Abu era un giovane uomo primitivo che viveva con la sua tribù, i Manguia, in una vallata ricca di acqua e selvaggina. La scelta del luogo così azzeccata dove situare il villaggio, era il sintomo di una evoluzione che pian piano rendeva la vita dei primi uomini un po’ migliore. Eh sì; a quei tempi bastava poter sopravvivere per potersi dire felici e quel poco di civiltà che i vecchi della tribù avevano tramandato era sufficiente per poter elevare i Manguia tra le tribù più potenti della zona. Erano comunque ancora primitivi, si nutrivano di quello che il terreno gli regalava spontaneamente e degli animali che venivano uccisi con armi rudimentali come bastoni e pietre affilate. Il loro abbigliamento si limitava ad alcune pelli intrecciate che indossavano soprattutto in inverno, non avendo particolari inibizioni a mostrarsi nudi nelle stagioni più calde. Abu, che ormai sentiva dentro di sé il desiderio di far crescere la sua tribù con un sangue del suo sangue, aveva imparato tutto quello che era necessario per essere un vero capo: sapeva cacciare e catturare gli animali con le sue stesse mani e il suo collo era ornato da una collana fatta con i denti dei molti nemici abbattuti. Ultima cosa che gli rimaneva di fare per essere considerato un uomo era quella di catturare e sottomettere delle femmine per permettere la continuazione della sua specie. Decise insieme a Skor, suo amico e fratello di sangue e ad alcuni suoi coetanei, di raggiungere il villaggio al di là del monte, dove si narrava che ci fossero delle donne che sarebbero state felici di farsi ingravidare da loro. Così, affilate alcune pietre e preparato un bastone robusto per l’occasione si incamminarono nel fitto della foresta per un viaggio che sarebbe durato almeno una settimana. Problemi di cibo non ce n’erano perché quelle foreste erano ricche di radici e piccoli animali che avrebbero soddisfatto il loro appetito famelico. Ma il motivo di quella trasferta aveva riscaldato i loro giovani animi e sempre più spesso si trovavano a doversi muovere nella foresta con il membro in posizione semieretta, cosa non troppo comoda né sicura, visto che il pericolo di piante urticanti e serpenti era sempre in agguato. Risolvevano a questo piccolo inconveniente provocandosi dei massaggi reciproci con le loro mani ruvide fino provocare delle piacevoli scosse che fremevano in tutto il loro corpo generando la fuoriuscita dai loro cazzi pulsanti di un liquido liscio e caldo, del quale ignoravano l’esistenza, che i più audaci osavano andare a leccare proprio dalla fonte, ritenendo che fosse comunque commestibile e ricco di sostanze utili a renderli ancora più forti e in più aveva un sapore molto più piacevole di certi insetti e schifezze che erano abituati a mangiare. Oltretutto questa pratica risultava stranamente piacevole anche per chi la subiva, non facendo grosse difficoltà a restituire il piacere al compagno che gli aveva fatto quel primordiale pompino. Arrivati dopo circa una settimana di cammino alla vista del villaggio, Abu e Skor decisero di aspettare la notte per cogliere di sorpresa gli avversari e nel frattempo prepararono delle corde rudimentali con alcune liane che gli sarebbero servite per catturare tutte le donne che avrebbero meritato di ricevere il loro seme. Arrivata la notte si avvicinarono strisciando come serpenti alle capanne e, quando ritennero giusta la distanza, si alzarono e tutti insieme correndo e gridando entrarono nel villaggio nello stupore dei suoi abitanti colti nel sonno. La battaglia fu breve ma di una violenza inaudita. Le clave rese acuminate da pietre incastrate nel legno, sfracellavano i crani degli uomini che osavano reagire, schizzando sangue e brandelli di carne nell’ aria . La scena a cui le povere femmine assistevano impotenti era raccapricciante. Venivano strappate del loro giaciglio con violenza e chi si opponeva veniva uccisa nelle maniere più crudeli. Ci fu chi addirittura si divertì a penetrare in ogni buco con il manico della clava, la malcapitata di turno, esibendola poi ai compagni con il bastone che fuoriusciva dal culo sanguinante. Solo una, Maka, la più bella di tutte e la più combattiva, essendo la figlia del capo villaggio, osò reagire con intelligenza e sorprese Skor mentre stava violentando una ragazza dentro una capanna. Le grida della poveretta avevano richiamato l’attenzione di Maka che non esitò ad entrare e a conficcargli una rozza lancia nella schiena, uccidendolo senza scampo proprio mentre il suo seme stava sgorgando dal sul uccello nel grembo della disgraziata. Fu l’ultimo gesto da donna libera di Maka, perché di lì a poco il suo villaggio era distrutto e lei era stata catturata insieme alle altre femmine. Abu, che aveva assistito da lontano alla scena dell’uccisione del suo amico avrebbe voluto massacrarla sul campo, ma poi decise che avrebbe vendicato in altro modo la morte di Skor e di portarla al villaggio con le altre. Nella strada di ritorno Abu studiava come poter far pagare a Maka il suo gesto e più che pensava e più che il suo odio verso quella femmina aumentava. Una notte si fermarono a dormire in una radura vicino alla foresta e per non farsela scappare la assicurò ad un albero con le mani ben legate dietro. La luce della luna brillava sulla sua pelle sudata creando un alone quasi magico e rendeva i suoi occhi ancora più fiammeggianti. Era veramente una gran bella femmina, ma ad Abu non interessava un granché. Mentre meditava quali pene avrebbe potuto infliggerle, vide un serpente enorme che strisciava sull’erba in cerca di prede. Non era velenoso, era un costrittore ed il suo corpo era grosso quanto un suo braccio muscoloso. Gli balenò un’idea. Ben conoscendo il ribrezzo che anche allora provocava la vista di quegli animali alle femmine, spalmatole tutto il corpo del succo di un frutto, indugiando in particolare sulla sua fica pelosa, indirizzò il serpente verso l’albero dove era legata Maka, Il serpente non si lasciò pregare e dopo un primo contatto sospettoso, iniziò a strisciare sui piedi nudi di Maka che guardava terrorizzata sgranando gli occhi pieni i odio e paura. Il contatto con la pelle viscida del rettile acuì il suo ribrezzo, sentiva scivolare quella fascia muscolosa lungo le sue gambe impotente di reagire in qualsiasi maniera. Il pitone preistorico, vinta la prima diffidenza e resosi conto che la sua vittima era assolutamente indifesa, si avvinghiò su una gamba e risalì il suo corpo con assoluta facilità allungando qua e là la sua linguetta biforcuta per assaggiare il buon sapore del succo spalmato da Abu che osservava con un ghigno di soddisfazione la scena. Ormai la bestia aveva raggiunto il torace della femmina e lo sfregamento provocato dal suo passaggio sul seno nudo aveva stimolato una strana reazione sui suoi capezzoli scariche si erigevano e si indurivano aumentando il dolore per l’attrito con quella pelle ruvida e schifosa. La bestia, pensando che quel succo gustoso veniva da quelle protuberanze, indugiò prima con la sua lingua, e poi mordicchiando quei capezzoli ormai sensibilissimi cercando di spremerli alla ricerca del succo. Dolore, terrore, ribrezzo si rincorrevano nel cervello di Maka che era sul punto di svenire quando il serpente, disturbato da Abu con un bastone, si distolse da quell’obiettivo, anche perché non rendeva quello che sperava, e inizio a ridiscendere dal corpo della sfortunata. Nello scendere, all’inizio delle gambe, il suo olfatto sensibile captò un nuovo odore che lo interessò. Maka, infatti, stuzzicata dal rettile, aveva inconsciamente reagito con eccitazione a quel contatto con il suo seno, bagnando la sua fica nuda che ora emanava un forte odore animale. La bestia seguendo il suo istinto, si tuffò senza indugiare nella direzione di quell’odore, e si trovò di fronte a un cespuglietto folto e umido nel quale appoggiò il suo muso mentre la sua lingua saettava al suo interno alla ricerca di cibo. La ragazza era sconvolta e iniziò a lanciare grida angoscianti quando il serpente iniziò a penetrare in quella “tana” stretta e umida ma calda e accogliente. Lo spettacolo che si presentava ad Abu e i suoi compagni può essere considerato raccapricciante dall’uomo di oggi, ma per loro era piacevole e quasi normale. In fondo lei era una femmina e non era considerata molto di più del serpente che in quel momento la stava sfondando. Oltretutto quella scena aveva fatto indurire i loro membri e qualcuno di loro pensò bene di imitare il serpente penetrando in ogni buco le altre prigioniere che terrorizzate dalla scena non osavano minimamente reagire. Intanto, dopo le prime difficoltà, il pitone era riuscito a infilare la sua testa all’interno, e cercando di trovare il fondo di quella tana spingeva il suo corpo sempre più in dentro, ritraendosi ogni tanto per prendere una breve ricorsa per poi andare sempre più in profondità. Ormai la fica della povera donna, era completamente dilatata e iniziava a rigare le sue cosce di goccioline di sangue che poi cadevano a terra aumentando l’eccitazione degli spettatori. La sua eccitazione invece era stata sopraffatta dal dolore provocato dalla lacerazione della carne e solo quando cadde svenuta Abu estrasse il serpente dalla sua fica. Egli non voleva ancora ucciderla perché avrebbe voluto farla giudicare dai saggi del villaggio che sicuramente le avrebbero inflitto altre crudeltà. Finalmente Maka fu liberata dall’albero e gli uomini ordinarono alle prigioniere di pulire con le loro lingue quel corpo rigato di sangue e bava di serpente. Con ribrezzo ubbidirono e consapevoli della crudeltà dei loro aguzzini leccarono le gambe e la passera rimasta ancora dilatata e gocciolante di umori misti a sangue, ripulendola con disgusto. Il mattino seguente il gruppo si rimise in cammino per raggiungere il villaggio dei Manguia, il rientro fu naturalmente più lento a causa delle prigioniere che quando non camminavano venivano trascinate per i capelli dai guerrieri. Maka, nonostante la precedente esperienza, mostrò tutta la sua forza riuscendo a camminare con le sue gambe senza l’aiuto di nessuno fino all’arrivo al villaggio. Furono accolti da grida e salti di gioia dagli altri abitanti. In particolare i vecchi poterono notare che il futuro della tribù era garantito da quei valorosi guerrieri e dal bottino che si erano portati con sé. La festa fu disturbata solo dalla notizia che Skor era stato ucciso, ma il fatto che Abu aveva portato viva la donna che l’aveva colpito a morte addolcì la brutta notizia. Il piacere della vendetta era forse più forte della scomparsa di un giovane valoroso. La sera successiva fu organizzato un grande banchetto: il cibo non gli mancava e non fu difficile procurarsene in grande quantità. Le donne del villaggio si occuparono delle prigioniere lavandole e ornandole di corone e collane per prepararle per la loro “festa”. Anche a Maka fu riservato lo stesso trattamento anche se le fu messo una collana di foggia diversa dalle altre. Alla fine del banchetto, Maka fu portata a spalla da alcuni giovani e depositata al centro del campo. Riuscì a capire che avrebbe dovuto nutrirsi molto per poter resistere di più alla prova che gli avevano riservato e pertanto tutti gli abitanti del villaggio gli avrebbero donato il loro prezioso seme ricco di sostanze nutritive. Fu circondata da tutti i maschi che con il membro in mano iniziarono a sfregarselo fino a farlo indurire, poi il primo le si avvicino alla bocca e la costrinse ad aprirla. Vista la sua impotenza decise che era meglio assecondarli, in fondo non era peggio di quello che aveva passato la notte precedente. Per velocizzare la situazione iniziò ad andare avanti e indietro con la testa mentre teneva quel cazzo puzzolente fra le labbra cercando di renderlo scivoloso sfregando la sua lingua piena di saliva sulla cappella. Dopo pochi colpi sentì il membro irrigidirsi e mentre l’uomo la tratteneva brutalmente per i capelli, le scaricò in gola una quantità industriale di sperma che si ritrovò a inghiottire per non soffocare. Il cazzo non aveva ancora finito di schizzare che già un altro le si presentava davanti al viso già gonfio e pronto per eruttare. Fece appena in tempo ad aprire la bocca e ad indirizzare la cappella sulle labbra che schizzi di sperma gli arrivarono ancora più potenti di prima sulle labbra e sul viso. E poi ancora un altro e un altro ancora. L’ultimo fu proprio Abu, che si avvicinò a lei insieme a suo padre, il vecchio saggio del villaggio, di un età indefinibile tanto era avvizzito e rifinito. Aveva un uccello che, nonostante l’età dimostrava una buona dimensione, anche se la consistenza era quasi nulla. Si avvicinò alla bocca di Maka, orripilata da quella schifezza inconsistente, che non voleva saperne di accoglierlo tenendo le labbra serrate. Allora Abu prese una clava e senza tanti complimenti appoggiò il manico nel buchino posteriore di Maka. Alla prima pressione violenta la penetrò facendola urlare, permettendo al suo vecchio di godere anche lui di quella bocca ormai spalancata. Resasi conto del fatto che non aveva alternative, iniziò a ciucciare il vecchio cazzo che lentamente prendeva consistenza nella sua bocca calda e resa vischiosa da tutto lo sperma che le era stato riversato. Lentamente la sua lingua incrociava la pelle che avanzava dalla punta fino ad incontrare il buchino sulla cappella che si ingrossava sempre di più, suggendo e mingendo cercando di accelerare quella operazione quasi più orribile dell’esperienza del serpente. Ad un tratto un fremito scosse il vecchio che si rovesciò su di lei cedendo qualche gocciolina di sperma che costrinse a inghiottire. Abu guardava con soddisfazione la faccia schifata della ragazza, imbrattata del seme di tutti gli abitanti del suo villaggio che gli gocciolava sul viso, sulle labbra sul naso e sui capelli fino ad arrivare al suo splendido seno. Dal canto suo, Maka guardava con disprezzo Abu, ma comunque soddisfatta di quella che credeva fosse la sua vendetta. E’ vero, il suo stomaco avrebbe volentieri vomitato tutto lo sperma che aveva dovuto inghiottire, ma la punizione non le era sembrata poi così terribile. E in più, tutti gli abitanti del villaggio poterono constatare che Maka era una bravissima pompinara (la prima della storia!) e si ripromisero di insegnare anche alle loro donne quella splendida attività che si tramanda ancora oggi. La festa proseguì con la fecondazione di tutte le prigioniere che vennero messe distese in varie posizioni per permettere a tutti i maschi di penetrarle agevolmente. Per accelerare la pratica, venivano prese contemporaneamente da più uomini e riempite in ogni buco disponibile del prezioso seme maschile (naso e orecchie compresi). Ci furono momenti di tensione quando qualcuna si ribellava, ma subito veniva placata con una manganellata in testa che la stordiva permettendo a tutti di scoparla e incularla senza problemi. La festa andava concludendosi dato che gli uomini avevano già avuto diversi orgasmi ognuno e le donne erano sfinite. Tutte erano sfinite, meno una: Maka. Lei era stata stranamente risparmiata dopo quel pompino a tutto il paese, il che iniziava a farle sospettare qualcosa. Infatti, lentamente il piazzale nel quale si era svolta l’orgia, fu liberato da quello che rimaneva del banchetto e Maka fu messa al centro di esso legata ad un palo che sembrava messo lì per fare i sacrifici umani. Uno strano silenzio improvviso calò sul villaggio quando il vecchio saggio(quello del pompino) si avvicinò a lei brandendo un bastone fatto dalla mascella di un coccodrillo. Dava l’impressione di essere un rito magico, un invocazione a qualche divinità. Capì che quei gesti servivano per far andare l’anima di Skor nel paradiso dei guerrieri. Un brivido di paura le percorse la schiena quando fu cosparsa di sostanze oleose e profumate su tutto il corpo. L’avrebbero bruciata? Quale fine terribile l’aspettava? Abu le si avvicinò e le spiegò che quella era la vendetta per aver ucciso il suo amico e non aver accettato il loro seme. Le spiegò che per resistere a lungo a quella prova, avrebbe avuto bisogno di tutta l’energia dello sperma che si ritrovava nello stomaco e questo avrebbe aumentato la sua agonia. Continuando a non capire Maka si rese conto che la sua fine era ormai vicina e si rassegnò a morire da vera guerriera come tale si sentiva. Guardò Abu con disprezzo e sputò sul suo viso un misto di sperma e saliva. L’uomo reagì con un semplice gesto che attivò i suoi uomini della tribù. Dopo un minuto il villaggio sembrava deserto, c’era solo Maka, legata al palo illuminata dalla luna piena che rischiarava quella notte. Anche dalla foresta intorno non arrivavano più i rumori e i suoni degli uccelli. Era il segno che stava succedendo qualcosa di importante. Da lontano iniziò a giungere un fruscio che lentamente si tramuto in un rumore di passi forti e cadenzati che facevano tremare il terreno. All’improvviso un ombra oscurò la luna e comparve agli occhi di Maka un gorilla di dimensioni mostruose alto tre metri nero come la pece con due occhi piccoli iniettati di sangue e una bocca terribilmente aperta che metteva in mostra una dentatura ricurva impressionante. Avanzava lentamente sulle quattro zampe quando vide la donna legata al palo. Allora si alzò in piedi e inizio a battere il suo petto con i pugni mentre lanciava un grido di soddisfazione che rimbombò in tutta la foresta. Quando il gorilla le fu vicino, pensò che l’avrebbe uccisa in un attimo e che la sua agonia fosse finita, ma il bestione strappo con violenza il palo come fosse uno stecchino e stese la ragazza per terra premendola con il piede sul petto per non farla alzare ripetendo il gesto precedente sbattendo i pugni sul petto in segno di conquista. In quella posizione la disgraziata potè notare che fra le gambe del gorilla pendeva un batacchio di dimensioni impressionanti e naturalmente inumane. Lo scimmione poi rivolse il suo terribile sguardo a Maka e con un dito della sua manona le strappò tutte le collane che aveva indosso. Il cuore di Maka era vicino a scoppiare dalla paura. Era una guerriera ma non era pronta ad una morte simile. Aveva capito le parole di Abu e anche le intenzioni del gorilla. Cercò di anticiparlo prendendo in mano il suo enorme cazzo e cercando di massaggiarlo così, per non farsi squartare. La bestia accettò per un po’ quel trattamento, anche Maka aveva perso un po’ della paura iniziale pensando di avere la situazione sotto controllo ed era quasi eccitata dall’idea di dominare un maschio di quelle dimensioni. Le sue mani non riuscivano contenere tutta la circonferenza di quell’uccellone nero che stava ingrossando ancora lasciando fuori uscire una punta rosata che era la cappella. Prese coraggio e, nel tentativo di salvarsi la vita, inizio a leccare la punta dove c’era un buchino che gocciolava un liquido nauseabondo. L’unica possibilità di salvarsi era far venire il gorilla in quella maniera e questo lei lo aveva capito. Tenendo fra le labbra (per quanto poteva) la cappella, cercava con le mani di accelerare i tempi andando in su e in giù. Le dimensioni del cazzo del gorilla erano mostruose, la ragazza capiva di essere quasi arrivata al suo culmine quando, d’improvviso il bestione si ribellò a quel trattamento. L’istinto animale porta compiere l’atto sessuale per il mantenimento della specie, e quello non era il sistema. Il gorilla lo sapeva per natura, allora prese la donna e allargatole le gambe tentò di penetrarla per inserire dentro di lei il suo seme. Uno, due tentativi furono vani. Troppa era la differenza di dimensioni fra il suo uccello e la fica di lei. Ma, una spinta ancora più decisa, tra le urla disperate della ragazza, riuscì a far entrare la cappella che era più stretta ma sempre sproporzionata, e nella spinta successiva la penetrazione fu totale. Un grido terribile echeggiò nella vallata, in pochi secondi il gorilla esplose con una cascata di sperma che sfondò completamente le pareti interne della malcapitata che ormai giaceva senza vita distesa per terra in una pozza di sangue con la fica completamente dilaniata e squartata dall’animale. La bestia, una volta fuoriuscito, provò a smuovere il corpo esanime della donna che ciondolava fra le sue zampe. Resosi conto che la vittima non era più utilizzabile, si prodigò in un nuovo grido ancora più terribile del precedente e sbattendo i pugni sul petto sparì nella foresta. Lentamente gli abitanti di Manguia uscirono dai loro nascondigli ancora sconvolti da quello che avevano visto pur essendone gli artefici. La notte finì, Abu era diventato un uomo ed era pronto a guidare la sua tribù verso nuove conquiste, lo spirito di Skor era stato vendicato, le donne della tribù di Maka, dopo lo spettacolo a cui avevano assistito non osarono più disubbidire ai loro nuovi uomini e li assecondarono in tutto e per tutto diventando le prime maestre nell’arte del pompino. Un altro passo verso la civiltà…..
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