3^ letteraCara Nellie, nella mia ultima lettera ti ho raccontato della punizione inflitta a Jemina e a me. Aggiungerò che le frustate toccatemi, lungi dall’impressionarmi, mi avevano resa anzi più temeraria. Non vedevo l’ora di ripagare il generale e la signora Mansell, ed ero a tal punto bramosa di vendetta che, posto che riuscissi a compierla con successo, nulla mi sarebbe importato delle conseguenze. Jane non era in grado di darmi alcun suggerimento, per cui decisi di agire da sola, e feci finta di lasciar cadere l’argomento. Intanto, però, piccoli fatti irritanti accadevano ai diversi membri della famiglia, me compresa. Il generale andò su tutte le furie il giorno in cui trovò i suoi libri sulla fustigazione strappati e lacerati, ma non poté incolpare nessuno. Credo che sospettasse che l’avesse fatto Jemina per vendetta. Ma il colmo si ebbe tre giorni dopo, quando il generale si ritrovò ridotto a un ecce homo dai rami di rovo che gli erano stati infilati nel letto. Ne provò un dolore tale, che si mise a strillare come un’aquila. Accorse la signora Mansell, balzando in fretta dal proprio letto per prendersi cura del povero vecchio, e trovò le lenzuola tutte macchiate di sangue e dovette togliergli dalla viva carne le spine. Ma quando a sua volta tornò a dormire si ritrovò alle prese con un gran mazzo di ortiche. “Ah, mio Dio! Dev’essere entrato qui dentro il diavolo in persona, mentre io ero assente,” cominciò a strillare. Jemina, Jane e io dichiarammo la nostra innocenza, ma era evidente che i sospetti si accentravano sulla prima. Comunque, la governante e il generale rimasero fuori combattimento per una ventina di giorni prima che potessero dare inizio alla loro indagine e alle successive punizioni. Il giorno finalmente arrivò. Il generale prese posto sulla solita poltrona, e noi tutte ci schierammo davanti a lui, in abiti eleganti. Esordì il generale: “Tutte sapete perche’ vi ho. convocate. L’oltraggio che avete inflitto alla signora Mansell e a me non può essere dimenticato. E se né la signorina Rosy, né Jemina né Jane si confesseranno colpevoli, vuoi dire che vi punirò severamente tutt’e tre, in modo che l’autrice del misfatto abbia comunque ciò che si merita.” Inutile dire che nessuna di noi tre ammise la propria colpa, e il generale, allora: “Una di voi dev’essere una bugiarda matricolata. Rosy, essendo tu la più giovane, ti punirò per prima. Forse avremo una confessione da una di voi, prima di aver finito.” Quindi, voltosi alla signora Mansell: “Preparate la signorina. Jane e Jemina vi daranno una mano.” Mi fu tolto l’abito di seta azzurra, ma a questo punto il generale non volle che fossi legata al cavalletto. Gli era venuta un’altra idea. “Ferme, ferme,” gridò. “Lasciate che sia Jernina a fare da cavallo.” Con la sottoveste ben sollevata in modo da mettere allo scoperto le mie natiche, venni issata sulla schiena di Jemina, le braccia attorno al suo collo, i polsi legati ben bene con una corda che, passando sotto di lei, mi bloccava i piedi. Il generale volle poi che Jemina trottasse per la stanza e, mentre lei eseguiva, lui sferrava frustate volanti. Invano gridavo che la smettesse, che ero innocente, ma il generale continuò implacabile finché, stanco, cedette il posto alla signora Mansell. Quanto a Sir Eyre, si accese un sigaro e si accomodò ben bene in poltrona per godersi la scena. Inutile dire che la signora Manseil ci diede dentro con tutte le sue forze, animata com’era dal crudele spirito di vendetta, ma io quasi non sentivo i colpi, presa com’ero dall’anticipazione dello spettacolo che le altre due mi avrebbero offerto quando a loro volta fossero state punite. “Basta con Rosy,” gridò finalmente il generale. “Sono sicuro che la colpevole è quel demonio di Jemina. Provate adesso con Jane, signora Mansell, vediamo se per caso ha qualcosa da confessare, e poi sarà la volta di quell’impudente testa rossa di Jemina.” Scesa da cavallo, a mia volta feci del mio meglio per sistemare la povera Jane sul dorso di Jemina, sollevandole la veste, ed esponendo alla vista le sue magnifiche natiche formose, le belle cosce e le gambe inguainate in calze di seta, il tutto coronato da un bel paio di mutandine di raso rosso e da giarrettiere azzurre con fibbie argentate. A quella vista il generale insorse: “Come osi, Jane, brutta disgraziata, come osi presentarti al mio cospetto senza i soliti slip? E un’indecenza! E come dirmi: ‘Orsù, signore, tagliuzzatemi il culo! Brutta troia, ti piace questo?’ e così dicendo le sferrò un colpo tremendo con la frusta, tanto da lasciare una striscia rosso vivo sulla carne immediatamente al disopra della fessura pelosa. E continuò a colpire, in preda in apparenza almeno, a una grande indignazione. Invano Jane protestava la propria innocenza, e Sir Eyre: “Sono magari propenso a perdonarti per la mancanza degli slip, che tu dici che non sei riuscita a infilarti nella fretta di correre da me. Affermi che il dovere ha avuto la meglio sulla decenza, e va bene, ti credo sulla parola, ma per quanto riguarda le spine nel letto, devi saperne qualcosa, ed è tuo dovere confessarlo. Allora? E stata Jemina sì o no?” E siccome Jane sosteneva di non saperne nulla, continuò a infierire con la frusta, facendo sprizzare abbondantemente il sangue. La vittima stava ormai quasi per svenire, e io già sentivo i soliti accenni di voluttuoso eccitamento, ma proprio in quella Jane cessò di agitarsi e di gridare, come se non sentisse più i colpi crudeli, mentre le sue convulsioni si smorzavano in singhiozzi. “Sì, sì, è stata Jemina!” esalò la poverina. E Sir Eyre allora: “Oh, finalmente hai confessato! Ora facciamola scendere, e dedichiamoci alla vera colpevole.” La povera Jane venne fatta scendere in condizioni penose, e Jemina sibilò qualcosa tra i denti mentre io aiutavo la signora Mansell a legarla al cavalletto e, dopo averle tirato su le gonne e giù gli slip, ammirai lo splendido culo candido come la neve, il delizioso buchetto tra le natiche e, sotto, il rigonfio della vagina. Sir Eyre ordinò di aprirle le gambe il più possibile: “Questa disgraziata,” soggiunse, “ha fatto soffrire le altre con le sue cattiverie e ha anche provato il gusto di vederle punire.” “E assolutamente falso, signore. Non ho mai fatto niente di simile, e sono le altre che mi hanno accusata per godersi lo spettacolo della mia fustigazione. Oh, è troppo crudele. Datemi il mio salario, e lasciatemi andar via.” Replicò Sir Eyre ridendo: “Sì, avrai il tuo salario, o perlomeno quello che ti meriti, miserabile serpentello! Ma non perdiamo più tempo con quest’ostinata, cerchiamo la frusta migliore. Guardate quanto diventa rossa,” soggiunse colpendo, “ma presto sarà rossa di sangue.” Poi, rivolto a me: “Rosy, mia cara, è per colpa di questa disgraziata che tu sei stata punita. Io non voglio certo spingerti alla vendetta, ma siccome la signora Mansell non si sente ancora bene per via di quelle famigerate ortiche, e io sono ormai sfinito, penso che tu potrai darmi il cambio,” e mi porse un bel frustino da signora che finiva con un nodino di corda. “Ormai sai come si usa. Non risparmiare neppure un centimetro delle sue natiche e delle sue cosce.” Era proprio quello che avevo sempre bramato, anche se non volevo che il nonno se ne accorgesse. Impugnai la frusta e mi misi in posizione, non senza aver ordinato alla signora Mansell di denudare completamente la vittima designata. Questa se ne stava lì, con rassegnazione, il culo chiazzato di sangue che formava un magnifico contrasto con il ventre candido e con il monte di Venere ornato di una ricca peluria color sabbia; le gambe erano ben divaricate, sicché potevo vedere chiaramente il foro rosa dell’ano e, un po’ più sotto, il dolce rigonfio della vagina, e ammiravo la splendida tornitura delle cosce tonde e bianche, una vista resa più eccitante dalle calze di seta rosse autoreggenti, mentre ai piedi Jemina portava scarpette di colore beige, Io stesso dei lunghi guanti. Mi sentivo a tal punto ribollire il sangue alla vista di tanta bellezza, che non vedevo l’ora di ridurla a brandelli con la mia frusta. “Avanti, Rosy, perché tardi tanto a incominciare?” mi incitò il nonno. “Tieni presente che questa è una testarda ostinata. Cerca almeno di persuaderla a chieder scusa a Jane.” E io: “E’ molto carina e, dico il vero, mi dispiace doverla ferire con la mia frusta, nonno. Comunque, adesso comincio, Jemina. Ti fa tanto male questo bel culo?” chiesi, lasciandole andare una frustatina sulle cosce morbide. “Oh, oh, signorina Rosy, abbiate pietà,” implorò lei. “Non sono mai stata scortese con voi, e vi ho sorretto sulle spalle mentre il generale vi puniva.” “Sì, è vero, però ti sei divertita, crudele come sei,” replicai. “Sapevi benissimo quel che mi toccava, eppure ti sentivo ridere sotto di me,” e le mollai tre o quattro sferzate poderose sui lombi. “Su, dunque, deciditi a chiedermi scusa e a chiedere perdono a Jane per i tuoi tradimenti. Hai forse intenzione di vendicarti su di lei?” le chiedevo, a ogni domanda colpendola in punti sempre diversi. La vittima badava a strillare: “Ahi! …. pietà! Oh, siete dura come Sir Eyre, mi farete a pezzi con quella frusta,” diceva singhiozzando, ma sul suo viso si leggevano insieme terrore, rabbia e ostinazione. E io: “Ormai, Jemina, la tua unica possibilità è di chiederci scusa e di confessare la tua colpevolezza. Sai bene di essere stata tu, e soltanto tu, a farlo, ragazza ostinata,” e intanto continuavo a menare la frusta, e il sangue fluiva sulle cosce lungo le calze. Quel liquido rosso mi sembrava delizioso, e un po’ alla volta la sua vista mi portò a uno stato d’animo strano, talmente intenso che per poco non ne restai sopraffatta. Esaurita, mi lasciai cadere su una sedia, in preda a una sorta di stupore letargico, e tuttavia perfettamente conscia di quello che accadeva intorno a me. Disse Sir Eyre: “Ah, Rosy, pensavo che tu fossi più forte, ma si vede che la punizione che ti ho inflitto prima è stata troppo per te. Finirò io l’opera. Se non vuole confessare, dev’essere giustiziata, ecco tutto.” E prese a sferzarla con una frusta molto più pesante di quella di cui mi ero servita io, munita di tre punte terminali. “E dunque non vuoi confessare, ostinata come sei! Il sangue mi ribolle, se penso dì aver punito altre due ragazze innocenti!” esclamò il generale, colpendola furiosamente sui polpacci e riducendo in brandelli le delicate calze di seta. La vittima, che non poteva muoversi perché aveva le caviglie solidamente legate, si doleva a voce acutissima, divincolandosi, singhiozzando istericamente; e il generale, he sembrava fuori di sé, adesso si accaniva sulle magnifiche spalle bianhe di Jemina, tagliuzzandone la pelle e bagnando tutto il corpo della poverina con il suo stesso sangue. “La ammazzerò! Non posso farne a meno, mi ha reso pazzo,” ululava il generale sventagliando colpi attorno ai capezzoli, coprendo il seno di rosse striature, mentre schizzi di sangue piovevano sul ventre candido. “Oh, oh, pietà,” gemeva Jemina tra un singhiozzo e l’altro. “Fatemi piuttosto morire, ma non torturate più questa carne innocente.” Sembrava sul punto di svenire e fu allora che la signora Mansell si interpose dicendo: “Ora basta, Sir Eyre, può darsi che sia ferita gravemente.” Il vecchio generale si fermò per riprendere fiato, dicendo: “Oh, sì, lo so che avete ragione di farmi smettere, signora Mansell, altrimenti la ucciderei sul serio.” La vittjma sanguinante, in uno stato davvero pietoso, fu liberata; anche gli scarpini erano insanguinati, macchie rosse erano sparse sul pavimento, e le dovemmo somministrare un gin prima che si potesse riaccompagnarla in camera sua, dove rimase a letto parecchi giorni. A questo punto, avevo ormai avuto la vendetta che desideravo, ma la più grande vendicatrice di tutti, con mio grande sconforto, presto ghermì il mio povero, vecchio nonno, lasciandomi un’altra volta orfana. Siccome ero ancora molto giovane, i miei tutori, come aveva prescritto nel suo testamento Sir Eyre, mi spedirono al collegio della signorina Flybum, nome come vedi assai simbolico, vuol dire infatti “sculacciaculi”, perché vi completassi la mia educazione. Nella prossima lettera ti descriverò alcune mie esperienze scolastiche, e per il momento, cara Nellie, ti abbraccio. Rosy Belinda Coote
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