Finalmente, a un quarto a mezzanotte, con un’ora di ritardo, il treno notturno che Beba e suo figlio Luigi avevano prenotato per andare a B*** per partecipare a un matrimonio tra parenti, fece il suo ingresso in stazione. Una volta saliti ed entrati nello scompartimento loro riservato, trovarono un’altra negativa sorpresa: delle due cuccette, quella superiore era rotta e non poteva essere usata. “Maledizione!” esplose Beba. “Mamma, vado a cercare l’addetto,” si offrì suo figlio. “oh, per carità. Lascia perdere. Se anche lo trovi, cosa vuoi che sia capace di risolvere. Poi sono stanca morta. Ci stringeremo nella cuccetta.” “Che viaggio di merda,” aggiunse tra sé Beba, che sotto l’aspetto di sofisticata signora borghese sapeva imprecare e lo faceva spesso. Si era fatta convincere, non sapeva dire nemmeno lei come, a partecipare a quel matrimonio. Quello scansafatiche del marito non aveva neanche per un istante fatto finta di volerla accompagnare. Quanto al figlio, se ne era lamentato all’inizio, ma alla fine aveva acconsentito ad accompagnarla. “Ma guarda come dovremo dormire, pressati come acciughe,” pensò ancora Beba osservando l’unica cuccetta praticabile, mentre Luigi sistemava le valigie. “Fanculo alle ferrovie!” Poi, rivolta al figlio. “Aspetta, non mettere via quella, devo prendere la mia camicia di notte.” In precario equilibrio sulla scaletta, Luigi le passò il borsone. Con gesti annoiati, Beba ne tirò fuori una specie di corto pagliaccetto color avorio. Poi cominciò a togliersi i vestiti, senza badar troppo al fatto che ci fosse suo figlio. Luigi, dal canto suo, era invece piuttosto imbarazzato: “Esco un attimo, mamma.” “Sì, fa come vuoi,” gli rispose distrattamente, e intanto era già in reggiseno e collant. “Ho un figlio timido,” pensò. Beba era una bella quarantenne, corvina nei capelli che morbidi e ondulati cadevano sulle spalle. Belle gambe, seno sodo, un po’ di cellulite sui fianchi, ma un culo che stava ancora su da solo. Per un attimo si chiese se il baby-doll che aveva deciso di indossare non fosse troppo corto e troppo trasparente, visto che avrebbe dovuto dividere la cuccetta con Luigi. Ma era primavera, faceva già caldo. Vuol dire che avrebbe tenuto su le mutandine, decise mentre si sfilava i collant. Ma per nulla al mondo sarebbe mai andata dormire con il reggiseno. E infatti lo tolse e assaporò subito il senso di libertà che provarono i suoi seni. Quando Luigi rientrò nello scompartimento sua madre era già distesa sulla cuccetta, parzialmente coperta dalle lenzuola. A differenza di lei, egli provò un certo imbarazzo a spogliarsi sotto i suoi occhi, imbarazzo accentuato anche dal fatto che aveva notato come attraverso il baby-doll le si potesse vedere bene il seno nudo. Luigi distolse gli occhi e diede addirittura le spalle alla madre, mentre restava in boxer. Beba invece lo osservò attraverso gli occhi già socchiusi dal sonno. Luigi era diventato un bel ragazzo, aveva quasi diciottanni, lo sport lo aveva reso prestante: belle cosce muscolose, spalle forti, i muscoli guizzanti sul petto e sull’addome. “Mamma, non ho preso il pigiama. Ti secca se vengo a letto con i boxer?” “Ma sì,” mugolò lei, girandosi dall’altra parte. Madre e figlio si schiacciarono insieme nello spazio angusto della cuccetta. Fuori discussione potersi sdraiare sulla schiena. Dovevano restare sul fianco e, anche così, era inevitabile che i loro corpi si sfiorassero. Beba aveva sonno, ma sentiva accanto a sé Luigi irrequieto, sentiva le sue gambe sfiorarla e poi ritrarsi, il respiro pesante. “Che hai Luigi? Perché non dormi?” gli disse a un certo punto con la voce strascicata dal sonno. “E’ che non so dove mettere le mani. Ti dispiace se ti passo il braccio intorno alla vita?” “No, basta che mi fai dormire,” replicò Beba e si rannicchiò ancor di più, involontariamente sporgendo però il suo sedere contro il pube del figlio. Beba scivolò lentamente nel sonno. Forse non si addormentò del tutto. Di sicuro non si rese conto di come la mano del figlio dal ventre avesse cominciato a risalire. Ma era sicura di non sognare quando sentì che quella mano era arrivata proprio sotto il suo seno. Beba rimase immobile. Il respiro di Luigi non era regolare: anche lui era sveglio. Beba si chiese se dovesse allontanarlo, ma quella leggera pressione non le dispiaceva. Poi, lentamente, la mano cominciò ad avanzare e finì con il circondarle e toccarle delicatamente un seno. “Adesso fingo di agitarmi nel sonno, così la toglie.” Invece non lo fece. Perché quel gentile sfioramento non la stava infastidendo. Anzi. Sentì il capezzolo inturgidirsi. Se ne accorse anche Luigi che immobilizzò la mano. Poi però, imbaldanzito, riprese l’esplorazione. Beba continuò a fingere di dormire e suo figlio, sentendosi più sicuro, continuò il suo massaggio, rivolse, anzi, le sue attenzioni anche all’altra tetta, cominciando a massaggiare anche questa. Beba era una donna calda. Era sensuale e pronta ad accendersi. Quelle carezze sul seno la stavano eccitando e, che a fargliele fosse suo figlio o no, non sarebbe stata certo lei a farle cessare. All’ennesimo passaggio del palmo di Luigi sul capezzolo orami eretto, Beba si irrigidì leggermente suo malgrado. Così il suo culo sfiorò qualcosa di duro che lei capì subito essere l’uccello di suo figlio. Luigi palpava il seno a sua madre e in più era in piena erezione, che bravo! Ma Beba non era affatto seccata. Anzi, compiaciuta di provocare questa reazione in Luigi. Anzi, era curiosa di sentire quanto gli fosse diventato duro. Anzi, era desiderosa di toccarglielo, in fondo era il cazzo di un maschio e a Beba i cazzi dei maschi erano sempre piaciuti. E lui non smetteva di toccarle le tette… Beba allungò piano la mano, forse cercava uno sfioramento casuale, ma quando le sue dita incontrarono la verga di Luigi, non si trattenne più e gliele strinse intorno. “Però, è grande!” pensò. Luigi si immobilizzò, la mano stretta in uno spasmo sul seno di sua madre. Attraverso i boxer Beba gli impugnò il cazzo con decisione. Si girò sul fianco, faccia a faccia con il figlio. “Cosa pensi di fare?” gli bisbigliò. Luigi stava immobile, praticamente terrorizzato. A Beba piacque quell’espressione, che le ricordò quando da bambino lo scopriva in qualche marachella. Anche questa era in un certo senso una marachella, ma una bella marachella diritta e dura. Beba gli passò la mano libera dietro la nuca, si sporse su di lui e gli poggiò le labbra aperte contro le sue. Non lasciò a suo figlio nemmeno il tempo di rendersi conto che lo stava baciando: la sua lingua prese a dardeggiargli dentro la bocca, vorticò intorno alla lingua di lui, gliela avvolse, gliela succhiò. E tutto questo senza mai smettere di tenergli saldamente il cazzo stretto tra le dita. Quando ebbe bisogno di respirare Beba interruppe il bacio, e allora attirò sul suo petto il viso di Luigi che prese a baciarle il collo, le spalle, la sommità del seno. A questo punto le cose precipitarono. Lei si abbassò le mutandine, le fece scivolare giù scalciando freneticamente con le gambe per essere libera di allargarle. Poi prese a sbottonare i boxer del figlio, gli liberò la nerchia e prese a carezzargli i testicoli. Beba passò una gamba sopra i fianchi di Luigi. Il pene di lui si trovò così proprio a puntare la soglia dello scrigno umido e pulsante di sua madre. Fu Beba a muovere gamba e bacino per favorire il movimento del figlio. Lui la penetrò in un sol movimento, facendo scivolare il bastone lungo le pareti lubrificate della vulva. Nemmeno Beba si era resa conto di essere così bagnata. Represse un gridolino e con le labbra cercò di nuovo la bocca di lui. Ripresero a baciarsi mentre Luigi cominciava a muovere i fianchi riempiendole la fica del suo sesso in tutta la lunghezza. Gli bastarono poche spinte dentro la carne calda di sua madre per venire. Beba si sentì inondare da un fiume di succo, mentre il corpo di suo figlio si irrigidiva e contraeva i fianchi in un ultimo spasmo del pube, cercando di entrare dentro di lei quanto più possibile. Lei sentì almeno altri due schizzi, dopo il primo, enorme, allagarla. Poi, il corpo di suo figlio, come gli avessero di colpo staccato l’energia, si rilassò fra le sue braccia, il suo membro ormai vuoto scivolò via naturalmente e lui si acquietò sul suo seno. Anche Beba riprese fiato. Era stato tutto così veloce, così folle. Si era fatta scopare da suo figlio! Per quei pochi attimi da quando le aveva toccato il seno a quando le era venuto dentro, lei aveva completamente dimenticato di essere sua madre. Aveva sentito la voglia di lui, ed aveva risposto ricambiandolo di eguale desiderio. Il ricordo di quell’improvviso abbandono che li aveva presi tornò ad eccitarla. Lui era venuto subito, troppo presto. Ma quanto sperma le aveva versato dentro! Beba si accarezzò le labbra, c’era un lago là sotto!, e poi prese a stuzzicarsi il clitoride per completare il piacere. Accanto al collo sentiva il soffio pesante e regolare del respiro di Luigi, già addormentato. Beba non dormì quasi per nulla quella notte, invidiando il sonno invece soddisfatto di Luigi. Pensò a quello che avrebbe dovuto fare, rimuginò su quel che avrebbe dovuto dirgli la mattina dopo. Così la trovò il primo sole del mattino quando cominciò a entrare attraverso il finestrino, mentre sfrecciavano già i dintorni di B* dove sarebbero arrivati di lì a poco: sveglia, inquieta, ma pienamente in controllo della situazione. “Luigi, Luigi,” lo svegliò, scrollandolo gentilmente, “stiamo per arrivare, sveglia!”. Il ragazzo si svegliò di colpo, scuotendosi di scatto. Rimase qualche istante immobile e il silenzio, sbattendo le palpebre. Man mano che realizzava che quel che era accaduto non lo aveva sognato, che stava nudo sotto le lenzuola di una cuccetta, stretto ancora al corpo di sua madre, dentro il quale aveva poco prima svuotato i suoi istinti, man mano che tutto questo gli si presentò alla mente, Beba gli vide spalancare gli occhi e pietrificarsi come una statua di sale. Lei, come se nulla fosse, lo mandò in bagno a lavarsi, raccomandandosi, con il tono gentile ma esasperato di una mamma qualsiasi, che si sbrigasse per non trovarlo occupato e non farsi sorprendere dall’entrata in stazione. Quando Luigi tornò trovò che sua madre si era già rivestita e, sciacquatasi il viso nel piccolo lavabo dello scompartimento, si stava spazzolando i capelli. “Luigi, dobbiamo parlare, io e te.” Luigi cadde a sedere sulla cuccetta, le gambe sentendole improvvisamente di burro. Beba non si voltò, Continuò a parlargli dandogli le spalle e guardandolo attraverso lo specchio. “Senza giri di parole, Luigi. Stanotte è accaduta una cosa folle. Una cosa da pazzi. Non so come sia potuta accadere. Ma non voglio nemmeno chiedermelo. Non lo dovrà mai sapere nessuno, intesi?” Beba lo vide annuire lentamente con il capo che teneva chino. “Non ti devi sentire in colpa, non più di me, almeno. Abbiamo perso la testa tutti e due. Ma se dimenticheremo questo episodio sarà come se non è mai successo, capito?” Luigi continuava a non osare sollevare lo sguardo. “D’altra parte cosa è successo? Praticamente niente. Non devi pensare che abbiamo fatto l’amore. Tu… tu sei venuto dentro, subito. Tecnicamente è come se ti fossi masturbato, solo che anziché nella tua mano, … insomma sei venuto dentro di me. Sei d’accordo?” Beba si fermò e, finalmente voltatasi, lo fissò. “Guardami!” Luigi lo fece. “Sei d’accordo con quello sto dicendo?” “S-Sì.” “Bene, allora non vale più la pena nemmeno pensarci.” Il treno stava rallentando. “Prendi le valigie, svelto.” C’era ancora una cosa, però: “Solo una domanda ancora. Ti era successo con quella ragazza con cui ti vedi, come si chiama, Katia?” Luigi scosse il capo: stavolta era un diniego. “Nemmeno con quella di prima, Sabrina?” Ancora no. “Complimenti!” pensò ironicamente Beba tra sé mentre scendevano dal treno: non era stata gran ché come scopata ma era stata proprio lei a fargli fare la prima della sua vita. L’ospitalità dei parenti li avvolse immediatamente e possessivamente, distogliendo madre e figlio dal turbamento di pensare a quel che era successo tra loro. Solo i loro sguardi quando si incrociavano e poi si scioglievano rapidamente, potevano rivelare come le cose fossero più difficili di quanto Beba le avesse fatte con il suo discorsetto. Il matrimonio era previsto per l’indomani. Quella sera Beba andò a letto presto, sfinita dal notte precedente insonne. Nella camera degli ospiti che le avevano lasciato, si chiese, comunque, a cosa stesse pensando Luigi, cui era stato invece accomodato un divano letto in salone. Si chiese anche se, per caso, si stesse masturbando e si addormentò sorridendo un po’ viziosamente al pensiero di quanto fosse ben dotato. La mattina dopo, mentre faceva la doccia prima di prepararsi, Beba si toccò fra le gambe. Si sentiva eccitata. Rapidamente nella sua mente cominciarono a passare immagini di lei che faceva l’amore con il figlio, e a quell’idea prese a stuzzicarsi freneticamente il clitoride fino a masturbarsi sotto il getto dell’acqua. Tornata nella sua stanza, era intenta a truccarsi quando sentì bussare alla porta. “Sì, chi è, avanti!” Era Luigi. “No, niente mamma, volevo, volevo sapere, se avevi bisogno di qualcosa.” A Luigi le parole morirono tra le labbra. Sua madre si era voltata ad osservarlo. Beba non era ancora vestita: indossava un completo nero e oro, di pizzo e voile, un bustino-guepiere molto scollato dalle coppe disegnate per sollevare e scoprire la curva del seno, sottolineata da un ricamo dorato, un perizoma di seta e velatissime calze nere, negligentemente tirate su a mezza coscia. I loro sguardi si incrociarono. Beba ci mise pochi secondi a decidere. “Che gentile! Ma sei qui per aiutarmi o nella speranza di guardarmi mentre mi vesto?” Luigi arrossì violentemente, ma sua madre sorrise e gli fece cenno di entrare. “Chiudi la porta e vieni qui. Sì, potresti renderti utile. Allacciami le calze per favore, così risparmio tempo.” Senza fiatare, Luigi si avvicinò e si piegò in ginocchio per entrare sotto il boudoir al quale stava seduta. Lei non fece nulla per fargli spazio e così Luigi si trovò incastrato nel poco spazio libero lasciato sotto il tavolino dalle gambe di sua madre. Con il cuore che gli batteva forte, si chinò sulle cosce di lei, il respiro mozzato dal misto di profumo e odore di donna che emanava. Prese delicatamente il bordo della calza e cominciò a tirarlo verso su tendendo il nylon sulla pelle calda di lei. Armeggiò per allacciare la calza ai minuscoli gancetti del reggicalze, sfiorando con i polpastrelli la pelle nuda di lei, appoggiandosi e palpando le sue gambe, sorprendendosi per quanto fossero sode e affusolate le cosce di sua madre. “Sbrigati, Luigi!” gli disse Beba da sopra il tavolo, muovendo nervosamente le gambe mentre lui agganciava l’altra calza, strusciandogli contro il fianco la gamba inguainata di nylon e allargandole quel tanto che serviva a mostragli le mutandine. Quando Luigi riemerse da sotto il tavolo non respirava per l’emozione e il bozzo nei pantaloni rivelò allo sguardo indagatore della madre una potente erezione. “E’ divertente stuzzicarlo!” pensò lei e, per niente imbarazzata, si alzò in piedi, attraversando la stanza sotto lo sguardo affascinato del figlio, per andare a infilarsi il vestito. Indossò un top di seta che lasciava le braccia nude e valorizzava la scollatura e una gonna lunga e stretta, di leggero chiffon, con uno spacco che a ogni passo svelava le sue gambe. Consapevole della sua seduzione, decise di offrire un ultimo spettacolo al figlio, sedendo sulla sponda del letto, e accavallando le gambe chiedendogli di infilarle le scarpe, décolleté nerolucide dai tacchi altissimi e sottili. Beba era intrigata dallo sguardo adorante di Luigi e dall’immediatezza con cui si accorgeva che le sue provocazioni facevano presa su di lui, facendogli rizzare il cazzo come era successo in treno. In chiesa, durante la cerimonia, dovette riprenderlo, quando si accorse dell’insistenza con cui il suo sguardo si portava sulle sue cosce ogni volta, che, tornandosi a sedere, la gonna le scopriva: “Smettila di guardarmi le gambe! Siamo in chiesa!” lo redarguì soffiandogli nell’orecchio. Ma, dopo, nel sedile posteriore della macchina che li portava al ricevimento, fu Beba che si appoggiò al figlio, distese la pelliccia in modo che nascondesse il grembo di entrambi e gli strusciò la coscia contro la gamba per invitarlo a toccargliela. Luigi non capì o non osò ed allora Beba gli prese la mano e la guidò sulle cosce e, senza tradire agli occhi degli altri passeggeri quanto stava accadendo sotto la pelliccia, prese a farsele accarezzare. Durante tutto il tragitto la mano di Luigi, sapientemente guidata da quella della madre, giocò sulle cosce di lei, su e giù, e poi in mezzo, pericolosamente vicino alle mutandine. Beba sarebbe volentieri saltata addosso al suo ragazzo ma si limitò e rivolgergli maliziosi sguardi di sbieco, che lui nemmeno ricambiava, perso lo sguardo fisso davanti, le guance infiammate, il pisello ben teso dentro i pantaloni. Al ristorante, Beba e Luigi furono sistemati allo stesso tavolo, vicini, non di fronte come lei avrebbe voluto per divertirsi a tastargli la patta con il piede. Ma ciò nonostante riuscì più volte a fargli piedino e per tutto il pranzo continuarono gli sfioramenti tra madre e figlio: a Luigi caddero per terra tovaglioli e posate e tutte le volta, chinandosi a raccoglierli, non perse occasione per accarezzare le gambe alla madre, la quale, dal canto suo, allungò a un certo punto, nascosta dalla tovaglia, la mano verso il suo inguine e, una volta trovato il bozzo, glielo palpò con decisione, quasi facendolo strozzare mentre beveva. A un certo punto Beba non ce la fece più. “Devo ridarmi il trucco. Mi accompagni?”, gli sussurrò all’orecchio alzandosi. Luigi la seguì fino al bagno delle donne. Beba si guardò intorno, si assicurò che nell’antibagno in quel momento non ci fosse nessuno, poi, afferrato con decisione il figlio per il braccio, lo trascinò in una toilette. Lo spinse contro la parete, gli afferrò il viso e prese a baciarlo con passione. Luigi rispose al bacio, lasciando avvinghiare le loro lingue, e contemporaneamente spinse il pube contro quello della madre. “Mi stai facendo impazzire!” lei disse sottovoce, sentendo la forza del desiderio di lui. Gli prese una mano, la fece scivolare sotto la gonna, fra le gambe, gliela infilò dentro le mutandine, gli schiacciò le dita dentro la sua fica bagnata fino a trovare il clitoride, poi prese a masturbarsi usando la mano di lui mentre continuava a baciarlo. Non ci mise molto a venire, infilandosi le sue dita nella vagina come fossero il suo pene e sporcandogliele dei suoi umori. Quello sfregamento selvaggio l’aveva calmata momentaneamente. Guardò diritto negli occhi Luigi, ormai non vedendo più il figlio ma solo un giovane maschio. Con il palmo gli avvolse il pene che mostruosamente gonfio tendeva all’inverosimile i pantaloni. “A quanto pare oggi sono molto arrapante oppure tu sei un gran maiale. Ma non posso farti tornare di là messo così.” Beba si sedette sull’asse del water, con pochi veloci gesti slacciò i pantaloni del figlio e glieli abbassò insieme ai boxer. Gli prese il cazzo, enorme e durissimo, e lo portò alla bocca, Cominciò a succhiarglielo, a leccarglielo, a far fare alla sua lingua frenetiche acrobazie intorno alla sua cappella, mentre con la mano gli accarezzava le palle e la base dell’asta. Luigi cominciò a gemere e poi le esplose dentro una fontana di sperma. Beba raccolse tutto dentro la sua bocca, non amava ingoiare, ma gustò il sapore acre del figlio e poi sputò tutto in un fazzoletto. “Vai, torna di là, che io mi ripasso il trucco,” fu l’ordine finale che gli impartì. Come tutti i ricevimenti, anche quello di protrasse fino a tarda sera. Quando rientrarono a casa, fu Beba a trovare la scusa: “E’ tardi, non vale la pena sistemare il letto di Luigi, dorme con me nel lettone stanotte. Siamo madre e figlio, no?” soggiunse rivolgendo un’occhiata vogliosa verso Luigi. Lei lo precedette dentro la stanza. “Chiudi la porta a chiave,” gli ordinò, dandogli le spalle. Si tolse gli orecchini e li posò sul boudoir. Poi si voltò e guardò il figlio. Luigi era là, diritto e rigido, imbarazzato come un baccalà a trovarsi solo con sua madre e perfettamente consapevole di cosa lei volesse da lui. “Allora?” Beba ruppe il silenzio, continuando a osservarlo, gli occhi socchiusi come un felino con la preda. “Non hai più voglia?” Luigi gemé e si lanciò ai piedi della mano, circondandole le gambe e cominciando a baciargliele. Lei lo assecondò, sollevò la gonna perché lui raggiungesse più facilmente la sua intimità. Lo sentì arrestarsi, quando si accorse che non aveva più le mutandine. Sorrise fra sé. Gli prese il viso e fra le mani e glielo piegò all’indietro per guardarlo negli occhi. “Sorpreso? Me le sono tolte nel bagno, ormai erano tutte fradice.” E sempre tenendogli il viso fra le meni lo guidò verso la fica. Luigi capì, abbrancò la madre per il sedere e poggiò le labbra sul pelo di lei. Beba fece qualche passo indietro, si lasciò cadere a sedere sul letto e poi allargò le cosce per consentire a sui figlio di cominciare a leccarla. Luigi ci mise tutto l’impegno inesperto di cui era capace, passandole la lingua sul grilletto che prima sua madre gli aveva fatto toccare. assaporando i suoi succhi, annusando il suo odore. Beba gli tenne la mano sul capo perché non smettesse, stringendo violentemente le cosce quando i suoi baci la portarono all’orgasmo. Quando Luigi riemerse da sotto la gonna, lei gli disse di toglierle il vestito e poi di spogliarsi. Lo osservò denudarsi davanti a lei, godendo della maestosa erezione che il corpo in attesa di sua madre gli provocava. Lo attirò su di sé nel letto, lasciò che le sue mani le accarezzassero e denudatisi i seni glieli diede da succhiare. “Hai voglia di fare l’amore, vero? Mi vuoi. mi desideri. non è vero?” Luigi annuì. “Adesso ti faccio vedere io come si fa l’amore. Adesso te l’insegna la tua mamma come si scopa una donna. Guai a te se mi lasci a metà come in treno.” Lo distese sulla schiena, gli s’impalò di sopra e cominciò a cavalcarlo, godendo come una pazza – più tardi lo ammise a sé stessa – del fatto che lì, sotto il suo corpo, tra le sue cosce, sotto le sue mani, non c’era il corpo di un maschio qualsiasi, ma quello del suo “bambino”. L’indomani nel pomeriggio, c’era il treno per il loro ritorno a casa. Beba e suo figlio si sporsero da, finestrino dello scompartimento a salutare i parenti. Luigi, sapendo che da fuori non potevano vederlo, infilò la mano sotto la gonna di sua madre per accarezzarle il culo e il retro delle cosce. Con sua somma delizia si accorse che sua madre aveva indossato anche quel giorno il reggicalze. Ma, appena il treno si mise in moto e i parenti sparirono dalla vista, Beba si girò e mollò un sonoro ceffone sulla guancia del figlio. “Come ti permetti?” gli gridò contro furente, le mani sui fianchi, mentre il figlio, per il contraccolpo cadeva a sedere pesantemente sulla cuccetta, lo sguardo sorpreso da quella reazione. “Scu-scusa, mamma, io credevo…” “Cosa credevi? Che solo perché ho il reggicalze o ogni volta che metto un reggicalze tu possa prenderti certe libertà?” Beba si andò a sedere accanto a Luigi. La sua espressione era seria. “Luigi quella che abbiamo commesso io e te è stata una pazzia, lo capisci? Ieri notte è stato bello, ho visto quanta voglia tu avessi di far l’amore, e ne avevo voglia anch’io. Ma una madre e un figlio non fanno l’amore tra loro. Adesso stiamo tornando a casa. Questi giorni sono come una parentesi. Adesso torniamo a casa e tutto sarà come prima e non parleremo più di tutto questo e non ci penseremo più. Me lo prometti?” “Sì, mamma, te lo prometto.” Beba sorrise e accarezzò i capelli del figlio. Poi il suo sorriso si trasformò in una smorfia piena di malizia. Spinse il figlio a sdraiarsi sulla cuccetta, gli salì a cavalcioni, posizionandosi pube contro pube e contemporaneamente sollevando e arrotolandosi ai fianchi la gonna. “Bene! Però, visto che a casa non ci siamo ancora, sarebbe un peccato non utilizzare questa notte che abbiamo ancora a disposizione, non credi?” aggiunse cominciando a sbottonare i pantaloni di Luigi. Tornati a casa, madre e figlio, per una settimana, rispettarono l’impegno, comportandosi come sempre: una madre amorevole, un figlio affettuoso. Fu Beba a spezzare la promessa. Un pomeriggio, mentre studiava nella sua camera, Luigi si sentì chiamare. “Puoi venire qui da me, nella mia stanza, per favore?” Trovò sua madre lascivamente seduta sul letto, nuda eccetto che per il reggicalze. “Ho comprato queste calze nuove, tesoro, volevo la tua opinione…”
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