Prologo: Le note di un pianoforte risuonano nel paese di Abbadia San Salvatore, ai piedi del Monte Amiata. A suonare lo strumento è un vecchio uomo di 85 anni, di cui nessuno sa nulla, nemmeno la giovanissima domestica, di nome Alma, che lo assiste da circa tre anni. Esce poco di casa e quelle rare volte che lo fa, dà pochissima confidenza alla gente del posto. A parlare per lui è il pianoforte che suona per lunghe ore ogni giorno ricordando il suo passato.Alla fine di Marzo 1944La strada che porta da Viterbo fino a Siena è in mano ai tedeschi. Dallo sbarco di Anzio gli Alleati hanno continuato a spingere verso nord il nemico, ora l’offensiva si sta espandendo, ai partigiani dell’Appennino è stato ordinato di prendere il controllo delle strade principali.Il timore è che i tedeschi in ritirata facciano saltare i ponti, per rallentare l’avanzata, quindi occorre fare in fretta. A Ponte di Rigo c’è solo un piccolo distaccamento, saranno 10 o 12 soldati. Ogni tre giorni il cambio.Il ponte è facile da proteggere, ai due lati una radura brulla e rada impedisce a chiunque di avvicinarsi, senza essere scoperti.Dal posto di guardia, un piccolo casolare, si può vedere e controllare tutta la zona. A turni di due ore, tre soldati montano la guardia, camminando avanti ed indietro. Un assalto è quasi impossibile, dal posto di guardia è collegato via radio sia al comando di Abbadia San Salvatore che al distaccamento di Piancastagnaio. In meno di dieci minuti avrebbero i rinforzi.L’unica possibilità è di intercettare la pattuglia che regolarmente percorre i circa 11 chilometri, bloccata quella, si può bloccare la strada, tagliando fuori l’avamposto sul ponte.L’attacco"aspettate il mio segnale….." la voce roca del Liguori arriva sorda e confusa, come una alito di brezza tra le frasche. Gli uomini con un gesto del capo, danno un segnale di assenso. Il gruppo di partigiani rimane immerso nella boscaglia. Il camion della pattuglia dovrebbe arrivare a momenti. Cesare Liguori è nato in aprile del 1900, da sempre esercita sul sesso femminile un notevole fascino perché non solo è un bell’uomo ma è particolarmente abile nel suonare il pianoforte, avendo conseguito il diploma di maestro presso l’Accademia di Orvieto.Da circa due anni è alla macchia, dopo avere disertato la chiamata alle armi. Il suo gruppo è autonomo, non ha etichette. Risponde solo marginalmente al comando di Firenze, ma per lo più è un gruppo di guerriglia. Una spina nel fianco dei Tedeschi, una scheggia violenta della ribellione. Varie volte il comando partigiano ha cercato di "inquadrarlo", senza però riuscire a farlo. Il gruppo è agguerrito e tagliente, tutte le azioni svolte sono state un successo. Impossibile da gestire ma affidabile. Per questo a loro è stata affidata la parte più difficile del piano. Tagliare fuori il ponte. "arrivano….. state pronti!" dalla curva, alla destra del manipolo, spunta il muso del camion, che procede lentamente lungo la strada. Gli uomini seduti ordinatamente sul cassone si guardano intorno. Sanno che la zona è pericolosa ma non sembrano particolarmente preoccupati."ORA!!" all’ordine segue una prima raffica di mitra. La notte paciosa e sonnolenta dell’Appennino è squarciata dal crepitio dei proiettili e dalla fiammate dei mitragliatori.L’autista del camion curva di lato, come a voler cercare un riparo, gli uomini balzano dal cassone e si sparpagliano a terra, sparando verso il bosco. Il manipolo di partigiani avanza a ventaglio, allargandosi, in modo da accerchiare il nemico. Il fuoco è così intenso da rischiarare la notte, la pattuglia tedesca è accerchiata, non c’è via di scampo per loro. Dopo le prime furibonde schermaglie il fuoco incrociato si placa. I tedeschi stesi per terra o nascosti dal camion scrutano le fronde, alla ricerca di un bersaglio preciso. I partigiani cercano a loro volta un bersaglio sicuro. Sono secondi lunghi come tutta la guerra. Cuori che palpitano, respiri affannosi. La paura che si miscela con l’adrenalina."GETTATE LE ARMI!!" tuona imperiosa la voce del Liguori, un ordine che in realtà è una speranza. La risposta è una raffica di mitra. Seguita da altri secondi di fuoco intenso e feroce. Un soldato tedesco cade a terra colpito, dal braccio un fiotto di sangue copioso, rosso e denso."GETTATE LE ARMI!! SIETE CIRCONDATI, NON AVETE SCAMPO!!" questa volta la richiesta è accolta. Un soldato, forse il capo pattuglia, lascia cadere a terra il mitragliatore e si alza, sollevando le braccia in segno di resa. Nessuno vuole fare l’eroe, anche i tedeschi hanno una famiglia che li aspetta. Per morire c’è sempre tempo.Uno dopo l’altro i soldati lasciano cadere le armi e sollevano le braccia. Uno ad uno partigiani escono dalla boscaglia, avvicinandosi al camion ed ai nemici. La tensione è estrema, si può quasi toccare, gli occhi cercano in ogni angolo della notte. Basterebbe un niente per scatenare l’inferno."Voi due, raccogliete le armi e voi due radunate i nemici! Tu, prendi il camion e mettilo di traverso, poi dagli fuoco…" Poche parole, ordini precisi e secchi. Il Liguori sa che il tempo è prezioso, come le armi. L’intenzione è di legare i nemici, prendere le armi, bloccare la strada e scappare."Comunica alla Luna che il ruscello scorre.." significa comunicare all’altro gruppo partigiano che la missione è conclusa, che l’assalto al Ponte può iniziare.Mentre il Liguori si avvicina al capo pattuglia, come per riconoscergli il grado, dalla stessa curva sbuca un automezzo a tutta velocità. La mitragliatrice sulla torretta sventaglia raffiche contro tutto e tutti. I tedeschi, ora prigionieri si buttano a terra, qualcuno cerca di recuperare le armi. I partigiani sono increduli e tardano la reazione, per due di loro si tratta di un ritardo fatale, quei pochi secondi che separano la vita dalla morte.La notte è ancora una volta violentata dai proiettili, dalle urla degli uomini, dalla paura e dalle fiammate. Il vantaggio della sorpresa, prima amico del Liguori e dei suoi uomini, ora arride a Günther Stahl, capitano della Wehrmacht, trentenne biondo, dai capelli rasati, occhi freddi, buon conoscitore della lingua italiana, raffinato di modi, perfido di sentimenti."VIA, VIA, CAZZO SCAPPATE!!!" l’urlo del Liguori non serve, i suoi uomini stanno già cercando rifugio nel bosco. Tutti tranne quei due ragazzi, colpiti in pieno dalla prima raffica della mitragliatrice. Forse per un attimo, una impercettibile frazione di tempo, gli occhi del Liguori e di Stahl si incrociano.Poi via, nella boscaglia. Ognuno per se e Dio per tutti. Da sempre è la regola della guerriglia. Salvare la pelle viene prima di tutto, l’istinto di sopravvivenza, viene prima di tutto. Raffiche di mitra risuonano nel bosco, senza soluzione e senza destino. Un fronda mossa dal vento può essere un nemico. Sono le prime luci dell’alba, quando gli spari smettono di echeggiare. Sul luogo dell’agguato rimangono i corpi di due partigiani e di due tedeschi. Altri militari sono feriti lievemente. Il capitano ordina ai suoi uomini di liberare la strada dal camion, ormai inservibile, e di continuare la perlustrazione, alla ricerca dei partigiani, lui con i feriti risale sull’autoblindo e torna la comando."mi racconti cosa è successo esattamente!" Il maggiore Jurgen Hoeness con voce ferma ma tranquilla, ordina al capitano Stahl un primo rapporto.Il maggiore è coetaneo del Liguori, nato nel febbraio del 1900 ha da poco compiuto 44 anni. Stanco, come molti, troppi altri uomini, della guerra, attende la fine, per tornare nella sua Dresda, a bere birra con gli amici e fare l’amore con la sua donna. È un bell’uomo dai capelli bianchi nonostante l’età, dai nobili sentimenti, pur restando un soldato. La madre è di origine Italiana, motivo per cui parla perfettamente la lingua. Comanda il terzo reggimento di Artiglieria, di stanza ad Abbadia San Salvatore. Il padre, tipico tedesco tutto d’un pezzo, non aveva apprezzato la sua decisione di studiare pianoforte, ma lui ama troppo la musica e con l’aiuto della madre si è diplomato maestro di pianoforte presso l’Accademia di Musica di Berlino. L’ascesa al potere del Terzo Reich e la chiamata alle armi, insieme al padre, lo hanno costretto a frequentare poi l’accademia militare di Lipsia ed è diventato ufficiale della Wehrmacht."Herr Major, i banditi hanno attaccato la nostra pattuglia…" Con voce infervorata il capitano fa il suo rapporto. Grande differenza tra i due. Un soldato ed un fanatico. Il maggiore ascolta, leggendo tutto l’odio che il capitano riesce ad esprimere."perdite herr capitan?" chiede il maggiore"due dei nostri, maggiore e… due dei loro, ma il grosso è riuscito a scappare…." Le ultime parole, come una sconfitta, escono a mezza voce "credo sia giusta una rappresaglia, arrestiamo venti uomini e diamo tempo 48 ore ai banditi di arrendersi, altrimenti fucilazione!!""CAPITANO!" la voce del maggiore è forte, densa e piena, come una birra scura "fino a quando sarò io a comandare qui, NON faremo rappresaglie! NON uccideremo nessun civile! CHIARO?""si maggiore ma io..""Ma io niente! Se li è lasciati sfuggire, allora cerchi di riprenderli! Noi siamo soldati, non assassini!" il tono è tornato calmo, restando però tagliente. "si ricordi che li voglio vivi, per i banditi c’è un processo, non la fucilazione sul posto… MI HA CAPITO?""Sissignore" uno schiocco di tacchi ed il capitano è già fuori ad organizzare la ricerca dei partigiani.Il nascondiglio"Mio dio… Cesare, ma cosa è successo?" il vecchio Carlo Colletti è sorpreso e spaventato.Carlo Colletti è un benestante latifondista di Abbadia, noto antifascista e da sempre pronto ad aiutare i partigiani. Possiede molte terre tra Abbadia, Pian Castagnaio, Tre Case e Saragiolo. Nella cittadina tutti lo chiamano il signore dell’Amiata, per i soldi e per i vigneti che possiede alla base del Monte Amiata. Ha una figlia, Clelia, bellissima ragazza di 20 anni. Da quando era adolescente è innamorata del Liguori, tanto che il padre gliela promessa in sposa alla fine della guerra. La ragazza stravede per Cesare, forse più per ciò che rappresenta che per ciò che è in realtà. Forse è infatuata più che innamorata, ma passerebbe intere nottate a sentirgli suonare il piano."I tedeschi…. L’attacco è andato male" più che la stanchezza è la pena della sconfitta a modellare le parole lente e pesanti di Cesare "io sono scappato per i boschi, poi su per il ruscello, per confondere i cani; due ragazzi sono morti, non so gli altri….. cazzo ci hanno preso alle spalle.."Tra una bestemmia ed un bicchiere di cordiale, Cesare racconta al vecchio cosa è accaduto la notte prima. Clelia gli porta da magiare e vestiti puliti.La masseria è molto grande. La casa ne è il blocco principale, davanti un cortile molto grande, intorno costruzioni più piccole, alcune sono le case della servitù, altre magazzini. Una tipica casa colonica, con un grande portone in legno che separa la vita dalla guerra.Cesare prende i vestiti e va nella stanza a fianco, per lavarsi da dosso il fango e la paura. Intanto Clelia butta gli abiti ancora umidi e sporchi nel camino. Una leggera vampata di fumo, poi le fiamme s’impadroniscono del tessuto consumato, bruciando l’odore della guerra e le prove."Per qualche giorno è meglio che tu sparisca.." il Colletti parla mentre Cesare prova a mangiare un boccone "ti puoi nascondere nel capanno della Roncolina, vicino a Tre Case, un posto sicuro, non è stagione, non ci va nessuno…""Può essere pericoloso, se mi trovano là beccano anche voi.." Cesare ama essere indipendente e non vuole creare problemi a nessuno."la guerra è pericolosa, tu per qualche giorno devi sparire..""e se mi prendono? ..""se ti prendono vedremo. Clelia ti porterà da mangiare e ti terrà informato" continua il Colletti "appena tornerà un poco di calma, puoi scappare verso sud, al sicuro, dietro le linee alleate."Il tono del vecchio non ammette repliche. Cesare inforca la bicicletta, si carica del cibo nello zaino e se ne va. Clelia lo osserva, sentendosi fiera d’essere la promessa sposa di un uomo così."Papà, credi che lo troveranno?" La ragazza impaurita cerca conforto nelle parole del padre.""andrà tutto bene, stai tranquilla, all’alba gli porterai il cibo, ogni giorno, Tranquilla piccola, ci sono qui io."La catturaIl capitano Stahl ha già organizzato squadre di ricerca. Può contare sull’aiuto di alcuni fascisti della zona, collaborazionisti da sempre. Ora che gli Alleati sono alle porte, l’arroganza lascia posto alla paura, sperano nei tedeschi. Alcuni fuggiranno con loro, o perlomeno sperano di farlo.Da questi incontri il capitano ottiene un elenco d’antifascisti, ci vuole poco a limitare l’elenco tra quelli che potrebbero offrire rifugio sicuro e che soprattutto vivono più vicini al luogo dell’agguato.Non sono ancora spuntate le luci dell’alba del 4 aprile, 3 giorni dopo il conflitto con i partigiani, che una autoblindo, seguita da un camion, entra nel cortile della masseria del Colletti."signor Colletti, stiamo cercando un fuggiasco, spero capirà…" l’italiano di Stahl non è perfetto, ma i modi sono gentili, intrisi di perfidia e di sfida, ma gentili."faccia il suo dovere capitano…." Mentre pronuncia queste parole, Clelia entra nella stanza."Signor Colletti, sono incantato dalla bellezza di sua figlia… lei è un uomo fortunato…"Il Capitano resta come sospeso nel tempo. La bellezza della ragazza è folgorante, il suo sorriso aperto, i suoi occhi enormi ed i lunghi capelli biondo scuro. Il corpo è disegnato da una veste in lana che la avvolge perfettamente, i seni tondi e alti, separati da una catenina con un pendente a forma di cuore. "Grazie, capitano…. Si sono fortunato, ma lo sarò veramente quando tutto questo sarà finito.."Mentre i suoi uomini continuano nella perquisizione, il capitano insieme a Colletti e sua figlia siede in cucina e la vecchia cuoca, Angela, prepara del caffè per tutti.La perquisizione, ovviamente, non sortisce alcun effetto. Passano praticamente in tutte le stanze. L’ufficiale con modi gentili ma precisione teutonica guarda in ogni angolo, scruta ogni piega delle tende. Di quando in quando si volta verso Colletti e verso Clelia, con uno sguardo pregno accusatore ed interrogativo. Bastano quelle occhiate a far sentire colpevoli chiunque. Quando tornano in cucina il capitano nota in un angolo un canestro pieno di cibo e s’insospettisce. Se ne va senza farne menzione alcuna al Colletti. Però incarica due suoi soldati di appostarsi nelle vicinanze perché seguano le mosse degli abitanti della masseria.Si allontana, convinto di avere trovato qualche cosa, un indizio, forse la sua preda, con gli occhi ancora pieni delle giovani e sode curve della ragazza, sale sull’autoblindo ed ordina all’autista di partire.Il sole è appena alto sopra le colline di Pian Castagnaio, quando Clelia esce in bicicletta con il canestro pieno di cibo per andare dal suo uomo. I due soldati tedeschi, seppur appiedati, trovandosi in posizione sopraelevata rispetto alla strada sterrata che va verso la vallata che si stende davanti ai loro occhi, ne seguono abbastanza agevolmente i movimenti. La strada sterrata fa delle curve a gomito, che i soldati tagliano facilmente attraverso il bosco. Inoltre la neve ed il gelo dell’inverno hanno arrecato i loro danni. Sebbene in bicicletta, Clelia non riesce a distanziare i due militari. Intimorita dalla perquisizione, ma ignara di essere seguita, arriva al casolare. Un militare rimane di guardia, mentre il secondo si precipita al distaccamento di Tre Case per dare l’allarme.Cesare Liguori è catturato, sorpreso mentre mangiava il cibo che Clelia gli aveva portato. Una seconda pattuglia arresta il Colletti e la figlia Clelia. Tutti e tre sono portati al comando d’Abbadia. I due uomini sono imprigionati nello scantinato del municipio, dove le truppe Tedesche hanno il quartiere generale, Clelia, grazie alla sua bellezza, è rinchiusa in una delle stanze del palazzo del borgo, residenza del maggiore Hoeness.Clelia scopre l’amore ed il sacrificioIl capitano Stahl è furioso con il maggiore. Avrebbe voluto interrogare Clelia, sapere tutto quello che lei sapeva. Ma la ragazza era già protetta dal suo superiore. Alla rabbia si miscela una forte ed intensa gelosia. Neppure lui, freddo e calcolatore, era riuscito a difendersi dal fascino della giovane. Avrebbe forse cercato di salvarla egli stesso, ma ora la ragazza gli era sfuggita dalle mani.Il maggiore è colpito dalla bellezza della giovane, dal suo aspetto candido, dalle sue carni sode e bianche. Il maggiore è un soldato, ma è prima un uomo e la vicinanza di una simile bellezza, gli fa ricordare di essere da troppo tempo lontano da casa e dal calore della carne di una donna. Per i tre giorni successivi, dedica molto del suo tempo a fare una corte spietata alla ragazza. Clelia lo respinge, ma i modi gentili ed il fascino dell’uomo la colpiscono, lentamente comincia a vedere in lui un uomo e non un nemico.Il processo a Liguori, come bandito e criminale e al padre di Clelia come fiancheggiatore è fissato per l’indomani. Clelia chiusa nella sua stanza, vive nel terrore che i due uomini siano condannati. È consapevole che per Cesare le accuse sono gravi, sa che la condanna è solo una formalità e che il plotone d’esecuzione è già pronto. Lo sa, ma rifiuta l’idea.Il maggiore la invita per cena, lei rifiuta. Non vuole lasciare la sua stanza, una sfida, un gesto di ribellione che il maggiore comprende. Alla fine un attendente del maggiore la invita, pistola alla mano, a seguirlo nella grande sala del palazzo. Clelia cede, senza grandi rimpianti, le piace stare in compagnia di quell’uomo. Nel cuore la speranza che lui possa salvare suo padre e Cesare. Stranamente, per la prima volta, si ritrova a pensare a Cesare non più come suo fidanzato ma più semplicemente come amico, un amico caro, ma solo un amico.Quella stessa sera il capitano Stahl si rifugia alla Locanda del Viandante, vino rosso e pianoforte. Per tutta la serata, fino a notte fonda, il capitano resta lì a diluire la rabbia con il vino e stemperando la gelosia tra le note del piano. La stanza era enorme. Il camino con le braci accese addolciva l’aria fresca di quella sera d’inizio primavera, rendendola tiepida. Il maggiore, nella sua migliore uniforme, stava seduto vicino al camino, fumando un grosso sigaro. Clelia si siede sulla poltrona di fronte, gli occhi colmi di rabbia e lacrime."Clelia, ti prego, regalami un sorriso…""come posso sorridere signore, mio padre ed il mio promesso sposo sono suoi prigionieri ed io….""e tu puoi aiutarli….""come???""per prima cosa cercando d’essere gentile, accettando la cena che ti offro ed ascoltando la musica…"L’attendente entra nella stanza, portando un vassoio sul quale era in bella mostra una magnifica lepre cotta con fichi ed erbe di bosco, una brocca con del vino giovane ma non novello ed un cesto con delle mele, delle pere e dei magnifici dolci del luogo, fatti con farina di castagne e marmellata di fichi."maggiore… posso chiederle una cosa?""certamente mia cara, dimmi….""quando mi hanno arrestata… ho perduto una catenina d’oro…. Con un piccolo pendente a forma di cuore…""l’hai perduta o te l’hanno presa..""non so…. me ne sono accorta solo dopo….. vorrei riaverla….""stai tranquilla, se l’hanno presa i miei uomini la riavrai…""la prego maggiore, mi aiuti…ci tengo veramente tanto…""te lo prometto, Clelia, riavrai la tua collanina…"Il maggiore invita Clelia a tavola, le versa il vino e sfodera tutto il suo repertorio da impunito conquistatore di cuori femminili. L’atmosfera, il vino, forse la paura. Clelia lentamente sente calare sempre più l’ostilità nei confronti di quell’ufficiale, lasciando posto ad una certa simpatia, addirittura attrazione. Dopo cena il maggiore si siede al pianoforte, e le sue mani danzano sui tasti, leggere e sapienti."Clelia, tu mi piaci molto, sei un fiore splendido…. Un fiore che vorrei cogliere….""Maggiore… io credo che..""Chiamami Jurgen, te ne prego…""Jurgen, lei rimane sempre un soldato e mio padre sempre prigioniero. Poi domani….""domani al processo nulla è deciso, posso sempre aiutarli…""DAVVERO?? Vuole dire liberarli??"No, liberarli no… ma posso fare in modo che la condanna sia mite, la guerra ormai sta per finire….. la loro vita in cambio di un fiore….."Un ricatto, il più subdolo e meschino, ma la guerra bussa alle porte, non c’è tempo per una romantica corte. I soldati lo sanno bene, oggi sei vivo, domani nessuno può saperlo.Alle parole seguiva la musica, dolce, piena di calore. Clelia si stupiva che mani così dolci potessero impugnare una pistola. Si sentiva vacillare. Lui la sentiva cadere. Quando dal piano salirono le note di Al Chiaro di Luna di Beethoven, Clelia non oppose più alcuna resistenza.La musica aleggiava ancora nell’aria, quando il maggiore prese per mano Clelia ed insieme entrarono nella stanza dell’uomo. Lentamente gli abiti di Clelia cadevano al suolo, mentre le labbra dell’uomo scoprivano centimetro dopo centimetro la freschezza della pelle di quella giovane preda.Adagiata sul letto, nuda, forse inebriata dal vino, forse dalla musica, forse dal desiderio di essere donna, Clelia si offriva alla mani sapienti ed alle labbra calde del militare.Il maggiore piano le schiuse le gambe, abbassò la testa verso la sua intimità e le labbra si incollavano a quelle di lei. Clelia guardava il soldato e si strapazzava i seni e la fossa dell’amore, mentre sentiva il calore del proprio corpo trasformarsi in umori che le colavano lungo le gambe.Sentiva il proprio corpo come ami prima. Neppure quando sola nella sua stanza aveva spesso trovato il piacere, giocando con le sue dita affusolate e leggere. Quella lingua, quella sapiente danza che avvertiva dentro di lei la inebriava. Jurgen, a dispetto del troppo tempo trascorso senza amore, sembrava essere un corpo ed una mente fusi insieme, come se anni di guerra e di piaceri perduti si fossero condensati in lui, sulle sua mani e sulla sua lingua.Clelia godeva, come mai aveva sognato. Si baciava i seni e si strizzava i capezzoli fino alla soglia del dolore. Jurgen si sentiva sicuro, il sentire quel corpo prigioniero del piacere che lui stava donandole tolse le ultime barriere alla sua calma. Mentre bevevo avido i succhi della donna, affondò un dito dentro l’oscurità inesplorata della giovane. Clelia quasi urlò, ma subito i gemiti le strozzarono la voce. Jurgen leccava, baciava, succhiava ed agitava quel dito come fosse un bastone di comando. Clelia proruppe in un orgasmo violento ed antico come quelle mura. I suoi succhi riempirono la bocca di Jurgen che consapevole del potere raggiunto aggiungeva foga e violenza ai suoi gesti.Ormai il suo arnese era tanto gonfio che sembrava esplodere. Quelle braghe così marziali lo rendevano impacciato, con la testa immersa nel corpo vibrante di Clelia, non trovo di meglio che strapparsi di dosso quella prigione. Finalmente libero il Jurgen nascosto poteva ergersi in tutta la sua maestosità. Afferrò le caviglie della giovane donna. Sollevandole le gambe fino a quando la sua lancia era giusto in posizione di affondo. Alla vista di quella carne pulsante e gonfia la ragazza ebbe un sussulto, voleva tutta dentro quella gioia immensa. Ma Jurgen aveva altre mire, sollevò ancora un poco la donna tanto da avere la sue seconda fonte di piacere a portata di lancia. Piano ma deciso puntò quell’apertura, incurante del diniego della ragazza. Qualche spinta per posizionarsi meglio e poi un ultimo affondo. Quella spada di carne entrò fin dove neppure la donna aveva osato immaginare nel più ardito dei sogni. Il dolore dell’affondo divenne un piacere nuovo ed intenso. Jurgen continuava a tenerla ben salda per le caviglie, mentre con decisione e forza ripeteva affondo su affondo. Clelia in preda ad un delirio carnale prese a strofinarsi con foga la clitoride e le pareti e tutto il suo piacere, ormai succhi del godimento colavano fin sul pavimento, lei persa, con la mente offuscata dal piacere sfregava sempre più forte. Quando Jurgen comprese che la donna stava per godere ancora si produsse in un affondo, più violento e deciso,. Tanto che alla donna venne a mancare il respiro, giusto un momento, per poi prodursi in rantoli e gemiti inumani, a sottolineare un orgasmo che mai aveva provato prima. Neppure il tempo di riprendersi che Il soldato, estratta la spada da quel fodero di carne, ora quasi indolenzita, gioco con la sua clitoride per un attimo, solo qualche secondo, poi con forza mista a rabbia ancestrale la penetrò, la dove il passaggio di tanta carne soda non era neppure sognato. Un urlo, un rantolo, dolore strano. Clelia era quasi vergine ed il maggiore per un attimo fu sorpreso ed impaurito. Subito dopo i gemiti del piacere presero il sopravvento, insieme al desiderio dell’uomo.Afferrandole le natiche Jurgen si aggiustò dentro di lei, cadenzando il suo ritmo in modo da spezzare in continuo il respiro della donna. I seni a turno quasi scomparivano dentro la bocca del maggiore, mentre quella della donna era ormai spalancata in una smorfia di piacere sovrumano. In pochi attimi il piacere si ripresentò negli occhi di Clelia, posseduta dalla follia di quell’orgia dei sensi, posseduta da una selvaggia voglia di vivere che gli anni le costruivano dentro. L’orgasmo intenso ne aveva trasformato il viso in una maschera contratta.Jurgen abbagliato dal piacere che era stato capace di regalare abbandonò ogni freno. Si sfilò dalla giovane afferrandole la testa cercò di infilarle in bocca il pezzo di carne più pregiato. Lei, inesperta, ebbe un attimo di sorpresa, poi l’istinto prevalse. La sua bocca si aprì ed il dardo infiammato e pulsante affondò nella giovane ed inesplorata bocca. Neppure il tempo per capire e Jurgen proruppe in un rantolo sordo, inondando la dolce bocca del suo succo, copioso e bianco come latte appena munto. Le allontanò il viso, così che un ultimo spruzzo potesse irrorare le giovani gote e che dalla bocca spalancata potesse traboccare il piacere del suo essere maschio.Sentimento inconfessabile, Clelia si riprende piano dal piacere, scivolando verso il torpore del sonno. Si abbandona su quel petto vigoroso e mentre il sonno la rapisce, sente crescere dentro di lei un sentimento che neppure Cesare era riuscito ad evocare.Il processo degli addiiIl mattino seguente, nella sala consigliare del municipio, avviene il processo. Strano ma non del tutto inedito il ruolo del maggiore: avvocato d’ufficio degli imputati.Il capitano Stahl era la pubblica accusa. Tra i due uomini aleggiava una sfida, ben più aspra e complessa del processo. Stahl, guardando negli occhi il maggiore e spiando gli sguardi di Clelia, aveva capito l’accordo tra il maggiore e la ragazza, ma ancora di più aveva capito che lui l’aveva posseduta. La gelosia era quasi palpabile, intensa come il suo sguardo glaciale. Lui voleva Clelia, almeno quanto il maggiore, ma per lui Clelia era già qualche cosa in più. Nel suo gelido cuore di soldato, una fiammella di passione si era accesa sin dal primo incontro. Si rese conto lì, in quella stanza trasformata in aula di processo, che il suo cuore batteva già forte per quella giovane donna.Per Clelia non v’erano accuse sostanziali, lei era la promessa sposa del Liguori, quindi non poteva esserci favoreggiamento. Per il Liguori la tesi difensiva si basava sul suo comportamento militare, aveva agito come un soldato e non come un bandito. Il Colletti aveva dato rifugio non al soldato ma al futuro sposo della figlia, inoltre l’età avanzata non era certo sinonimo di pericolo per il Terzo Reich. Con questa insolita tesi difensiva, con le troppe morti in questa guerra ormai vicina alla conclusione (detto in modo quieto e molto allusivo di una vittoria impossibile) e molto grazie al proprio grado, il maggiore era riuscito a liberare Clelia e trasformare in carcere la sicura fucilazione dei due uomini.La fine del processo è la fine di una parentesi felice. Clelia vede il padre ed il futuro sposo mentre sono trasportati via, saluta con un cenno il maggiore e poi si avvia, triste e sola, verso casa, verso la masseria che è troppo grande e vuota per lei sola.Nei giorni a seguire, la ragazza si sente attraversata da dubbi e da incertezze. In lei, dopo la nottata trascorsa con il maggiore, cominciano ad affiorare troppi dubbi sul suo amore per Cesare. Troppo concentrato sul suo pensiero di "liberare l’Italia dall’invasore tedesco", Cesare non avrebbe mai trovato quello spazio che lei reclamava per se. Forse, più che dell’anima dell’uomo, è infatuata della sua bella presenza e delle musiche bellissime che suonava per lei al pianoforte. Aveva donato la sua verginità a Cesare, ma in realtà è come l’avesse donata veramente al Maggiore. Sente crescere giorno dopo giorno la sua insoddisfazione nei confronti di Cesare e cresce l’ammirazione invece nei confronti del maggiore, che non ha esitato ad assumere una scomoda posizione pur di mantenere una parola a lei data.Trascorre solitaria quelle settimane, quando la calma apparente delle vallate è rotta dalla frenesia di una guerra che suona il tamburo ed avanza.Gli Alleati avanzano e sono ormai alle porte. I Tedeschi a giugno del 1944 devono ritirarsi dalla zona, andando verso Nord. I partigiani, sono alle porte di Ponte Rigo ed attendono le truppe Alleate che avanzano.Questione di giorni forse di ore. Al comando di Abbadia la frenesia è massima, soldati che bruciano documenti, altri che caricano i camion. Non è una partenza è una fuga, sperando che la strada per Siena sia libera e che quindi possano ripiegare verso Firenze.Proprio sull’ultimo camion, sono fatti salire il Colletti ed il Liguori, che sono portati via, nonostante i disperati tentativi di Clelia di riportarli a casa.La confusione del momento e la presenza costante del capitano Stahl impedì che il maggiore Hoeness riuscisse a restituirle i due uomini. Così dentro a quei camion che se ne vanno lentamente verso nord, Clelia vede allontanarsi tre persone a lei care, perché anche il maggiore era diventata una persona cara.Il giorno dopo gli Americani entrano ad Abbadia, il paese è in festa, si aprono le botti del vino buono, si cucinano arrosti e salsicce, la guerra da presente diviene già ricordo. Clelia a dispetto dei suoi vent’anni sembra una vecchia massaia a cui la guerra ha rapito marito e figli. Nessuno la vede per le strade e nessuno la cerca.Passata la frenesia, la gente ricomincia la vita di sempre. In fondo la guerra qui non ha lasciato troppe cicatrici. I campi si riempiono di nuovo, le poche fabbriche riprendono il lavoro. Alcuni fascisti sono arrestati, altri sono puniti dalla rabbia di coloro che avevano patito. Come sempre la distanza tra oppressi ed oppressori si incrocia e si congiunge, cambiare di ruolo è come respirare.Clelia si prende cura della proprietà del padre. Lei sa che un giorno, molto presto, lui tornerà. Lei spera che torni anche il maggiore. In fondo tutti gli volevano bene, nemico sì ma sempre gentile e mai violento. Un nemico giusto e leale. Non un vile. Passano i mesi, arriva finalmente l’annuncio: "la guerra è finita!!"Per una settimana tutta l’aria che si può respirare è pregna di euforia. Donne che aspettano mariti, madri che aspettano figli. Per alcune saranno lacrime di gioia, per altre di dolore. Ma sempre lacrime, perché quello abbiamo, lacrime da versare.Clelia alla ricerca del padreDopo circa un anno dalla fine della guerra, Clelia non ha ancora notizie del padre e neppure di Cesare. Ha provato al comando alleato, ha provato in prefettura a Firenze, ma nessuno può dirle nulla. L’Italia è adesso una repubblica ma per lei non ha importanza, il suo mondo era ed è Abbadia, il suo governo è sempre stato suo padre.Riesce a sapere soltanto che la colonna tedesca è giunta a Firenze, dove è stata inglobata al comando di stanza locale. I due prigionieri sono stato reclusi alla fortezza, insieme agli altri. Da Firenze i prigionieri sono stati trasferiti a Verona e da lì in treno verso la Germania. Purtroppo non ci sono elenchi certi dei prigionieri e neppure la certezza che non siano stati fucilati o abbandonati.Clelia scrive lettere al Ministero a Roma, al comando alleato di Berlino. Percorre tutte le strade possibili, ma alla meglio riceve solo risposte interlocutorie, quelle frasi piene di le faremo sapere che sono già risposte esse stesse.Si immerge nel lavoro, diventa una donna dura, che tiene testa ai contadini ed ai primi sindacalisti, partigiani riciclati, che vorrebbero prendersi le sue terre, come se fosse un reato possederle.Da retta al suo istinto e a dispetto di quanti credevano sarebbe durata poco, riesce ad aggiungere terre a quelle che già possiede e ricchezze alle sue già pingui casse. Clelia è leale e questa sua lealtà la rende ben accetta a quasi tutti, sebbene le lingue taglienti cerchino di trovare cibo per le cattiverie e le dicerie.A gennaio del 1948, quando l’Italia ottiene la sua costituzione, Clelia riceve una lettera. Dalla Germania:Cara Clelia,sono trascorsi lunghi mesi, anni, ma ti porto sempre nel mio cuore.Non hai idea del dolore, della rabbia, della tristezza, che mi hanno assalito quando sono dovuto partire.So che vorresti sapere da me qualche cosa di tuo padre. Ho provato, subito dopo la fine della guerra, a cercare informazioni, purtroppo non ho potuto avere nulla. Il governo mi ha chiamato per l’inchiesta, così ho saputo delle tue ricerche.Tuo padre e Cesare sono stati portati in un campo vicino Lipsia. I prigionieri di quel campo sono stati liberati dai russi. Almeno tutti quelli che vi erano rinchiusi al loro arrivo. Io speravo che tu avessi potuto riabbracciarli, ma capisco che non è così. Non ho potuto sapere di più. Mi dispiace.Mi dispiace anche scriverti per questo motivo. Alla fine della guerra sono tornato a casa e la mia casa non esisteva più. Ora vivo a Norimberga, anzi sopravvivo. Riesco a guadagnare qualche marco, insegno pianoforte e passo le mie giornate a ricordare il profumo della tua pelle. Mi sento colpevole, per questo non sono tornato da te. Volevo solo ricordarti che abiti sempre nel mio cuore. Forse un giorno, quando la mia mente sarà più serena, tornerò da te. Non ti chiedo di aspettarmi, vivi la tua vita, come io cercherò di vivere la mia, un giorno spero di poterti riabbracciare.Con Amore, tuo per sempreJurgenClelia quasi sviene. Sente un tumulto nel cuore, le manca l’aria, si sente soffocare. Per tutto il giorno e per tutta la notte legge e rilegge quelle righe. La notte annusa il foglio, come a catturare l’odore delle mani di chi le ha scritte. Quella lettera, poche righe, hanno scatenato la verità che aveva dentro di se, nascosta e sopita. Ama Jurgen, ama quell’uomo che l’ha posseduta, quell’uomo che per ultimo le ha sfiorato le labbra ed i seni.Ama quell’uomo ma avverte crescere la distanza tra verità e speranza. Neppure lui sa più nulla del padre. Neppure di Cesare.Il mattino seguente si mette in viaggio, verso Firenze. Decisa a ripercorrere la strada fatta dal padre. Sente che il padre è vivo, vuole crederlo e vuole ritrovarlo.Con qualche sorriso e molte lire, riesce a vedere i registri della fortezza, trova il nome del padre e di Cesare. Li ritrova anche sulla lista del treno verso Verona. Prende anche lei il treno ed arriva alla prefettura scaligera. Non ci sono elenchi. Gli Alleati premevano ed il treno è stato fatto proseguire verso la Germania. Le ultime speranze sono legate al campo vicino Lipsia.Stanca, ma decisa, dopo i due giorni trascorsi a Verona parte per Lipsia, manda un telegramma al fattore, per avvisarlo che sarà assente qualche giorno. Parte, la valigia con i vestiti ed un cuore con le speranze.Il viaggio non è semplice. La Germania è ancora ferita profondamente. Ovunque macerie e timidi tentativi di ricostruire. Attraversando le città vede la sofferenza di una paese devastato ed affamato. Come in tutte le guerre, i vincitori litigano per spartirsi il bottino. Americani e Russi si contendono onori e gloria, lottando per la divisione della conquista. Quando il treno passa Norimberga e sale verso Dresda, ha un attimo di esitazione. Mentre i vagoni scivolano piano dalla stazione, ha la tentazione di scendere, per cercare Jurgen. Ma la vita scorre da sola a volte. Il viaggio continua. Ogni tanto si intravedono gruppi di soldati e sembra che la guerra non sia finita.Le occorrono due giorni per arrivare a Lipsia. Lì si rivolge alla polizia, che in realtà è l’esercito Russo. Non è trattata male ma neppure bene. Riesce comunque ad arrivare ad una specie di comando, dentro un palazzo in stile gotico, sale delle scale enormi in marmo, fino al secondo piano. Dopo oltre due ore di attesa, due ore a difendersi dagli sguardi di soldati e da approcci in una lingua sconosciuta, è fatta accomodare."Signora Colletti?" il funzionario esce dalla stanza con dei fogli in mano"si… si sono io" la voce è tremula nel suo tedesco poco probabile"venga, si accomodi" i toni sono secchi, formali. La sua speranza è che i Russi vogliano dare testimonianza di efficienza, ma la speranza dura poco. Entra nella stanza. Un ufficiale, grasso e pelato siede alla scrivania, che probabilmente era stata di un generale nazista. Di fronte alla scrivania due sedie. Su una di esse una donna di mezz’età. Lo sguardo freddo ed impenetrabile. La traduttrice.L’ufficiale rimane colpito dalla giovinezza di Clelia, meno dal suo aspetto, la stanchezza del viaggio e l’assenza di un bagno caldo, le hanno dato un’aria trasandata, sporca e poco attraente, almeno per un ufficiale abituato a prostitute ben truccate ed appariscenti."Signora, abbiamo ricevuto sue lettere e fatto nostre ricerche…" la donna, avvizzita dagli anni e acida di suo, sembra più pungere che parlare ".. e abbiamo lei assicurato che avremmo fatto il possibile… perché lei qui?""Signore" inizia Clelia, con tono compassionevole e supplichevole "…. Mio padre è scomparso da quasi quattro anni ed io devo sapere, ho bisogno di sapere….""Signora, dai registri del campo non figura nessuno con il nome di suo padre, abbiamo solo trovato nome di un certo Cesare Liguri..""CESARE! Allora è vivo!!" non si rende conto dell’impeto che la portata ad urlare"No signora, dice solo che era nel registro del campo…. Fucilato il 18 settembre 1944""FUCILATO???""si, lui bandito, partigiano. Processo fatto ad Abbadia..""non è vero, il processo si… ma lui era un soldato… non doveva essere fuc…""mi spiace, il processo fatto al campo e lui stato fucilato"Tutta la sua freddezza crolla, le sue difese crollano. Una frase e la metà delle sue speranze si bruciano nell’indifferenza dell’ufficiale."…e mio padre ?" la supplica emerge dai singhiozzi"spiacente a noi, molto, ma non sappiamo niente…"Neppure le lacrime, la disperazione palpabile, servono a nulla. Tra lei e suo padre il muro invalicabile della mancanza di notizie. Capisce, anzi percepisce, che ormai la speranza resta sola, come lei del resto.Forse le lacrime, forse il vederla così indifesa, forse la paura che assale chi non sa cosa fare. L’ufficiale si alza, va verso di lei e le poggia una mano sulla spalla. Farfuglia qualche cosa alla traduttrice poi torna a sedersi."Maresciallo Dietowsky dice che lei questa notte stare qui. Posto sicuro. Domani noi la scortare al treno, lei torna a Italia""Grazie", ringrazia senza sapere bene per cosa. Si sente sola, più di sempre. Sola, sapendo di esserlo.Torna a casa, nella sua casa, con qualche speranza in meno e molta tristezza in più."Signorina Colletti… ma com’è sciupata… ha.. ha trovato suo padre, saputo?""No…. ma grazie Angela, grazie"La sua cuoca, istituzione della casa, è tra le poche cose che le sono rimaste. Lei, 24 anni appena compiuti, si sente vecchia e spenta. Spenta ed invecchiata.La vita continuaPassano altri mesi ed arriva l’epoca della vendemmia. Clelia adora vedere i filari appesantiti dai grappoli e le donne che cantano mentre li raccolgono. Gli uomini mostrano muscoli vibranti, mentre caricano le cassette sui carri. Una musica, canti antichi, che vengono dai ricordi e saranno ricordi loro stessi.Il suo fattore è un uomo forte, capelli bianchi come la luna e baffoni ingialliti dal tabacco. Suo figlio è tornata dalla guerra con una ferita sul petto, ma con la fierezza di chi ha combattuto nel cuore.Ha solo due anni più di Clelia, due anni che gli hanno fatto sentire l’odore del sangue, della polvere da sparo e della morte. Da bambini hanno spesso giocato insieme. Era dalla guerra che non lo vedeva più, rimane colpita dal suo sguardo. Ha negli occhi la stessa fierezza di Cesare, quella stessa voglia di libertà."Ciao Clelia.. come stai" una voce forte, da uomo vero"bene, e tu Armando? Perché non sei venuto da me… a trovarmi?""da te? Dalla padrona?… io sono solo un contadino.." c’era ironia, forse rabbia miscelata a sarcasmo nella sua voce"ma cosa dici! Armando, tra di noi non abbiamo mai avuto queste differenze…""è vero, quando eravamo bambini, ma gli anni passano, non siamo più bambini, ognuno ha il suo posto..""non dire fesserie, ti prego passa da me, alla masseria, ho voglia di parlare con un amico… per favore.." in effetti, la sua era quasi una supplica, tentativo di aggrapparsi a qualcosa e qualcuno.Armando non risponde subito, quasi come se le parole debbano essere pesate prima ancora che pensate."verrò…. magari sabato…" quel magari sabato altro non è che una conferma."ti aspetto…"Tornata a casa, nella grande casa, Clelia si sente meno sola. Quanti giochi hanno diviso. C’era chi pensava a loro come fidanzati e poi sposi. Molti lo pensavano, fino a quando il Liguori non fu annunciato come futuro sposo. Cosa legava il Liguori al Colletti nessuno lo sapeva con esattezza. A volte sembravano padre e figlio, altre volte compari di un affare. Il Liguori era orfano di padre. La madre lavorava come cameriera alla Locanda del Viandante di Abbadia. Colletti all’epoca frequentava la locanda ogni venerdì sera. Adorava ascoltare il pianoforte. Il giovane Liguori aveva imparato a suonare qualche semplice pezzo al piano, quel poco bastava a far capire la sua naturale predisposizione.Alla morte della madre, il Liguori aveva già compiuto 19 anni, si era fatto uomo ed aveva già il piglio caparbio e forte degli uomini di quella terra, confine tra Toscana, Umbria e Lazio, dove la terra è dura da coltivare ed i vitigni sono profumati di sole e sudore.Colletti, latifondista ma uomo generoso, si offrì di pagare gli studi di pianoforte del Liguori, che quindi ebbe l’occasione di diplomarsi maestro di pianoforte. Dopo il diploma, aveva iniziato ad insegnare. Prima come supplente all’accademia, poi, sempre con l’aiuto del Colletti, ai rampolli delle famiglie benestanti della zona.Il padrone della locanda lo aveva assunto come pianista, e lì il Liguori ammaliava le giovani donne del borgo, affascinava le loro madri e diventava amico dei loro padri. Tutti erano convinti che sarebbe diventato un pianista famoso, ma il fascismo e la guerra lo avevano spinto alla quasi clandestinità, impedendogli una carriera sicura.Clelia si ritrova così, quasi senza rendersi conto, seduta al tavolo della Locanda, lo stesso dove si sedeva il padre. Dalla fine della guerra molti pianisti si sono avvicendati, ma nessuno che avesse il tocco del Liguori, neppure quello di Jurgen. Per altre donne sarebbe stato sconveniente essere lì da sole, ma lei no, Lei la figlia del Colletti, ricca e conosciuta, lei poteva starsene seduta, mangiando la torta di noci e bevendo il passito, prodotto nelle sue stesse cantine.Clelia è inavvicinabile. Molti giovani, rampolli delle altre famiglie ricche, si sono fatti avanti. Lei non li sopportava. Giovani tenuti nascosti chissà dove, altri ben rintanati nelle loro masserie. I meno fortunati, erano stati impiegati nelle prefetture o nei comandi. Sempre comunque al riparo dai mitra e dalle bombe a mano. La guerra l’avevano solo sentita, ma mai toccata. La guerra si sa è una questione per i poveri, non per i ricchi. Sono i giovani, figli di operai e contadini che muoiono per primi.Si guarda intorno, senza vedere nulla. Ascolta la musica, ma non ne riceve emozioni, come se le note le scivolassero sul corpo, senza vita. Solo quando il pianista intona Al Chiaro di Luna, un brivido le corre lungo la schiena, ma è solo una attimo, una sensazione. Un lampo di ricordi, una fiammata che le ricorda la passione.La campagna è splendida, l’autunno alle porte dipinge i fianchi delle colline con dei colori caldi e tenui. Ogni stagione ha la sua poesia, il suo colore. È poi il nostro stato d’animo che ci fa apprezzare più un colore di un altro, una musica di un’altra. Clelia vive ormai nella sua melanconia, sente il profumo dell’autunno come amico, come sua dimensione. Aspetta Armando, lo aspetta con il vestito buono. Da troppo tempo non curava più il suo aspetto come oggi. I lunghi capelli biondo scuro sono sciolti sulle spalle. Spazzolati per interminabili minuti. Appena un accenno di trucco, leggero, quasi impercettibile. La fidata Angela ha preparato dei biscotti alle mandorle, ottimi con il tè. Aspetta, aspetta che quell’amico, quasi perduto, arrivi. Spera che con lui torni a bussare la voglia di vivere. Ricordare le corse tra i filari d’uva, le lunghe giornate passate insieme. I ricordi, Clelia vive sempre più prigioniera dei suoi ricordi."Buon giorno Armando, vieni, accomodati.." lo accoglie con una grande sorriso."grazie, buon giorno anche a te Clelia…" impacciato, chiuso nei suoi abiti buoni, quelli che i contadini da sempre indossano nelle giornate di festa, Armando rimane colpito dalla bellezza, mai veramente appassita, di Clelia."Del tè? Un biscotto?…. serviti pure..""Uhm… buoni vi trattate bene voi padroni" parla mente mastica, la sincerità dei gesti attenua la rudezza dei modi."per favore! Armando finiscila con la storia dei padroni, siamo amici e basta!" decisa, ma non secca"No, io resto contadino e tu padrona, non possono essere due biscotti a cancellare le distanze..""ma cosa dici, sei forse comunista?" si rende contro mentre lo dice, che il giovane si è irrigidito"Si! Perché da troppo tempo i padroni godono ed i poveri piangono…" sembra una frase studiata da qualche tempo"Allora io sarei la padrona ? ma dimmi, io, mio padre, abbiamo mai trattato voi da schiavi?""No, tu no, nemmeno tuo padre, ma è la lotta di classe, tu sei padrona ed io contadino""finiamola, Armando ti ho invitato come mio amico, puoi dimenticare le tue stupidaggini per un poco?""Non sono stupidaggini, per te è facile, sempre al caldo della masseria, la pancia sempre piena…""Basta!" Clelia si sente quasi offesa adesso "io volevo e voglio te come amico, se invece devi fare le tue battaglie allora vuole dire che tra di noi non c’è più nulla, ne amicizia ne ricordi""Scusa, Clelia, non volevo.." il giovane si rende conto che forse, per qualche minuto, la lotta di classe può lasciare spazio all’amicizia tra due giovani.Finalmente sono ciò che sono. Due giovani, magari vecchi dentro, magari vecchi amici, ma giovani. Mangiando biscotti e bevendo tè, passano in rassegna anni di marachelle, di giochi e di punizioni. Come è strano, riusciamo a condensare anni di vita in pochi momenti. Basta un’ora per ripercorrere una vita. Il primo buio, l’imbrunire, accompagna il saluto tra i due amici. Clelia si sente meglio, era troppo tempo che non rideva, troppo tempo che non parlava, troppo tempo che non aveva più i suoi 24 anni.L’amicizia del giovane e la fedeltà del padre, conditi con i consigli mai parsimoniosi di Angela, servono a convincere Clelia a vivere. Nelle settimane a seguire il lavoro sembra più scorrevole. Armando diventa il suo fattore, tocca a lui gestire i lavori dei campi, organizzare i raccolti e le semine. Clelia si occupa della vendita dei prodotti delle finanze. Il nome dei Colletti ridiventa importante, tutto cambia velocemente.Quasi senza rendersi conto del tempo che passa, Clelia trascorre le sue giornate tra conti e rendiconti, tra commercianti e contadini. Anche la guerra diventa lentamente un ricordo. Quando le capita di andare ad Orvieto, si rende conto che il suo essere donna è un aiuto negli affari. Sono molti i commercianti che pendono dalle sue labbra. Lei gioca con loro, a volte si diverte.Un giorno, dopo essere andata alla cooperativa degli allevatori, per comprare qualche vacca, si ritrova a passare davanti all’Accademia della Musica. Entra e subito si sente avvolta dai ricordi e dalle nostalgie. Cammina per il lungo corridoio, fino all’auditorio di pianoforte. Entra e si siede. Un giovane seduto al pianoforte esegue dei pezzi di Chopin, seduti intorno al lungo tavolo, quattro professori. Un esame. Nel giovane le sembra di rivedere il Liguori, e poi Jurgen. Ma è così ogni volta. Ogni volta che sente una nota di piano, la stessa emozione. Questa volta però è forte, intensa. Chiude gli occhi e si lascia cullare per qualche istante.Si alza solo quando il giovane ha finito, esce lentamente dalla sala, proprio mentre un uomo, biondo e alto entra. Barba lunga, incedere fiero ed elegante. I loro occhi si incrociano per un solo istante. Un brivido, una sensazione. Come se avesse già incrociato quegli occhi, come se quell’uomo avesse già attraversato la sua esistenza. Non ha neppure il tempo di voltarsi che l’uomo è già scomparso dentro la sala e da lì in un’altra attigua. Le rimane la sensazione, ma non il tempo. Esce dall’Accademia e si ferma per una attimo sul selciato di fronte. Si volta ed osserva la facciata dell’edificio, le finestre. Ha l’inquietante sensazione di essere osservata. Non riesce a distinguere nulla, le rimane la sensazione di inquietudine e l’immagine di quello sguardo strano, in un certo senso famigliare.Ogni volta che le capita di tornare ad Orvieto, passa dall’Accademia, con la speranza di incontrare ancora quegli occhi. Capire, sapere.Ormai la presenza di Armando nella masseria è una costante, tanto che le lingue mai ferme della gente, cominciano a ricamare storie di incontri amorosi, fino a spingersi alla presunta gravidanza di Clelia. L’estate del 1952 è calda. Le serate si allungano nella notte, la calura non aiuta il sonno. Spesso nel cortile della masseria si organizzano piccole feste, alle quali Clelia partecipa solo per la tavolata e per pagare il conto. Una di queste sere sente la nostalgia del padre, mai dimenticato e mai sostituito nell’affetto. Armando da tempo nutre più che un semplice affetto per Clelia. La vicinanza, gli scambi continui di parole, la complicità nei rapporti, tutto li unisce sempre di più. Armando è innamorato di Clelia da sempre, non ha mai confessato il suo amore, perché lui è contadino e lei padrona. Ma l’equilibrio fissato da qualche mente malata, vacilla di fronte a due corpi giovani, a due persone che sono giovani nel corpo e divisi dai luoghi comuni, non dalla volontà. Quando le ultime danze si spengono, insieme ai bracieri delle grigliate, Armando si accorge del viso triste di Clelia."qualcosa non va Clelia ?" le sue parole sono sincere"nulla, pensavo a mio padre ed alla vita qui con lui…""ti manca ancora tanto vero?""troppo e mi mancherà per sempre""solo lui ?""cosa intendi dire?""ti manca solo tuo padre o anche…. Il Liguori?" facile cogliere una sottile gelosia, nelle parole del giovane"ahha, siamo gelosi ?" il tono di Clelia è da burla"si" Quel monosillabo, semplice e diretto, vale più di ogni confessione. "non devi esserlo, in fondo forse non l’ho mai amato.." si accorge in quel preciso istante che si, in effetti, non ha mai amato veramente Cesare Liguori"ma hai amato qualcuno?… intendo oltre tuo padre..""No" la risposta è troppo immediata per essere vera "…. Credo di no.." mentre la mente vola sulle note de Al Chiaro di Luna e sul profilo di Jurgen.Armando le prende la mano, dolcemente, quasi con paura, la solleva leggermente e la sfiora con le labbra."Io ti amo Clelia, da sempre, anche se non ho mai avuto il coraggio di dirtelo..""Lo so Armando, lo so…. da molto tempo.."Clelia si alza, il cortile ormai deserto, prende per mano Armando ed insieme entrano nella grande casa. Il salotto li accoglie, quasi con gioia, quasi che i anche i mobili capissero che forse, quella sera, la vita sarebbe tornata a scorrere dentro quelle vecchie mura.Clelia si siede sul divano, comodo e pacioso. Armando si mette a sedere al suo fianco, guardandola negli occhi, le prende le mani e le bacia. Poi si spinge avanti e le posa un bacio delicato sulle labbra. Clelia non faceva l’amore da quella sera, di tanti, troppi anni prima. Quel contatto è come un’esplosione dentro di lei, avverte il calore dell’eccitazione, come un fuoco che divampa nel suo ventre.I seni si inturgidirono a tal punto che i capezzoli spingevano sul tessuto fino a farle male. Lui la prese in braccio e la posò sul tappeto. Lentamente le sollevò la gonna, prese a baciarle le caviglie, poi le ginocchia e le cosce, fino a giungere dove gli umori della giovane erano già così intensi da inebriarlo. Quando le labbra di lui la baciarono Clelia quasi svenne, anni di sogni e di dita solitarie erano ora una realtà. Tra un gemito ed una scossa Clelia stava scoprendo di nuovo il piacere. Armando giocò a lungo con la punta della lingua dentro di lei, poi le abbassò la camicia, succhiandole i seni, mentre le dita danzavano nella fessura della giovane. Quando Armando comprese il desiderio ardente della ragazza ebbe un sussulto, un misto di paura e di eccitazione che annebbiarono la mente dell’uomo e levarono il suo pene. Senza staccare le labbra dai seni di lei era riuscito a spogliarsi, si mise cavalcioni sul suo ventre e pose il suo guerriero tra le due colline di carne. Clelia premeva i seni contro l’arnese di Armando che le parve enorme ed infuocato. Lui chinandosi all’indietro offriva quanto più possibile della propria essenza, mentre con le dita frugava i nascondigli della giovane preda. L’istinto prevalse e sollevando il capo la giovane prese tra le labbra quella lancia tanto sognata. Lui assecondando i movimenti entrava nella sua bocca, mentre i seni erano caldi fianchi di una valle conquistata. Clelia capiva cosa dava maggiore vigore al piacere dell’uomo ed insisteva con la lingua sul pomo rosso fuoco che troneggiava sulla lancia che teneva tra i seni. Armando rapito dai sensi non seppe trattenersi, un getto impetuoso proruppe dal suo mondo. La bianca colata, calda come latte inondò la bocca di Clelia, che sorpresa si ritrasse un poco, quel tanto per ricevere una seconda energica montata sul viso. L’orgasmo di Armando fu intenso, violento ed impetuoso. Molto più di quelli rubati tra i campi coltivati o tra i filari dell’uva. Godeva ed amava. La grande differenza era l’amore che sentiva dentro di se per quella giovane donna. Con uno scatto si spostò indietro, lasciandosi scivolare verso il mondo inesplorato della giovane. Afferrò le cosce sode e calde della donna e affondò il viso dentro di lei, come a volerle aprire il portale del piacere e della lussuria. Lui che mai regalava piacere ma solo lo rubava ora voleva donare un sogno nuovo a Clelia. Con la lingua esplorò ogni piega della carne e le labbra imprigionarono la clitoride. Pochi tocchi esperti e Clelia scoprì per la prima volta che la lingua di un uomo può regalare più piacere di un proprio dito. Godette come un animale selvaggio, le scosse del piacere le contorcevano i fianchi. Lui leccava e si inebriava dei suoi succhi. Fu un orgasmo, lunghissimo, un’eternità condensata in pochi secondi. Ci volle qualche attimo prima che i due giovani si riprendessero da quella prima ondata dei sensi. Poi Clelia si sollevò e guido Armando nella sua camera. Una notte d’amore, violento e dolce, intenso ed appassionato. La prima di molte note trascorse finalmente tra le braccia di un uomo.Clelia si sposaClelia e Armando si sono sposati nell’autunno di quell’anno. Non una cerimonia sfarzosa, anzi, molto tranquilla. Tutti, contadini e manovali, sono stati invitati, qualche parente e nessun altro. Nessuno dei notabili del posto, dei ricchi signori che già programmavano di unire ricchezze e proprietà. Solo loro, il loro mondo fatto di tutto e di niente, di gesti semplici ma sinceri.L’inverno seguente fu molto freddo, neve e ghiaccio come non si ricordava nella memoria dei più vecchi. Il gelo andò avanti per mesi, fino alla soglia della primavera. Il gelo non è mai amico dei contadini, tanto che la prima semina andò perduta e già si temeva per il raccolto. Molte vacche non passarono l’inverno, oltre a galline e conigli. La campagna regala frutti deliziosi, ma quando presenta il conto, spesso è troppo caro. Molti contadini non poterono pagare le semenze una seconda volta, provarono a chiedere prestiti a Clelia, alla quale già dovevano pagare l’affitto dei poderi. In quel periodo Clelia si accorse di come cambiano in fretta gli uomini. Armando da povero contadino, pieno di ideali comunisti, si era trasformato rapidamente in padrone. Ogni volta che Clelia concedeva un prestito o una dilazione, il litigio era sicuro."Tu butti via i tuoi soldi, non ti potranno mai pagare!!" tuonava Armando."loro sono la nostra vita, grazie al loro lavoro sono cresciuta, io, mio padre… ed anche tu!""è vero, ma così ti ritroverai senza soldi, povera come loro…. ed io non posso permetterlo.."Praticamente ogni giorno era un battibecco, come una forbice che si allargava e li divideva. Ogni volta tornava il sereno, perché tra i due l’amore era sincero.Nel mese di maggio il raccolto di granturco fu misero, praticamente inutile. Nel mese di maggio Clelia accusava strani malesseri. Nel mese di maggio del 1953 Clelia scoprì di essere incinta.La sua gravidanza divenne l’argomento di quell’estate. Le solite lingue che si arrovellavano intorno a fantomatici amanti di Orvieto. Clelia sentiva la vita crescere dentro di se, diventando quasi maniacale nei modi. Ogni cosa era fatta in funzione del bimbo che cresceva in lei. Attenzione al cibo, alle correnti d’aria a tutto. Tanto che Armando divenne in tutto e per tutto il vero padrone, mentre lei dedicava ogni secondo a cullare la vita che era già dentro di lei.Il mese di febbraio del 1954 nacque Carlo, figlio primogenito della coppia, chiamato così in onore del nonno Colletti, che tanto avrebbe voluto vedere un proprio erede.Clelia si dedicava al figlio fino a diventare morbosa. La sua esistenza, ogni alito di vita era dedicato al piccolo Carlo. Passavano i mesi e le stagioni, mentre lei viveva riflessa negli occhi grandi e dolci di Carlo.Armando cominciò a tenere anche i conti, preoccupandosi nel vedere che la generosità di Clelia aveva minacciato la solidità dell’azienda. Cominciò così a divenire esattore feroce, a non concedere prestiti se non in cambio di pegni. Il pegno di un contadino è la terra. Rapidamente Armando divenne proprietario di molti poderi, di altre vigne e di altre vite.Clelia non si rese conto che ormai non era più padrona, ma neppure moglie. Anche a letto non riusciva a staccare la mente dal figlio, rubando ad Armando anche la più normale delle intimità. L’uomo inizio così a frequentare la Locanda del Viandante ed il bordello che avevano aperto proprio dietro la locanda. Tutta l’Italia era attraversata dal miracolo economico, quello che tutti hanno sentito e letto sui giornali, ma che come sempre in pochi hanno toccato con mano.Anche ad Abbadia la gente era più allegra. Molti contadini avevano trovato lavoro nelle fabbriche aperte nei dintorni, per molti si trattava di non dover più sperare nel bel tempo, finalmente il pranzo combaciava con la cena, anche quando non aveva piovuto o quando le gelate tardive avevano bruciato i germogli.La Locanda era tornata ad essere il centro della cittadina, luogo d’incontro e di chiacchiere. Adesso potevano permettersi un pianista professionista, una tale che veniva da Orvieto ogni venerdì e passava il fine settimana ad allietare gli ospiti della Locanda. Il bordello era un contorno, ma nessuno ci faceva caso. Anche i ricchi ed i notabili, solevano passare il sabato sera alla Locanda. In estate tutti fuori, seduti ai tavolini sulla piazza. In inverno al riparo del calore che il nuovo impianto di riscaldamento regalava.Il pianista di Orvieto non era persona molto aperta. Passava le sue ore suonando, poi si ritirava nella stanza che gli era messa a disposizione. Di lui si sapeva solo che non era Italiano, ma lo parlava così bene che nessuno ci faceva caso. Dal suo viso, nascosto da una barba folta e piena, pendevano due occhi profondi e freddi come il ghiaccio. Ogni tanto qualcuno parlava di lui, per il suo modo particolare di suonare, soprattutto per il brano con cui chiudeva sempre le serate: Al chiaro di luna. Lo suonava con un trasporto e con una intensità che sempre, ogni volta, i presenti non potevano fare a meno di applaudire.Armando rincasava spesso, troppo spesso, quando le luci dell’alba disegnavano già il cielo della masseria. Clelia non ci badava molto. A lei interessava il figlio e nulla più. Tra padre e figlio un legame sottile, una treccia di sentimenti che era difficile da spiegare. Armando vedeva il piccolo crescere, vedeva in lui il suo vigore e la dolcezza di Clelia.Il primo giorno di scuola di Carlo fu celebrato come un evento. Clelia ed Armando, vestiti come veri signori, lo portarono a scuola, a bordo della FIAT 1100 nuova fiammante, orgoglio ed invidia, con tute quelle cromature che luccicavano al sole.Sembrava quasi che la scuola, quello spezzare il cordone che aveva legato Clelia al figlio, potesse essere l’inizio di una nuova vita per gli sposi. Finalmente Clelia aveva tempo e occhio anche per Armando. Armando poi era orgoglioso quando poteva aiutare il piccolo nei compiti. Sembrava che la famiglia fosse ora davvero unita, tanto che Armando non sentiva più il bisogno di andare al bordello ed amava passare le sue serate in case con moglie e figlio. Il piccolo crescendo ricordava molto il nonno nei modi di fare e nello sguardo, sempre vispo ed attento. Clelia non perdeva occasione per vedere in lui il padre scomparso.Quando il piccolo compì 10 anni, si fece una grande festa, con tutti i suoi compagni di scuola. Nella masseria si prepararono dolci, bibite, giochi e persino una giostra, fatta venire apposta da Viterbo.Fu l’ultima festa che Angela, la fida cuoca dei Colletti, vide. Pochi giorni dopo, si ruppe un femore cadendo dagli scalini, Ricoverata in ospedale non ne usci più. Il 21 marzo del 1964, primo giorno di primavera, fu l’ultimo di Angela.Il corteo funebre era un fiume, tutti i vecchi contadini, quelli che erano adesso operai, vecchi amici, lontani parenti, tutti, forse tutto il paese accompagnò la vecchia nel suo ultimo viaggio. La donna aveva cucinato biscotti per tutti i bambini del paese, regalato minestre calde a tanti uomini, riscaldato minestre e tazze di latte a chiunque lo chiedesse. Con Angela se ne andava un altro pezzo della storia di Abbadia, un altro pezzo dei Colletti.Per suonare l’organo in chiesa, Armando chiamò il pianista della Locanda, che accettò volentieri, venendo apposta da Orvieto. Le note che uscivano dall’organo erano più che musica, un canto, senza voci, ma un canto. La musica vibrava e faceva vibrare i presenti. Molti si accorsero che l’uomo suonava quasi in trance, come se la musica lo possedesse. Clelia riuscì a vederlo solo un attimo. Un attimo che le bastò ad incrociare nuovamente quegli occhi, freddi ma ora stanchi e tristi. Gli stessi occhi che ricordò di avere incrociato ad Orvieto, molti anni prima. Provando la stessa sensazione e la stessa inquietudine. Ma non ebbe tempo per riflettere, la cerimonia funebre era al termine, il mesto corteo si allungava ora per le strade, fino al cimitero del paese divenuto cittadina. Angela fu sepolta nella tomba di famiglia dei Colletti, a fianco dello spazio vuoto, quello del vecchio Carlo, che mai sarebbe stato occupato da altri.Carlo ed il pianoforteIl sabato sera capitava che Clelia ed il marito uscissero. Avevano aperto un cinematografo ad Abbadia, che aveva soppiantato il bordello, messo al bando da una legge ottusa e cieca. Dopo il cinema erano soliti andare alla Locanda, per bere un amaro o una tazza di cioccolata. Clelia era sempre rapita dal pianista, ormai non più giovane, del quale nessuno sapeva praticamente nulla. Aveva cercato di avvicinarlo, ed ogni volta l’uomo si era negato, restando inavvicinabile per lei, come per tutti gli altri. Solo Armando riusciva, a volte, a scambiare due parole con lui. Mai più di due parole in ogni caso.Clelia voleva che il giovane Carlo apprendesse a suonare il piano, ne avevano comprato uno e messo nel salotto grande. Voleva che fosse quell’uomo ad insegnargli ma ogni tentativo fu vano. Alla fine, Armando, riuscì a convincerlo, ma le lezioni si tenevano nel piccolo appartamento che l’uomo aveva ad Abbadia, proprio sopra la Locanda.Non permetteva ne ad Armando ne tantomeno a Clelia, di assistere. Dovevano portare Carlo alla locanda e poi aspettarlo lì. Nelle giornate calde di primavera Clelia restava quasi estasiata ad ascoltare la musica che usciva dalla finestra del piccolo appartamento. In pochi anni Carlo era diventato abile, tanto che spesso non si riusciva a distinguere lui dal maestro.La vita scorreva tranquilla e paciosa ad Abbadia, lontano dalle tensioni delle città, ancora immersa nella pace delle colline ai piedi del Monte Amiata. Carlo frequentava il liceo in un collegio di Orvieto. Molti dei suoi pomeriggi erano spesi all’Accademia, dove si recava spesso. La madre gli aveva raccontato di Cesare Liguori, del maggiore Hoeness e della sua gioventù. Non proprio tutto ma abbastanza per incuriosire il giovane, che cercava in quelle sale e negli auditori delle tracce del passato materno. In vero cercava anche delle tracce del suo maestro, al quale era legato da profondo affetto ma del quale sapeva poco più degli altri, quindi quasi nulla.Clelia invecchiava lentamente e tranquillamente. Armando era diventato un ricco e grasso signore, senza perdere però il piglio caparbio e la sua acuta intelligenza.Una sera di inizio autunno del 1971, mentre le foglie cominciavano a coprire i prati, i due sposi si sedettero vicino al camino, guardandosi negli occhi. Non servivano parole per comprendere la distanza incolmabile tra di loro. Come se il tempo avesse piano costruito un muro invalicabile. Il tempo che aveva solo in parte curato le ferite della guerra, aveva scavato un profondo solco tra di loro."Armando.. pensavo di fare un viaggio…" Clelia sentiva il bisogno di stare un poco da sola. Il figlio ormai giovanotto, non riempiva più la sua vita."una vacanza ?… si ci farebbe bene, domani stesso vado in città.." parole consumate, come il sigaro che stava fumando, parole dette per dire, senza convinzione."No, intendevo dire da sola, voglio andare in Germania, voglio provare a scoprire cosa ne è stato di mio padre..""Ma se tutte le ricerche non sono servite, come puoi tu trovare qualche cosa, adesso, dopo tutti questi anni?""non lo so, ma voglio provare…. Ne ho il diritto" l’ultima parola era entrata molto spesso nei loro dialoghi degli ultimi mesi. Un modo per far capire ad Armando che lui era un contadino, oggi padrone grazie a lei, ma che è lei la vera padrona.Ogni volta Armando si sentiva pugnalato, ferito. Diventava docile, mansueto. Oppure rabbioso e cattivo."fai come vuoi, vai dove ti pare…." Parole troppo crude "stai solo attenta a te stessa" parole più dolci e sincere. La settimana dopo Clelia era sul treno per Norimberga. Clelia alla ricerca del suo passatoSeduta nel suo vagone non riusciva a staccare gli occhi dal paesaggio. La prima volta aveva visto solo macerie, desolazione e morte. Adesso fabbriche, case, villaggi, vita. Norimberga le piaceva, perché era avvolta da un alone di storia e di passato, miscelati alla modernità. I primi due giorni li spese a fare la turista, aiutata da una donna anziana, assunta come interprete in una agenzia turistica. Respirava l’aria come se volesse mangiarla. Si sentiva, dopo troppo tempo, di nuovo libera e viva.In realtà voleva trovare Jurgen, conservava ancora quella lettera e sperava di poter incontrare quell’uomo che le aveva donato l’amore. Aveva anche paura. Lei era ora una donna di cinquant’anni e Jurgen di.. non riusciva a ricordare l’età del maggiore, ma sicuramente doveva essere anziano.Con l’aiuto dell’interprete provò a cercare sull’elenco del telefono. Alla voce Jurgen Hoeness c’erano 18 indirizzi. Con calma e molta pazienza, provarono a chiamarli tutti. Nessuno era stato maggiore dell’esercito e nessuno mai stato in Italia. Provarono allora con le scuole di musica, con lo stesso mesto risultato. Dopo tre giorni spesi al telefono, camminando per tutta Norimberga e suonando a decine di campanelli, era sul punto di arrendersi. Ancora una volta la sorte non le era amica.La vecchia traduttrice ebbe un’idea, strana ma tanto valeva provarci. Negozi di strumenti musicali, fabbriche di strumenti, orchestre a noleggio, tutto ciò che aveva una qualche relazione con i pianoforti e con la musica.Finalmente, proprio quando ormai stavano desistendo, un indizio. Nella città vecchia, a Berlinerstrasse, un piccolo negozio di articoli musicali: Hoeness. Si precipitarono.Il negozio era minuscolo, sulle pareti fotografie di concerti e spartiti. Qualche chitarra, violini ed un pianoforte che da solo occupava più di metà negozio."Mi scusi, stiamo cercando Jurgen Hoeness, speriamo che lei possa esserci utile…" parole che rimasero sospese, senza che il peso della speranza potesse farle cadere."Chi lo cerca?" il commesso, un giovane di forse vent’anni, guardava le due donne con sospetto."Sono Clelia Colletti, l’ho conosciuto in Italia…. Tanto tempo fa.""Mi spiace ma non posso essere utile…""la prego…" Clelia pronunciava quelle parole con le lacrime agli occhi."uhm.. va bene, tornate più tardi, dopo la chiusura, ci possiamo vedere al bistro qui all’angolo..""grazie, grazie veramente.."Clelia non riusciva a ragionare, la speranza, il desiderio, la curiosità. La nuova amica cercava di calmarla, ma lei era troppo presa dal suo sogno. Arrivarono al caffè quasi un’ora prima del giovane."il signor Hoeness ha comprato il negozio circa 20 anni fa…" l’esordio del giovane aveva folgorato Clelia " insegnava pianoforte e li accordava anche, sembrava nato per quel lavoro..""perché sembrava, non c’è più? Gli è successo qualcosa?" la voce di Clelia era gonfia di emozione e di paura"No, cioè non lo so veramente. Ha lavorato qui fino a circa 10 anni fa, poi se ne è andato, lasciando il negozio alla moglie ed al figlio..""Moglie? Figlio? Non sapevo che…""Si è sposato nel 1949 e l’anno dopo sono nato io, Jurgen Hoeness è mio padre.."Per lunghi attimi, pesanti come macigni e pieni di tutto, dal nulla all’odio, passando per l’amore, nessuno riuscì a dire una parola."Ma come mai se ne è andato? E dove?" Clelia sentiva quasi affetto per quel giovane, unico legame tra lei e l’uomo che tanto aveva amato."In Italia…. L’ultima volta che ha scritto era ad Orvieto..""AD ORVIETO??? E quando è stato? Per favore mi dica quando""circa tre anni fa, da allora non ho più saputo nulla di lui….. e non credo di volerne sapere.." si percepiva nelle parole del giovane il dolore e la rabbia nei confronti del padre."e sua madre…. Come sta? Mi piacerebbe molto incontrarla..""anche a me, ma purtroppo è morta l’anno scorso, una brutta influenza… non si è più ripresa…""Mio Dio, mi dispiace veramente, io ho conosciuto suo padre e pens…..""Si lo so, a volte mi raccontava della guerra… ma adesso è meglio che vada..""la prego rimanga ancora un momento..""mi dispiace signora… e… se incontrasse mai mio padre, gli dica che la mamma è morta…. Da sola…"Clelia seguì il giovane con lo sguardo, fino all’uscita del caffè. Solo dopo si lasciò andare in un pianto, forse liberatorio, forse malinconico, forse di speranza. Forse. Il giorno seguente preparò i bagagli, tornando in fretta in Italia, ormai lì non aveva altro da fare.La speranza passeggia ad OrvietoPrima di entrare all’Accademia della Musica di Orvieto, guardò verso l’alto, sentiva dentro una forte emozione. Poi si lanciò verso la speranza, dentro il suo sogno, nuotando tra i ricordi."Mi scusi direttore, ho saputo che un mio vecchio conoscente, pianista eccelso, ha vissuto per qualche tempo qui ad Orvieto, mi domandavo se lei ne sapesse qualche cosa..""Signora Colletti, come mai non l’ha chiesto a suo figlio… è qui tutti i giorni!""è una questione mia, non di mio figlio….""va bene, mi dica il nome o altro..""tedesco, Jurgen Hoeness, dovrebbe avere circa 70 anni ora..""Hoeness…. Ricordo un maestro, ha insegnato da noi per alcuni anni, ma non mi sembra tedesco… aspetti che guardo nei registri.."L’uomo si alzò avviandosi verso l’archivio. Clelia seduta sulla poltrona in legno si guardava in giro. Curiosa ed ansiosa. Le piaceva l’odore di legno che impregnava l’aria, odore che diveniva contorno alla musica che sempre aleggiava nell’aria. In quel posto si aveva la sensazione che il tempo non esistesse."dunque… vediamo….. ho trovato un certo Hoeness… ma Gustavo di nome, madre Italiana e padre Austriaco……""No, Jurgen, il nome è Jurgen e poi sono certa, tedesco, padre Tedesco..""no, mi spiace, questo è tutto ciò che abbiamo..""c’è una foto ?""mi spiace…. Questo è tutto, ma sappiamo che suona, forse suonava, alla Locanda, proprio ad Abbadia…"Clelia si sentiva quasi sollevata. Se veramente Jurgen fosse vissuto a Orvieto, senza tentare di cercarla o incontrarla, sarebbe stato pesante da accettare. Ma si sentiva comunque frustrata, per alcuni giorni aveva coccolato il suo sogno, la sua speranza. Le restava l’ultima possibilità: la locanda del Viandante.Tornando a casa, Clelia decise di fermarsi ad Abbadia. Decisa ad incontrare quel pianista i cui occhi erano ormai dentro di lei. Capitava spesso che cercasse di associare quegli occhi ad un viso. Quegli occhi a lei famigliari ma così misteriosi, voleva fossero quelli di Jurgen, ma si chiedeva perché allora lui l’avesse sempre evitata.La piazza principale della cittadina brulicava di persone, macchine e rumori. Giunta all’ingresso della vecchia casa, aveva cercato tra i nomi, scorrendo il citofono con un dito. Solo una scritta: Maestro di Piano. Dopo avere suonato tre volte, senza risposta, provò ad andare alle locanda. Neppure lì lo trovò. Delusa e stanca tornò a casa.Alla masseria incontrò il figlio Carlo, mentre rientrava da una passeggiata a cavallo. Il giovane si era fatto uomo, un giovane uomo forte e dal sorriso ammaliante, un sorriso che gli disegnava il volto, come un dipinto."Ciao Ma, tutto bene ?""Buongiorno Carlo, io bene e tu?""bene… ho una fame folle""ascolta Carlo… il tuo maestro di piano… sai dove posso trovarlo?"" In Austria…. È tornato a casa, a trovare parenti, non ha detto quando tornerà…se tornerà.."Delusa ancora una volta, ancora una volta rimasta senza riposte e con qualche speranza in meno. Ma il viaggio, quel sogno cullato per alcune settimane di trovare il suo Jurgen, e la frenesia di quei giorni, avevano spezzato la monotonia dei suoi giorni. In un certo senso Clelia aveva bisogno di ricaricarsi di tanto in tanto. In modo da poter affrontare il tempo, proseguire.La vita di Clelia è sempre stata un lunga lotta, con se stessa e con gli eventi. La fortuna di una ricchezza paterna, una bella casa e la tranquillità, tutte cose pagata a caro prezzo. Una madre morta di parto, il padre scomparso, il promesso sposo morto. Un amore mai compreso vissuto tutto in una notte e un amore al quale si è aggrappata, mai vissuto veramente.Di nuovo solaL’estate del 1975 resterà tristemente scritta nella storia di Abbadia. Armando stava tornando a casa da Viterbo, dove si era recato per affari, quando venne sorpreso da un violento temporale. La forte velocità e la scarsa visibilità non hanno mai costituito una accoppiata eccellente. All’incrocio della Fagianella, l’auto del Gerardi, con tutta la famiglia a bordo, non si accorgeva che da nord arrivava la Mercedes dell’Armando a tutta velocità. Un impatto violento e crudele. Tutta la famiglia Gerardi deceduta sul colpo. Armando invece fu recuperato ancora vivo. Resistette tre giorni alla morte. La parola fine sulla sua vita si scrisse a metà luglio di un 1975, che celebrava i 30 anni dalla fine della guerra. Anni duri, attraversati da tensioni e da lacrime, da benessere e cambiamenti. Anni nei quali il mondo è cambiato, il paese è cambiato. Ma non per Clelia. Lei ha sempre pagato a duro prezzo ogni piccola cosa, ogni sorsata di vita. Il corteo funebre procedeva tristemente, le case avevano le persiane chiuse ed i negozi tenevano le saracinesche semi abbassate. I tristi rintocchi echeggiavano nell’aria densa e calda di quel luglio afoso. Vedeva un altro pezzo della propria vita, un altro tassello di un esistenza tribolata, partire, andare via da lei.Tornata nella sua masseria, nella sua grande casa, nella sua grande solitudine, Clelia si lasciò andare, un lungo pianto, lacrime nuove mischiate a quelle più antiche. Singhiozzi duri, quasi colpo di tosse, rivedendo il film della propria vita. Ora le restava solo il figlio, bene più prezioso della sua stessa vita."mamma… come stai""bene…. Tutto sommato bene….. e tu?""non so… amavo papà ma non so, mi sento strano…. Solo, ecco, mi sento solo..""ma non lo sei…. Non sarai mai solo……"Madre e figlio avvolti in un abbraccio intenso, forte. Più espressivo di migliaia di parole, più denso di un semplice gesto. Madre e figlio di fronte al domani. Uniti da un sentimento che tutti conosciamo ma che raramente confessiamo.Carlo ora doveva prendersi cura dell’azienda di famiglia. Avrebbe voluto laurearsi, il sogno di una laurea in Legge infranto dal destino. Adesso era il suo turno. Suo nonno e suo padre prima di lui, lo avevano preceduto nella conduzione di quella grande casa, di quei campi coltivati, di quelle viti profumate. Il giovane ben presto riuscì a dimostrare di avere la stessa stoffa del nonno. Più del padre aveva la signorilità. Quel segno particolare che fa differenza tra ricchi ed arricchiti. Lui nato ricco, ne aveva il lineamento ed il portamento. Non gli serviva l’arroganza del padre. Gli bastava parlare, muoversi con il suo incedere elegante, perché potesse ottenere tutto ciò che prefiggeva.Sapeva dosare, con una saggezza insolita alla sua età, energia e calma. Deciso e fermo, tollerante e permissivo. Sempre nel modo giusto, mai troppo in un modo e neppure troppo nell’altro. Aiutava i contadini nel raccolto ed i vaccai nella mungitura. Chiedeva sacrifici e li otteneva, ma sapeva regalare anche un sorriso ed un premio.La voglia di vivere di Carlo era sempre intensa e molte sono state le ragazze passate tra le sue braccia, nei granai della masseria oppure tra i filari delle sue viti. Adesso che era il padrone, era ancora più facile ottenere certi favori, soprattutto in città. Come già molti anni prima con sua madre, gli altri signorotti della zona progettavano matrimoni importanti, come contratti di proprietà, che per l’amore e le altre sciocchezze c’è sempre tempo.Lui provava una forte attrazione per Valeria, figlia diciottenne del fattore della Roncolina, fisico plasmato dall’aria delle montagne, seni pesanti e fianchi sinceri. Tra le sue braccia poteva perdersi, non pensare a nulla, solo al piacere. Un corpo al servizio della mente. Capelli appena sopra le spalle, castani, con qualche riflesso più chiaro. Grandi occhi azzurri, forse un poco freddi, ma intensi.Sapeva però che per Clara aveva un’attrazione diversa. Clara è un’emozione, una sensazione. Figlia del direttore dell’ufficio postale di Abbadia. Alta ed elegante, forse troppo magra, ma bella. Un viso affilato ma non duro. Una mente sopra un corpo, una mente al servizio del corpo. I capelli corti, quasi da maschio, neri come pece. Gli occhi enormi, neri e profondi come la notte. Bella, di una bellezza strana, poco patinata ma spessa, come la nebbia in inverno.Capitava spesso che s’incontrasse con Valeria ai margini del bosco della Roncolina, dove andava spesso a cavalcare. Quel giorno fu un incontro fugace, quasi un addio. Valeria lo trascinò verso il ruscello e sollevandosi la sottana mostrò al giovane Carlo il compito a lui assegnato. Carlo e la sua età, compresero subito, svelto come nell’inseguire le prede a caccia, si avvicino alla fanciulla, inginocchiandosi di fronte a lei, così da riempirsi le narici con il profumo di quella voglia da lei repressa. Arpionando le cosce della giovane si tuffò con la lingua sulla sua emozione, giocando un poco con pelle delle labbra e poi più energico dentro le pareti rosa del suo piacere. Ubriaco dei succhi a lui noti e sempre agognati, spinse la propria mente fin dentro l’orgasmo di lei. Il giovane fu davvero abile, tanto che Valeria fu così riconoscente da prendere in bocca l’arnese di Carlo, succhiando e leccando fino a che il giovane comprese il godimento di avere una bocca come custodia del proprio ardore. Quella fu l’ultima volta per loro, l’ultimo amplesso dentro la mente di Valeria.Carlo capiva che prima o poi avrebbe dovuto decidere, non poteva andare avanti in quel modo. Gli piaceva, certo che gli piaceva. Un corpo, un fuoco, una passione. Ogni volta che si sentiva stanco, ogni volta che voleva solo godere.Clelia suocera e nonnaUno sguardo, una passione intensa ma allungata, non un ardore forte ed intenso, racchiuso in un momento. Una lunga ed interminabile attrazione, il desiderio che passeggia a mezz’aria, una mano ed una bocca, che sanno scrivere versi e raccontare emozioni, non solo toccare e baciare.Il 15 aprile del 1980, nella chiesa di Abbadia, Carlo e Clara si sposarono. Una cerimonia tranquilla, senza grande sfarzo ma neppure povera. La chiesa addobbata con fiori bianchi, gigli e rose in quantità. Il parroco commosso, lui che aveva celebrato il matrimonio di Clelia era lì ora a sposarne il figlio. Non un caso raro, ma certo neppure troppo comune. Il ciclo della vita espresso in un sacramento. Un privilegio, non comune, quello di vivere dentro la vita degli altri attraverso due matrimoni.Il vero privilegio però era stata la presenza del pianista. L’uomo, ancora molto vitale ed energico, aveva saputo del matrimonio grazie al giornale. Chissà come, leggeva, da dove si trovava, il Gazzettino di Orvieto, dove Carlo aveva pubblicato l’annuncio del suo matrimonio, oltre ad un invito rivolto a tutti gli amici e conoscenti.Carlo ne fu felice, Clelia, che mai aveva rinunciato, avrebbe voluto parlare con lui dopo la cerimonia. Poco prima di avviarsi verso l’altare i due uomini si abbracciarono. Un abbraccio forte ed intenso, come quello che la mente riserva ad un padre e suo figlio. Clelia li guardava e si sorprese a pensare che in fondo, neppure troppo velatamente, le sarebbe piaciuto che quel pianista fosse veramente il padre di Carlo. Perché avrebbe voluto dire che lei, donna troppo sola, poteva ancora avere una mano alla quale aggrapparsi. Poi restava dentro di lei quella sensazione, da sempre incompresa, che quegli occhi le davano. Aveva trovato molte risposte e molte domande a quelle sensazioni. Tutte più o meno soffocate, più o meno ricomparse.Al fatidico si, momento intenso e commovente, la folla riunita nella chiesa si lasciò andare ad un lungo e caloroso applauso. Mentre i due sposi lasciavano l’altare e si avviavano verso l’uscita, la musica dell’organo si levava impetuosa ed intensa, come se la musica avesse trovato la sua dimensione. La melodia avvolgeva i due giovani, quasi come volesse proteggerli, tenendo lontani demoni e paure. Tutti, anche gli uomini più insensibili, avevano le lacrime agli occhi. Quella musica così penetrante, così forte, era riuscita ad entrare nei cuori di tutti, accompagnando i due giovani verso un destino radioso. Il vecchio pianista si sentiva svuotato. Aveva messo tutto se stesso in quell’ultimo brano, come se fosse il primo della sua vita oppure l’ultimo. Quando Clelia andò per incontrarlo, scoprì con una sottile amarezza, che l’uomo se ne era già andato.Fu forse in quel momento che Clelia comprese molte cose. Comprese che la sua vita non le apparteneva. Si rese conto di avere speso tutte le proprie energie a rincorrere fantasmi. Anni consumati nella speranza che il padre facesse ritorno. Anni consumati a cercare un sogno tedesco. Anni consumati a cercare se stessa. In fondo quello che aveva sempre fatto era proiettare verso una ricerca quello che avrebbe dovuto cercare dentro se stessa. Quel vecchio pianista che per l’ennesima volta gli sfuggiva, riuscì a farle comprendere, finalmente, di avere sciupato la propria vita inseguendo risposte che aveva sempre avuto paura di trovare.Mancava un’ultima emozione a Clelia. Carlo e Clara le regalarono una nipotina, poco più di un anno dopo il matrimonio, la piccola Alma riempiva con i suoi vagiti e le sue pappe la vita della masseria. La loro vita, nella masseria venne sconvolta dai ritmi delle poppate e poi delle pappe. Dagli attacchi di febbre e dai raffreddori della piccola. Clelia non lasciò mai la piccola da sola per più di qualche ora. Una vecchia ed una bambina. Due generazioni separate da un sottile e velato squarcio del tempo. Perché Clelia è diventata donna così in fretta da aver perso il senso del proprio tempo. La guerra forse, oppure lei stessa. Quando le altre fanciulle correvano felici verso un amore diverso, lei era già promessa. Quando le altre ragazze festeggiavano le fine delle guerra, lei era già proiettata alla ricerca di se stessa, credendo di cercare suo padre, il suo uomo ed il suo amore.L’amore e le cure facevano bene ad Alma. La piccola cresceva, somigliando in maniera sorprendente a Clelia, tanto che molti la chiamavano scherzosamente la replicante. In effetti, la piccola era una goccia d’acqua con la nonna. Carlo si divertiva a frugare tra vecchie fotografie, ed ogni volta aveva la riprova che la figlia assomigliava alla nonna in maniera sorprendente.Anno dopo anno, mentre la masseria stava a guardare, la piccola Alma cresceva, diventando bambina, poi ragazzina. Di li a poco sarebbe diventata una piccola donna e il mondo le sarebbe sembrato diverso.Agli inizi degli anni 90, la piccola Alma scoprì e fece scoprire a tutti, di possedere una certa predisposizione, inutile dirlo, per il pianoforte. Tutta la vita di Clelia era stata accompagnata da una colonna sonora al pianoforte. Tutti gli uomini che avevano segnato la sua esistenza erano eccellenti suonatori di piano. Ora anche la nipote, proiezione futura della sua stessa vita, dava prova di essere nata con quella naturale predisposizione che tanto le sarebbe piaciuto possedere.Ad Abbadia era intanto tornare a vivere il vecchio pianista. Clelia, come arresasi, non aveva più cercato di parlare con lui. Il vecchio passava interminabili ore a suonare il suo strumento. Raramente si esibiva in pubblico. Capitava in occasione di cerimonie, come matrimoni o cresime, ma sempre meno e sempre più occasionalmente. Quando Carlo gli chiese di insegnare alla piccola Alma, così come aveva insegnato a lui, il vecchio si commosse ed accettò, senza comunque chiedere nulla in cambio.Tra Carlo ed il vecchio pianista si era instaurato un affetto forte, un legame simile a quello che unisce padri e figli ma che spesso nessuno dei due confessa. Malgrado ciò Carlo sapeva solo che il vecchio si chiamava, o si faceva chiamare, Gustavo ed era di origine Austriaca, ma di madre Italiana.Alma cominciava così a ripercorrere la stessa strada del padre. Il mattino a scuola ed il pomeriggio a lezione dal vecchio pianista. Tra lei ed il vecchio, si andava lentamente instaurando un rapporto profondo. Proprio come quello che unisce i nonni ai nipoti. Quello che lascia sempre i figli perplessi ed increduli, quello che ci fa chiedere se si tratti proprio dei nostri genitori.Alma stava imparando a suonare il piano in maniera sublime, meglio del padre, molto meglio di lui. A lei il vecchio pianista era riuscito a trasmettere quel sentimento, quella forza interiore che trasforma i musici in musicisti e gli onesti suonatori in artisti.Poiché il vecchio non accettava soldi, Alma gli portava del cibo, frutta, vino e poi riuscì a trovare un giusto equilibrio. Lui le insegnava a suonare il pianoforte, lei ricambiava facendo le piccole faccende domestiche, così che alcuni in paese pensavano lei fosse semplicemente la domestica del vecchio.L’addio a CleliaAlma fioriva, così come Clelia progressivamente invecchiava. Sembrava persino che la ragazza assorbisse energia vitale dalla nonna. Lo scorso anno, in aprile, Clelia scopriva di essere ammalata gravemente. Una forma tumorale le stava erodendo il fegato ed i medici non le lasciavano molto tempo.Il 12 settembre del 1999 Clelia spirava, nel letto di casa sua, nella masseria che da sempre apparteneva alla sua famiglia. Tutta la famiglia era radunata intorno alla salma, raccolta nella sala più grande della casa. Il vecchio pianista aveva accettato di suonare brani in onore della vecchia donna, ultimo accompagnamento per il suo ultimo viaggio.Il vecchio suona per ore, come se neppure si dovesse sforzare. La sera prima dei funerali, tutti se ne sono andati. Nella camera sono rimasti Clelia ed il vecchio pianista. Solo allora, il vecchio ha intonato Al Chiaro di Luna. Il brano più amato da lei, che evoca in lui un passato dal quale non è mai riuscito a riemergere. Quando le ultime note si sono affievolite, il vecchio si alza e va vicino alla salma. Convinto di essere solo, si siede vicino alla donna, parlandole, come si parla ad una vecchia amica o una vecchia amante. Non si rende conto che Alma, sulla soglia della stanza, stava ascoltando. Con tutta la dolcezza di cui è capace posa un ultimo bacio, che è anche il primo, sulla fronte di Clelia, le prende una mano e comincia a parlarle."Mia dolce Clelia… perché te ne sei andata… perché.." la voce, gutturale, è rotta da singhiozzi e da attimi di silenzio "ti amo, ti ho sempre amata…. E tu non lo hai mai saputo…. Ora mi lasci ed io…." Le lacrime si fanno più forti ed il vecchio china il capo, prendendoselo tra le mani. Con un gesto lento, lentissimo, il vecchio prende dalla tasca qualche cosa, la mette tra le mani di Clelia. Una mostrina militare, della seconda guerra Mondiale. Una mostrina da ufficiale della Wehrmacht. Poi posa sul busto della donna una catenina d’oro con un pendente a forma di cuore. Pronuncia un ultima preghiera, si alza ed esce, camminando pesantemente, come se la sua vita non fosse con lui, ma rimasta con Clelia.Alma che aveva visto tutta la scena, restando in silenzio, si avvicina alla salma della nonna, prende tra le mani la collana, poi guarda la mostrina: Günther Stahl.Esce di corsa, raggiungendo il vecchio. Si siedono su una panchina, li nel cortile e lui le racconta una lunga storia, di una amore nato durante una perquisizione, tanti anni prima.Una lunga storia, vecchia di cinquant’anni, fatta di guerra e di pianoforte, di amore e di dolore. Del suo amore mai confessato e della sua volontà di vivere vicino, se non accanto, alla donna segretamente amata. Lui un ex capitano dell’esercito tedesco, folgorato da una giovane, tanti, troppi anni prima.Le note di un pianoforte risuonano nel paese di Abbadia San Salvatore, ai piedi del Monte Amiata. A suonare lo strumento è un vecchio uomo di 85 anni, di cui nessuno sa nulla, nemmeno la giovanissima domestica, di nome Alma, che lo assiste da circa tre anni. Esce poco di casa e quelle rare volte che lo fa, dà pochissima confidenza alla gente del posto. A parlare per lui è il pianoforte che suona per lunghe ore ogni giorno ricordando il suo passato.
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