riferisce ad: storia immaginariaVoti: Forma= Contenuto= Lunghezza= Originalità=Categoria: Sadomaso Un nonno molto severo (I parte)giorod2004giorod2004@yahoo.itUn nonno molto severo: ovvero Le voluttuose esperienze di una vecchia zitella 1^letteraCara Nellie, so di averti da lungo tempo promesso un resoconto delle ragioni che spiegano il mio debole verso la frusta che, a mio parere, è una delle istituzioni più voluttuose e deliziose della vita intima, specie per una vecchia zitella come me, ufficialmente rispettabilissima. Devo però dirti che la confessione delle mie debolezze mi riesce alquanto ardua e mi fa provare la stessa vergogna che provai quando la governante di mio nonno denudò per la prima volta il mio povero deretano in fiamme, per compiacere i desideri del vecchio. Unica mia consolazione, la speranza di riscaldarmi al ricordo, a mano a mano che procederò nel racconto. Mio nonno, come tu ben sai, era un celebre generale che aveva prestato a lungo servizio nell’esercito, Sir Eyre Coote, quasi altrettanto rinomato per la clamorosa sconfitta che aveva subito alla testa dei “mantelli blu” e per i servigi che aveva reso alla sua patria. Era amante della disciplina, e nulla lo rendeva più lieto dell’opportunità di usare il bastone con i suoi sottoposti – ma queste sono cose di cui ho solo sentito parlare perché accadevano prima che io nascessi. Ambedue i miei genitori morirono quando ero giovinetta, e il vecchio generale, che era stato travolto da uno scandalo a causa delle sue tendenze sessuali poco ortodosse – gli piacevano un po’ troppo i ragazzini – ed era stato costretto a ritirarsi a vita privata, non avendo altri parenti si prese cura di me, che alla sua morte fui nominata erede universale con una rendita di circa ************ sterline l’anno. Il nonno abitava in una grande villa a una trentina di chilometri da Londra, e fu lì che passai i primi mesi della mia vita da orfana, sola con il custode, la governante, signora Manseil e le domestiche Jane e Jemina. Il vecchio generale si era recato in Olanda, alla ricerca, come poi seppi, di certe edizioni originali di un tale Adriano Fornelli, un italiano che era stato un celebre confessore ed era autore di un singolare studio sulla flagellazione dei penitenti. Il nonno tornò a metà estate, e subito mi resi conto che la libertà di cui avevo goduto fino a quel momento si sarebbe notevolmente ridotta: avevo l’ordine di non cogliere né fiori né frutti in giardino, e ogni mattina il vecchio autocrate in persona mi impartiva una lezione. E le lezioni, all’inizio abbastanza facili, si facevano più difficili di giorno in giorno e solo adesso, ad anni di distanza, mi rendo conto che il nonno ricorreva alla tattica del lupo e dell’agnello, costringendomi a cedere alle sue brame mascherate da indignazione. In compenso, il vecchio detestava il lutto, non voleva saperne di vedermi vestita di scuro. Avevo. dato prova di rispetto e affetto per i miei genitori defunti restando in nero per mesi, ma lui adesso pretendeva che mi abbigliassi come si conveniva a una fanciulla di belle speranze. E, sebbene di rado avessimo ospiti, eccezion fatta per qualche vecchio, mummificato, antichissimo commilitone del nonno, fu messa a mia disposizione un’enorme quantità di abiti eleganti e alla moda, splendide scarpe, pantofole, biancheria intima di ogni genere, tutta ornata di bellissimi pizzi, e non mancavano magnifiche giarrettiere, alcune delle quali munite addirittura di fibbia d’oro, e il vecchio insisteva ad aiutarmi mentre le indossavo, non curandosi affatto del mio rossore, e pretendendo inoltre di sistemarmi a dovere gli slippini, come si usavano in quegli anni, parlo degli anni attorno al 1960. Ben presto, come ho detto, le lezioni si fecero più difficili, e io stentavo a venirne a capo. Un giorno il nonno prese a rimproverarmi: “Ah, Rosy, Rosy, perché non studi un po’ di più e non stai più attenta? Se continui così, sarò costretto a punirti.” “Ma nonno,” replicai, “come faccio a mandare a mente, ogni giorno, tutti quei terribili vocaboli francesi? Sono certa che nessuno riuscirebbe a venirne a capo.” “Zitta là, signorina, io sono miglior giudice di un’impertinente ragazzina come te.” “Ma nonno, sapete quanto bene vi voglio, e sapete che faccio del mio meglio.” “E allora, dimostrami più amore e più diligenza in futuro, altrimenti il tuo fondo schiena farà la conoscenza di un bel frustino che ho in serbo proprio per te,” ribatté il vecchio gentiluomo con tono burbero. Passò un’altra settimana durante la quale ebbi modo di notare che, quando comparivo a tavola in abito da sera (e a cena bisognava sempre essere molto eleganti), gli occhi gli si accendevano di un insolito bagliore, e il vecchio non mancava mai di suggerirmi di mettere in risalto la mia splendida carnagione con un mazzolino di fiori freschi. Ma la crisi era ormai prossima. Il nonno non faceva che scoprire nuove pecche e, con tono grave, mi offerse un’ultima possibilità: o soddisfacevo le sue esigenze, o guai a me, ma la prospettiva della punizione mi rese talmente nervosa, che mi riuscì più che mai difficile seguire le lezioni, e due giorni dopo fu il crollo. “Ah, Rosy, allora ci siamo!” disse il vecchio gentiluomo. “Inutile continuare così, ti ci vuole proprio una punizione. Suono il campanello, e alla signora Mansell prontamente accorsa ordinò di preparare la stanza delle punizioni e di tener pronta la servitù, caso mai lui ne avesse avuto bisogno, dal momento che, come si espresse, “la signorina Rosy è talmente pigra, e i suoi studi peggiorano a tal punto, che devo proprio prendere io le redini in mano, altrimenti la signorina Rosy rischia di rovinarsi per sempre”. Uscita che fu la governante, mi ingiunse di tornarmene in camera mia e di riflettere sul danno che mi aveva procurato la mia pigrizia. Piena di indignazione, confusione e vergogna, corsi in camera e mi ci chiusi a chiave, decisa a non aprire perché non intendevo sottopormi a un pubblico oltraggio davanti alle due domestiche. Mi gettai sul letto, dando la stura alle lacrime almeno per un paio d’ore; poi, visto che nessuno veniva a cercarmi, conclusi che si trattava solo di un piano per spaventarmi, e infine sprofondai in un sonno ristoratore. A risvegliarmi fu una voce, che riconobbi per quella di Jane. “Signorina, signorina,” mi sussurrava attraverso il buco della serratura, “farete tardi per cena.” Replicai che non avevo voglia di mangiare, visto che dovevo essere punita. “Vattene, lasciami in pace,” le ordinai. “Ma signorina, il generale è stato tutto il pomeriggio in giardino di ottimo umore. Credo che si sia dimenticato tutto. Non fatelo arrabbiare di nuovo non venendo a cena.” Girai la chiave, feci entrare Jane, la quale mi esortò: “State allegra, signorina, scendete come se nulla fosse accaduto, e chissà che il temporale non sia passato davvero. Il generale non ha molta memoria, specie se voi vi mettete quel mazzolino di fiori che tanto gli piace.” Seguii il suo consiglio, e mi presentai al nonno con la miglior cera possibile, quasi persuasa che l’ascia di guerra fosse stata seppellita. La cena trascorse piacevolmente. Il nonno bevve parecchi bicchieri di vino, e al dessert mi parve che mi guardasse con il solito interesse. Notò il mazzolino di fiori e disse: “Perfetto, Rosy, quei fiori sono come te, vedo che segui i miei consigli. Il mazzolino ti dona moltissimo, ma niente a paragone di quel che ti procurerà il mio frustino quando lo assaggerai sulle tue belle chiappette, che tra poco assumeranno l’aspetto di queste pesche. Bene, il grande momento è arrivato,” concluse suonando il campanello. Sentendomi prossima a venir meno dalla paura, corsi disperata verso l’uscio, ma solo per finire tra le braccia robuste di Jemina, e il nonno allora: “Procediamo con l’esercizio di punizione. Jemina, tu vai avanti con la colpevole e voi, signora Mansell e Jane, seguitemi”, ordinò a queste due che in- tanto erano a loro volta comparse. Ogni resistenza mi pareva inutile. Fui trascinata in una stanza che non avevo mai visto e che conteneva soltanto un tappeto e una comoda poltrona. Ma alle pareti facevano mostra di sé 5 mazzi tra bastoni e fruste, e in un angolo scorsi qualcosa che pareva una scala; era ricoperta di una stoffa ‘ rossa e provvista di sei anelli, due in basso, due a mezza altezza e due in cima. “Legatela al cavalletto e mettetevi all’opera,” comandò il generale sedendosi sulla poltrona per contemplare a tutto suo agio lo spettacolo. “Vieni, Rosy cara, non fare la testarda e non fare arrabbiare tuo nonno più di quanto già non sia,” disse la signora Mansell sfibbiandosi la cintura. “Spogliati, mentre le ragazze sistemano il cavalletto in mezzo alla stanza.” “No, no! Non mi piace essere frustata,” gridai. “Nonno, vi prego, abbiate pietà,” implorai gettandomi ai suoi piedi. “Su, da brava, non essere vile, Rosy, è per il tuo bene,” replicò il vecchio tiranno. “Basta con i piagnistei. Signora Manseil, fate quello che dovete fare e cerchiamo di finire questa penosa operazione al più presto. Non voglio vedere mia nipote così priva di coraggio quando si verrà al dunque.” Le tre donne tentarono di sollevarmi di peso, ma io presi a scalciare, a sputare e a mordere, e per qualche istante la mia rabbia ebbe la meglio, ma alla fine le forze mi vennero meno e Jemina, che aveva la mano sanguinante per un mio terribile morso, mi trascinò, trionfante di vendetta, verso la macchina spaventosa. In quattro e quattr’otto, mani e piedi mi furono legati agli anelli in basso e in alto. La scala o meglio il cavalletto venne poi aperto, per cui fui costretta ad allargare ben bene le gambe, dopodiché un laccio, passato nei due anelli intermedi, mi bloccò anche i fianchi. Intanto sentivo Sir Eyre borbottare deliziato: “Per Giove! Ecco una che ha carattere, una vera Coote! E brava la mia Rosy. Svelte, voi, preparatevi.” Disperata, mi vidi strappare di dosso gli abiti, la gonna mi venne alzata e fermata attorno alle spalle; ma quando le tre cominciarono a calarmi gli slip, ebbi un altro accesso di furore, e mi volsi a gridare insolenze al vecchio che, gli occhi scintillanti, faceva sibilare un fascio di rami freschi. Mi sentivo il sangue ribollire e il mio deretano fremeva in anticipazione dei colpi, tanto più quando Jemina mi lasciò andare un colpetto sulle natiche per farmi capire quello che mi sarebbe presto accaduto. “Dovete essere una bestiaccia crudele, per farmi trattare in questo modo,” urlai al nonno. “Certo che sono una bestiaccia,” rispose lui con tono severo. “E lo vedremo tra poco, cara la mia signorina. E allora forse sentirai il dovere di chiedermi scusa,” e avanzò alla mia volta. “Pietà, pietà, ……..” singhiozzai allora. “Non volevo proprio dirlo, m’è sfuggito di bocca.” Egli allora,, parlando come se si rivolgesse ad altri: “E un caso serio. Questa ragazza è pigra, viziosa, e come se non bastasse mi insulta, offende me, che sono il suo unico precettore, invece di trattarmi con il debito rispetto. Non c’è via di scampo: l’unico rimedio, per quanto penosa possa apparire la scena a noi che dobbiamo infliggere la punizione, è quello di eseguirla subito, com’è nostro dovere, pena altrimenti che questa disgraziata sia rovinata per sempre. Eh, sì, è proprio una che ignora l’autocontrollo.” “Oh, nonno,” singhiozzai, “punitemi in qualunque altro modo, ma non così. So di non poterlo sopportare, è una cosa troppo terribile e crudele.” “Bambina mia, queste tue lacrime di coccodrillo non mi impressionano affatto. Se adesso te la dessi vinta, tu rideresti della faccenda e ti comporteresti peggio di prima. Scansati, Jane, non possiamo perdere altro tempo.” E così dicendo fece sibilare nell’aria i suoi rami freschi, suppongo solo per dare una dimostrazione, perché non mi toccò. Mi avvidi che gli occhi di Jane erano imperlati di lacrime, che sulle labbra di Jemina si era disegnato un sorriso malizioso e che la signora Manseil aveva assunto un’aria grave, ma non ebbi il tempo di riflettere perché in quella mi piombò sulle natiche una frustata, secca anche se non troppo forte, seguita da un’altra e da un’altra ancora, in rapida successione, non tali però da non farmi pensare che, dopotutto, la punizione non sarebbe stata così terribile come temevo; strinsi forte i denti senza pronunciare una parola, ben decisa a rivelare il meno possibile dei miei pensieri e sentimenti. Sei furono i colpi che mi piovvero addosso; mi sentivo il sedere bruciante, a ogni colpo mi sembrava che il sangue mi saettasse nelle vene. “Ora, oziosa bestiolina,” disse il generale, “vedi quali sono i frutti della tua condotta? E oserai ancora chiamarmi bestiaccia?” Al che, aggiunse un colpo più forte degli altri. Avevo in corpo ancora tanto coraggio da obbligarmi a non gridare, cosa che sembrò renderlo più furioso. “Cocciuta e ostinata, per Giove!” riattaccò. “Non credere, signorina, che mi lascerò vincere da una come te. Beccati questo, questo e questo,” e mi colpì con crescente energia, terminando con una frustata tale da farmi credere che m’avesse tolto brandelli di pelle. Un altro colpo così, mi dicevo, e il sangue sprizzerà fuori, ma proprio allora il suo furore cessò, credetti per mancanza di fiato, mentre ora so benissimo che il vecchio voleva solo prolungare il suo squisito godimento. Illudendomi che fosse finita, lo pregai di lasciarmi andare, ma fu un errore, e me ne avvidi subito. “Non ancora, ragazzaccia, non siamo neppure a metà della punizione, per tutti i tuoi morsi, gli sputi e la tua impudenza,” gridò Sir Eyre, e l’odiosa sferza sibilò nell’aria e mi piombò sulle natiche e le cosce, dolenti sì, ma che non sanguinavano affatto, come se il vecchio facesse bene attenzione a misurare i colpi. “Allora, darai ancora morsi? Sputerai e ti ribellerai ai miei ordini? Cara Rosy, adesso sai cosa ti aspetta. Morsi, sputi e ribellioni, eh? Morsi, eh?” si accalorava il vecchio, dandoci dentro con la frusta finché il sangue non cominciò davvero a irrorarmi le cosce. Soffrivo moltissimo a ogni colpo, e sarei svenuta se non fosse stato per le sue parole che, chissà come, mi davano forza, quasi si trattasse di un cordiale. E inoltre, frammista al dolore, cominciavo a provare una sensazione piacevolissima, un’eccitazione impossibile a descriversi, ma che tu, mia cara, che questo mio stesso trattamento hai subito più e più volte, certamente conosci. Ma ormai il coraggio mi era venuto meno, ormai singhiozzavo e mi lamentavo, pur ostinandomi a non chiedere pietà; i miei unici pensieri erano di vendetta, mi dicevo che mi sarebbe piaciuto flagellarli tutti a mia volta, farli a pezzi, specie il generale e Jemina e la signora Manseli, e anche la povera e lacrimosa Jane. “Maledizione, non vuoi chiedere perdono? Non intendi chiedere scusa, puttanella?” sibilò quel vecchio feroce. “Sei più dura e ostinata di qualsiasi altro in famiglia. Un vero ceppo di antica razza. Signora Mansell, io sono sfinito, datele voi una mezza dozzina di strisciate come si deve con un mazzo di rami freschi perché impari che, se può sconfiggere un vecchio, ci sono altre forti braccia pronte a dispensare giustizia.” La governante diede di piglio a una nuova frusta e prese a contare ad alta voce: “Uno, due, tre, quattro, cinque, sei,” ogni volta menandomi un colpo pesante, non però altrettanto crudele di quelli di mio nonno. “Ecco fatto, signorina Rosy, avrei potuto colpire più forte, ma ho avuto pietà per questa prima volta.” Mezza morta, a pezzi, ma vittoriosa, fui poi trascinata in camera mia. Ma era poi una vittoria, la mia? Ero sanguinante e in brandelli, e oltretutto certa che il generale avrebbe rinnovato i suoi attacchi alla prima occasione favorevole. La povera Jane piangeva e rideva sulle mie natiche straziate, mentre teneramente mi puliva con amica e acqua, e sembrava a tal punto avvezza a quell’incombenza, che quando ci mettemmo a riposare – la feci restare a letto con me – le chiesi se avesse spesso avuto in cura deretani così malconci. “Sì, signorina,” rispose, “ma voi dovete mantenere il segreto e far finta di non sapere nulla. Sappiate che anch’io sono stata frustata, e non senza crudeltà, anche se non con la stessa cattiveria toccata a voi. E sappiate anche che, dopo le prime due o tre volte, la cosa comincia a piacere, soprattutto se i colpi non sono troppo forti. La prossima volta vi converrebbe gridare per ammansire il generale; chiedetegli perdono, così si calmerà. E stato malissimo, si è molto stancato per lo sforzo di frustarvi, tanto che la signora Manseil voleva mandare a chiamare il medico. Ma Jemina ha detto che una buona frustata gli avrebbe fatto meglio, facendogli defluire il sangue dalla testa, e così gliele ha date sode, finché è ritornato in sé, esigendo che la smettessero.” Finì così la mia prima lezione. Nelle mie prossime lettere, ti racconterò del mio rapporto con Jane, come è continuato quello di amore e odio con il generale, e tutto il resto. Intanto, mia cara Nellie, abbiti un abbraccio dalla tua affezionatissima amica Rosa Belinda Coote
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