“Scusi, signore, posso chiederle un favore?”Voce, calda, carezzevole senza essere servile o implorante. Tono sommesso, non dimesso, lievemente roco, sensuale. Non alta, in tuta sportiva, quelle che di solito sono indossate in palestra. Volto minuto, appena ritoccato con una leggera cosmesi, capelli nerissimi, lisci, fino alle spalle, occhi smeraldo, limpidi, profondi, scrutatori. Un lieve sorriso sulle labbra perfettamente disegnate, appena dischiuse per mostrare piccoli candidi denti. Le mani, sottili, ben curate. Piero la guardò sorpreso, era la prima volta che vedeva quella donna. “Non ho capito bene, ero distratto, mi scusi. Diceva?…””Le ho chiesto se la disturbo.””No, affatto. Mi dica.”Lo fissò intensamente. “Ho bisogno di aiuto.””Ed io, posso dargliene?””Sono certa di si, solo che lo voglia.””La ascolto.””Non mi consideri per quella che non sono… Mi trovo in stato di estrema necessità, sia pure temporanea. Ho una scadenza che devo onorare entro domani. Non è una grande cifra, ma non la ho. Me la può prestare lei? Gliela restituirò appena mi sarà possibile, creda.””Non riesco a comprendere come si sia rivolta a me, visto che io non credo di averla mai conosciuta.””La vedo molto spesso, sono certa che lei è sensibile e comprensivo.””E di quanto sarebbe questo, diciamo così, prestito?””Non si tratta di cifra elevata, ma io non la ho.””Quanto?””Duecento euro.””Ma io non giro con duecento euro in tasca.”Le guance di lei erano un po’ imporporate. “Possiamo incontrarci di nuovo. O, per sua garanzia, può portarmele a casa. Abito a pochi passi da qui. Così, comprenderà che non è una truffa.””Dove abita?””Via Derossi, al numero 3, è un grande edificio con tante scale, senza custode, purtroppo, sono alla scala E, interno 25, all’ultimo piano.”Lo guardò speranzosa. “Per quando le serve tale somma?””Per domani a mezzogiorno. Le rilascerò ricevuta con promessa di rimborso.”Piero era perplesso. Sarebbero stati duecento euro buttati al vento. Poteva cadere in un trabocchetto. Andare a casa di lei. Cosa avrebbe trovato? Se toglieva ogni valore dalle sue tasche e lasciava le chiavi nella scrivania, cosa avrebbero potuto togliergli? Decise che sarebbe andato a vedere. Il passare degli anni, la vecchia età, non gli avevano levato il gusto dell’ignoto, dell’esplorazione, come diceva lui. “Quando potrei venire, a casa sua?””Io vi torno adesso, e non uscirò per tutto il giorno.””Diciamo alle tre del pomeriggio. Va bene?””L’attendo, sono certa che verrà. Grazie, lei mi salva.”Un salvataggio con solo duecento euro, era questo che non convinceva Piero. In fondo non sarebbe stata una grande perdita. “Mi attenda.””Grazie, signore, arrivederla.”Piero si avviò verso casa, meditabondo. Perché proprio a lui? Una richiesta strana. Cosa poteva celare, o implicare? Duecento euro… forse la tariffa per, come dire, una massaggiatrice, di quelle che riempiono, invitanti, colonne di annunci sui giornali. Scosse le spalle. Lui era anziano, certe prestazioni non gli si confacevano. Si, ma che tipo di prestazione? Ne pensò infinite, strane, ridicole, particolari, perverse. O, ‘chi’ avrebbe trovato in quella casa? Avrebbero potuto fotografarlo in atteggiamenti compromettenti, per poi ricattarlo? O stordirlo con qualche droga contenuta in quello che gli sarebbe stato offerto, e poi fargli sottoscrivere chissà cosa. C’è anche il pericolo di una iniezione improvvisa, che produce analoghi effetti. Mah! Era curioso, doveva ammetterlo. Gli sarebbe piaciuto di andare a vedere. Tolse dalle tasche ogni oggetto di valore, e dal dito la vecchia fede che portava anche dopo essere rimasto solo. Mise al polso un vecchio orologio senza valore, sul blocco che era sulla scrivania scrisse l’indirizzo, via Derossi 3, scala E, interno 25, e lo lasciò in bella mostra. L’indomani, certamente, Giovanna l’avrebbe letto. Prese dal cassetto quattro biglietti da 50 euro, li ficcò nella tasca laterale della giacca, nel fodero degli occhiali sistemò la copia fotografica della carta d’identità. Era pronto per uscire, per andare a mangiare nella solita trattoria familiare all’angolo della piazza, poco lontana dall’abitazione di quella donna, dove aveva un conto aperto che saldava ogni fine mese. Prese una busta vuota. Uscì, chiuse accuratamente la porta, introdusse la chiave nella busta che chiuse e mise in tasca. Mancava circa un’ora dalle tre del pomeriggio, quando entrò dalla ‘Sora Rosa’, sedette al solito tavolo, nell’angolo dal quale poteva scorgere la strada. Ordinò verdura cotta e carne ai ferri. Da bere acqua semplice, poi una fetta di ananas. Consumò il pasto lentamente, guardando di quando in quando la televisione che era di lato. Chiese un decaffeinato. Prima di uscire andò alla cassa e pregò la proprietaria del locale di conservargli quella busta fino a quando non fosse tornato a riprenderla. Un cordiale saluto, e via. Senza fretta, si incamminò verso il luogo dell’appuntamento, nella via parallela a quella che delimitava la piazza. Un caseggiato grande, senza caratteristiche particolari, sorto anni prima a cura di un istituto di previdenza e destinato ad abitazioni cosiddette popolari. Tenuto bene, però, con la facciata in ordine, e finestre che denotavano una certa cura. Una specie di arco, custodito da un cancello aperto a metà, introduceva in un vasto cortile, con alcune aiole fiorite e una piccola fontana al centro, dove si aprivano i portoni della scale, cinque in tutto. La scala E era subito a destra. Porta a vetri, chiusa, e a lato la pulsantiera con i nomi degli inquilini. Il numero 25 era l’ultimo, vi era scritto semplicemente ‘Y’. Piero spinse il bottone. La voce della signora che lo aveva fermato, senza attendere nulla, disse che avrebbe aperto. Certamente l’aveva già scorto dalla finestra. Scattò la serratura, Piero entrò, richiuse, si avviò all’ascensore, entrò, schiacciò il pulsante che indicava l’ultimo piano, il settimo. Guardava compiaciuto, tutto era molto pulito, l’ascensore saliva silenziosamente, si fermò. La porta si aprì su un pianerottolo luminoso, dove erano solo due usci, il numero 25 a sinistra. Appena si avvicinò, prima ancora che bussasse, il battente si dischiuse e la donna, sorridente, ed elegante in un semplice vestito composto da una gonna avana plissata e una blusa rosa. Scarpe avana. “Prego, si accomodi, dottore.”Ingresso arredato con gusto, un mobile sormontato da uno specchio, due poltroncine tra le quali un piccolo tavolino con dei fiori, e gli sportelli del guardaroba. Di fronte si apriva la porta che dava su quello che doveva essere il soggiorno. “Prego, dottore, le faccio strada.”Prima di avviarsi verso quel vano, la donna, mise il catenaccio alla porta. “Scusi, è una mia abitudine, forse un difetto, ma ho bisogno di sentirmi al sicuro. Venga.”Una stanza abbastanza ampia, con un balcone che dava sulla via. Mobili semplici, essenziali, ma eleganti. Piero non credeva che in un edificio del genere potessero esserci appartamenti così graziosi. Da un lato, un mobile con cristalli, dinanzi al quale un tavolo rotondo e quattro sedie in stile. Nella parte opposta, un divano, due poltrone, un basso tavolino con un elegante centro tavola in argento, e, di fronte un mobile con televisore e rack hi fi. Come potevano servire duecento euro, a chi abitava in un ambiente del genere? “E’ una bella casa, complimenti.””Grazie, ma è solo il ricordo di quello che non è più. Se vuole posso mostrarle il resto dell’appartamento, è poca cosa, mi creda.””Con piacere.”Gli mostrò la piccola camera da letto, uno studio dov’era un cavalletto con una tela bianca, la cucina, funzionale e moderna, il bagno. Tutto in perfetto ordine. Tornarono a sedere sul divano. “Lei è sola?””Si, e non solo oggi.””Ho visto il cavalletto. Dipinge?””No, dipingeva Ivan.””Ivan?””Il mio compagno, ma non c’è più…”Piero la guardò con espressione interrogativa. “E’ scomparso, da diverso tempo.””Scusi, non voglio essere importuno, non voglio ficcare il naso negli affari suoi…””No, credo che debba sapere qualcosa, è l’unico che è venuto a portarmi il suo aiuto senza porre condizioni che non potrei accettare. Se non l’annoio e ha un po’ di tempo, le accenno la mia storia. Gradisce un caffè, un tè?””L’ascolto con attenzione, ma preferisco non prendere nulla, ho preso il mio unico caffè del pomeriggio da pochi minuti, grazie.””Lei ha notato che in corrispondenza del mio appartamento, sul citofono, c’è solo una Y? E’ l’iniziale del mio nome, Yela. In effetti mi chiamo Elena, ma Ivan, fin dal primo momento, mi ha chiamata Yela, nella sua lingua. Avevo incontrato Ivan all’uscita dalla biblioteca dov’ero andata a cercare alcuni libri per la mia tesi in storia. Parlava italiano e andammo, la sera, a bere qualcosa in una vecchia taverna che lui conosceva bene, dove incontrava alcuni amici. Sarebbe partito l’indomani. L’anno successivo lo incontrai nuovamente, in quello stesso pub, con un gruppo di persone che stavano organizzando una manifestazione. E fu li che cominciammo a conoscerci meglio. Mi disse che doveva far onore al nome che portava, Ivan Crnojevic, il patriota della dinastia autoctona del Crna Gora, il Montenegro, il suo paese, prima che il potere passasse nelle mani del Vladika Vavyla, il principe vescovo di Cettigne. Ecco, lui era di Cettigne, e lavorava per l’indipendenza del suo paese. Cominciammo a frequentarci. Ci mettemmo insieme. Dopo sei mesi, un giorno, raggiante di gioia, mi disse che la sua organizzazione l’aveva destinato, sempre a Roma, a compiti riservati e importanti, ancora per il suo Crna Gora. Cinque anni, poco prima che nascesse Scepan, Stefano, nostro figlio, andammo ad abitare in una bella casa, in centro. Le cose non andavano tanto male, perché io riuscivo a raggranellare un po’ di soldi con qualche traduzione, qualche lezione, e lui aveva un assegno per il suo lavoro. Un lavoro che non ho mai conosciuto nei particolari, ma che comportava certamente dei rischi. C’erano, e ci sono, troppi interessi, per mantenere nel caos quella terra. Tre anni fa, mi abbracciò e mi disse che doveva andare in Montenegro per una cosa molto delicata, sarebbe mancato per due settimane. Mi dette una grossa somma di denaro, e andò via, dopo aver baciato Scepan. Non l’ho rivisto più, non ho mai avuto sue notizie. Qualche suo connazionale, non saprei se dello stesso schieramento politico o avversario, è convinto che Ivan avesse nascosto in casa, o altrove, dei documenti importanti. Ho dovuto cambiare appartamento tentando di sfuggire a una vera e propria persecuzione. Sono riuscita ad avere questo alloggio, in fitto, vi ho trasferito i mobili. Ogni tanto mi sembra che qualcuno mi osservi, forse cercando di riconoscermi. Ho paura. Ho dovuto chiedere aiuto a un istituto religioso cattolico perché ospitasse Scepan, dato che temevo, e temo, che possano rapirlo per vendetta, o altro. Mi sono impegnata a versare mensilmente un contributo a quelle caritatevoli suore, 300 euro al mese, ma non sempre riesco a metter insieme l’intera somma. Mi sembra che ho detto tutto, e spero di non averla troppo annoiata.”Aveva gli occhi pieni di lacrime, ed era accesa in volto, con un’espressione addolorata ma incantevole, attraente. Piero sentiva l’istinto di consolarla, di cullarla, di rassicurarla, di proteggerla. Era commosso, profondamente. Non credeva che tutto fosse una storia inventata di sana pianta. Per duecento euro! Si schiarì la gola. “Adesso cosa fa, come vive?””Riesco ad avere qualche incarico di segreteria, e quando possibile anche di guida, da una compagnia turistica che organizza visite di Roma e dintorni. Qualche volta fungo da interprete per turisti o uomini d’affari che vengono in Italia. Quest’ultimo lavoro, però, non sempre mi si addice, perché a volte si pretenderebbero prestazioni che non è mio intendimento concedere. Non voglio degradarmi fino a quel punto, preferirei morire. E solo il pensiero di Scepan mi ha trattenuto dal porre fine a questo grama esistenza.”S’era accaldata, trattando questo argomento, divenendo ancor più bella e attraente. “Se non sono indiscreto, quanti anni ha?”Sorrise, asciugandosi gli occhi. “Trentatrè.””Non ha parenti, amici?””Ho perduto i genitori quand’ero bambina, in un incidente stradale. Sono stata allevata dai nonni che non ci sono più. Da tempo ho interrotto i rari contatti che avevo con lontani parenti. Gli amici mi sfuggono, temendo di dovermi aiutare in qualche modo. Non le nascondo che a volte devo andare alla Caritas per un piatto caldo. Dovrei decidermi di vendere i mobili, ma mi darebbero quattro centesimi che finirebbero in men che non si dica.”Piero trasse di tasca la somma che aveva portata. “Ecco, questo é quanto lei ha chiesto. Non sono ricco, vivo della mia pensione, sia pure discreta, e di qualche piccolo risparmio. I miei figli hanno ognuno la propria famiglia e le proprie preoccupazioni quotidiane. Mi invitano spesso, ma preferisco non imporre loro la mia presenza. Mangio in una piccola trattoria familiare, e una donna viene per qualche ora a tenere in ordine il mio appartamento e le mie cose. Non sono ricco, le ho detto, ma per quel poco che posso mi consideri vicino a lei. Sa, non ho avuto una figlia femmina, e ne sento sempre più la mancanza. Forse perché ci si rammarica sempre per quello che non si è avuto. Scusi, lei si chiama Yela, e poi?””Sono sotto falso cognome, ma non ho documenti falsi, il mio passaporto è regolarissimo, come tutto il resto. Sono riuscita ad ottenere il telefono senza riportarlo sull’elenco, e gas, luce ed acqua sono intestati a un nominativo costruito in ogni suo particolare, anche ai fini del codice fiscale. Qui sono Yela Marini, in effetti mi chiamo Elena Morini.””Senta, Yela, posso chiamarla così? Il mio secondo figlio di anni ne ha quarantacinque, perciò so di essere molto anziano, e tra l’altro con parecchi acciacchi. A volte, però, mi prende l’estro di muovermi un po’, di fare qualche viaggio, ma da solo sarebbe troppo triste, potrei profittare di lei, come accompagnatrice?”Sorrise, prima di proseguire. “E’ chiaro che non c’è nessuna mira recondita, nel chiederle compagnia. Sono vecchio, le ho detto, un rottame, fuori uso. In tutti i sensi!”Yela lo guardava, interessata. “Una specie di ‘dama di compagnia’….””No, non mettiamola così, diciamo una giovane figlia che accompagna il vecchio padre.””Non lo dicevo in senso dispregiativo, o sdegnato. E’ un modo come un altro per cercare di definire il mio eventuale compito.””Non dovrebbe prestarmi assistenza come una di quelle che oggi si chiamano ‘badanti’. Sarebbe una giovane signora che mi permette di fare qualche giretto, quattro chiacchiere. Noto che ha una buona esperienza e una cultura ammirevole, ne profitterei. Logicamente le sarei grato, anche concretamente, per il tempo che mi dedica. Ci pensi, e mi faccia sapere la sua decisione. Per esempio, sabato sera mi piacerebbe andare ad un concerto sinfonico. Ecco, le sarei molto riconoscente se mi evitasse di andarci da solo. Sempre che non la infastidisca farsi vedere con un vecchio, che non tema qualche immancabile commento non benevolo, e che le piaccia la musica sinfonica.”Yela gli prese la mano. “Caro dottore, scusi il mio atteggiamento difensivo. E’ per quello che ho passato e che sto vivendo. Non temo commenti e non mi infastidisce nulla. In quanto alla musica sinfonica, è la mia prediletta, che riesce a staccarmi dalla realtà quasi mai bella dei momenti che attraverso. Sarò lieta di accompagnarla al concerto di sabato, così lei potrà giudicare se ho i requisiti per venire incontro ai suoi desideri.””Lei conosce il mio nome, Yela?””Certo, prima di permettermi di fermarla e implorare il suo aiuto, ho cercato di sapere qualcosa su di lei. Non desidero adularla, ma ne ho sentito parlare molto bene.””Bontà del vicinato. Mi dia il suo numero di telefono e le darò il mio perché neanche io sono nell’elenco degli abbonati. In ogni caso, mi chiami prima di sabato. Se conferma la sua disponibilità ci metteremo d’accordo. Ora la lascio.””Resti ancora un poco, sono sempre sola e timorosamente guardinga. Inoltre, devo rilasciarle ricevuta per il suo prestito. Conto di restituirglielo quanto prima.””La prego di considerarlo un piccolo dono per il suo Scepan. E non vorrei parlarne più. Grazie per l’invito a restare, avrei tante cose da chiederle, ma non voglio mai sembrare indiscreto.””Per ora non dico nulla, ma dovremo tornare sull’argomento. Lei sa che non c’è povertà senza presuntuosità, ed io non faccio eccezione alla regola. A parte questo, non posso che esserle profondamente grata. Domattina potrò andare dalle suore e dare il mio contributo. Anche loro, creda, hanno bisogno di tutto.”Piero si alzò, Yela gli disse che lo precedeva. Andarono all’uscio di casa. Piero tese la mano, Yela la prese tra le due e la strinse calorosamente, poi gli si accostò e gli posò un leggero bacio sulla guancia. Piero era commosso. “Grazie, Yela, arrivederci e a risentirla, aspetto una sua telefonata.””Sono io che la ringrazio, dottore, sono confusa, senza parole. Ho trovato una persona che non avrei mai immaginato di incontrare. Mi sento protetta, difesa, come con il mio uomo.””Come con un vecchio padre, Yela, un vecchio padre.”Uscì, chiamò l’ascensore. Yela rimase sul pianerottolo fino a quando la cabina iniziò la discesa. *** Piero s’avviò lentamente verso casa. Una ridda di pensieri gli affollavano la mente. Ancora una volta, nella sua non breve vita, s’aggrappava alla speranza, nell’incessante ricerca di qualcosa di cui non era mai riuscito a godere, del caldo, morbido affetto vero, dolce, carezzevole, comprensivo. Che delusione. Quando sentiva parlare di premura materna, riandava all’asprezza della madre, che riversava su tutto e tutti, senza giustificato motivo. Era sempre scontenta, insoddisfatta, forse anche a causa dell’infanzia mutilata della figura paterna, dell’ambiente chiuso e gretto in cui era vissuta. La nuova realtà in cui s’era trasferita, dopo le nozze, la sorprendeva per la grazia, sia pure prevalentemente esteriore, che traspariva anche dal dialetto, lento e carezzevole, della gente. Era passata dalla malignità silenziosa e invidiosa dell’ambito in era cresciuta, alle ‘ciacole’ per lo più fini a se stesse che frullavano lievemente nell’aria, dal gracchiare del corvo, al cinguettio del passero. Anche i rapporti tra le persone erano diversi. Da quelli guardinghi e sospettosi, aspri e volgari, improntati a maschilismo schiavista e quasi ad una sorta di pruderie ipocrita, si era trovata di fronte ad una certa libertà e disinibizione che lei condannava, senza sforzarsi di comprenderla, per poterla bollare come immorale. Il capro espiatorio era il marito, intento a sgobbare per tirare avanti senza infamia e senza lode. Anche lui con le sue piccole colpe, certo, ma accusato proprio di ciò che non aveva mai commesso. Lo trattava con sufficienza. Le serviva solo per le prestazioni sessuali che lui non le faceva mancare. Soddisfacimento di una esigenza fisiologica, che rispondeva al solo istinto. Niente di quello che si suole chiamare amore. Ma poteva amare? Forse no, non ne aveva la capacità. Sarebbe stato come chiedere del vino ad una botte vuota. Anche verso i figli era tutto ‘dovere’ e ‘apparenza’. Li accudiva, li nutriva, faceva trovare loro il necessario. Che altro volevano? Il giorno della sua prima comunione, Piero aveva ricevuto un doloroso pugno sul petto, perché non stava fermo mentre gli aggiustava il nodo della cravatta. Ora gli tornava alla mente l’eterno desiderio di sapere tutto quello che si riferiva alla femmina. Curiosità naturale, soprattutto per la diversità anatomica. Rimaneva incantato di fronte alle donne, a quelle che allattavano, ne ammirava il petto, ne era attratto, avrebbe voluto carezzarlo, suggerlo. Le spiava quando accavallavano le gambe, e quando poteva si nascondeva sotto i tavolini per osservarle segretamente. Era riuscito a toccare la sua compagna di giuochi in mezzo alle gambe. Com’era diversa da lui. Anche la mamma aveva due splendide tette, ed era bello e gradevole stringersi a lei. Ne sentiva un insolito diletto. Era già grandicello quando, con un astuto espediente, era riuscito a dormire nel letto con lei, mentre il padre era assente. Trepidante, attese che si addormentasse profondamente. Le si avvicinò, cautamente, sollevò la camicia, carezzò la gamba, salì tra le cosce, in un folto e ricciuto boschetto morbido, di soffici fili di seta. Sentì una strana reazione, una eccitazione mai provata. Si ritrasse, timoroso, ma quando lei si voltò sul fianco, le si accostò di nuovo, per sentirne il calore delle natiche. Si, in ogni donna c’era, per lui, una grossa componente sessuale, forse prevalente. Così le compagne di scuola, le insegnanti, e poi le colleghe, le collaboratrici. Tutte. Non s’era reso conto che, forse, era una specie di compensazione al suo desiderio, inappagato, di essere circondato col calore dell’amore. Si era più volte chiesto, in fondo, cosa, in sostanza, lui volesse, cercasse. Dolcezza, comprensione, condivisione della vita. Le ragazze che aveva frequentato, in fondo, desideravano carezze, baci, qualcosa di più, e soprattutto andare al cinema, al caffè, a spasso. Divertirsi, in sostanza. Molta sensualità, poco o nessun sentimento. La ricerca di amore gli fece credere di averlo trovato. Non aveva capito che ‘lei’ credeva di amarlo, ne era persino convinta, ma ciò che l’attraeva era il cambiar vita, avere una certa autonomia, disporre di un uomo tutto per sé. Non ne aveva compreso, Piero, la totale aridità di cuore, la presunzione, forse anche il desiderio di sposarsi prima delle sue amiche, delle sue parenti. Essere la prima, era una vittoria. Il tutto in un egoismo imperante, alimentato da un miope assolutismo religioso, fatto di apparenza e di fariseismo. Disposizione dell’animo alla comprensione, all’amore le era sconosciuta. Al di sopra e prima di tutto, il proprio tornaconto, anzi il proprio comodo. Povero Fromm, lui aveva trattato ‘essere e avere’, ma lei prediligeva l’apparire. Si sentiva al centro dell’universo. Un suo pedicello era più importante del tumore maligno d’un povero sconosciuto. Nessuno poteva pensarla diversamente da lei. Dovete fare solo quello che voglio io, come dico io, quando stabilisco io. Questo il suo slogan. Non tollerava di essere distolta da quello che aveva deciso di fare, anche se si trattava di sospendere una irrilevante ed esteriore attività per un’altra fondamentale ed essenziale. Non si può interrompere una preghiera per rispondere al telefono al figlio, alla sorella… Se è scomodo raggiungere l’albergo (a circa 500 metri, e un po’ isolato), basta tornarsene a casa e lasciare solo il proprio consorte, in un’altra città, alla vigilia d’un indispensabile e vitale intervento chirurgico sul cuore. E così via… Il suo credo era sempre stato: ‘Io osservo la legge divina, interpretandola a mio modo, e gli altri sbagliano. Posso e devo dire a tutti quello che devono fare, come si devono comportare e se non mi… ubbidiscono… errano, si perdono!’ Erano stati a visitare Rosa, la figlia, a Los Angeles, dove aveva sposato Ted, il simpatico e ricco giovane incontrato ai tempi dell’Università. Al momento di tornare in Italia, lei aveva detto che si sarebbe fermata ancora un po’, anche per far compagnia alla piccola Polly, poiché i genitori erano entrambi fuori casa tutto il giorno, a curare gli interessi della loro International Export Co. Polly, però, quando rientrava dalla scuola, era curata dalle affettuose attenzioni della ‘tata’ messicana. L’assenza durava ormai da oltre un anno. E lei, in ogni caso, s’era fatta trasferire su una banca californiana la pensione che aveva conquistato dopo pochi anni di insegnamento. E così, Piero, che a 62 anni aveva ceduto ad altri il management della consociata italiana d’una multinazionale USA, era solo. Del resto, lo era sempre stato. *** Era arrivato a casa, e ripensava a Yela considerandola come donna. E che femmina. Si era bella, aggraziata, attraente, con un personale snello ed elegante, deliziosamente proporzionato. Cercava di sfuggire tale pensiero, ma andava figurando nella mente la pelle, la consistenza del seno, la curva delle anche, il tepore del grembo morbido e accogliente. Scuoteva il capo, inavvertitamente, come se parlasse tra sé e sé. Appena a casa, s’affrettò a telefonare al botteghino del teatro per fissare i posti al concerto. Erano disponibili solo due palchi di proscenio, ne fissò uno, pregò di fargli recapitare a casa i biglietti. Sognava ad occhi aperti, dimenticando età e acciacchi, cullandosi nella speranza di aver trovato un rifugio per la propria solitudine. Non resistette al desiderio di sentire ancora la voce di Yela. La chiamò al telefono. Lei riconobbe subito la voce. “Si, dottore, mi dica.””Mi scusi, ma ho dimenticato di dirle l’orario del concerto, è quella che si chiama una ‘pomeridiana’, alle diciotto. Così lei potrà regolare la sua giornata. Io conto di passare da lei alle diciassette e venti, non dovremo affrettarci e avremo anche il tempo di prendere qualcosa alla buvette. Se vuole, le leggo il programma.””Con piacere, l’ascolto.””Nella prima parte eseguiranno l’Italiana di Mendelsshon, London di Haydn, la Pastorale di Beethoven; dopo l’intervallo, la Brandeburghese di Bach, il Guglielmo Tell di Rossini, per finire con Wagner, Lohengrin e Walkiria.””E’ un programma stupendo. Scusi, ma dove si terrà il concerto?””All’Opera. Ha un’ottima acustica e il nostro palco è al riparo da qualsiasi disturbo che qualche volte si verifica in platea.””Un palco? Scusi, ma chi saranno gli altri occupanti? Suoi amici?””E’ solo per noi.””Ah!””Pensavo che dopo il concerto potremmo andare a cena, sempre che non la annoi.”Si sentì che sorrideva. “Temo che potrà stancarsi lei della mia presenza…””Timore infondato, cara Yela. Allora, cosa dice per la cena?””Resto confusa, a disagio per tanta cortesia.””Allora, mettendo da parte ogni disagio, se non origina dalla mia persona, posso prenotare?””Grazie, dottore, ma le assicuro che il disagio deriva solo da quanto mi sta improvvisamente e inaspettatamente capitando. Grazie.””Benissimo. Sabato le telefonerò prima di uscire di casa e la chiamerò al citofono quando sarò al suo cancello.””Posso farmi trovare già li.””Preferisco essere io ad aspettarla. Sa, sono legato alle vecchie maniere della mia generazione. Una signora non attende mai.”Ancora un sorriso. “Molto gentile, dottore, a sabato.”Riattaccò il ricevitore, e rimase a fissare il vuoto, con la sensazione che qualcosa stesse cambiando, proprio quando la vita andava verso l’inesorabile conclusione. *** L’attese nell’androne, dopo averle citofonato. L’ascensore si fermò, la porta s’aprì, apparve Yela, elegantissima pur nella semplicità dell’abito, sorridente. Il vestito era di foggia vaga, tra l’arabo marocchino e il balcanico dei luoghi islamici. Lungo, liscio, non molto scollato, chiuso sul davanti, di un tessuto smeraldo arricchito di ricami d’oro, e bordo dorato ai polsi. Scarpe e borsetta erano in armonia. Piero le prese la mano, la sollevò, l’invitò a girare su sé stessa. “E’ veramente splendida, Yela, di una classe ammirevole, e una grazia incantevole. Complimenti.””Grazie. E’ un modello di uno stilista arabo che lavorava a Cettinje. Una fusione tra una certa moda di Marrakesh e costumi montenegrini ed erzegovini che, specie questi ultimi, risentono dell’ influsso turco. Lo ho indossato solo una volta, poi è stato per anni nel guardaroba.””Anche l’acconciatura è perfetta, e il profumo delizioso. Bellissimi gli orecchini, il bracciale.””Grazie ancora. Ho usato una lieve acqua di yasamine, il nome persiano di quello che in alcuni paesi del nord Africa e i francesi chiamano jasmine. Gli accessori sono opera d’un artigiano egiziano, di quelli che una volta lavoravano in piccolissime botteghe, senza luce elettrica e, quindi, senza motori. Tutto a mano, pazientemente.””Sono bellissimi. Venga, il taxi ci aspetta.”In un quarto d’ora giunsero all’Opera. Piero chiese all’autista se potesse andarli a rilevare all’uscita, per portarli al ristorante. Ebbe assicurazione che avrebbero trovato l’auto ad attenderli, alla fine del concerto. Il foyer era già abbastanza affollato. Erano, per lo più, cultori della musica, habitués dei concerti. Qualcuno era molto elegante, specie le signore anziane, ma nessuna attraeva gli sguardi ammirati che riscuoteva Yela. Piero le sussurrò all’orecchio. “La stanno divorando con gli occhi, incantati gli uomini, invidiose le donne.”Yela arrossì, divenendo ancora più affascinante. Piero la prese sottobraccio. “Cosa ne direbbe di bere qualcosa?””Volentieri, grazie.”La condusse verso la buvette, andarono dove il banco era meno affollato. “Cosa gradisce?””Quello che prende lei.””Io sono un abitudinario, in materia. Prendo il solito, una ‘mimosa’”. “Cos’è?””Succo d’arancia allo champagne.””Molto alcolico?””No, di champagne non ne abbondano…””Va benissimo.”Piero guardò il barman. “Due mimose, per favore.”Dopo pochi secondi due calici giallo ambrati erano dinanzi a loro. Piero ne porse uno a Yela, prese l’altro e lo sollevò un po’. “Grazie, Yela, alla sua bellezza.””Grazie a lei, dottore, ma la prego, non mi faccia sempre dei complimenti, finirei col crederci.””Non sono complimenti, è una semplice constatazione. Del resto gli sguardi di chi ci circonda confermano quanto le dico.”Yela assaggiò la bevanda. “E’ molto buona, non l’avevo mai bevuta.””Sono lieto che le piaccia.”La luce elettrica ebbe un breve abbassamento. Piero riprese sottobraccio Yela, era un delizioso tepore. “Andiamo verso il nostro palco.”Si diressero verso il corridoio di destra, lo percorsero fino al termine, prima della porta per il palcoscenico, che, del resto era chiusa a chiave, entrarono nel loro ampio palco. Un ampio specchio, lateralmente, accolse la figura di Yela che si soffermò a controllare se tutto fosse a posto. Dalla sala venivano i suoni dei vari strumenti che s’apprestavano all’esecuzione. Piero attese che lei sedesse, prese a sua volta posto nella comoda poltroncina. Le tese il programma che aveva preso dal parapetto. Yela lo aprì, cominciò a scorrerlo, facendo scivolare la sedia sul tappeto liscio, avvicinandosi a Piero, mostrandogli una pagina. “E’ molto interessante, ci sono i dati essenziali su ogni autore e sul pezzo che sarà eseguito. Devo confessare la mia ignoranza, non sapevo che Wagner fosse morto a Venezia.””Si, dopo la sua ultima fatica compositiva, Parsifal cui lavorò dal 1877 al 1882, Wagner fu colto dalla morte nel palazzo Vendramin Calergi di Venezia un mese dopo averne ultimato la partitura.””Posso tenerlo questo opuscolo?””Certo.””Grazie.”S’attenuarono le luci, gli strumenti tacquero. Sul podio salì il maestro, accolto da scroscianti applausi. Si voltò all’orchestra, fece un cenno, i professori s’alzarono, per ringraziare, e a un nuovo gesto del maestro sedettero. Ora il silenzio era profondo. Le note dell’Italiana andavano conquistando l’uditorio. Yela era leggermente protesa in avanti, con la mano sul velluto rosso del parapetto, gli occhi fissi sul maestro, il volto rapito dalla musica che accompagnava con un lieve moto del capo. Piero la guardava, con un senso di dolce commozione, posò la sua mano su quella di lei, e la tenne così. Al termine della pregevole esecuzione, scrosciarono calorosi lunghi applausi, ai quali s’unirono Yela e Piero, in piedi. Di nuovo silenzio, ed ecco le armonie di Haydn e poi la maestosità della Pastorale. Quando, dopo il primo pezzo eseguito, tornarono a sedere, fu Yela a cercare la mano di Piero, come una bimba -si sforzò di pensare lui- stringe la mano del babbo quando vuole ringraziarlo per qualcosa che le ha donato. Era bello quel contatto, piacevole quella manina adorabile, liscia e morbida, con le piccole unghie curate e laccate. Di quando in quando sentiva delle lievi pressioni delle dita, come se gli volesse trasmettere la cadenza della musica, esprimere le proprie emozioni, farlo partecipe delle proprie sensazioni, coinvolgerlo. Piero ne era piacevolmente preso, quasi dimenticando la musica. Yela ascoltò rapita il mormorio del ruscello, il cinguettare dell’usignuolo, il finale canto dei pastori dopo la tempesta a chiusura della Pastorale, la Sesta sinfonia di Beethoven, eseguita con intensa bellezza timbrica. Lasciò la mano di Piero per applaudire freneticamente, col volto radioso. Poi, un profondo sospiro, e si voltò verso Piero. “Non avevo mai ascoltato un’orchestra del genere.””Piaciuto?””Immensamente.””Beethoven dedicò questa sua sinfonia al principe Lobkowitz, della casa di Boemia, e al conte Razumowskij, diplomatico, cultore e mecenate della musica, e la fece eseguire per la prima volta a Vienna, nel 1808.”Lo ascoltava, interessata. Lui la prese sottobraccio. “Andiamo a bere qualcosa, vuole?”Annuì senza parlare. Un po’ eccitata. Quando uscirono dal palco, fu lei a mettersi sottobraccio, stringendosi a lui, con spontanea allegria, quasi infantile. Molti li guardarono, e non mancò qualche commento salace. La seconda parte del concerto fu altrettanto piacevole e, dopo la travolgente sinfonia del Guglielmo Tell, si concluse con le insuperabili note di Wagner, nel ricordo di Ioheren Gerin, Gerin di Lorena, Lohengrin, e dell’impetuosa cavalcate delle guerriere di Odino, le Valchirie. Yela aveva gli occhi lucidi, era aggrappata al braccio di Piero. La sua prima volta in quel teatro, ancora affascinata dalla musica che seguitava a sentire nelle orecchie. Salì sul taxi che era venuto a rilevarli, come presa da una sorta di delizioso rapimento e allorché Piero le cinse la vita, si appoggiò a lui socchiudendo gli occhi. Quando l’auto si fermò, sembrò risvegliarsi da un sogno, sorrise a Piero che l’aiutò a scendere. Entrarono nella grande hall, andarono all’ascensore, salirono fino all’ultimo piano, accolti dal maitre che li accompagnò al loro tavolo, vicino alla vetrata da dove si dominava la monumentale scalinata, la piazza, il taglio luminoso dell’elegante strada alla moda. Era tutto bello, troppo bello. Yela lo guardò con un velo di commozione negli occhi, posò la piccola mano su quella di lui, senza parlare. Quel contatto lo turbò. Scosse appena il capo, impercettibilmente, con un’espressione perplessa nel volto. Non era quello che avrebbe voluto provare. Aveva costruito tutto con dolcezza, entusiasmo, sperando di poter sfuggire alla solitudine che lo soffocava, deprimeva, rattristava. Lo sfioramento lieve, il tepore di quel contatto, quasi una timida carezza, aveva risvegliato sopite sensazioni, un piacere sensuale, il desiderio di ricambiare teneramente quel gesto, voltare la mano, stringerle le dita affusolate tra le sue. Ecco, la donna. L’attrazione dell’altro sesso. Temeva di guastare tutto. Yela colse qualcosa nell’atteggiamento, sia pur controllato, di Piero e ritrasse la mano, la mise sulle gambe. “Qualcosa non va, dottore?””Niente, cara, cercavo solo di ricordare se ho qualche impegno per domani. Sa, col passare degli anni anche la memoria perde colpi. Scusi.”Allungò la mano verso quella di lei, la strinse, avvertì il delicato calore del grembo, fu percorso da un brivido. Sempre la stessa sensazione, quando si trattava di una donna. Non aveva ancora raggiunto quella che veniva definita la pace dei sensi. In ogni caso, gli piaceva quel contatto. Indugiò esercitando una leggera pressione, cercando di percepire, forse solo con la fantasia, il morbido incanto del serico velluto del pube. Gli sembrò di cogliere un lieve movimento della donna. Era dalla partenza di Ivan che Yela non sentiva la mano di un uomo posata sulle sue gambe. I loro sguardi s’incrociarono, ognuno cercando di leggervi il pensiero dell’altro. Piero respirò profondamente, lasciò a malincuore la mano di Yela. “Beviano ancora una coppa. Come aperitivo. Le va?”Lei assentì, in silenzio. La raffinata e delicata cena si svolse tra una chiacchiera e l’altra. Prevalentemente sul concerto. “Le piace questo posto, Yela?””Moltissimo. Ci viene spesso?””No, di rado, da quando mia moglie è in america.””In america?””Si, eravamo andati a trovare mia figlia Laura, che vive li, col marito, e lei ha preferito trattennervisi.””Da molto tempo?””Da oltre un anno.””E da allora lei è solo?””Diciamo di si. Ogni tanto mi vedo con mio figlio, ma lui è sempre in giro, svolge un incarico per conto della FAO, per i problemi alimentari di alcuni paesi dell’Asia.””Si annoia?””Cerco di farmi compagnia con qualche lettura, brevissime gite, internet…””Ma lei è troppo giovane, per tali limitazioni.””Grazie del complimento, ma mia figlia ha la sua età.””Non è adulazione, lei è elegante, è amabile, garbato, e si vede che ha una notevole cultura. Oggi, alla sua età si è giovanissimi.”Piero sorrise. “Grazie ancora, lo terrò presente.”Yela gustava lentamente il dessert. “E’ veramente delizioso, ha un sapore che non saprei definire, ma incantevole. Il suggerimento del maitre è stato ottimo. Come ha detto che si chiama?””Deep kiss.””Scusi, ma il mio inglese é… sub-scolastico, come si traduce in italiano?””Più o meno, bacio profondo.””Più o meno?””Beh, alla lettera vuol dire bacio… con la lingua.””Credo che sia il nome giusto. Vorresti che non finisse mai.””E preannunzia qualcosa di inebriante… come un altro sorso di champagne.”Riempì di nuovo la coppa di Yela, poi la sua, e l’alzò. “A lei, Yela, e grazie per essere qui.””Grazie a lei, è una serata splendida, indimenticabile.””Per così poco?””Per me è moltissimo, qualcosa che non avevo mai vissuto, un mondo nuovo…”Qualcosa di malinconico le attraversava lo sguardo. “Cosa è che non va?””Niente, piccole considerazioni.””Vediamo se indovino. Tanta gente spende in una serata quello che per altri potrebbe bastare per un mese.””Non faccia caso alle mie storture mentali.””No, lei ha perfettamente ragione, ma cerchi di non pensarci, almeno questa sera. Che ne dice di andare a bere qualcosa in un locale discreto e accogliente, con un pianista che suona in sordina le più belle musiche dei più grandi compositori melodici?””Ancora bere? Ma io sono quasi brilla.””Potrà ordinare un soft drink. Ma forse non l’attira l’idea.””No, mi attrae, anche se per me è abbastanza tardi.””Stanca?””Con tutto quello che mi sta accadendo direi ‘agitata’, tutt’altro che stanca.””Allora, andiamo.”Fece un cenno al cameriere, firmò la nota, pregò di chiamare un taxi. Scesero all’ingresso, l’auto era pronta, di solito ce ne erano sempre ad attendere i clienti. Aiutò Yela a salire, andò dall’altra parte, salì anche lui, chiuse lo sportello. Chiese di essere portato al Paradise Corner. Si volse ala donna. “Lo chiamano angolo di paradiso, vediamo come lo giudicherà lei.”Yela gli prese la mano. “Per me, questa sera, tutto è paradiso, e non definisco lei un angelo perché sarebbe limitativo e certamente inesatto, data la immaterialità di quegli esseri e la sua evidente e attraente personalità.”Piero le baciò la mano. Il dorso, il palmo. Il Paradise Corner, era molto elegante, con luci soffuse, musica in sottofondo, diverse sale, tavolini, poltrone, divani, un fornitissimo bar, una pedana per il ballo dove poche coppie erano impegnate in un vecchio e sempre struggente slow-fox -silenzioso slow-, discreti e silenziosi camerieri. Molto silenzio. Si parlava a bassa voce e le pareti erano fonoassorbenti. Piero disse qualcosa al gentile e premuroso receptionist che li accolse, e li affidò a un cameriere che li pregò di seguirlo. Seconda sala, un accogliente divano d’angolo, con un basso tavolino dove ardeva una grossa candela senza fumo e lievemente profumata. Sedettero. Piero chiese alla donna se poteva ordinare due soft-cocktails, assicurandole che erano pochissimo alcolici: succhi di frutta fresca e appena uno spruzzo di champagne. Yela si disse d’accordo. Il cameriere si allontanò verso il bar. Yela guardava intorno, gli altri tavolini. In genere erano coppie di un certo tono, molto varie, ma in nessuna entrambi erano molto giovani, in genere di media età, e qualcuna con una certa diversità di anni, ora a favore di lui, ora di lei. Erano seduti molto vicini. Piero era visibilmente contento, ammirava Yela e la sua curiosità quasi infantile. Si chinò al suo orecchio. “Vorrei chiederle una cortesia.””Felice se potrò esaudirla.””Mi piacerebbe chiamarla Elena, il suo incantevole charme è tutto latino, mediterraneo, italiano, e un nome di radice slava suona riduttivo.”Gli sorrise, quasi divertita. “Le slave sono, in genere, bellissime.””Certo, si parla di fascino slavo, ma è ben poca cosa di fronte a quello che emana lei. Non sto esagerando, né sto adulando, sto solo constatando. Si guardi intorno, non c’è nessuna che può competere con lei. Nessuna. Lei ha gioventù, grazia, eleganza, un personale da fare invidia alle modelle di Prassitele, si comporta finemente, discorre piacevolmente…””Meno male che la luce non è molto forte, altrimenti tutti vedrebbero che sto arrossendo.””Il che, se possibile, la renderebbe ancora più bella.”Gli batté, confidenzialmente, la mano sulla gamba. “La smetta, la prego. Mi mette a disagio.””L’accetti come omaggio verbale d’un vecchio che le è grato per il tempo che sta dedicandogli.””E smetta anche di ripetere che lei è vecchio. Si guardi intorno, c’è qualcuno che è veramente anziano. Lei è nel pieno della maturità.””Allora?””Allora, cosa?””Posso chiamarla Elena?””Certo. Per me sarà un ritorno al passato, pur senza nulla rimproverarmi per quello che mi piace definire il periodo Yela.””Grazie, sempre gentile e comprensiva.”Le baciò la mano. “Mi parli di lei, dottore.””Non ho molto da dire, una vita dedicata prevalentemente dapprima allo studio e poi al lavoro. Come tanti altri. Forse mi sono troppo dedicato alle mie attività, trascurando divertimento e svago, da giovane, e vivendo troppo spesso lontano dalla famiglia. Ho cercato in tutti i modi di far comprendere loro il mio amore infinito, li ho circondati di cure, di attenzioni, non ho fatto mancar loro nulla, forse ho dato più di quello che generalmente si attende, ma evidentemente non era ‘tutto’, e il mio pesante sacrificio non è stato compreso, e ancor meno apprezzato. Non desidero rinnegare nulla di quanto ho fatto, né piatisco pietà o conforto, mi limito a constatare i fatti.”Fece un profondo respiro, come a scacciare qualcosa di fastidioso che aveva dentro. Prese la mano di Elena e la tenne tra le sue. “Lei è amabile e paziente, Elena, anche sensibile e umana, e comprendo certi usi che, però, sono soprattutto della mia generazione.”Lo guardava incuriosita. “Ogni volta che dice ‘dottore’, rivolgendosi a me, mi sembra che voglia evidenziare la volontà di tenermi a distanza, di allontanarmi da lei. Il caso ci ha fatto conoscere, e non desidero soffermarmi sul motivo che ha favorito l’ incontro, e da subito ho sentito di chiamarla per nome, Yela, questa sera le ho perfino chiesto di ritornare al suo nome primitivo, mi sembra che io possa considerarla persona amica…””Certo, dottore.””… e tra amici ci si chiama per nome. Mi chiami Piero.”Gli sorrise adorabilmente. “Ci proverò, le prometto che ci proverò… Piero. Va bene?””Ottimamente, grazie. Io festeggerei con una coppa di champagne.””Non vorrà farmi girare la testa.””Alla mia età? Non credo!”Elena rise di cuore, svincolò dolcemente la mano che lui seguitava a stringere tra le sue, gli sfiorò lievemente il volto. “Mi riferivo allo champagne, per il resto lasci che sia io a stabilirlo!”Prima ancora che lo avesse chiamato, si avvicinarono due camerieri, uno pose due calici sul tavolino e l’altro li riempì di champagne. “Fra due minuti sarà mezzanotte, signori, e invitiamo tutti a brindare al nuovo giorno.”Si allontanarono in silenzio. “Vede, Elena, è il destino a stabilire gli accadimenti, e questa volta è di una tempestività lodevole.”Bevvero al loro incontro, alla nuova amicizia, alle speranze per il futuro. “Forse lei vorrà rincasare, Elena, non vorrei rubarle il sonno e intralciare i suoi programmi per domani.””Non ho alcun programma, ho consegnato un certo lavoretto, ma non potrò riscuotere fino alla fine del mese. Comunque, credo che sia ora di rientrare, anche se non vorrei uscire da quello che mi sembra un sogno insperato.”Piero andò a pagare il conto e pregò di chiamargli un taxi. Tornò al tavolino dov’era la donna. Lei si alzò. Si avviarono all’uscita. Nell’auto, Piero la sentì vicinissima. Forse era semplice casualità. Ma lei gli si mise sottobraccio… Il traffico era abbastanza intenso. Attraversarono buona parte della città, giunsero sotto la casa di Elena. “Io scendo qui, lei si fa portare a casa?””No, scendo anche io. Abitiamo vicini, farò due passi.”Erano al cancello, il taxi era ripartito. Gli tese la mano per salutarlo. Piero la tenne tra le sue. “Lei non ha grandi appuntamenti per la giornata, o sbaglio?””Nessun impegno.””Vorrei invitarla a pranzo, se non la disturba e non sono invadente.””Veramente l’importuna sono io.””Ho capito. Mettiamo da parte cerimonie, formalità, convenevoli e mi dica sinceramente se gradisce o meno pranzare con me, andremmo in grazioso posticino, a pochi chilometri da qui. Sarà un’occasione per tirare fuori l’auto che uso molto di rado.”Elena assunse un atteggiamento sbarazzino. “Gradisco, per usare il suo termine, con entusiasmo.””A domani, allora. Alle dieci e trenta, va bene?””Benissimo.””La chiamo al citofono.””D’accordo.””Buona notte.”Gli si avvicinò, si protese verso lui, lo baciò. Un po’ più di un fuggevole sfioramento, ma senza insistenza. Sulle labbra. *** Si svegliò abbastanza presto, come al solito. Indugiò nelle sue piccole abitudini del mattino, infilò di nuovo la vestaglia da camera, sedette al computer, lo accese, andò a vedere se c’era posta per lui. La E-mail della moglie lo informava che tutto andava bene, lei aveva iniziato una interessante attività di volontariato presso la locale sezione della BLA, Brotherly Love Association, l’apprendimento dell’inglese procedeva bene, andava agevolmente integrandosi nella vita del paese, e Polly stava bene e mandava un bacetto al nonno. Tutto qui. Rispose che non c’erano novità, ricambiava il bacetto alla nipotina, ma questa volta non disse che era sempre in attesa del suo ritorno! La colf lo informò che la colazione era servita. Bevve solo un succo d’arancia e sbocconcellò un biscotto. Prese il giornale e andò a sfogliarlo, in poltrona, guardando l’orologio. Erano quasi le dieci. Pensò che sarebbe stato meglio chiamare Mario, il giovane che a volte gli faceva da autista, ma poi concluse che Elena poteva non gradirne la presenza, forse lo conosceva, anche solo di vista, perché abitava non distante dalla sua abitazione. Citofonò al portiere, lo pregò di fare il pieno alla sua auto e di lasciargliela fuori dal box. Andò a vestirsi. Un abito sportivo, pantaloni grigio scuro e giacca Harris, sull’azzurro scuro. Dette una sbirciata allo specchio, decise che poteva andare. Salutò la colf, uscì. Riaprì la porta, tornò indietro, andò al telefono, fece il numero di Elena (lo conosceva già a memoria) attese la risposta. “Si?””Volevo dirle che sto uscendo, le citofonerò pregandola di scendere.””Sono pronta, l’attendo.””A presto.””A presto.”Dopo qualche minuto l’elegante coupé era dinanzi al cancello. La donna lo stava attendendo. Sorridente, allegra come una collegiale in vacanza, con un’aria un po’ sbarazzina. Indossava gonna marrone, plissata, camicetta avana chiaro, un’ ampia giacca, aperta sul davanti, di lana leggera e morbidissima. Borsa di pelle chiara, molto grande, e scarpe della stessa tonalità. Il volto appena truccato, i capelli raccolti a coda di cavallo, color dell’oro antico. Piero scese. “Già scesa? Avrei citofonato. E’ molto che attende?””Buon giorno dottore, sono appena giunta, non mi andava di stare a casa, con un tempo simile non vedevo l’ora di uscire.””Buon giorno cara, ma non ho capito dov’è il dottore al quale lei si rivolgeva.”Sorrise divertita. Assunse un’aria seria e affettata. Accennò un lieve inchino. “Buon giorno, Piero.”Piero aprì lo sportello, allegro, con ostentato ossequio. “Prego, madame.”Elena salì agilmente. Lui richiuse, passò dietro l’auto, sedette al posto di guida. Lo guardò, compiaciuta. “Gran bella e comoda auto, complimenti.””Le piace?””E’ la marca e il modello che preferisco.””Sono contento, grazie. Ha qualche particolare località dove desidera andare?””Quella da lei scelta.””Un posticino calmo, al mare?””Ottima idea, scelta ottima in un giorno così.”Mise in moto, si staccò lentamente dal marciapiede, voltò subito a sinistra, e poi ancora a sinistra, avviandosi fuori città. Il traffico era intenso, ma non caotico come nelle ore di punta. Dopo poco voltarono a destra, passarono dinanzi a un grande albergo internazionale, proseguirono in direzione dell’aeroporto, ma prima di raggiungerlo deviarono per l’autostrada che conduce al nord. Elena lo guardò compiaciuta. “Guida molto bene, bravo.””Grazie per la lode, ma il merito principale è dell’auto. Sa nascondere bene i difetti dell’autista, e non lascia comprendere la velocità. E’ una vera complice.”Elena guardò il tachimetro. “E’ vero, credevo che andassimo più piano.””Vuole che rallenti?””No, no, va benissimo così.””Fra non molto lasceremo l’autostrada. Faremo alcuni chilometri di strada stretta e non ben tenuta, e ci immetteremo sulla nazionale. Non è lontano. Vuole ascoltare della musica?””Grazie, ma preferisco la sua voce. Così rassicurante, sento come se mi avvolgesse proteggendomi.””Da che?””Non so. Deve essere il modo in cui vivo. Sempre timorosa che mi possa accadere qualcosa, sentirmi sola, essere ridotta dover chiedere prestiti, perfino a uno sconosciuto.””Ora mi conosce.””Scusi, mi sono lasciata trasportare dall’inquietudine che non riesco a scacciare, sconforto, sfiducia. Disperazione.”Le pose la mano sulla gamba. “Non usi più tali termini. Lei è giovane, con un futuro che certamente la premierà per il periodo che sta attraversando. Non parli di disperazione, per favore, anche per i Romani, come sa, la speranza era l’ultima a morire. Cerchi di rilassarsi. Vorrei che mi considerasse un amico, come se mi conoscesse da tanto tempo. Quindi non è sola. E le assicuro che le cose andranno meglio, il suo piccolo Scepàn dovrà veder sorridere la sua splendida mammina. Ora lo faccia a me, un bel sorriso.”Gli sorrise, con gli occhi pieni di pianto. Gli prese la mano e la portò alle labbra, lui la carezzò affettuosamente. Tenne la mano tra le sue, in grembo. Ebbe un lieve sussulto. La lasciò. “Scusi, avevo dimenticato che stava guidando.””Allora, mi sente vicino?”Annuì, ancora con gli occhi lucidi. Come Piero aveva preannunciato, abbandonarono l’autostrada, percorsero una stretta provinciale, riuscirono a immettersi nella nazionale, e dopo qualche chilometro attraversarono un cavalcavia ed entrarono in un abitato costituito da case per la villeggiatura, ancora pochi metri e giunsero presso un castello. “Vede, Paola, quella villetta è della sorella d’una nota attrice e madre d’una parlamentare.”Erano dinanzi a una vecchia villa, tenuta benissimo, ora adibita a rifugio per chi voleva trascorrere qualche ora distante dai rumori della città, in un ambiente accogliente ed elegante, lontano da curiosi e indiscreti. “Non è molto lontano, visto?””Infatti. Ed è bellissimo, un’oasi di serenità. Non sapevo di un luogo simile. E’ incantevole.”Si era avvicinato un giovane che indossava una giacca a righine. “Benvenuti, signori.”Piero scese, aiutò Elena a fare altrettanto, diede al ragazzo le chiavi dell’auto. Entrarono nella hall, luminosa, arredata con mobili d’epoca e bei quadri alle pareti. Il receptionist li accolse con un sorriso. “Benvenuto, dottore. E’ molto che non avevamo il piacere di vederla.””Grazie, Enrico. Noi saliamo al belvedere, ci fa servire due mimose, per favore?”Si avviò all’ascensore, tenendo per mano Elena. Sedettero di fronte alla veranda che dava sul mare, in un comodo divano. Giunse subito il cameriere con quanto ordinato, lasciò le coppe sul tavolino. Piero era sereno, tranquillo. “Che ne dice di questo posticino?”Elena gli si accostò, gli poggiò la testa sulla spalla. “E’ delizioso, distensivo, rasserenante, quello che ci vuole per tentare di dimenticare il passato.””E vivere il presente.””Proprio così. E’ sempre attuale il ‘carpe diem’ .”Piero sorrise. “La saggezza popolare napoletana lo ha tradotto in ‘ogni lassata è perduta!'””Non bisognerebbe dimenticarlo mai.””Soprattutto non pentirsi delle decisioni che sono valide particolarmente nel momento in cui vengono fatte. Dopo, non ci sono più le stesse condizioni, le stesse situazioni, le stesse emozioni.”Elena assentì in silenzio. Prese la mano di Piero, la mise sulle sue spalle, gli si rannicchiò vicino. “Mi sento al sicuro.”Piero la strinse teneramente, le carezzò il volto. Rimasero così, guardando le onde che si frangevano sulla battigia, le piccole vele in lontananza. Ognuno pensando qualcosa. “Mi sembra di conoscerla da sempre, Elena, di aver trascorso una vita con lei.”Lo guardò, senza rispondere. Si avvicinò il maitre. “Se i signori lo desiderano, potrebbero fare una nuotata in piscina. E’ alimentata con l’acqua di mare ed è depurata.”Elena ebbe un moto di entusiasmo. “Peccato che non ho portato il costume.”Piero la guardò, divertito. “A questo c’è rimedio. Nella Hall c’è una boutique che ha un po’ di tutto.”Elena si staccò un po’ da lui. “Ma no, sarebbe una spesa inutile. Se ci sarà una prossima volta ci penserò in tempo.””E il ‘carpe diem’?”La donna sorrise. Piero si alzò, le tese la mano. “Andiamo!”Presero l’ascensore e scesero al piano terreno. La boutique era in fondo alla galleria che conduceva alla sala da pranzo. Non molto grande, ma ben fornita. Nella vetrina c’erano anche dei costumi da bagno. Da quelli regolamentare per gare di nuoto alle olimpiadi, a minuscoli tanga con reggiseno quasi inesistenti. Entrarono. La commessa li accolse cortesissima. “In cosa posso esservi utile?”Piero anticipò Elena. “La signora deve andare in piscina e ha lasciato il costume a casa.””Che tipo preferisce?”Piero si voltò verso Elena. “Un due pezzi elegante, vero?”Elena si strinse nelle spalle, La commessa disse di attendere un minuto. Prese alcune scatole dallo scaffale, le posò sul bancone. “Ecco, questi sono gli ultimi arrivi. Sono moderni, eleganti, di ottima fibra, indeformabili.”Ne prese alcuni, di diversi colori. “Quale preferenza, Elena?””Sono tutti molto belli, forse un po’ osé per la mia età.””Ma come, Elena, alla sua età, ma se è una ragazzina!”La commessa sorrise. “Scusi se mi intrometto, ma il signore ha ragione, questi sono perfetti per lei. Non glieli avrei mostrati se non avessi giustamente valutato le sue misure e la sua età.”Elena si mostrava lusingata e divertita. “Allora, mi affido alla scelta del signore.””Io prenderei questo, ha lo stesso colore dei suoi occhi, smeraldo, e s’intona perfettamente con i capelli, specie se sono sciolti.””E’ bellissimo.”Lo prese in mano, lo girò. Gli capitò il cartellino col prezzo. Ebbe come un sobbalzo. Guardò Piero, che fece finta di non accorgersi di nulla. “Bene, signorina, siamo d’accordo.”Prese dal portafoglio la carta di credito e la porse alla ragazza. Elena disse che avrebbe desiderato provarlo, ma la commessa si scusò per non poterla accontentare. Per i costumi e gli indumenti intimi non erano previste prove. Piero intervenne. “Non crede che sia per la sua taglia, Elena?””Si, ma…””Allora è tutto a posto.”La commessa andò alla cassa, registrò l’operazione, tornò con un elegante borsetta contenente il costume e restituì la carta di credito a Piero. Li accompagnò alla porta. “Grazie, signori, e tornate presto a trovarci.””La ringrazio, Piero, ma mi sembra troppo caro.””Non conosco i prezzi, ma non è mai caro quello che piace. Andiamo verso la piscina?””Si, e lei?””Rimarrò ai bordi, ad ammirarla. Ritengo che sia una brava nuotatrice.””Me la cavo, niente di eccezionale.”Una specie di ampio tunnel, illuminato, conduceva alla piscina dell’Albergo. Non c’era quasi nessuno. L’acqua, azzurrina, era illuminata da faretti posti sulle pareti, a varie profondità. Un trampolino, qualche sdraia ai bordi. Alcune cabine, il bar. L’assistente di piscina andò loro incontro. Indicò una cabina libera, dinanzi alla quale era un tavolino e due sdraie. “E’ dotata di doccia, accappatoio, asciugamani, getti d’acqua calda, un piccolo necessaire con zoccoli, pantofole, schiuma e pettine. Se avete bisogno di qualcosa dovete solo premere il pulsante del campanello. Mi chiamo Mario. Buon bagno.”Elena guardò Piero. “Prego, entri, si cambi e faccia una bella nuotata. Io ordinerò ancora degli aperitivi e li berremo insieme, dopo.”Elena entrò nella cabina, Piero andò a sedere su una sdraia. Dopo poco si sentì chiamare. Si voltò. La porta della cabina era semiaperta. S’intravedeva la mano di Elena. “Piero, per favore, venga.”Si alzò, andò verso la cabina. La porta si dischiuse. “Entri, per favore.”Entrò, la donna richiuse la porta. Aveva indossato il costume, sciolto i capelli. Era statuariamente splendida, di proporzioni deliziose, affascinante, attraente. “Mi sento un po’ a disagio. Non ci crederà, ma è la prima volta che indosso un capo del genere. Non sarò troppo… scoperta?”Piero non riusciva a staccarle gli occhi da dosso, visibilmente compiaciuto. “Non quanto gli uomini vorrebbero.””Non scherzi, mi risponda sul serio. Esco così?””Non mi aspettavo tale titubanza da una giovane come lei. E’ abbagliante. Mi invidieranno tutti. E’ molto più bella di quanto non rivelino i suoi pur seducenti vestiti. Uno scultore non ha mai sognato una modella come lei.””Non mi faccia arrossire più di quanto non mi provochi questa mise.””Si giri, si faccia ammirare.”Elena girò su sé stessa, la sua immagine era riprodotta incantevolmente dallo specchio a tre luci che era dietro di lei. “Su, calzi gli zoccoli ed esca. Se vuole può sedersi un po’, prima di tuffarsi.””Si, ma desidero anche indossare l’accappatoio. Lo toglierò per andare in acqua.”Piero prese l’accappatoio dall’attaccapanni, si avvicinò alla donna per aiutarla a infilarlo. Sentiva il tepore della pelle che gli sfiorava il dorso della mano. Volle annodarle lui la cinta di stoffa, lo sistemò sui fianchi. Contatto esaltante, eccitante! Andarono a sedere al tavolo. L’accappatoio s’apriva sulle gambe. Lisce, perfette, appena ambrate. Elena s’accorse che la guardava con ammirazione. Era sempre una donna, e si sentiva lusingata di provocare l’attenzione in una persona così compita e distinta come Piero. E’ naturale, per una donna, civettare un po’, anche per il solo piacere di essere notata. Gli posò una mano sulla gamba, leggermente, come una carezza lieve. “Qualcosa non va?””Anzi. Va tutto benissimo. E’ la mente che vaga, sogna… La stavo contemplando, incantato dinanzi a tanta bellezza.”-Sorrise amabilmente.- “Sono pur sempre un uomo, anche se anziano.”Gli strinse la gamba, come a rimproverarlo. “Basta con questo insistere sull’essere anziano, potrebbe dare l’impressione di un atteggiamento per rendersi interessante, o, peggio, di una mania. Lei è interessante, ed è più giovane di un trentenne. Se non fossimo in pubblico la bacerei.””Grazie, i latini la chiamavano ‘pìetas’…””No. No, quella era la pietà filiale, non c’entra niente… Non riesco a farmi comprendere.”S’era infervorata, quasi indispettita, innervosita. Le carezzò il volto. “Non si arrabbi, anche se diviene ancora più bella. Non è mia intenzione irritarla.””Scusi. Credo che sia il momento per un tuffo.”Si alzò, sciolse la cinta dell’accappatoio facendolo cadere sulla sdraia, tolse gli zoccoli, andò all’orlo della vasca, si levò sulla punta dei piedi, si tuffò. I capelli s’aprirono come aureola corvina. Piero la seguiva cogli occhi. Ricordava una statua greca, Venere, che il suo insegnante aveva definita ‘pulcherrima atque formosa’. Elena lo era di più. La donna nuotava lentamente, stava passando vicino a lui, si voltò sul dorso, gli mandò un bacio con la mano. Lui lo ricambiò. Poi si guardò subito intorno, come se avesse fatto una marachella. Dopo un po’ Elena si diresse alla scaletta. Piero andò ad attenderla, con l’accappatoio e gli zoccoli. Lei lo indossò subito. “Ho un po’ di freddo, vado a rivestirmi… venga…”Entrarono in cabina. Piero non sapeva cosa fare, le passò timidamente la mano sulla spalla, strofinandola leggermente. “Grazie, è proprio quello che ci vuole, sto riprendendo calore.”Si guadò intorno. “Ho visto un telo di spugna, l’accappatoio è bagnato.”Piero lo prese e restò di fronte a lei col piccolo lenzuolo aperto. Elena fece cadere l’accappatoio. Si voltò. “Non riesco a sciogliere il nodo del reggiseno, l’acqua lo ha serrato. Dia a me il telo.”Piero armeggiò, riuscì a districarlo. Elena poggiò il telo sul petto e fece cadere il reggiseno. Voleva avvolgersi nella tela spugnosa, ma doveva metterla sulla schiena per allacciare davanti i bordi. Rimase per qualche istante col seno scoperto. Piero ebbe la pelle d’oca. Una visione d’incanto. Elena armeggiò per far scivolare lo slip. L’uomo le era alle spalle. “Ancora un po’ del suo rilassante massaggi… le spiace?”Come poteva spiacergli, per lui, però, non era affatto rilassante, quell’operazione. Anzi… Cominciò a strofinare le spalle, la schiena, s’avventurò esplorativamente sui fianchi, sulle natiche. Lei lo lasciava fare, come abbandonata, appoggiandosi a lui. Era agitato, eccitato. Azzardò a passarle le mani sul petto. Non credeva a quello che stava accadendo. Le stava carezzando il seno, sia pure attraverso il tessuto, non tanto spesso, però da non fargli percepire il turgore dei capezzoli. Sentiva che stava rischiando una certa reazione, ma non riusciva a trattenersi, scendeva al ventre, sul grembo, sulle gambe. Sentì che le divaricava. Per farsi asciugare, certo. Ma indugiò tra esse, in alto. Sentì la peluria del pube. E le sue natiche premere contro di lui. La sua mano s’era infilata tra i lembi del telo, carezzava i riccioli morbidi, non respinta, accolta, invece, da un lieve ondeggiare del bacino. Poi la mano di lei si pose su quella dell’uomo, e restarono così, fin quando Elena si voltò e lo baciò sulla bocca. Piero s’allontanò da lei, turbato, andò a sedere sulla sedia accanto al tavolino. Elena lo guardava, immobile, accesa in volto, con le labbra tremanti, lievemente affannata. Il telo era caduto ai suoi piedi, chissà se si rendeva conto di essere completamente nuda. Magnifica, splendida, incantevole, attraente, seducente. Piero era pallido. “Mi scusi, Elena, ho perso il controllo, mi scusi.”Gli sorrise teneramente, si avvicinò a lui, sedette sulle sue ginocchia. “Abbracciami, coccolami…”La cullò come una bambina, carezzandola dolcemente. Poi sentì tutta la travolgente femminilità di lei, le baciò i capezzoli, la frugò tra le gambe, introdusse le impazienti dita nell’ancor più impaziente sesso di lei. Come sfiorò il piccolo bottone d’amore, Elena sembrò delirante per il piacere, La lunga continenza, gli impulsi naturali troppo durevolmente repressi, esplosero in orgasmi che non volevano cessare… S’alzò quasi di scatto, liberò il sesso di Piero che proruppe in tutta la sua prepotenza, ci si infilò ingordamente, fino a sentirlo raggiungere la volta della sua palpitante vagina. E continuò in quella sua danza lasciva fin quando non l’invase l’infuocato seme di lui che l’inebriò voluttuosamente. Gli prese la testa tra le mani e lo baciò con ardore, con prepotenza, mentre ancora il suo ventre palpitava. “OOOOh, Piero…da quando…..”Si rannicchiò abbracciandolo, affranta, vinta dal piacere, e dopo un po’ la sentì appesantirsi sulla spalla ronfando sommessamente, come gattina che fa le fusa. Piero le sbaciucchiava l’orecchio, le sussurrava che era la sua pussy cat, a lovely pussy… Lei, pur assopita, annuiva con la testa. Si riprese. “Ho bisogno di riposare, di sdraiarmi, rilassarmi, calmarmi.””Hanno delle splendide suite, ne fisso una… per dopo pranzo…””Si… si…”*** Il tramonto del sole entrava dal balcone che guardava il mare e tingeva di rosso la camera, il corpo nudo di Elena che giaceva avvinghiata all’uomo, col volto sul suo petto, i capelli sparsi. Il respiro pesante. Si mosse appena, aprì gli occhi, volse il capo verso lui, gli sorrise. “Forse sei delusa, bimba…””Sono deliziosamente sbalordita, turbata, sorpresa, appagata. Solo oggi ho compreso cosa significhi essere donna, anzi femmina, amante, partner. E sei stato tu a farmelo capire a farmelo scoprire. Tenerezza e passione mai provate. Sei una rivelazione, un dono del cielo, inatteso, insperato, inimmaginabile. Forse immeritato…”
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