Era davvero una bella ragazza, sui venticinque anni, il volto ovale dai lineamenti dolci e un pò alteri, alta e slanciata, le lunghe gambe inguainate in provocanti calze a rete, scure… il resto era celato da un soprabito informe che non lasciava vedere nulla ma lasciava spazio all’immaginazione e tanto bastava; al banco del bar facevo colazione col solito cappuccino e fantasticavo sulla donna che, oltre la vetrata, sembrava sui carboni ardenti in attesa di qualcuno. Dovevo andare al lavoro, così lasciai i pensieri erotici e, pagata la consumazione, m’avviai alla vettura parcheggiata negligentemente in doppia fila, adesso la tipa parlava al cellulare e, dopo averlo riposto con scatto nervoso, scoppiò a piangere… erano le otto di un lunedì mattina e non avevo l’animo del paladino né del consolatore ma, tant’è, era veramente troppo bella e…- Ehi, su con la vita… – le dissi, banalmente, porgendole un fazzoletto.- Non è niente, non è niente…- si schernì, afferrandolo e cercando di riprendersi, nascondendosi dietro il rettangolo di carta, aveva occhi favolosi, grandi e teneri, illanguiditi dalle lacrime, proprio una cerbiatta.- Su, posso offrirle qualcosa,… un caffè?- proposi, sempre più banale.- Non voglio farmi vedere in giro così.- protestò, pulendo il rimmel che colava sul viso.- Ha ragione, l’aiuto a ricomporsi… venga, ho delle salviette umidificate.- dissi cogliendo la palla al balzo, le misi il braccio sulle spalle guidandola verso l’auto, e lei riprese a piangere affondando il viso nella mia spalla, restai immobile per un istante, conscio delle occhiate interrogative della gente che passava, poi riuscii ad aprire la porta e farla salire, infine mi sedetti al suo fianco e tornai ad abbracciarla per… consolarla.- Andiamo via di qua, non voglio più vedere questa piazza!- disse, con rabbia.- Va bene, ma calmati… dove vuoi andare?– Fuori città, dove preferisci.- misi in moto scuotendo la testa, se andava bene sarei arrivato in ritardo al lavoro ma, a questo punto, non potevo lasciarla in quello stato.- Mi chiamo Alberto.- dissi qualche tempo dopo, porgendole la scatola delle salviette.- Io Olivia, piacere e… grazie.– Vuoi davvero andare fuori città?- le domandai.- Si, e non vorrei più tornare indietro.– Cominciamo ad andare, poi vedremo.- in pochi minuti si era ricomposta e aveva anche trovato il modo di rifarsi il trucco col necessario che aveva in borsetta.- Dove mi porti?- domandò incuriosita ma per nulla preoccupata.- Ho pensato di andare verso Derovoli, io sono nato lì… per lo meno conosco il posto.– Ci sono passata qualche volta, sembra una cittadina come le altre…– Per molti versi lo è, ma io la conosco bene e… ti piacerà.-Poco dopo c’inerpicavamo sulla stretta strada che portava al piazzale panoramico del castello, un tempo era un posto tranquillo ma da quando l’hanno restaurato e aperto al pubblico è sempre pieno di pullman e comitive di visitatori; aggirai l’antica costruzione e, dopo neppure un chilometro, eravamo in mezzo al bosco, ancora qualche curva sterrata che affrontai con la perizia di un pilota di rally e mi fermai in un prato che dominava le due valli ai lati della collina, appena fermo lei scese dalla vettura respirando a pieni polmoni e stiracchiandosi… era ottobre inoltrato ma c’era il sole e faceva caldo, così tolse l’ingombrante soprabito restando con la minigonna e d un maglioncino aderente che metteva in risalto un seno ben fatto anche se non troppo grande… Ero rimasto vicino alla vettura ad ammirarla mentre faceva qualche passo per ammirare il panorama ma, evidentemente, non era proprio la sua giornata… una zolla le si sgretolò sotto i tacchi alti e scivolò per due o tre metri prima di fermarsi grazie ad un cespo di rovi, accorsi a soccorrerla… la scarpata non era molto alta, ma bastava per farsi male; la raggiunsi e mi si aggrappò piagnucolando, era sporca di terra ma la strinsi e l’aiutai a risalire, per farlo "dovetti" far forza sulle sue natiche generose e spingerla su, ma non protestò, s’aggrappò a me risalendo sul piano, dove la raggiunsi col fiatone.- Grazie, mi hai salvato di nuovo.- disse con voce accorata.- Non esagerare, era solo un saltino…- mi schernii, avvicinandomi a lei.- Sarà solo un saltino ma è bastato per farmi male al ginocchio e a… rompere le calze.– Spero non sia fuori posto…- dissi, toccandole la gamba e sollevandola per provare l’articolazione, mi godevo il calore della sua pelle e la vista di cosce e mutandine, di pizzo nere, sotto i collant strappati; mi chinai a cercare la sua bocca e, trovatala, rispose al mio bacio passandomi un braccio attorno al collo avvinghiandoci in un complicato intreccio di lingue, avendo premura di non gravarle sul ginocchio malandato mi distesi su di lei continuando a baciarla, la mia virilità le premeva sulla pancia in modo inequivocabile e lei, altrettanto inequivocabilmente, muoveva i fianchi per sentirlo meglio. Era un invito esplicito, le passai una mano sul seno e lo palpai voluttuosamente facendo inturgidire il capezzolo poi, sempre intrecciando la lingua con la sua, le accarezzai le cosce risalendo sotto la gonna e, quando raggiunsi il pube rigonfio, lei mi gratificò di un lungo sospiro, quasi un gemito, di piacere.Olivia non era tipo da subire i miei assalti senza far nulla, la sua mano mi era entrata nei calzoni palpando il membro che poi tirò fuori, facendolo guizzare duro e dritto… curiosa, si divincolò da me per guardarlo, non aspettavo altro, mi sollevai per proporlo alla sua bocca tumida dei miei baci, la bella sconosciuta non si fece pregare, mise le mani a coppa sotto i testicoli sostenendo il cazzo che poi baciò sulla punta e aspirò con abilità fino a farne sparire metà tra le labbra prominenti, non riuscii a resistere oltre e, afferratole la testa, cominciai a scoparla in bocca, spingendo il cazzo sempre più a fondo fin quando strabuzzò gli occhi ed avvertii la contrazione spasmodica della gola attorno al glande, mi ritrassi un poco ma lei, che m’accarezzava il culo, mi infilò un dito nello sfintere facendomi scattare avanti affondandole ancora più profondamente in gola, quel gioco mi piaceva ed era eccitantissimo ma non volevo venirle in bocca, volevo scoparla e lo dissi ad alta voce, invitandola a concedersi. Non c’era bisogno d’insistere, Olivia si lasciò andare sull’erba sollevando la maglia sulle tette e slacciando il reggiseno io, per non perdere tempo, le avevo stracciato i collant e sfilato le mutandine fradice… aveva un monte di venere gonfio di peli neri e morbidi, tremendamente eccitante, sotto il quale si vedeva l’inizio della fessura rosea e quando le aprii rudemente le gambe scoprii le labbra intime più scure, gonfie e protese, averi voluto infilarmi subito in quel nido accogliente, invece mi chinai e attirai al volto quel frutto prelibato sostenendo le chiappe sode, lei capì al volo e m’imprigionò il collo fra le gambe attirandomi sulla figa bagnata dove mi dedicai ad una leccata che la fece gemere, poi mi dedicai al clitoride, scappucciandolo e lambendolo ripetutamente con la punta della lingua, gli spasmi dell’orgasmo la colsero quasi subito.- Oh Alberto, che bello, adesso ti voglio tutto dentro.- m’invitò, lasciandomi il collo ma restando con le gambe sollevate e la vagina esposta e protesa, sempre sostenendola sotto il culo la portai all’altezza giusta e lei, passando una mano tra le cosce, afferrando l’asta mi guidò dentro di se, incitandomi a scoparla io, tuttavia, volevo rendere più eccitante quel gioco e muovevo i fianchi quel tanto che bastava a scivolare sulla sua fessura finendo sui peli del pube o andando a stuzzicare la rosetta dell’ano, ad ogni colpo andato a vuoto aumentava il desiderio e la voglia di amarci, adesso mi teneva il cazzo con entrambe le mani e si scuoteva come un’ossessa tentando d’infilarlo… prima che lo staccasse mi concessi e, dopo averlo appoggiato sulla fessura, sprofondai in lei fino alle palle.- Ahhhh… finalmente…! Scopami, scopami…- urlò lei, avvinghiando le gambe ai miei fianchi e venendomi incontro con violenti colpi del bacino accogliente, ad ogni affondo sentivo i testicoli sbatterle contro il culo ma non avevo nessuna intenzione di lasciarmi andare al godimento, la feci girare e, dopo averle allargato le chiappe, la infilai alla pecorina… così riusciva a partecipare all’amplesso sculettando e macinando il membro nella vagina bollente, le spalancai ulteriormente le chiappe morbide e sode affondando, crudele, il pollice nello sfintere stretto, appena inumidito dai nostri umori, le sue mosse diventarono più spasmodici ed incontrollati, sembrava in preda a una crisi epilettica e per un attimo ebbi paura ma ormai sentivo il magma ribollirmi nelle palle, pronto a sgorgare in quel corpo così caldo e voluttuoso… non la conoscevo e avevo qualche remora a venirle dentro, lei probabilmente lo capì.- Chiavami fino in fondo, sborrami dentro bel maschione… io ci sonooo…!- in quel momento la furia che aveva dentro si placò e il suo corpo flessuoso si rilassò, solo la vagina continuava a palpitare all’unisono coi colpi di cazzo che le sferravo con furia, un gemito prolungato e sensuale le sfuggì dalle labbra ben disegnate mentre socchiudeva gli occhi con aria sognante e, proprio in quel momento, il seme sgorgò con potenti fiotti che andavano a colpire la cervice e la bocca dell’utero, estrassi il cazzo appoggiandolo sulla sua schiena che ondeggiava placidamente e dove spruzzai le ultime gocce che si aspersero sulla pelle candida, sempre senza aprire gli occhi portò una mano sul sedere e col dito dalla lunga unghia, laccata di rosso, raccolse lo sperma e se lo portò alla bocca succhiandolo golosamente.
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