Sono completamente nudo, in piedi, i polsi strettamente legati ad una sbarra parallela al soffitto sostenuta da lunghe catene. Le braccia sono ben distese verso l’alto, leggermente divaricate. Il mio corpo è bene in vista, impotente e a tua completa disposizione. Tu sei di fianco a me vestita in modo provocante come al solito. Una minigonna di pelle nera, una camicetta bianca semi trasparente che lascia intravedere il reggiseno di pizzo bianco. Calze a rete e scarpe con alti tacchi neri completano il tuo abbigliamento che scatenerebbe le fantasie di qualunque uomo. Mi guardi con aria severa. Io non ho il coraggio di reggere il tuo sguardo e ho il capo chino. Mi vergogno, nudo e impotente al tuo cospetto. Non dici nulla ma il tuo silenzio è più pungente di mille parole. Il mio corpo freme per la posizione in cui mi trovo e per la tensione che mi provoca il non sapere esattamente cosa mi aspetterà. Anche se lo intuisco, a causa della mia negligenza che merita di essere punita. Ed il pensiero di ciò che probabilmente mi aspetta mi atterrisce e aumenta la mia umiliazione. Vorrei implorare perdono ma mi vergogno di aprire bocca. Resto in silenzio e aspetto la giusta punizione. In silenzio ti allontani da me. Ti vedo aprire un cassettone posto dall’altra parte della parete ed estrarre da esso una lunga frusta, di quelle usate per i tori. La fisso con terrore: è lunga almeno due metri, spessa, di cuoio nero intrecciato. Ora so chiaramente quello che mi attende e lo sgomento mi assale; non sono mai stato frustato. Tremante, ti vorrei implorare perdono mentre tu ti riavvicini fissandomi con severità. Ora sei a pochi centimetri da me. Io continuo a non volerti guardare, pieno di vergogna e timore. Mi alzi la testa con l’aiuto della frusta e me la metti proprio davanti agli occhi. La osservo con attenzione ogni intreccio del cuoio, ogni sua curva. Mi fissi con un leggero sorriso sul volto, nei tuoi occhi vedo una vena di soddisfazione nel vedermi così a tua completa disposizione. Mai sono stato come ora in tuo potere. La frusta è sempre più vicina al mio viso, riesco perfino a sentire l’odore del cuoio. La appoggi sulla mia bocca come se dovessi baciarla, come se dovessi venerarla. “Leccala”, mi ordini. Esitante bacio quello strumento che tra poco mi strazierà la pelle. Poi comincio a leccarla, lentamente. Sento la sua ruvidità sulla mia lingua. Il suo sapore mi inebria e mi atterrisce allo stesso tempo. Un fremito mi percorre il corpo mentre continuo a leccarla. La mia saliva la rende umida mentre tu la muovi vicino alla mia bocca. Guardi la scena con un sorriso sempre più sadico, ansiosa di vedermi adorare lo strumento del tuo potere su di me. L’eccitazione invade il mio corpo mentre continuo a baciare quella frusta in segno di venerazione e di sottomissione a lei e a te. Il pene mi diviene duro come un sasso. Tu lo noti e con soddisfazione fai scivolare la lunga verga inumidita sul mio corpo. Il gentile tocco del cuoio inumidito sul ventre mi provoca incontrollati sussulti di piacere. Poi raggiungi il mio sesso, mi sfiori i testicoli e mi accarezzi il pene; ci avvolgi la frusta tenendolo come in una morsa. Mentre mi stimoli il sesso con la frusta avvicini la tua bocca alla mia. Con la lingua cerco di toccarti ma tu ti ritrai. Continui a fissarmi sadicamente, a provocarmi piacere e a sfuggirmi nello stesso tempo. Mi masturbi con la frusta sempre con maggior vigore, stringendo sempre più. Il piacere si mischia al dolore. Sono quasi al culmine. Sto per esplodere in un orgasmo senza precedenti. Ma appena prima del momento culminante ti fermi e ti ritrai osservandomi nella mia sofferenza di non poter godere compiutamente. Vorrei avere una mano libera per masturbarmi e raggiungere il culmine dell’eccitazione ma per quanto mi agiti i legami non mi concedono tregua. “Ti prego …”, ti supplico guardandoti implorante. Sul tuo viso il sorriso sadico è sparito. Ora mi guardi ancora con severità facendomi cadere addosso tutta la mia inettitudine. “Ti prego …”, ripeto con voce quasi sussurrata. Incurante delle mie suppliche, ti porti dietro di me lentamente. In me la tensione si sostituisce all’eccitazione. I secondi passano lentamente. Per un po’ non accade nulla. Poi uno schiocco tremendo riempie la stanza. Vedo la frusta attorcigliarsi sul mio ventre. Un dolore acuto e fortissimo invade il mio corpo lasciandomi senza fiato mentre la mia schiena si inarca. Lancio un urlo di dolore fortissimo. Stringo gli occhi e i denti per cercare di alleviare la sofferenza. Non faccio neppure a tempo a riprendermi che un altro colpo si abbatte sulla mia schiena provocandomi ulteriore dolore. Urlo ancora più forte mentre vedo il segno che la prima frustata ha lasciato sul mio ventre. I colpi si susseguono a ritmo incalzante fra urla sempre più soffocate. Un numero sempre maggiore di rossi lividi orna il mio corpo. Ti imploro perdono, ti prometto eterna fedeltà e sottomissione ma tutto è inutile. Con quelle frustate scarichi tutta la tua ira su di me; avevi promesso di farmi capire chi dei due è lo schiavo e ci stai riuscendo pienamente. Il dolore mi invade sempre più intensamente; sento la schiena e il sedere bruciare come se mi stessero scorticando. Lagrime di dolore mi rigano il viso contratto in una smorfia continua. Poi, non so quanti colpi mi hai tirato e quanto tempo è durata questa tortura, d’improvviso ti fermi e resti lì ad osservare il tuo capolavoro. Respiro affannosamente, sfinito sotto quella pioggia di frustate. Il corpo ed il capo sono reclinati in avanti, le braccia tese sostenute solo dai legacci che mi stringono i polsi, le gambe flesse ormai incapaci di sorreggere il peso del corpo. Osservo il mio corpo segnato da innumerevoli righe rosse: vedo del sangue uscire in alcuni punti. I miei nervi si rilasciano lentamente e io piango a dirotto implorandoti perdono. … Sono passati diversi mesi da allora. Porto ancora i segni di quella serata in cui ho imparato che l’unico scopo della mia vita è esserti sottomesso. Quella è stata l’unica volta che mi hai frustato, poi non ne hai avuto più bisogno.
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