Socchiusi gli occhi, mentre il mio corpo divenne inerte, e gli occhi mi si appannarono, non capivo più cosa stava accadendo, vedevo l’ombra scura di quell’uomo che si scostava da me, sentivo un brusio indistinto e udii le parole della ragazza che diceva “Va tutto bene… va tutto bene…” ma era come se giungessero da molto lontano, e non riuscii nemmeno a comprendere ciò che aveva voluto dire… poi gli occhi mi si chiusero, non vidi né udii più nulla… e persi definitivamente i sensi, sprofondando nel buio. “….Non penserai che sia finita così, vero?” Con queste parole Claudine mi sorrise, mentre si sedeva accanto a me sui grandi cuscini ricamati che stavano sparsi un po’ ovunque nella sala del riposo. Gli occhi verdi della ragazza francese mandarono un lampo di malizia, indugiando su di me. “Non capisco cosa intendi…” sospirai, stiracchiandomi. Nella sala la luce del sole filtrava dalle persiane chiuse, l’aria era calda e doveva essere pomeriggio inoltrato. Alcune delle schiave dell’harem stavano dormicchiando sui cuscini della sala del riposo, altre chiacchieravano pigramente tra loro, altre ancora fumavano dai lunghi narghilè sparsi per la stanza. Le serve nere si affrettavano eseguendo gli ordini dell’una o dell’altra, portando cibo, hashish, o balocchi con cui le dame si trastullavano; gli enormi eunuchi nubiani vegliavano silenti, onnipresenti e discreti, appoggiati alle pareti ricoperte di maioliche. Non tutte le schiave erano nella sala del riposo: alcune preferivano trascorrere le ore più calde della giornata nelle piscine dei bagni, altre ancora nel giardino interno del grande palazzo. Tutte attendevano il momento in cui sarebbe apparso il padrone: egli veniva sempre appena prima del tramonto, dopo aver terminato di sbrigare i suoi affari, e per le sue donne la giornata era solo un pigro attendere il momento in cui sarebbe apparso. Era trascorso solo un giorno dalla mia entrata nel gineceo, ma con il prezioso aiuto di Claudine stavo già imparando molte cose su quel luogo. “Capirai presto” rispose Claudine, sfiorandomi una gamba, appena ricoperta dai veli sovrapposti che costituivano la mia succinta veste. “Ieri sei svenuta, e lui non ha potuto terminare. Oggi riscuoterà il saldo.” Aggrottai le sopracciglia, andando istintivamente a toccarmi il ventre che ancora mi doleva dal giorno prima. Ero stata deflorata e l’esperienza aveva lasciato in me effetti profondi, sia nel corpo che nell’anima. Mi ero sentita posseduta contro il mio volere, inerme oggetto del desiderio altrui. “Ti fa male?” chiese Claudine, notando il mio gesto. “Presto non sentirai più dolore. Ma è necessario che tu rimanga stretta, per compiacerlo. E per questo ho io il rimedio.” Così dicendo estrasse una piccola boccetta dalla pieghe della veste, sospingendomi un ginocchio per farmi aprire le gambe. “…Ma cosa vuoi farmi?” davvero non capivo, ero frastornata da tutto ciò che mi circondava, dalle ambigue frasi di Claudine, dalle occhiate maliziose delle altre schiave, da quell’atmosfera lasciva. Claudine sorrise, uno di quei suoi sorrisi pacati che avevano allo stesso tempo il potere di rassicurare e di inquietare. “Al padrone piace averci strette” rispose con tono tranquillo. “Vuole sentirci come se fosse sempre la prima volta: altrimenti si stanca, e ci regala all’Avvoltoio.” Nel pronunciare quel nome Claudine abbassò la voce, ed il suo tono acquistò un velo di timore. Io mi feci attenta: intuii che Claudine stava dicendo qualcosa di terribilmente importante… ma ella sviò immediatamente il discorso. “Esistono unguenti che ci fanno rimanere strette come fanciulle anche dopo essere state prese più e più volte… bisogna metterli dopo ogni volta che il padrone ci possiede. Un anno è trascorso ormai dal giorno in cui sono stata venduta a lui, e ancora ha voglia di me… vedi perché?” Così dicendo con candore disarmante si scostò le pieghe dell’ampia gonna di seta verde smeraldo, aprendo le gambe per mostrarsi a me. Le labbra del suo sesso erano rosee e delicatamente chiuse, il piccolo clitoride che sporgeva appena; l’altro piccolo buchetto era un minuscolo anello di pelle liscia e levigata. Mi imbarazzai a quella vista, e scostai lo sguardo: e Claudine rise, ma senza cattiveria. “Presto la vergogna ti passerà, e apprezzerai…” mi strizzò l’occhio con aria complice, mentre si dava da fare per aprirmi i veli della gonna ed espormi il sesso. La lasciai fare, sorprendendomi della mia mancanza di vergogna: ma in quel luogo fuori da ogni regola le buone creanze si dimenticavano in fretta. Claudine si unse le dita con l’unguento contenuto nella boccetta e cominciò a spalmarlo lentamente su di me, accarezzandomi le labbra della piccola vagina, passando con delicatezza all’interno, indugiando sulle morbide pareti che il giorno prima avevano subìto quel rude trattamento… cominciai a sentire un lieve pizzicore, e mi agitai mugolando per protesta. “E’ l’azione dell’unguento” spiegò lei con la sua infinita pazienza, mentre continuava a spalmarmi quella sostanza tra le gambe. Mi accorsi che le altre donne presenti ci stavano guardando… alcune mi lanciavano lunghe occhiate alquanto interessante, altre si erano addirittura avvicinate. “Mi stanno osservando” mormorai a Claudine, mentre mi lasciavo sfuggire un sospiro di piacere per l’ennesima stuzzicante carezza. “Sono sempre lì a guardarmi…” “E’ per il tuo colore” rispose lei, spostando la mano per sfiorarmi i peli del pube, biondi e soffici come i miei capelli. “In questo periodo non c’è nessuna di questo colore, qui, e sanno che il padrone ti preferisce a loro.” Mentre parlava, Claudine stessa mi guardava insistentemente il ventre. “Sei bellissima” mormorò poi, e si abbassò verso di me, e posò le sue labbra sul mio clitoride, indugiandovi a sfiorarlo. “Cosa stai.. facendo…” sospirai, presa da un improvviso fremito. Arrossii di vergogna, ma mi piacque anche molto… “Sei bellissima” ripeté lei, e non spostò la sua bocca, continuando a baciarmi il clitoride… poi sentii che me lo lambiva con la lingua, e gemetti. “Il padrone non si cura del nostro piacere mentre ci possiede…” sussurrò Claudine senza smettere di leccarmi “a questo ci dobbiamo pensare da sole…” Io gemetti e mugolai ancora, chiudendo gli occhi. Afferrai i cuscini stringendoli in una morsa convulsa, mentre mi abbandonavo alle attenzioni di un’altra donna, come mai avrei osato nemmeno pensare… All’improvviso le porte della sala si spalancarono, e sulla soglia apparve il padrone. Di colpo tutte le attività nella stanza si fermarono, e le donne corsero verso di lui accogliendolo con gridolini e sorrisi, facendogli le feste: erano tutte eccitate, finalmente la loro ragione di vita era arrivata. Non appena si accorse della venuta dell’uomo Claudine si staccò di colpo da me, trasalendo, e mi ricoprì l’inguine con i veli del vestito. “Eccolo” mi bisbigliò, ricomponendosi. “Vedrai che verrà da te, tieniti pronta… ecco, ti sta già cercando.” L’uomo difatti poco badava alle attenzioni delle donne che si affollavano attorno a lui… accarezzò qualcuna distrattamente, ma i suoi occhi vagavano per la penombra della stanza come fosse in cerca di qualcosa. Poi quello sguardo si puntò su di me, e non si staccò più. Cominciò ad avvicinarsi. “Ancora…” mormorai in un soffio a Claudine, incominciando a tremare, mentre lo vedevo avvicinarsi. “Mi fa ancora male da ieri…” Claudine mi guardò con una smorfia, per la prima volta la vidi un po’ spazientita. “Possibile che non tu ancora non abbia capito?” mi parlava con il tono di chi sta spiegando qualcosa ad un bambino un po’ tardo. “E’ venuto per prenderti il tuo buchetto ancora vergine, ieri dopo che sei svenuta è stato molto chiaro su questo proposito.” E così dicendo allungò la mano verso le mie natiche e me le palpeggiò per qualche istante. “..Che cosa?” sgranai gli occhi, finalmente avevo capito: e mi prese il panico. “Non voglio, ho paura!” Mi sollevai dai cuscini, mettendomi a sedere: mi guardai intorno, cercando disperatamente una via di fuga. In quel momento ogni traccia di razionalità era scomparsa, ero terrorizzata al pensiero di provare dolore, ancora di più di quello che avevo provato il giorno prima, e avevo perso il controllo della mia mente e dei miei nervi. “Stai calma e non fare idiozie o sarà peggio per te!” sibilò Claudine, tentando di afferrarmi per un braccio per tenermi giù: ma io mi divincolai balzando in piedi, con il cuore in gola. “No, non voglio!” urlai in olandese, in quei momenti non riuscivo più neppure a parlare in una lingua diversa dalla mia. “Sei una folle, ti punirà!” Claudine non aveva bisogno di capire le mie parole per preoccuparsi per me. L’harem era in fermento. Tutte le donne mi guardavano sgomente, incapaci di prendere in considerazione l’idea che qualcuna potesse opporsi al volere del padrone: mormoravano tra loro additandomi, alcune avevano dipinte sui volti delle autentiche espressioni di paura: molto probabilmente stavano pensando che fossi uscita di senno. E poi vidi lui… il sultano di quel regno sperduto nel deserto, il padrone di tutto ciò che sorgeva, viveva e cresceva in quelle lande, il signore assoluto di uomini animali e terre… contrastato nel suo volere da una semplice schiava. Mi fissava con occhi di fuoco, mentre mormorava con voce rauca qualcosa che naturalmente non potevo capire, ma che dal tono e dall’espressione di lui potevo intuire benissimo. “Sdraiati e offriti a lui… o sarà peggio per te…” Claudine mi guardava mormorando angosciata i suoi buoni consigli, mentre scoccava occhiate preoccupate al sultano che si avvicinava. “Non voglio che mi prenda, ieri mi ha fatto male e oggi me ne farebbe ancora di più, non voglio!” Cominciai a indietreggiare, lanciando occhiate frenetiche per cercare di attuare un assurdo tentativo di fuga. L’uomo improvvisamente batté le mani e abbaiò un ordine, e gli eunuchi che stavano di guardia addossati alle pareti si scostarono dalle loro immote posizioni e cominciarono ad avvicinarsi a me: allora io gridai, e mi misi a correre disperatamente verso la porta, con il cuore che mi batteva all’impazzata e la mente obnubilata dalla paura. “Fermati, pazza!” sentii Claudine che urlava, ma io non le diedi ascolto, e continuai a correre saltando tra i cuscini e i tappeti, rovesciando i narghilè e i piatti dorati, mentre le donne gridavano improperi al mio indirizzo e tentavano di afferrarmi. Gli eunuchi mi inseguirono, gli enormi schiavi neri in pochi balzi mi furono addosso, mentre ero quasi arrivata alla porta chiusa… ma due di essi si erano preventivamente posti di guardia all’ingresso, e quell’unica via di fuga era inesorabilmente bloccata. “Non voglio, non voglio!” Urlai, mentre gli eunuchi mi circondarono e mi afferrarono, immobilizzandomi. Mi dibattei scalciando e dimenandomi, ma quegli enormi nubiani riuscirono a tenermi stretta per le braccia e per le caviglie, e ogni mio tentativo per liberarmi si trasformava soltanto in un disperato dimenarmi senza alcuna utilità. Le donne dell’harem ora ridevano e vociavano esultanti, mentre il padrone si avvicinava a me. Mi guardò truce, trapassandomi con gli occhi neri che parevano quelli di un rapace: e io sostenni il suo sguardo, sgomenta, urlandogli “No! No!” Il sultano disse ancora qualcosa. Allora gli eunuchi scattarono, trascinandomi di peso come fossi una bambola di pezza. Mi portarono verso un basso tavolino rettangolare al centro della sala, largo circa mezzo metro e lungo il doppio, ricolmo di piatti di cibarie e calici di bevande profumate: uno degli eunuchi sorpassò gli altri e con secchi gesti delle possenti braccia spazzò via tutto ciò che c’era sul tavolino, rovesciando a terra i piatti e il cibo, versando le bevande che andarono a inzuppare i preziosi tappeti e i cuscini ricamati; gli altri eunuchi mi trascinarono verso quel tavolino, incuranti delle mie grida disperate, e mi spinsero con violenza sopra di esso, tenendomi ferma a pancia in giù. “No, vi prego, no!” Mi tenevano per le braccia e per le gambe, e il mio corpo era tenuto premuto contro il legno del tavolo in modo che le ginocchia riuscissero a posarsi a terra, e il busto fosse piegato in avanti sul ripiano di legno: poi gli eunuchi presero delle sciarpe di seta e iniziarono a legarmi i polsi e i polpacci alle quattro gambe del tavolino. In pochi attimi venni immobilizzata, incapace ormai di muovermi se non per pochi sussulti, piegata in avanti con le gambe forzatamente allargate, mentre gli eunuchi mi strapparono le vesti di dosso, lasciandomi completamente nuda. Le mie parti intime erano ormai inesorabilmente esposte e vulnerabili, e mi disperai, piangendo e gridando, lanciando sguardi sulle altre donne che invece mi fissavano e ridevano. Cercai Claudine, e la vidi poco più lontano, ancora seduta ove era prima accanto a me, che mi guardava sconsolata. “Ti prego fai qualcosa!” le urlai, con le lacrime agli occhi. Lei non rispose, ma mi guardò tristemente e scosse la testa. Poi spostò lo sguardo poco dietro di me, e infine socchiuse gli occhi sospirando. Mi accorsi che anche tutti gli altri sguardi si erano spostati: non stavano più guardando me, ma qualcosa che mi stava dietro… poi lo sentii. Qualcosa di morbido e caldo che mi sfiorava l’orifizio anale, toccandomi a più riprese. Poi quel qualcosa affondò di colpo dentro di me. Urlai con tutta la voce che avevo, rovesciando la testa all’indietro con gli occhi sbarrati, folle per il dolore atroce: mi sentii lacerata, squarciata, lo stretto pertugio era stato forzato così violentemente che ebbi la sensazione di morire. Sentivo quel membro duro farsi strada dentro di me a più riprese, sentivo i colpi di quell’uomo che ogni volta mi penetravano sempre più nel profondo, i testicoli che mi sfioravano il sesso ad ogni spinta, le sue mani che ora mi artigliavano i fianchi per aiutarsi nel movimento. Le donne e gli eunuchi attorno a me mi guardavano e ridevano, mentre io piangevo e sussultavo subendo quella violenza inaudita, legata e incapace di muovermi, umiliata, annientata. Il sultano mi possedette a lungo, entrando e uscendo da me con forti colpi che mi scuotevano le viscere, e quando lo sentivo contrarsi e ingrossarsi si fermava, aspettava, e poi riprendeva, dapprima lentamente e poi con spinte sempre più forti, fino a che il suo membro non diveniva nuovamente grosso e contratto, e allora si fermava di nuovo… ed io capii che lo stava facendo apposta, per non raggiungere subito il culmine del piacere e prolungare il tormento. Io gridavo e lo supplicavo, sentivo le viscere bruciarmi e dolore in tutto il corpo, legata al tavolino e costretta a subire la violenza di quell’uomo eccitato: ma ad ogni mia supplica lui sembrava preso da nuovo fervore, e mi stringeva le natiche, i fianchi, mi artigliava i seni tormentandomi i capezzoli. Ormai credevo che non sarei riuscita a sopportare quella tortura ancora a lungo: quando improvvisamente egli venne, urlando forte, e mi sentii inondare i visceri di liquido caldo che andava a mischiarsi con il sangue del mio piccolo pertugio lacerato. Sospirai e piansi di sollievo, abbandonandomi sul tavolino, ad occhi chiusi: finalmente il tormento era cessato, così pensai singhiozzando. Ma i miei pensieri erano ben lontani dalla verità. Il sultano scivolò fuori da me, e mi lasciò così esposta al ludibrio delle donne e degli eunuchi, dilatata e palpitante, ma nessuno venne per slegarmi: nessuno venne fino al mattino dopo. Rimasi lì legata, e il sultano mi violentò ancora, a più riprese, per tutta la notte, e ogni volta era duro e feroce come la prima volta, e ogni volta mi sodomizzava affondando in me con rabbia, lasciandomi sconvolta e dolorante. Tra una violenza e l’altra spesso mi addormentai, stremata, e ogni volta venni svegliata dal suo membro che mi squarciava il piccolo buchetto devastato, e ogni volta urlavo e piangevo, ma dovetti subire tutto senza potermi opporre. Per tutta la notte, infinita e angosciante. Il mattino dopo gli eunuchi mi slegarono che il sole era già alto nel cielo: io stavo dormendo, o forse ero svenuta, e dapprima non mi resi conto di ciò che facevano. Poi scorsi Claudine affianco a me, che mi accarezzava i capelli con aria afflitta: quando sentii i nodi che si scioglievano, abbozzai un sorriso stanco e le mormorai: “Mi liberano… è finita…” Ma Claudine non sorrise, e scosse piano la testa. “Non è finita” disse tristemente. “Devi ancora essere punita per la tua ribellione. Sarai consegnata all’Avvoltoio.” Quando uno degli eunuchi mi serrò la gola con un collare di ferro, e strattonò la lunga catena che vi era agganciata, capii che le mie sofferenze erano lungi dall’essere terminate.
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