Mi immergo nell’odore acre e untuoso della stazione: sono appena arrivato in questa città. A 19 anni comincia la mia avventura fuori dalla famiglia, qui passerò gli anni necessari a frequentare e terminare l’Università. Mentre cammino solo tra la folla, ignorando i frastornanti annunci che gracchiano dagli altoparlanti, torno con la mente al mio paese, lontano da qui. Dove abito non c’è un Ateneo e, il corso di studi che mi interessa, non esiste nemmeno in quelle più vicine. Allora sono venuto qui, dove il corso è prestigioso, per iscrivermi e cercare un alloggio. Nella chiassosa segreteria migliaia di bigliettini, contenenti annunci, occhieggiano da ogni parete o pilastro. Spulcio quei fogli e trovo varie offerte. Due si riferiscono a differenti appartamenti di uno stesso stabile, non lontano da dove mi trovo. Il primo sembra fare al mio caso, ma l’altro richiede una studentessa. Peccato. Tormentato dal sole di fine Agosto, percorro marciapiedi crepati e deserti. Lo stabile è sito in un quartiere storico, ricco di antichi palazzi. Anche il numero civico che mi interessa corrisponde a una costruzione dai larghi muri di pietra, fresco e bello. C’è una portineria, ma in questo momento è deserta, così salgo le scale ed arrivo al portone il cui interno mi sono appuntato sul foglio. Suono. Dopo un poco che attendo, in quel pianerottolo ombroso, odo un tramestio dietro l’uscio e mi si rivolge una voce di donna anziana. Che desidera? Sono qui per quella camera per studenti.. Mi spiace, l’hanno già prenotata stamani. Mi scusi per il disturbo, arrivederci. Non c’è di che, buona fortuna a lei. Scendo le scale… E se provassi? Non si sa mai! Il portone è proprio questo… passarci di fronte senza tentare mi sembra sciocco. Non mi mangeranno mica, no? Premo il vecchio campanello a pulsante, inserito in una parabola d’ottone. Anche il suono è antico. – – Drrrrriin Questa volta attendo poco prima di avvertire rumori dietro quel legno serrato. Intuisco che qualcuno mi sta osservando dallo spioncino. Poi odo una voce femminile roca e bassa, come di persona appena svegliata. Chi è? Mi scusi signora, sono uno studente universitario del primo anno e… – Il portone si schiude e appare un visino pallido, con due occhi castani sognanti – …volevo sapere se fosse disposta ad affittarmi la camera, anche se.. – La porta si spalanca e quella donna mi guarda stupita, la bocca dischiusa – …non sono una studentessa. Silenzio. Continua a guardarmi con quell’espressione di stupore nel volto. Intanto, per vincere l’imbarazzo, la studio brevemente. Ha i capelli dello stesso colore degli occhi, ma trasandati; un naso molto sottile ed aristocratico e non usa nessun trucco, neppure il rossetto, ma il viso è bello. Del suo corpo non si nota niente, indossa un vestito lungo e smorto come quello di una vecchia. Difficile darle un’età: più grande di me e più giovane di mia madre, molto vago come giudizio. Chi sa se ha mai preso un po’ di sole in vita sua? Finalmente si riprende, conservando quell’aria stupita. Come ti chiami? Il tu mi prende alla sprovvista, sembra fuori luogo per quel personaggio che ho di fronte. – Sandro, Sandro Calcinai. – Io… vivo da sola e non avevo intenzione di condividere la casa con… un ragazzo… – la sua voce è esitante, quasi tartaglia – ma te mi sembri un bravo giovane e… – Si fa da parte per farmi entrare – …d’accordo, vieni a vedere la stanza.Io entro e lei, chiuso il portone, mi precede lungo il corridoio stretto e cosparso di quadri. L’appartamento è lustro fino all’ossessione. Ogni quadro ed ogni ninnolo è in punto geometrico preciso. Sembra proprio l’appartamento di una signora anziana. Il suo abito è informe, ma le braccia, come il viso e il collo, mi confermano un’età decisamente inferiore a quella di mia madre. Lungo il corridoio scuro, lei apre una porta. Si tratta del bagno: è vecchio, ma lindo e pulito. La cucina, corrispondente alla porta successiva, è all’antica: ampia ed atta sia alla cottura che a soggiornarvi. Mi mostra anche un salottino, destinato all’eterna penombra e, finalmente, apre la porta che dà accesso alla mia camera. Anche questa è immersa nella luce tenue della persiana appena diradata. È molto meglio di quello che speravo: spaziosa, con un lettino dotato di comodino, un armadio e, soprattutto, una bella scrivania; quasi un tavolo, se non fosse per i cassetti; sopra, appese al muro, ci sono due ampie mensole per i libri. Altre persone avrebbero cercato di farvi entrare due letti. – È molto bella, signora De Carolis, se il prezzo è quello dell’annuncio le lascio subito una caparra. Concordiamo e le annuncio che sarò lì dal primo di ottobre. Da quella data iniziano dei precorsi che non intendo perdere; voglio iniziare col piede giusto. Due settimane dopo arrivo lì in taxi, carico di bagagli. Oggi c’è il portiere e mi rivolgo a quell’uomo grasso e rubizzo, sicuramente prossimo ai sessant’anni. Buongiorno. Sarebbe così gentile da tenermi d’occhio le valige, mentre comincio a portarne su una parte? Certamente. Lei è lo studente che alloggia al terzo piano? Mi scusi, non mi sono presentato. Sono Sandro Calcinai e alloggio al secondo piano, dalla signora De Carolis. Spalanca la bocca. La solo un istante, per dirmi: – Dalla De Carolis?! – Poi torna a fissarmi con la bocca spalancata. Si, perché? Poi gli sorge un’idea nella mente, che vedo disegnarsi sul volto. Mi scruta avvicinandosi e mi chiede – Un momento. Si metta di profilo… – io lo accontento – ma si, non c’è dubbio! Senza rispondermi, volta il capo verso la propria porta di ingresso e urla – Mariaaa! Corri a vedere! S’ode una voce affannata – Eccomi, eccomi, che succede? Sbuca fuori una donna grassissima, dal viso simpatico e sorridente. Il portiere è eccitato, se non fosse così grosso si metterebbe a saltellare. Io mi sento, già da un po’, come caduto dalla realtà in un racconto di Kafka. – Maria, guarda bene questo giovane. Dimmi chi somiglia e indovina dove alloggia! Non so se debbo incazzarmi per quel trattamento o, spiritosamente, fare una giravolta su me stesso. La donna mi squadra da tutte le parti e mi sento ridicolo, lì su quel marciapiede assolato, trattato come un fenomeno da baraccone. Improvvisamente quel donnone porta una mano alla bocca ed esclama: Gesù e Maria! Ricorda tutto il signorino Alberto! Non mi dire che… Si. È uno studente e gli ha affittato la camera la signorina De Carolis! A questo punto non ne posso più. O soddisfano la mia curiosità, o li tratto come meritano! Scusatemi. Non vorrei apparire impiccione, ma, visto che la cosa sembra riguardarmi, chi è questo signorino Alberto? E perché tutta questa meraviglia? Il donnone mi prende per un braccio e mi avvicina a se con fare complice. Era. …Deve sapere che la signorina Serena aveva un fratello. Un giorno, mentre erano in auto assieme ai genitori, hanno avuto un incidente terribile, dal quale si è salvata solo lei. L’incidente è avvenuto a causa sia dell’esplosione di un pneumatico, ma lei era alla guida e si è sempre sentita colpevole. Da allora vive reclusa in casa ed esce solo per fare la spesa. Non riceve mai una visita: ne uomini, ne donne. Le uniche persone con cui è in contatto sono i proprietari di un negozio di alta moda per il quale fa la sarta. Fa anche qualche lavoretto per le vicine, ma se non affittasse la camera non ce la farebbe a tirare avanti. Affitta sempre a studentesse, perché non vuole maschi in casa. Ogni anno ne deve trovare una nuova, perché, con quell’ambiente tetro, vanno tutte in depressione. Sa perché l’ha affittata a lei? Somiglianza come una goccia d’acqua al fratello morto! – Poi assume un’aria materna e, guardandomi con occhi tristi e supplici, continua – La convinca ad uscire e a vestirsi un po’ meglio… lei sembra mandato dalla provvidenza. Sento che è l’unica persona in grado di riuscirci. Sono stupito: ho trovato la camera per la somiglianza con un morto! Ora mi sentirò anch’io un pezzo di antiquariato in quell’appartamento. Suono al portone. Lei apre uno spiraglio e, riconosciutomi spalanca la porta. Vieni, entra. Sono felice di vederti. Sorride, e scopro che il suo viso, quando si illumina, è bello e giovanile. A tavola chiacchieriamo un poco e comincio anch’io a dargli del tu. Mi racconta un poco di se, più o meno le cose che già sapevo. Io ricambio parlandole brevemente di me e delle mie ambizioni. Discorrendo, mi poggia una mano sull’avambraccio. La sua mano, per quanto non curata, è fresca e affusolata, da ragazza. Mi mordo la lingua per non chiedergli quanti anni ha. Il giorno dopo è domenica. Sono venuto apposta di sabato, per avere il tempo di ambientarmi e conoscere la città.Quando mi sveglio, infilo un accappatoio e vado nel bagno. Uscendo, sento un buon profumo di caffè. Mi vesto precipitosamente e vado in cucina. Lei è lì, raccolta su di una sedia di legno lucidato, le mani racchiuse nel grembo. Vedendomi il suo volto si apre in un sorriso. Ho sentito che eri sveglio e ti ho preparato del caffè. Ed io ho sentito un profumo invitante e sono corso. Reagisce come se le avessi fatto un complimento diretto. Si illumina tutta e si informa sui miei gusti per il pranzo e lascia chiaramente intendere che non si tratta di un invito occasionale. Mi offro di pagare per il suo disturbo. Io ti pago solo la camera, non i pasti! Voglio contribuire alla spesa. Non c’è alcun bisogno, mi ripaghi con un po’ di compagnia. Oggi sei mio ospite e non se ne discute. In seguito vedremo. Esco e giro per la città. Voglio conoscerla per adattarmici. Non ho ne una meta ne uno scopo e mi limito a vagare per le vie del centro, osservando cose e persone. Torno all’ora di pranzo, col giornale sotto braccio. Non parla molto, si limita a fare domande e a starmi ad ascoltare, come una persona timida, che dubita di avere qualcosa di interessante da dire. Ho voglia di uscire. La guardo. Giovane, pallida e sempre chiusa in se stessa. Mi torna in mente il suggerimento di Maria. Serena, ho voglia di fare due passi nel parco e prendere un gelato. Mi faresti compagnia? Mi fissa un momento sgranando leggermente gli occhi, accenna un sorriso e… si spegne subito. Non ho un vestito adatto. Cerco di convincerla ad uscire ugualmente, ma non c’è modo di farle cambiare idea. Il mattino dopo si ripete il rito del caffè, poi esco per recarmi all’Università. Mangio a mensa e torno solo a pomeriggio inoltrato. Al portone sono intercettato dalla signora Maria, capisco di essere capitato in uno stabile dove, nella miglior tradizione, i portieri sentono loro dovere essere a conoscenza di ogni cosa. Ti ha parlato? Se non mi dice di che cosa, come faccio a saperlo? Di qualsiasi cosa. Che domande mi fa, signora Maria? Certo che abbiamo parlato! Ogni mattina prendendo il caffè e mentre ceniamo, così come ad ogni pasto che consumo in casa. È ovvio, no? Mamma mia! Ma lo sai che le studentesse dicevano di vivere con un fantasma? La vedevano ogni tanto transitare per il corridoio ed era tanto se scambiavano un si o un no in tutta una giornata! – mi prende nuovamente sotto braccio con fare complice – Perché non provi a farla uscire? Ma mi raccomando. Non le faccia qualche torto. Ha già sofferto tanto quella ragazza! Ignoro le sue parole e cerco di profittare di quel clima di confidenza. Mi tolga una curiosità. Quanti anni ha Serena? Reggiti: 26, ne dimostra almeno dieci di più vero? Sono allibito. Sette anni più di me sono un po’, ma non quanti gliene avrei dati! I giorni trascorrono regolari, colmati dalle continue attenzioni di quella ragazza. Sempre il caffè caldo la mattina, la cena perfetta e le bibite mentre studio. Quelle stanze restano buie, ma solo in mia assenza. Appena entro in una stanza, corre a sollevare le tapparelle e m’illumina di luce solare, oltre che dei suoi sorrisi. Ora che so la sua età, vederla mi fa un effetto diverso. Forse la causa va ricercata in quel miscuglio di pena e di l’affetto che mi genera dentro, ma le vedo il viso ogni giorno più bello. Osservo a lungo, cercando di non farlo notare, la sua pelle, le braccia tornite e le dita affusolate. Sono curioso di conoscere il suo aspetto. Arriva il sabato mattina, giorno di mercato. Lei è fuori a fare la spesa e mi viene un’idea. Vado in camera sua e frugo nel suo armadio. Vi trovo un quaderno: è il suo diario. Sono una persona rispettosa degli altri e lo poso immediatamente. Trovo anche ciò che cercavo: un vestito che, quando lo indossa, la infagotta meno degli altri. Guardo l’etichetta. Ora ho le sue misure! Trovo pure una scatola di orribili gambaletti e spio le misure scritte sull’involucro, come quelle delle scarpe. Ora volo al mercato, immergendomi tra i banchi colorati e la folla anonima. È un ottobre caldo e mi basta dare un’occhiata ai banchi ricolmi dei vestiti di fine stagione, buttati uno sull’altro in confusi mucchi. Con una piccola spesa compro un vestito semplice e carino; un pezzo unico che fa da giacchetta e gonnella ed è avvitato. Compro anche un paio di sandali adeguati, oltre a delle calze leggere. Il giorno successivo, appena finisce di lavare i piatti del pranzo, corro in camera a prendere il pacco e torno da lei. Serena, ho visto una cosa che mi è sembrata carina. L’ho comprata per te. Accetta il mio dono come un piccolo mezzo per sdebitarmi dei pasti che mi offri. Ha lo sguardo colmo di meraviglia – Un regalo per me! Ma è un pacco enorme! Lo disfa velocemente. Mi domando da quanto tempo non riceve un regalo. Si ritrova con il vestito in mano e si blocca con la bocca dischiusa. È un vezzo del viso che tiene spesso e che le dà un’espressione adorabile. Si getta sull’altra scatola e, sotto il pacchetto delle calze trova i sandali Grazie. Sei un tesoro, ma non ti dovevi disturbare. L’accoglienza per il dono non è entusiastica, probabilmente dubita che le serva. Serena. Quello non è un abito da casa. Ora sarai costretta a dirmi che non hai voglia di uscire con me. La scusa del vestito non ce l’hai più. Le si illuminano gli occhi di gioia. Corro a provarlo subito! Torna dopo almeno mezzora. Grazie a quel vestito color panna, che arriva sopra al ginocchio ed è sbracciato, posso osservarla: è una ragazza leggermente cicciottella, ma veramente carina, almeno per quel che si vede. A me piacciono le donne dai fianchi un po’ larghi e le cosce piene: basta che abbiano il petto altrettanto fornito, ed è proprio il suo caso. Si gira – Pensi che possa andare bene? Serena! Lo sai che non mi ero accorto che eri così carina? Diventa rossa come un peperone, ma sorride, abbassando gli occhi e fa pure una giravolta su se stessa. Usciamo. Dall’ultima rampa di scale vedo il marito di Maria. Solleva distrattamente gli occhi su di noi e poi solleva di colpo il capo. Ci fissa per un momento e scappa di corsa in casa. Mentre passiamo davanti alla sua porta, vedo con la coda dell’occhio la testa di Maria. Camminiamo accanto chiacchierando, fino ad un chiosco di gelati. Sediamo su una panchina a mangiarlo e spesso i miei occhi corrono lungo la parte scoperta delle sue gambe. Sono turbato. La mia fuga verso l’avventura universitaria ha coinciso con l’esigenza di sottrarmi dai ricordi. È la mia "legione straniera", la mia voglia di dimenticare. M’interrogo sulle mie pulsioni: improvviso interesse per la persona o normale reazione di un corpo alla vicinanza magnetica di un suo antipode femminile? Nel tornare indietro, allunghiamo il giro traversando il parco e seguendone le ombre di querce secolari. Ogni tanto ispira l’aria a pieni polmoni o cammina ancheggiando, ma non come una donna provocante, bensì come una bambina felice, dove tutto il busto segue il movimento delle anche. Mi viene da pensare a chi ci guarda. Non sembro un ragazzo uscito con una donna più grande, ma un ragazzo che porta a spasso una ragazzina di sedici anni, emozionata per la sua prima uscita col fidanzatino. Questo improvviso pensiero mi preoccupa: starò rischiando di farle del male, come sembra temere la signora Maria? Ora è lei che parla, racconta del suo passato e lo fa con la sua voce bassa e arrochita. Mi accorgo di quanto, questo tono, sia sensuale. Per la prima volta non provo solo affetto, ma qualcosa che smuove dall’apatia il mio pene. Con la mente, sogno per un momento le mie mani che, entrando sotto quella gonnella, palpano le sue cosce calzate oppure si intrufolano nella scollatura a cercarle i seni. Nei giorni seguenti Serena mi svolazza spesso intorno felice. Ne ha anche molte occasioni, perché ho iniziato a studiare con assiduità. Una sera ci troviamo seduti accanto su di un piccolo divano antico. Serena è giunta a casa con una sorpresa: un piccolo televisore, oggetto tecnologico sconosciuto in quel museo. È uno di quei piccoli schermi da pochi pollici e poche lire. Però, per la prima volta da che sono lì e da anni per quella casa, le pareti attorno mutano colore, nella penombra, al ritmo delle immagini che scorrono. Ora preda di lampi improvvisi, alle scene più luminose, ora fosche e tetri durante oscuri primi piani. Seguo quella vicenda narrata dalla tv, fino al momento che lei raduna a se le gambe sul divano, portandole sul cuscino accanto. Si inclina, pertanto, e poggia la testa sulla mia spalla. Resto immobile. Il suo contatto mi rende euforico, ma cauto. Il solletico dei suoi capelli mi stuzzica la fantasia, quanto il calore della sua pelle. Mi sembra che muoversi voglia dire rischiare il precipizio, la caduta libera verso la perdita dell’autocontrollo. Stetti immobile tutta la sera, resistendo al desiderio di strusciare, col mio movimento, quel corpo morbido e delicato. Quella sera, nel mio letto, mi masturbai sognando di lei. Nel mio sogno percorrevo le alternative alle mie azioni precedenti. Non solo non restavo immobile su quel divano, ma carezzavo la sua schiena con la mano. Scendevo lentamente verso le sue natiche e i suoi sospiri erano dolci inviti a proseguire. Venni nella mia mano, mentre la baciavo e la penetravo nel mio pensiero. Improvvisamente, un episodio ha mutato i nostri rapporti. Ho conosciuto una ragazza di un anno più avanti negli studi, ma che non ha dato uno degli esami del primo anno. È interessata ai miei appunti e si offre di darmi, in cambio, un libro che a lei non serve più. Concordiamo lo scambio e preferisce passare lei da me, forse per non dare l’indirizzo ad un quasi sconosciuto. Il pomeriggio seguente passa ed io la trattengo un poco per spiegarle l’organizzazione degli appunti. Compare Serena a chiederci se vogliamo qualcosa da bere, ma noto un atteggiamento molto diverso dal solito. Sono immediatamente certo che le interessava vedere cosa stiamo facendo. Quella sera, a cena, è silenziosa e non riesco a coinvolgerla in nessuna chiacchiera. Il giorno seguente, tornando dall’università, trovo i miei quaderni spostati. Ognuno ha le sue innocenti manie, io ho quella di disporre i quaderni in un preciso ordine di colori. Non si tratta, quindi, dello spostamento di una pila intera, come per spolverare, ma delle tracce lasciate da una persona che ha deliberatamente frugato. Esamino con attenzione il diario e trovo altri indizi. È un diario scolastico, ma vi alterno osservazioni e pensieri, quindi ha un carattere personale. Come ho detto, sono rispettoso degli altri: la mancanza nei miei confronti mi rende furioso. Decido di vendicarmi. Mi reco a prendere il suo diario nell’armadio e comincio a leggerlo. Scorro, soffermandomi a tratti su frasi intimistiche di una persona sconvolta dalla solitudine. Le pagine sono tante e decido di affrettarmi a quelle relative alle ultime settimane. Lo sgarbo l’ha fatto a me e mi sembra giusto leggere le pagine che ha scritto su di me e non le altre. Quando chiudo il diario, sono quasi le sette del pomeriggio. Lei non è ancora tornata. Vado sul mio letto e mi sdraio sommerso dai pensieri. Ho fatto un dispetto a me stesso leggendo quel quaderno, perché ho letto cose troppo intime, che mi turbano profondamente. Lei e il fratello avevano un rapporto incestuoso. Per questo si era sentita colpevole dell’incidente, quasi che la collera divina l’avesse colpita per le macchie che ricoprivano la sua anima. Si era sentita orfana e vedova contemporaneamente e aveva vissuto gli ultimi sei anni come una vecchia vedova piena di rimorsi. Io l’avevo turbata. Reincarnavo il fratello e l’amante. Non si era innamorata di me: lo era già prima di conoscermi. Mi aveva visto in quella stanza con un’altra. Non facevo niente, ma l’episodio l’aveva portata alla realtà: non ero suo fratello, ma un ragazzo che gli somigliava. Scriveva di non poter fare a meno di me. Anche l’ultima frase mi aveva turbato: "Sandro è molto più giovane di me, non ho alcuna speranza di poter essere la sua donna, come desidererei. Però mi trova carina, me lo ha detto e lo ha scritto anche sul suo diario: <ho regalato un vestito a Serena, con quello indosso mi sono accorto che è ben fatta e cicciottella in modo conturbante>. Quindi ho una speranza: posso essere la amante o almeno la puttana pronta a soddisfare le sue esigenze sessuali." Sento la porta aprirsi. È lei che entra. Sento molti rumori e, poi, armeggiare in cucina. Dopo quasi un’ora lei mi chiama, con la sua voce sensuale Sandro! La cena è pronta. Mi alzo e mi avvio, come un condannato al patibolo. Mi sento colpevole, ho rubato pensieri intimi ed ora affronto la situazione. sarà una sera di imbarazzi, sotto i suoi ignari occhi. Apro la porta della cucina e vedo una donna davanti all’acquaio. I capelli sono lustri e mossi ed hanno un taglio fresco e ben curato. Indossa un top ti tessuto lustro e cangiante, colore dell’oro. Quando alza le braccia tornite allo scolapiatti del pensile, il top lascia nuda parte della schiena, sopra la minigonna dello stesso colore, ben riempita da due natiche tonde. Sotto sono ampiamente visibili due splendide gambe piene ed eleganti, dalle sottili calze lucide. Due scarpe col tacco alto rendono le gambe slanciate e sembrano aiutare gli stessi glutei a stare ben protesi verso di me. Se l’aspetto è mutato dietro, quando si volta è irriconoscibile. Non solo per le belle gambe, superlative anche nella visione frontale, ed il seno eretto, ma soprattutto per il viso. I riccioli formano una cornice stupenda e le sopracciglia sono curate virgole cariche di femminilità. Il mascara e un tocco d’azzurro fanno quegli occhi, sempre vivi, simili a stelle lucenti. Il naso è sempre stato fine ed elegante ed ora affascina col tocco del fondotinta. Le sue labbra ben disegnate ora, con quel rossetto dal colore carminio, invitano a sognare. Ritiro quanto ho detto. Serena non è carina, è uno schianto. Ora capisco suo fratello. È difficile reggere accanto d una bellezza simile. Vorrei afferrarla e gettarla per terra e lì possederla. Per un attimo la mia mente la rivede girata verso l’acquaio, con me che corro a sollevarle la gonna per penetrata così, curvandola a poggiarsi sul lavabo. Ma il suo volto è dolce e ti fa innamorare. Sentii subito quell’impulso doppio, che avrei sempre avvertito da allora. Guardandola in faccia, sarei corso da lei per coprirla di baci e giurarle rispetto ed amore eterno. Vedendo il corpo, ed udendone la voce, sarei volato a spogliarla e possederla con brutalità. Duplice è anche il sentimento ispirato da ciò che so: cullarla colpevole per ciò che ho scoperto o profittare di quel corpo che vuole essere mio? Mentre sono preso nei miei pensieri, mi osserva il volto, cala lo sguardo al cavallo dei miei pantaloni e torna a guardarmi soddisfatta, felice sia dello stupore del mio volto che dell’espressione dei miei pantaloni. Quella sera ressi, non mi lasciai andare e lessi l’espressione delusa del suo volto quando la salutai per andare a dormire. Avrei dovuto cedere. Tutto sarebbe stato più semplice. L’avrei posseduta, con sua e mia gioia e saremmo stati a lungo legati come amanti appassionati, ma normali. Invece ero ancora preda delle mie colpe e andai ad agitarmi nel letto. Furono i sogni a vincere. Mi alzai, nel cuore della notte, preda del desiderio di vendetta verso quella donna che mi turbava troppo, come se amarmi fosse una sua colpa. In quel momento dominava la visione del suo corpo. In particolare di quelle natiche che erano stata la prima parte della nuova Serena che avevo visto. Presi il mio diario e scrissi: "Ho scoperto che Serena è una donna bellissima. A stento mi sono trattenuto dal violentarla. Quella donna non sa il pericolo che ha corso. Ignora di avere in casa un maniaco che non sa resistere al desiderio provocato da natiche come le sue. Non posso amare una donna, sogno solo di sodomizzarla. Per fortuna non aveva calze antiche, rette dal reggicalze, altrimenti non avrei retto e l’avrei afferrata. L’avrei costretta ad insalivare il mio pene con la sua bocca per bagnarlo, le avrei strappato le mutandine e l’avrei sodomizzata brutalmente. Sembrava una ragazza scialba e tranquilla, con cui potevo vivere tranquillamente! Dovrò andarmene da qui." Era la mia vendetta. O la nausea per i miei pensieri e la paura per i miei gesti, o adeguarsi a realizzare un mio sogno: umiliarla costringendola a darmi per prima una parte così riposta ed intima di se, che in genere le donne concedono per ultima. Volevo l’umiliazione di quel corpo che dominava la mia mente. Finalmente riuscii a dormire e il mattino mi recai all’Università, alternando speranze erotiche a sensi di colpa. Quando tornai, ero pentito del mio gesto, ma vidi che aveva letto il diario. Lei non c’era e, comunque, non avrei trovato il coraggio di confessarle il misfatto. Non sapevo come uscire da quella situazione. Però l’attesa mi rese nuovamente eccitato. Come sarebbe tornata? Impaurita, magari con i vecchi abiti di una volta, o con gli occhi fissi al suolo, abbigliata come una prostituta? Non appena risuona il raschio della chiave nella serratura, trattengo il fiato. Lei entra raggiante, felice di vedermi, con un abito nuovo, serio ed elegante. Non ne so interpretare il significato e lei non fa niente per sciogliere il mio dubbio. Viene a tavola abbigliata così e parla con me del più e del meno. Mi prende una tale rabbia che, finito di cenare, le dico che devo studiare per potermi rifugiare nella mia camera. Apro un libro e cerco inutilmente di immergermi nella lettura. La porta si apre senza che nessuno bussi, mi volto nervoso, ma resto muto. Serena è vestita come la sera precedente. Tiene le mani dietro, come a nascondere qualcosa. Ciao. Lo sai che oggi è il mio compleanno? Ho pensato che sarebbe stato carino uscire insieme, se ti va di farmi compagnia…. Com’è arrapante la sua voce! ….E come sono stronzo! Proprio il giorno del suo compleanno mi dovevano venire certe idee! Poi ho cambiato idea. Trae da dietro una bottiglia di spumante e due calici, posandoli sul tavolo. Prima di proseguire si siede sulla poltroncina di fianco la tavolo, rivolta a me. Una di quelle poltroncine all’antica, simili a sedie, ma con sedile e schienale imbottiti e due braccioli di legno lucido arrotondato. Non si siede normalmente. Una delle gambe che va a poggiarsi, con il sotto del ginocchio, ad uno dei braccioli. Una posa che potrebbe apparire intima più che provocatoria, ma non con una minigonna. Le sue gambe si scoprono completamente, disgiunte per la posizione. Fisso affascinato la fine delle calze, tirate da un nastro trinato celeste, come le mutandine che ricoprono il suo pube esposto allo sguardo. Posso mirare le sue cosce in tutto il loro splendore, nella rotondità frontale di una gamba e nell’ampiezza del profilo offerto da quella divaricata e rialzata dal bracciolo. A fatica alzo lo sguardo al viso, dove mi accoglie il suo sorriso coronato dai denti candidi e perfetti. Il suo sguardo è dolce e sognante, come la sera avanti ombreggiato dal celeste dell’ombretto, che sembra imitare il colore del suo intimo. Il volto è reso ancor più interessante dal rossore dell’eccitazione che pervade i suoi zigomi. Ho deciso che uscire è troppo banale per festeggiare i miei anni, dopo tanto tempo che li ignoro. Stappa la bottiglia! Con mani tremanti, che quasi la fanno cadere, sturo lo spumante e riempio i bicchieri. Porgo il primo a lei e vado, col mio, a tintinnare il suo. Ti auguro tanta felicità, ma non so se ti convenga stare qui con me. Vedo dai tuoi calzoni che, come ieri sera, mi salteresti volentieri addosso. Per poco non soffoco, mi va di traverso una sorsata di spumante. Sono un imbecille! Ho detto quella frase con sincerità, perché non sapevo se avrei resistito dal fare lo scemo con lei, scordando l’effetto che poteva avere, dato il mio scritto. Non ti affogare, è proprio questa la parte eccitante della festa. Viste le tue reazioni di ieri sera ho deciso di sedurti e mi sembra che la cosa funzioni. Mi ha spiazzato! Accetta il ruolo che le ho assegnato sul diario, ma lo fa con gioia. Perché non ci sono dubbi: è felice. Sto per crollare e confessarle tutto. Poi, d’improvviso, mi rendo conto che la deluderei. Lei mi vuole e ha scoperto un modo per avermi. Le avrei potuto proporre cose più turpi e le avrebbe accettate per legarmi a se. Vuole fare sesso con me, sperando di arrivare all’amore tramite esso, ed io voglio fare sesso con il suo corpo, ma ho scoperto che la amo. Si. La amo e la desidero. Talvolta predomina l’uno rispetto all’altro dei due sentimenti, ma coesistono in me. Allora vado avanti, solo che non è più la voglia di umiliarla. È solo un gioco. Un preludio all’amore. Guarda che potrei farti delle proposte imbarazzanti! Prima di rispondermi, finisce di sollevare la gonna e scosta di lato le mutandine con una mano, mostrando la passerina semiaperta. Subito l’altra vi corre sopra e due dita si curvano indentro. Si sta masturbando davanti ai miei occhi! Solo ora noto, affascinato dai gesti, che ha le unghie smaltate di rosso intenso, come le labbra. Quale perversione hai in mente? Dimmela, potrebbe essere più eccitante della mia. Quei gesti e quelle parole, pronunciate dalla sua voce calda e sensuale, agiscono direttamente sul mio basso ventre e portano il mio membro a cercare di uscire dalle mutande. Ti toglierei quel top e… Mi blocco, mentre lei, lasciata la passerina, scosta il busto dallo schienale e si sfila il top. Appare la sua pelle candida e il reggiseno celeste. Il movimento ne fa cadere una spallina e la coppa, troppo piccola per quelle colline, scivola giù, sotto il seno. Ha una mammella dritto, ignara della forza di gravità e l’aureola e il capezzolo, poco più rosei del resto della pelle, si ergono. Si, la stessa aureola sembra venire in avanti, come un piccolo cono che i alza su un seno rotondo, quasi privo di caduta verso il basso. Un seno da strizzare, fino a farla gemere sul limite del dolore. …poi calerei la tua gonna… Si alza, sgancia l’apertura e tira giù una corta lampo. La sua mini si affloscia ai suoi piedi. È bella come la dea Afrodite. …poi strapperei via le tue mutandine… Fallo te. Mi dice mentre si accosta. La mia mano scopre il seno ancora riposto e lo afferra, mentre l’altra scende all’elastico degli slip. Uno strattone, che scuote il seno libero e un fianco dello slip è andato. Afferro l’elastico dall’altro lato. Uno strattone violento, che la scuote tutta, e le mutandine rimangono nella mia mano Continua. Cosa mi faresti? Ora ti farei inginocchiare a leccarmi il cazzo teso, poi di metterei prona e ti sodomizzerei. Mi guarda in modo lascivo e sussurra, con la sua voce calda Mi piace la tua idea: farmi inculare renderà indimenticabile questo compleanno. Apre la mia cerniera e ne estrae il pene già sull’attenti. Massaggiandolo con la mano, mi porge il calice con l’altra Brindiamo di nuovo. Mentre sorseggio il mio spumante, lei si inginocchia a bere dalla mia cappella. Ho un’idea. Le tocco la testa e lei solleva la testa. Verso un poco di spumante sul mio membro, sentendovi esplodere le bollicine. Lei sorride e va a rincorrerle con la lingua. Il nostro gioco va avanti per due interi calici: un sorso per me e altrettanto liquido da catturare per lei, prima che incrementi la gora sui miei pantaloni. Poi la feci alzare e girare, spingendola contro il tavolo. Che perfezione i suoi glutei! Le gambe, esaltate dalle cosce piene, erano il naturale inizio di un sedere divino. Impastavo quelle natiche con una mano, intento a spogliarmi rapidamente con l’altra. Nudo, poggiai la verga lungo il solco tra gli amati colli e passai un braccio sotto il suo braccia, a raggiungerle i seni. Aprii spazio tra medi e anulari, per serrarvi il capezzolo mentre stringevo le sue sode zinne. Mentre baciavo e succhiavo il liscio collo, premendole l’asta sul deretano, continuavo a stringere, fino a che gemette. La girai e la sollevai, mettendola a sedere sul tavolo. Lei si corica e richiama a se le gambe, afferrandosi le caviglie e divaricando oscenamente le cosce. La sua vagina, dal pelo corto e rado, rimane aperta, così come è esposto il suo piccolo buchino. Mi getto a leccarli entrambi, insistendo sulla increspatura che orna il suo solco, ma non trascurando il piccolo clitoride. È bella la sua passerina, di un rosa più intenso della sua pelle, ma brillante d’umori. Appare piccola, verginale, anche se so che non lo è. Gioco col suo buchino insalivato, fino a riuscire ad introdurvi i due indici, per divertirmi a dargli piccole dilatazioni che fanno accedere allo sguardo il rosa cupo dell’interno. Mi alzo in piedi, il pene alla giusta altezza. Lei ruota un poco sul fianco, fino a portare la caviglia di una gamba sulla mia spalla, accostata al collo, dallo stesso lato da cui pende l’altra dal tavolo. Solleva le spalle e la testa poggiandosi sul gomito e volta fiera la testa verso di me. L’altra sua mano corre sulla natica sollevata assieme alla gamba e trae a se il gluteo, spalancando l’accesso all’ano. I suoi capelli ricci sembrano la testa scarmigliata di una impavida amazzone che, dopo lunga lotta, è arrivata alla tenzone finale; solo uno uscirà vincitore, con le guance imporporate dalla fatica della pugna. Il suo sorriso ha serrato i denti, pronta al dolore del brando che può penetrare le sue carni da un momento all’altro e lo sguardo ardente è carico di sfida. Sembra dire: "Tu vuoi farmi urlare di dolore, ma non griderò. Vuoi farmi chiedere pietà, ma non la chiederò. Vediamo chi implorerà per primo fuggendo nell’oblio del godimento!" La mia spada si poggia sulla sua calda carne e trafigge il suo sfintere, ma lei serra solo più forte i denti. Le sue guance coloriscono di più e i suoi occhi, tranne un rapido battito, fissano dritti i miei. Non cede neppure all’affondo che mi porta giù fino all’elsa. Sembra che la pressione, che dall’interno la dilata, le piaccia quanto a me piace la forza del suo sfintere, che comprime il mio pene. Mi eccita tutto di lei, compresa la calza che strofina il mio corpo, con lo stesso ritmo dei miei movimenti. Mi afferro a quella coscia calzata, che mi passa di traverso al petto, e la uso per il piacere delle mie mani e come fulcro per dare forza ai miei affondi. Aveva trasformato la sua sodomia in una sfida erotica. Credevo di dominare quella ragazza, ma ero io il ragazzino. Lei era la donna che era stata in grado di sfidare le convenzioni e i tabù per amore. Con forza e determinazione aveva saputo annullare se stessa, tanto da sorgere irrimediabilmente vincitrice dalle sue ceneri. Ho aperto il vaso di Pandora! Ne sono travolto, ma per mia fortuna ne scaturiscono piaceri e non dolori. Mi illude di poter vincere: la sua gamba scivola dalla mia spalla e lei l’arresta, sospesa a mezz’aria, prima che si congiunga all’altra, ma chiude gli occhi ed ansima. Con una mossa repentina, un colpo d’anca, si sfila e scende dal tavolo. Si volta ad esso e vi si appoggia, poi solleva una gamba e la poggia angolata sul tavolo. Di nuovo pone la mano a dilatare le natiche. La penetro nuovamente, di spalle, ma lei tiene il capo volto a me più che può a farmi mostra del volto. Le palpebre tengono gli occhi socchiusi e sognanti, la bocca è aperta. Ora mostra solo la bianca corona superiore dei denti mentre si scorge palpitare la lingua, al ritmo dei suoi ansimi. Le piace farsi sodomizzare e vuole che lo veda. La sua mano continua a mantenere aperte le chiappe, favorendo il mio sprofondare in lei. Non tocca la sua vagina, vuole godere a lungo. Sono io che inizio ad ansimare. Lei si butta in avanti, lasciando il mio membro a colpire l’aria. Corre alla poltroncina di prima e si siede, quasi sul bordo. Apre le cosce e poggia entrambe le gambe sui braccioli, spalancata nel modo più oscenamente invitante che mi sia capitato di vedere. Vieni. Mi sussurra con quella voce da stuprare. Io vado e penetro nuovamente nel suo intestino, ma capisco il suo gioco. Sono costretto in una posizione bassa e scomoda, dove sarà lungo arrivare all’apice. Ora può stuzzicarmi come più le piace. Porta una mano alla sua fica, ma non per toccarla. La schiude assieme al suo indice e al medio. Oltre al piacere della sua stretta, guardando in basso o l’orgiastica visione del mio pene che affonda e si ritrae dal suo sfintere, poco sotto la sua rosea micina spalancata, spudoratamente offerta dalla sua mano. Sollevo gli occhi al suo viso e sono pugnalato dal suo sguardo carico d’erotismo e da quella bocca dai bianchi dentini, aperta per far scorrere tra di essi la lingua lasciva. Allunga il braccio e afferra la bottiglia. La vuota sul mio capo, come fossi un ciclista affaticato. Con erotica lussuria nello sguardo, mentre affondo ancora in lei, strappa la stagnola e libera il collo di vetro. Ora la bottiglia scende ed il collo entra nella sua vagina. La tiene inclinata, che il mio ventre non la colpisca, e scorre sul clitoride, affondando un poco nella sua femminilità Ti piace il mio culetto è?! Sei un porco, proprio come me! È troppo! Le strappo di mano la bottiglia e la scaglio via. Lei mi guarda stupita. Mi sollevo quel tanto da estrarre l’asta, che vibra libera un po’ più in alto, già nella giusta posizione. Butto il mio peso in avanti e affondo nella sua femminilità. Urla d’inaspettato piacere. Sono semi sdraiato sul suo corpo, in quella scomoda poltroncina. Ora navigo nelle dolci e accoglienti acque che allagano il suo desiderio. Corro veloce, come la nave dalle vele più ampie e lei freme, vibra. Colta di sorpresa, non regge ed esplode nel godimento piantandomi le unghie nella schiena, la dove arrivano le braccia che mi circondano. Il suo corpo vibra e la vagina pulsa. Le do un poco di tempo per riprendersi, poi mi alzo e la tiro su dalla sedia. Mi sdraio sul pavimento e la chiamo a me, a cavalcarmi in ginocchio sul pavimento. È l’unica posizione in cui posso durare a lungo, dominando il mio corpo e portandola nuovamente al piacere. Ora le mie mani possono impazzire ovunque sul suo corpo. Lei sobbalza o scorre su di me, felice e sorpresa. Poi introduco il pollice tra il mio ventre e il suo monte di venere, torcendo la mano per strusciare col polpastrello il suo clitoride. Ora il volto si dipinge di un purpureo godimento e tutto il suo viso tramuta. Ruoto i nostri corpi e mi trovo su di lei, tra le sue cosce aperte. Affondo in quel mare caldo e umido di piaceri e, nel volgere di un attimo, sono prossimo all’orgasmo con lei. Esito, e le sue gambe mi cingono. Allora svuoto me stesso in lei gemendo, mentre lei urla – Siiii! Sandro, mi fai impazzire! Esausto giaccio su di lei, mentre la sua vagina pulsa sul mio pene. Un attimo prima di baciarmi appassionatamente, mi sussurra Ti ho chiamato Sandro! Nel corso di quel bacio penso che non dovrei sapere il significato della sua felicità, invece lo so: Nell’apice non sono stato la copia del fratello, ma io. Ama me, non un ricordo. Quando rotoliamo a fianco a fianco, lei mi dicembre Voglio pulirti il pene con la mia bocca. Voglio essere la tua puttana. NO! – La tiro a me e guardo il suo viso splendente – Hai letto il mio diario. Me ne sono accorto e, per vendicarmi, ho letto il tuo… Il suo volto cade nell’angoscia e porta una mano alla bocca con un gemito, mentre un lampo di paura le attraversa gli occhi. Mi sono sentito misero rispetto alla tua forza e al tuo coraggio. Così ho agito ancora più da miserabile e ho scritto quel desiderio sul mio diario. Ti amo, so perché sei felice per aver gridato il mio nome. Io voglio che tu sia la mia donna, non la mia puttana. Hai avuto il coraggio di vivere il tuo amore contro i tabù. Dovrei essere così misero da temere pochi anni di differenza tra me e te? Non posso fare a meno del tuo viso. Non so perché, ma nemmeno del tuo corpo. Se vedo il tuo volto ho voglia di baciarti e se vedo le tue curve ho voglia di chiavarti. Me è sempre di te e solo di te che ho voglia. Ti amo, non ho dubbi." Mi stinge forte Sandro, ti amo! – Poi si scioglie – Però ora lo voglio ancora di più. Che cosa? Non risponde, si volta e va al mio pene. Sento le sue labbra. Mi dà il paradiso con la sua dolcezza. Rapido il mio pene esulta, lei carezza con maestria l’asta con una mano, mentre l’altra coccola i miei testicoli. Rapidamente mi porta vicino all’orgasmo. Serena, sto per venire! – l’avviso. Per tutta risposta la sua mano abbandona i pendagli e un dito penetra leggermente il mio sfintere. Il mio bene dà un balzo e subito dopo erutta nella sua bocca. Le carezzo con amore i capelli, mentre lei succhia e scorre l’asta dal basso verso l’alto, finché non è sicura di aver estratto l’ultima stilla. Allora da un tenero bacio alla testolina del pene dormiente e torna a cercare la mia lingua. Serena. Si. È davvero il tuo compleanno? Si. Reputavo già un grosso regalo che tu facessi l’amore con me. Ora che mi ami e sono la tua donna, e mi hai anche detto di non detestare il mio passato, liberandomi dalla paura che tu lo scopra e mi giudichi male, sono felice. Ho un po’ di paura, ma so che è naturale quando si è felici. Nella vita si hanno pochi momenti belli, quando capitano si teme di perderli. Ti amo, ho paura e sono felice. Manca venti a mezzanotte, l’ora giusta per andare in discoteca. Ho voglia di festeggiare. Poi… ho bisogno di un attimo di pausa prima di fare nuovamente all’amore con te. Si! Sono anni che non ballo! Ci puliamo e ci vestiamo di corsa ruzzando felici. Lei indossa nuovamente il suo vestito dorato, si è cambiata solo l’intimo, visto che le mutandine sono distrutte. Scopro che soffre terribilmente il solletico e che, se le tocco di sorpresa i fianchi con le punta delle dita, fa dei salti terribili emettendo gridolini. Diventa un gioco. Usciamo sulle scale ridendo, dimentichi dell’ora e, proprio sul pianerottolo, le do un colpetto ai fianchi con le dita. Salta e lancia un grido Ah! Smettila! Supplica ridendo, ma subito ride di più con le mie dita sotto le ascelle. Riesce ad essere un attimo più seria e mi raccomanda Basta, sveglieremo tutti! Un poco più seri, scendiamo le scale saltellanti di gioia e soffocando continue risolini di felicità. Arrivati all’ultima rampa, scorgo Maria affacciata Ci scusi. È il suo compleanno e stiamo andando a ballare. Ci siamo fatti prendere la mano, ma giuro che faremo meno rumore rientrando! Maria è visibilmente seccata, la facevo più accondiscendente. Le sue parole sono acide. – A vedere come siete accaldati, mi sa che avete già fatto qualche altro tipo di ballo! Comunque auguri… signorina?…" Serena ride e si avvicina a lei Signora Maria, non mi riconosce? Maria strizza gli occhi per vederla meglio. Poi sgrana gli occhi e spalanca la bocca, mentre le scorre lo sguardo addosso dalle scarpe fino ai capelli. Serena? È ancora incredula. Proprio non l’aveva riconosciuta, Ecco perché era ostile! Si, sono io! Gesù! Come sei cambiata! Oh! Scusa per la frase di prima! Maria, posso dirti una cosa confidenziale? Da donna a donna? Certamente! Serena le strizza l’occhio sorridendo e, prima di trascinarmi via per mano, le dice in un sussurro: – Non ti devi scusare. Quel tipo di ballo, cui alludevi, l’abbiamo fatto davvero!
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