Mi chiamo Stefano, ho 29 anni, e lavoro come collaboratore, in attesa di diventare socio a tutti gli effetti, nel più grande studio di commercialisti della mia città. La mia posizione di lavoro, la stima e la fama di cui godono i miei genitori, stimati architetti professionisti, unite al mio aspetto fisico, più che gradevole, e al mio carattere simpatico, han sempre fatto di me uno scapolo decisamente appetibile. Fin dagli esordi lavorativi, dopo una brillante laurea, mi sono accorto che molte delle amiche dei miei si affannavano ad invitarmi a pranzi e cene in cui la principale portata sembrava essere costituita dalle loro graziose (non sempre, per la verità) figliole. Non stupitevi di questo, nelle piccole città di provincia la mentalità non è molto più evoluta di quella che si può trovare in tanti racconti sull’Italietta umbertina; molte madri sognano sempre di trovare per le loro creature un “buon partito”, meglio ancora se migliore di quello scovato da qualche loro “cara” amica per quello sgorbio della propria figlia.Personalmente non mi sono mai interessate queste considerazioni; ho agito da vero pirata, approfittando delle occasioni che madri senza scrupoli erano ben liete di lasciarmi, nella convinzione che una volta compromessomi colle loro figlie non mi sarei potuto più tirare indietro. Ed invece mi sono tirato indietro, e ben più di una volta; prima me la spassavo per un po’ con la ragazza, ma solo se era almeno un po’ carina, poi, appena si sapeva in giro che la tizia faceva coppia con me e qualcuno, specie della famiglia di lei, faceva correre voci di imminenti fidanzamenti ufficiali (esistono ancora, credetemi), mi dileguavo, lasciando le povere madri afflitte, a meditare sul vero e proprio sputtanamento toccato alle loro figlie modello, ormai prive della tanto decantata illibatezza. Le figlie invece raramente sembravano risentite; si curavano meno della fama, ed in loro prevaleva semmai un sincero rammarico per aver perso, con me, oltre che un compagno invidiabile, da esporre nella meschina “società” locale, un amante formidabile, che sapeva farle sentire delle regine sotto le lenzuola. Nessuna di loro si è infatti mai lamentata di me; con alcune anzi, anche dopo aver troncato la relazione ufficiale, ho continuato ad avere legami nascosti, ma molto più ricchi di soddisfazioni. In certi casi della mia abilità sessuale è stata messa a parte anche qualche madre particolarmente giovanile e vogliosa, che dopo una notte in mia compagnia ha deposto ogni ostilità nei miei confronti, e mi ha anzi ringraziato per aver sgrezzato a dovere la giovane figlia, cosa indubbiamente utile per accalappiare in futuro qualche giovane pollo da spennare.Il giochino non è potuto andare avanti per più di tre anni, poi a guastarsi è stata la mia fama. Le madri, ansiose di evitare anche solo sospetti sulle loro figlie, hanno cominciato a tenermi alla larga; i padri, beh, loro spesso e volentieri mi avrebbero strozzato, ma purtroppo per loro, io, grazie al mio lavoro, ne sapevo abbastanza su certi loro affarucci non troppo puliti per potermi permettere di incontrarli a testa alta. E non c’era nemmeno il rischio che loro, avvalendosi del loro peso di clienti, potessero cercare di ottenere la mia testa dai miei capi; questi infatti sono una magnifica coppia di gay, che proprio per i loro gusti sessuali sono stati a lungo discriminati da quegli stessi ambienti sociali in cui io ho effettuato le mie scorribande. Si può anzi dire che un incitamento particolare mi è stato fornito proprio da loro, che godevano nel sentire raccontare le mie conquiste, e godevano ancor più nel frustrare i propositi di vendetta di cui sopra. Del resto, come ho detto agli inizi, il nostro è il più grande studio in città, e non avremmo sofferto molto per la perdita di qualche cliente, perdita che peraltro non ci fu, perché i clienti sapevano benissimo che noi eravamo, e siamo, prima ancora che i più grandi, i migliori, soprattutto in virtù delle giuste conoscenze nei locali uffici finanziari dello Stato.Mi rendo conto, rileggendo le righe che precedono, che ne risulta di me un’immagine decisamente sgradevole, di furfantello arrogante e presuntuoso. Vorrei precisare che non sono così; questa è una sorta di maschera che io ho dovuto indossare per farmi strada in un ambiente che sembra tenere in gran conto le apparenze, trascurando di dare il giusto peso alla reale sostanza delle persone. Io non ho fatto altro che sfruttare le opportunità che mi derivavano dall’avere un bel biglietto da visita per introdurmi in certi ambienti snob e meschini e farli saltare dal loro interno. Nella mia vita privata sono però un’altra persona; so di avere delle doti, fascino, intelligenza, simpatia, cultura, savoir faire, e non le nascondo, perché trovo ipocrita la modestia con chi mi conosce a fondo. So però anche di avere, come tutti, limiti e difetti , e non nascondo nemmeno questi ultimi; sono invece grato a quei miei amici che non si fanno scrupolo di farmi notare le mie debolezze, perché mi illudo, conoscendomi meglio, di potermi correggere, almeno in parte. Soprattutto sono convinto che una maggiore consapevolezza della mia meschinità possa aiutarmi a superare quello che sto imparando a considerare come il mio peggior difetto: l’idealismo. È stato infatti in nome di malintesi ideali che mi sono arrogato il diritto di giudicare e condannare le meschinità altrui, e talora, come nei casi delle ragazze citate prima. mi sono spinto fino ad eseguire le sentenze di condanna. Oggi non rinnego quel che ho fatto, ma lo giudico con minor indulgenza, e non so se sarei disposto a rifarlo.Come dicevo sopra, senza falsa modestia, una delle qualità di cui io sono sempre stato convinto di essere dotato era una certa abilità amatoria; pensavo di poter dare ad una donna tutto il piacere desiderabile, e che di conseguenza nessuna potesse aver bisogno di cercare soddisfazione altrove. Mi sbagliavo, e l’ho scoperto nel peggiore dei modi.Da circa tre anni, terminato il periodo di “caccia” tra le figlie di mammà, ho stretto una relazione con una ragazza, più vecchia di me di circa due anni, che conoscevo di vista già da moltissimi anni, ma con cui ho scoperto di condividere interessi culturali, passioni politiche e, soprattutto, inclinazioni caratteriali solo quando, cessata la mia frequentazioni nella società bene, ho ripreso i contatti con vecchie compagnie di amici.Gerry, questo il suo nome, abbreviativo di Gertrude , nome impostole da un padre tedesco, presto dileguatosi, è una ragazza speciale; la difficile situazione familiare, in cui la sparizione del padre rappresenta solo uno dei tanti momenti di crisi, l’ha segnata in modo indelebile. Lei ha infatti sviluppato una sensibilità acutissima, che, unita ad una intelligenza precoce e al di sopra della media, l’ha portata a sviluppare una forma di nevrosi particolarmente grave e complessa. Nonostante l’indiscutibile handicap rappresentato dalla sua fragilità emotiva Gerry è riuscita, grazie ad una forza di volontà sovrumana, a conseguire risultati che gli stessi psichiatri che l’hanno avuta in cura considerano sorprendenti; diplomatasi nel più selettivo liceo della nostra città è riuscita, a costo di sacrifici inenarrabili, a portare quasi a termine gli studi universitari, in un corso di laurea non certo oggetto di particolare considerazione, lettere classiche, ma che ho scoperto essere probabilmente uno dei più duri che sia dato immaginare, sia per la complessità concettuale delle materie affrontate, sia per il livello di approfondimento richiesto, sconosciuto a tanti altri corsi di studio, in cui ci si accontenta di generiche infarinature, rinviando il completamento della preparazione alla formazione diretta in ambiente di lavoro, sia infine per le inimmaginabili difficoltà di ordine pratico e logistico, come l’irreperibilità di fondamentali testi filologici, spesso stranieri, da leggere in lingua originale. Giunta quasi al termine del suo corso di studi in lei però la malattia ha preso infine il sopravvento, impedendole per quasi tre anni di sostenere l’ultimo esame; ogniqualvolta si avvicinava la data dell’appello scattavano orribili attacchi d’ansia, che spesso sfociavano in veri e propri episodi di panico, con conseguente necessità di intervento farmacologico. In pratica, quando finalmente arrivava il giorno fissato per l’esame, Gerry era uno straccio, prostrata da lunghi giorni di sofferenze, e talmente imbottita di sedativi da non essere quasi in grado di rispondere alle domande più elementari.Fu proprio in occasione di questo periodo nero della sua vita, che io capii quanto ci fosse di meraviglioso in questa ragazza. Non mi riferisco qui ovviamente all’aspetto fisico, dato che chiunque di voi abbia avuto modo di frequentare persone con disturbi psichici di questo genere avrà osservato come tendano a trascurare il proprio aspetto, a cui non dedicano spesso nemmeno le cure minime, assumendo un’aria trasandata e dimessa. Ciò che mi colpì fu invece la straordinaria ricchezza spirituale, la dolcezza, la capacità, pur fra le sue mille sofferenze, di preoccuparsi sempre per quanto potevano soffrire gli altri. Gerry mi affascinò, e mi legai a lei come a nessun altro prima di allora. Per la prima volta, con me, la speranza di una vita migliore faceva il suo timido ingresso nei suoi pensieri; io le diedi quel sostegno, affettivo ed economico, che la sua famiglia non era mai stata in grado di offrirle, permettendole così finalmente di curarsi adeguatamente. Passammo insieme due anni terribili ed al contempo esaltanti, in cui sembrò, a chi osservava dall’esterno, che Gerry avesse ormai toccato il fondo, e che per lei non ci fosse più alcuna speranza di recupero; infatti, il primo passo verso la guarigione fu un ritiro pressoché totale dal mondo, con tutta la sua malsana competitività. Solo così lei riuscì finalmente a trovare dentro se stessa le motivazioni necessarie per affrontare le difficoltà della vita, non più in termini di dovere ma anche in una prospettiva di appagamento personale. Come d’incanto, quando ormai non si parlava quasi più di completare l’università, Gerry riprese in mano i libri, e, un anno fa all’incirca, sostenne il fatidico ultimo esame, senza che si ripresentassero le crisi del passato.Da quel momento nella nostra vita vi fu un lento miglioramento, non costante, perché spesso si ripresentavano sintomi della sua malattia, ma la capacità di Gerry di farvi fronte cresceva col passare del tempo, sicché le crisi erano sempre più diradate e sempre meno intense. Lei cominciò finalmente a prendersi maggiormente cura del proprio aspetto, rivelandosi così una splendida ragazza; era come un diamante, che allo stato grezzo sembra poco più di un sasso, ma che una volta lavorato svela tutto il suo splendore. Questa attenzione per il proprio corpo era parte di una più generale accettazione della propria femminilità, con tutto ciò che questo implica anche in termini sessuali. Nei primi anni della nostra relazione Gerry si era attaccata a me come una bambina ad un genitore, e non aveva mai voluto saperne di considerarsi la mia partner, anche e soprattutto in campo sessuale. I pochi tentativi di avere rapporti carnali con lei o naufragavano miseramente di fronte alla sua freddezza, o sfociavano in drammatiche sofferenze fisiche e psichiche, che determinavano in lei una profonda avversione per il sesso. Caratteristica del suo disturbo era, come ho detto, in primo luogo l’ansia, che le impediva di lasciarsi andare nel momento dell’amplesso; il risultato era una sorta di vaginismo, per cui i muscoli della sua vagina restavano, salvi rari momenti, spasmodicamente contratti, rendendo quasi impossibile la mia penetrazione, colle conseguenze dolorose che ben potete immaginare per lei. A ciò si aggiunga che, anche nelle rare occasioni in cui la tensione si allentava, permettendoci di avere rapporti completi, questi erano comunque fonte di scarsissime soddisfazioni per lei, dato che un altro dato caratteristico di certi disturbi è una notevole difficoltà a provare piacere, in tutte le sue forme (tanto che quando io la conobbi lei era ancora vergine); rarissimamente quindi Gerry raggiungeva l’orgasmo, e quando ciò avveniva subito in lei scattavano laceranti sensi di colpa.Questa situazione era ovviamente fonte di frustrazione per me, ma era anche vissuta malissimo da Gerry, che in tutto ciò vedeva un’ulteriore conferma dei peggiori pensieri che coltivava sul proprio conto, considerandosi una persona ignobile, diversa (in peggio) da tutte le altre, capace solo di far soffrire chi le stava accanto. Fu perciò con grandissima gioia per entrambi che un anno fa le cose cominciarono ad andare diversamente.Ricordo ancora benissimo cosa avvenne. All’incirca un’ora prima avevamo avuto una delle consuete nostre discussioni, perché io ero stato per l’ennesima volta respinto, e mi ero lamentato del fatto che lei, pur avendo ragioni che sfuggivano ad un pieno controllo della sua volontà, poteva quanto meno sforzarsi di sottrarsi ai miei approcci in modo meno scostante, quasi che io le causassi ribrezzo. Era uno dei miei ormai consueti sfoghi, che faceva male tanto a lei quanto a me, e al termine, sebbene ci fossimo entrambi scusati, si avvertiva ancora una certa tensione. Io mi sentivo colmo di rabbia, esclusivamente verso me stesso, per il modo in cui le avevo fatto pesare il fatto che stare con lei per me rappresentasse un sacrifico, soprattutto per la forzata astinenza che comportava. Lei mostrava chiaramente in volto i segni dell’avvilimento, ed il timore di potermi perdere se io mi fossi stancato di quella situazione. Eravamo in salotto, lei stesa sul divano, ed io seduto in poltrona, a guardare un vecchio film di Sordi (Mamma mia, che impressione). Durante una pausa pubblicitaria Gerry si alzò, andò in cucina e tornò con una bottiglia di succo di frutta; si fermò in piedi davanti a me, e me ne offrì, ma io non ne volli. Lei ci restò male, probabilmente credendo che il mio rifiuto fosse dovuto ancora al mio malumore nei suoi confronti, ed appoggiò con una certa stizza la bottiglia sul tavolino. Allora io, comprese le ragioni del suo malumore, per dimostrarle che non le portavo affatto rancore, la invitai a sedermi in grembo, battendo col palmo della mano sulla coscia.Fu allora che accadde l’imprevedibile: Gerry, contrariamente al suo solito, si mise a cavalcioni sulle mie gambe, appoggiando le ginocchia sulla poltrona a fianco delle mie anche. Era questa una posizione che a me piaceva moltissimo, ma che lei generalmente rifiutava di assumere perché, a suo dire, era troppo scomoda. Altra cosa insolita fu che lei, di solito per nulla intraprendente, cominciò ad accarezzarmi lentamente la testa, passando le mani tra i capelli, ed infine si chinò a darmi un bacio. Non si trattò stavolta di uno dei suoi soliti baci furtivi, quelli che io chiamavo i “baci da zio”, perché sembravano quelli che si danno con imbarazzo a parenti più o meno noti. No, stavolta fu un vero bacio, caldo, appassionato, lungo. Potevo sentire finalmente la morbidezza delle sue labbra, che si schiudevano e si serravano attorno alle mie, laddove solitamente restavano rigide e serrate. La sua lingua improvvisamente fece capolino tra i suoi denti e, saggiata la resistenza delle mie labbra, si produsse in un affondo imperioso; schiusi la mia bocca ed accolsi quella morbidezza calda e vellutata, la succhiai, la morsi, la avviluppai colla mia lingua, la inseguii quando si ritirò nel suo fortino. Nel frattempo il mio cervello scoppiava per l’eccitazione, causata, oltre che da quel primo bacio veramente passionale tra noi, dal rumore del suo respiro affannoso, che si scontrava col mio, e dal fatto che per la prima vola anche le sue mani correvano spontaneamente lungo il mio corpo.Cominciai anch’io a darmi da fare: dopo averle lungamente carezzato il viso, la nuca e le spalle, portai in basso le mani e le sfiorai con esasperante lentezza le cosce, partendo dal ginocchio e salendo, sotto la corta gonnellina che portava; era una gonnellina plissettata, molto carina, che non poteva più indossare perché irrimediabilmente rovinata da un lavaggio troppo forte, ma che continuava ad usare in casa, trovandola decisamente comoda, e sapendo anche che io personalmente la consideravo uno dei suoi indumenti più sexi. Sentivo sotto le mie mani le sue gambe toniche, lisce, calde; eravamo ai primi di giugno e lei non portava calze, ed era perciò attenta, nella sua rinnovata cura del corpo, a tenersi sempre accuratamente depilata, anche se in realtà aveva pochissimi peli. All’improvviso abbandonai la dolcezza e le afferrai con decisione le natiche, saggiandone la compattezza attraverso la stoffa degli slip, e la tirai risolutamente verso di me, portando il suo pube a contatto col mio. Lei reagì positivamente, e cominciò a muovere lentamente il bacino, cercando di mantenere il contatto tra la sua vulva e la dura massa del mio cazzo, chiaramente distinguibile sotto i leggeri pantaloni di cotone. In tutto questo tempo lei non aveva mollato la mia nuca, né aveva smesso di baciarmi: i nostri menti e le nostre gole erano lucidi di saliva, e questo non faceva che accrescere la mia percezione di qualcosa di assolutamente nuovo nel modo di fare di Gerry, che mai in passato aveva permesso che io la leccassi, perché non sopportava la sensazione della saliva sulla pelle; di pari passo con questa consapevolezza cresceva anche la mia eccitazione, perché avvertivo che era probabilmente arrivato il momento tanto atteso in cui lei si sarebbe finalmente sbloccata.Risalii con le mani lungo i suoi fianchi, e giunsi ad accarezzarle il seno; mi era sempre piaciuto il suo seno, abbondante, morbido, con una pelle vellutata, capezzoli piccoli straordinariamente reattivi, e areole di medie dimensioni e di colore tenue, che non colpivano prepotentemente l’occhio di chi poteva contemplarle. Complessivamente il suo seno infondeva una sensazione di grande serenità, di calma placida e rassicurante, incarnando in questo alla perfezione l’idea di femminilità nella sua più alta manifestazione: la maternità e l’allattamento. C’era stato l’anno prima un breve periodo in cui, a causa di uno psicofarmaco dagli innumerevoli effetti collaterali, il livello di prolattina nel suo organismo era salito al punto da determinare episodi di galattorea, cioè di produzione spontanea di latte; io ero riuscito ad ottenere che lei mi facesse assaggiare almeno una volta il suo latte prima di adottare le misure necessarie per far scomparire il fenomeno, e quella poppata dal seno della mia ragazza aveva costituito un episodio di grande intimità, forse il momento di maggior comunione tra noi prima dell’episodio che sto descrivendo. Quella era stata anche l’unica volta in cui lei, a dispetto di ogni logica, non aveva dato segni di insofferenza verso il mio interessamento al suo seno; normalmente ogni volta che io sfioravo con le mani o con la bocca le sue tette lei subito si ritraeva, grattandosi contemporaneamente la sommità dello sterno e la punta del naso, punti in cui lei dichiarava di avvertire fastidiosi pruriti non appena io la toccavo. Superato l’episodio del latte lei era tornata a provare l’identico fastidio, e questo spiega perché io restai piacevolmente sorpreso quando, giunto colle mani all’altezza dei suoi seni, lei, lungi dal ritrarsi, dapprima inarcò la schiena, spingendo così in avanti il petto per renderlo più accessibile, poi, staccandosi finalmente dalla mia bocca, si sfilò la maglietta, restando eretta di fronte a me con indosso solo il reggiseno. Io mi lasciai andare indietro, contro lo schienale della poltrona, e cominciai a massaggiarle lentamente le tette, cercando con i pollici di stimolare in particolare il capezzolo, mentre lei, ad occhi chiusi, sembrava assaporare per la prima volta con piacere gli stimoli che le provenivano da quella zona del suo corpo, a lungo disprezzata. Senza che io le chiedessi nulla dopo alcuni istanti lei portò le mani dietro la schiena e sganciò i fermagli del reggiseno, rinunciando a compiere il solito gesto di sfilarselo da sopra la testa, gesto che io le avevo detto più volte di non considerare particolarmente seducente o eccitante. A quel punto io risalii verso le sue spalle, infilai le dita sotto le spalline del reggiseno e le feci scivolare lungo le braccia; giunti all’altezza dei gomiti anche le coppe cominciarono a liberare dal loro abbraccio le carni fin lì imprigionate, e scivolarono lentamente in grembo a Gerry. Lei era ora ferma, col seno nudo che si sollevava ed abbassava secondo il ritmo del respiro, e mentre contemplavo le sue tette non perfette, ma proprio per questo più eccitanti di tante protesi chirurgiche dalle improbabili forme, sul suo viso apparve una sorta di sorriso compiaciuto, come se per la prima volta lei riuscisse a godere del fatto di avere un corpo che poteva piacere. Le baciai devotamente prima l’uno e poi l’altro capezzolo, ottenendo un’immediata risposta eccitata, e mentre continuavo a palparle il seno, lei afferrò la mia maglietta dietro le spalle e cominciò a sollevarla.Mi staccai da lei per permetterle di sfilarmi la polo dalla testa e dalle braccia, poi la abbracciai, la baciai di nuovo, ed infine la spinsi indietro facendola alzare. Quando fu in piedi di fronte a me ricominciai ad accarezzarla, scendendo dalle spalle lungo il busto, fino a giungere alla vita; portai le mani dietro la sua schiena e le sganciai il fermaglio della gonna, abbassai la zip e poi lasciai scivolare a terra l’indumento. Deposi un bacio sugli slip, in corrispondenza del monte di Venere, poi, infilati i pollici sotto l’elastico, cominciai a far scivolare anche quelli verso il basso. In tutto questo tempo lei non fece nulla per nascondere il suo corpo, ma anzi sembrò orgogliosa di offrirlo alla mia ammirazione, e quando infine fu nuda sollevò leggermente il ginocchio destro, così da rendermi possibile una limitata visione delle sue grandi labbra, seminascoste dal suo pelo pubico.Mi alzai anch’io, e mentre lei mi accarezzava le spalle sfilai i pantaloni, poi le presi la mano e la portai ad afferrarmi il cazzo attraverso gli slip, e le chiesi se ne avesse voglia. Non vi sembri assurdo che io a questo punto cercassi simili rassicurazioni, perché più volte in passato era accaduto che proprio alla vista del mio cazzo lei venisse colta da timori ed ansie di ogni genere, mandando così a monte ogni possibilità di avere un rapporto non traumatico. Lei si limitò ad annuire col capo, ma non lasciò andare la presa sul mio cazzo, anche se cominciò un leggero movimento carezzevole colle dita. Si staccò solo quando io mi tolsi gli slip, ma subito riportò timidamente una mano a contatto col mio sesso, dapprima limitandosi a strofinare la punta col palmo della mano, poi carezzando la parte visibile del glande coi polpastrelli di indice e medio, ed infine, afferrata l’asta a metà lunghezza, mi scappellò completamente, dando poi alcuni lenti colpetti su e giù.Io la riabbracciai, e le afferrai il culo, attirandola a me, facendo premere il mio cazzo contro il suo ventre; lei, per nulla intimorita o infastidita, ricominciò a baciarmi, e sollevata una gamba con quella cinse le mie gambe, carezzandole col piede. Stanca di quella posizione mi risospinse a sedere in poltrona e si collocò di nuovo a cavalcioni di fronte a me; in quel modo lo spacco tra le sue gambe era ora aperto e facilmente raggiungibile. Cominciai a percorrerlo avanti e indietro colle dita, separando le grandi labbra, poi, superate anche le piccole labbra, introdussi lentamente il medio nel vestibolo; quando giunsi all’imbocco della vagina per la prima volta sentii i suoi muscoli cedere e dilatarsi senza opporre alcuna resistenza; lei era abbondantemente lubrificata, come mai prima in vita sua, ed il mio dito che si muoveva in lei produceva un osceno rumore di sciacquio, che in passato lei aveva sempre dimostrato di non sopportare, ma di cui stavolta non si lamentò. Introdussi anche l’indice, e colle dita cominciai a scoparla lentamente, dentro e fuori, dentro e fuori, studiando nel contempo le reazioni sul suo volto; lei aveva sollevato la testa, piegandola leggermente verso sinistra, e si mordicchiava il labbro inferiore. Quando le sollecitai il punto G vidi il suo viso stravolto da una smorfia; la cosa si ripeté ogni volta che tornavo a premere in quella zona: lei tratteneva un attimo il fiato, poi si rilassava e deglutiva.Ritirai infine le dita e, afferratomi il cazzo, lo indirizzai in modo che il glande scorresse avanti e indietro nel solco delle grandi labbra. Lei sembrò gradire la cosa, specialmente quando giungevo a stimolarle il clitoride, ma mentre io pensavo di continuare in questo modo ancora per un po’, così da giungere alla penetrazione nel modo più lento ed indolore possibile, lei, prendendomi in contropiede, all’improvviso cominciò ad abbassare il bacino, impalandosi con movimento lento e costante. Giunta al punto in cui il glande cominciava a farsi largo nello stretto cunicolo vaginale, punto che solitamente segnava l’inizio dei dolori, lei si arrestò un momento, inspirò a fondo, e poi diede una spinta decisa, lasciandosi uscire di bocca solo un flebile “Ohhhh….”; una nuova pausa, seguita da un altro profondo respiro, ed un nuovo affondo, e così via, fino a che non giunsi ad essere completamente piantato in lei. A questo punto cominciai a muovere appena il bacino, e subito lei rispose con movimenti sincroni ai miei, via via sempre più ampi, sinché, quasi senza accorgercene, ci ritrovammo impegnati in un meraviglioso smorzacandela. Io ogni tanto stavo disteso all’indietro, per quanto me lo permettesse lo schienale della poltrona, e da lì contemplavo le sue tette che sobbalzavano ad ogni movimento, il suo viso che lasciava trasparire tutta la sua eccitazione ed il suo piacere, mentre con le mani frugavo il suo corpo, accarezzando le cosce, le braccia , il viso, il seno, o intrecciavo le mie dita colle sue. Lei sempre cogli occhi socchiusi, scuoteva il capo da un lato all’altro, e con le mani ricambiava le mie carezze. A volte si chinava in avanti verso di me, per baciarmi, ma anche per riuscire a stimolare zone diverse della sua vagina; altre volte si appoggiava invece all’indietro, colle mani sulle mie ginocchia, e col bacino cominciava a descrivere interminabili movimenti ad otto. In certi momenti ero io a sollevarmi, e la abbracciavo, la baciavo, le succhiavo le tette, le palpavo il culo, spingendo un dito nel solco tra le natiche fino ad esercitare una leggera pressione sullo sfintere. Tenendola per il culo le assestavo poi violenti colpi col bacino, che spezzavano il ritmo, ma che lei accoglieva con sonori mugolii di approvazione, lasciandosi andare di peso all’indietro, in modo che io potessi letteralmente sfondarla.Io ero estasiato nel vederla così, per la prima volta in preda ad un vero godimento, e Gerry sembrava potesse andare avanti per ore ed ore in quel modo, quando improvvisamente si lasciò andare su di me, senza quasi più respirare; era venuta, in assoluto silenzio, e senza alcun preavviso.Restò così, abbracciata a me, per attimi interminabili, rotti solo dal rumore del suo respiro che lentamente tornava alla normalità, poi sollevandosi, e riaprendo gli occhi, mi disse: “E adesso, cosa succede?”Io restai allibito, ma subito lei si spiegò: “Come lo facciamo adesso? Restiamo qui o andiamo sul letto? Io vorrei cambiare posizione perché sono un po’ stanca”. Aveva appena avuto un orgasmo, forse il primo vero orgasmo della sua vita, ed era ancora lì vogliosa, lei che solo un’ora e mezza prima aveva respinto le mie avances; qualcosa si era veramente sbloccato nel suo cervello.Naturalmente io non persi l’occasione, anche perché non ero ancora venuto, e alzandomi dalla poltrona la sollevai di peso, e la portai sul letto. Qui lo facemmo ancora, in posizione canonica stavolta, e lei godette nuovamente prima del mio orgasmo, ma poi, dato che per l’eccitazione io non persi nemmeno l’erezione, riprendemmo a farlo a smorzacandela, ed infine ormai esausti, godemmo contemporaneamente. Quel pomeriggio feci il miglior sesso della mia vita, fino a quel momento, e soprattutto segnò la svolta nella vita sessuale di Gerry e mia, fin lì priva di soddisfazioni.
L’ora di disegno
17 Luglio 2025