Mi ricordo un paio di jeans a zampa d’elefante e una T-shirt blu che indossavo sempre dopo la doccia. Erano le uniche cose alla moda che possedevo. Mi ricordo il sole bruciante sulla pelle, una spiaggia. Sembra che siano trascorsi dei secoli, invece sì e no saranno soltanto. dieci anni? Era estate. Mentre giocavo a pallavolo sulla battigia con i miei amici, pensavo al diploma, al servizio militare, a ciò che avrei fatto della mia vita. Ma erano problemi che riguardavano il futuro e a 17 anni il futuro, non si sa per quale sorta di magia, è una cosa che appare lontana anni luce! Quindi concentravo la mia attenzione sul colore dei miei capelli, bellissimi, ah averli ancora, biondi, lisci come spaghetti e lucenti! Il mio corpo si muoveva con una tale dimestichezza sotto la palla che agli occhi degli altri davo l’impressione di essere chissà quale professionista del gioco capitato per caso in quella spiaggetta. Francesco mi guardava stupito della grinta che tiravo fuori giocando, mi reputava una persona talmente “indifesa” che i suoi occhi tremuli stavano sempre all’erta perché qualcuno non mi disturbasse. D’altronde ci eravamo conosciuti in discoteca proprio mentre un uomo sulla quarantina cercava di abbordarmi: “Dai, vieni a bere un angelo azzurro. Ho sentito che è il tuo preferito”, aveva detto accarezzandomi ripetutamente la coscia. “Il mio amico non beve alcolici”, improvvisamente era apparso lui, Francesco, da dietro una palma, ancora mi chiedo cosa stesse facendo in quell’angolino buio, beh, forse mi stava semplicemente spiando. L’uomo si allontanò con la coda fra le gambe ed io rimasi tutta la notte a ballare con lui, la mia guardia del corpo personale. Le ragazze gli sbavavano dietro come ammattite dalle sue spalle ampie, dalle sue labbra perfette e da quegli occhi di un colore più raro che a dirsi: un cerchio di un marrone talmente chiaro da dare l’impressione di tramutarsi in vero giallo alla luce del sole. Solo quegli occhi facevano venire voglia di costringerlo a baciarti per ore ed ore. Una sera ho perso la testa, avevo litigato violentemente con i miei per l’ennesima cazzata e avevo bisogno di qualcosa che mi tirasse su. Mi sono unito a dei conoscenti, mi avevano pescato per strada mentre mi recavo al solito posto dove gli amici mi aspettavano da non so quante ore. “C’è una mega festa, vuoi venire? È in città?” Una festa in città in piena estate? “Certo che vengo”. Poi si avvicina Francesco sul suo scooter traballante: “Tu lì non ci vai. È un covo di drogati!” Appunto! Per sedare la tensione venutasi a creare fra lo “scassacazzi” e gli altri che a modi non è che fossero proprio delle damigelle, decisi di saltare sullo scooter e dire addio alla mega festa in città. “Dove vai?” Francesco aveva superato la piazzetta (i nostri amici ci guardarono sbigottiti) e si era diretto in spiaggia. “Ah, ho capito. Ora attacca con la solita ramanzina e per di più in spiaggia, sotto la luna, io e lui da soli, due palle! Perché non sono andato alla festa?” Questi erano i miei pensieri mentre sfrecciavamo giù in discesa superando tutti gli altri mezzi. Il vento nei capelli, la frescura della sera dopo l’afa del giorno, i ricordi ancora qui tra i battiti del mio cuore. Poi, qualcosa mi fece cambiare idea. Francesco aveva steso la stola sulla sabbia, sotto il pendio di una grotta, aveva acceso una cannetta e mi parlava di tutt’altro: il suo sogno, partire, lasciare la piccineria di quel posto nel quale eravamo cresciuti per incontrare gente diversa, imparare una lingua diversa, essere un po’ una persona diversa. Io lo ascoltavo attentamente, le stelle erano tutte sopra di noi, domani sarebbe stata una giornata stupenda. “Tu”, ho sentito i polpastrelli scuotermi la spalla destra, “hai mai provato attrazione per una persona del tuo stesso sesso?”La domanda mi lasciò un po’ perplesso: “beh. penso che. perché?””Perché io provo una fortissima attrazione per una persona del mio stesso sesso. È un mio amico.””Chi è? Dai, a me puoi dirlo. Lo sai che non ho alcun pregiudizio”.”Sei tu”.Lo guardai negli occhi. I neon lontani dei bar luccicavano come piccole biglie bianche e rosse su uno sfondo marrone. Mi accorsi di fissarlo e distolsi lo sguardo. Non potevo fare il finto tonto: eravamo da soli, immersi nel silenzio. Rimasi a fissare la sabbia umida che i miei piedi avevano ammucchiato tra le gambe. Lo guardai di nuovo sicuro che stavolta anche lui stesse guardando chissà dove all’infuori di me e vidi una lacrima rotolare giù su un ginocchio. Lo baciai. Lui ricambiò. La sua pelle sapeva di. non so, non era velata dall’artificio di un profumo, forse da un ammorbidente usato in famiglia, ehm. lavanda, dolcezza. La luna si posava sulla pelle dei nostri corpi nudi sottoforma di squame biancastre. Mi piaceva leccargli l’inguine perché era debole come quello di un bambino e, nello stesso tempo, mi avvertiva con un odore incantevole di una presenza minacciosa e irresistibile pronta a farsi inghiottire. “Sìì, sìì, uhmm.” Lo feci girare delicatamente, volevo vedere il suo sedere: sodo, invitante, fresco al tatto rispetto al resto del corpo, una lieve fila di peli lo attraversava al centro per poi diradarsi sulle chiappe e diventare quasi trasparente. La mia mente era immobile, non fantasticava di nessun altro e non pensava ad altro perché ciò che aveva sognato da quella sera in discoteca, guardando le foto nella mia camera, osservando la sua nuca da dietro una panchina, inalando il suo odore dietro lo scooter, era lì solo per me e lo avrei conservato per sempre a dispetto delle altre avventure che ancora mi aspettavano, a dispetto perfino delle altre scopate con lui. Ne ero sicuro allora e ne sono sicuro anche oggi.L’indomani, verso le 10, lo aspettai al muretto. I miei amici mi chiamavano dalla spiaggia: “Dai, che fai? Vieni a giocare!” Non avevo voglia di niente, volevo soltanto rivedere Francesco, la mia guardia del corpo personale. Ma lui non arrivò. Dopo tre ore decisi di salire per pranzo, salutai velocemente gli altri con la mano e m’incamminai verso casa. Alle 17 si presentarono i conoscenti della festa in città: “L’altra volta ci hai deluso, ma stasera non puoi mancare. C’è un rave megagalattico in spiaggia.”; “Ok, ci sarò!” Mi preparai accuratamente, indossai i jeans a zampa d’elefante e la mia t-shirt preferita e mi annullai fino alle quattro del mattino tra i fumi dell’alcol e le note martellanti della musica. Mi svegliai con mia madre che sbraitava perché erano già le due del pomeriggio e ancora io rimanevo a poltrire al buio della mia cameretta. Sognai Francesco, le sue mani sul mio corpo, calde, i punti ai quali mi ero completamente abbandonato. Dovevo vederlo, un giorno se n’era andato così, ma un altro. Scesi le scale dopo aver mangiato qualcosa di freddo, il sole batteva sull’asfalto mentre andavo a comprare le sigarette. I miei amici, eccoli! Si avvicinarono saltellandomi attorno con le asciugamani a tracolla: “Andiamo, il mare è una tavola!” “Veramente. cercavo Francesco.””Francesco? Ah, ti manda i suoi saluti. Ieri sperava di vederti, ma tu sei andato al rave con quei tipi.””Perché? Che c’entrano i saluti?””è andato in America”.
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