Nel momento in cui la piccola campana diffuse i rintocchi del “notturno”, tutto il convento era già stranamente silenzioso. La cena si era svolta in un clima surreale. I sette posti vuoti gridavano l’angoscia delle suore e delle novizie assenti. Suor Maddalena della Santa Croce, impiegò un attimo a far rientrare ogni suora nella propria cella per la notte. Di solito non era la Madre Portinaia in persona a provvedere affinché tutte le sorelle rientrassero nel Dormitorium dopo la seconda “Compieta”; quell’incarico era delegato ad una delle sue assistenti, mentre la titolare si riuniva, nell’appartamento della Badessa, insieme alle altre due suore del Capitolo: la madre Priora e l’Istitutrice delle Novizie. Quella, però, era la prima sera in cui suor Maddalena ricopriva il suo prestigioso incarico, e, per nulla al mondo avrebbe rinunciato a mostrare a tutte la sua autorità. Una fanciullezza fatta più di stenti ed angherie che di agiatezza e felicità. La futura suor Maddalena era l’unica femmina di nove figli con la madre morta durante l’ultimo parto; si era trovata prestissimo a far da serva a tutta la famiglia: padre e fratelli, più piccoli e più grandi di lei. Far da mangiare, lavare tutti i panni, rassettare quella bicocca che suo padre si ostinava a chiamare casa, accudire le capre, mungerle, fare il formaggio, prendere l’acqua al fiume, e questo durante il giorno, tutti i santi giorni. Appena diventata donna, in una fredda notte autunnale, dovette sottostare all’assalto del padre, perdendo così l’unico bene che aveva: la verginità. Qualche notte dopo, fu il fratello maggiore che si infilò nel suo letto; ma questi non la usò come aveva fatto il padre: dopo aver giocato per un po’ con il suo corpo, la fece voltare pancia sotto e la penetrò nel didietro facendole provare un dolore indicibile. La mattina seguente, aveva ancora, sul braccio destro, il segno del morso che si era data per chiudersi la bocca e non gridare a tutti il suo dolore e la sua vergogna. Nell’arco di due mesi, tutti gli uomini di casa si erano alternati nel suo letto. Non riusciva più neanche a dormire: spesso, nella stessa notte, anche due o tre fratelli si alternavano dentro di lei in tutti i modi: avanti, dietro, in bocca, tra le sue sode mammelle. Accadeva anche che arrivassero in due o tre insieme, divertendosi a riempirla contemporaneamente in tutte le sue aperture. Si sentiva sempre di più come il bugliolo dello sperma di famiglia. A sedici anni non ne potette più: dopo l’ennesimo aborto procurato dalla compiacente mammana del piccolo villaggio, fuggì di casa in una notte in cui stranamente, nessuno si era andato ad infilare nel suo letto. Per giorni camminò e corse nei boschi con l’unico pensiero di fuggire, il più lontano possibile, dai suoi violentatori. Si nutriva di tutti i prodotti della natura di cui aveva dovuto imparare, nella sua breve vita di stenti, ad essere una profonda conoscitrice. Un giorno, infreddolita, impaurita, affamata, si ritrovò a percorrere il sentiero che conduceva al Monastero di clausura. Un celestiale, dolcissimo coro di voci femminili, usciva da quelle possenti mura ed echeggiava nella valle ispirando un forte sentimento di gioia e di serenità. Con l’animo in tumulto, entrò nel convento chiedendo soltanto un tozzo di pane per placare i morsi della fame. Non uscì più. Prima del tramonto aveva già chiesto di essere ammessa tra le postulanti.Ben presto si accorse che nella sua vita notturna, non era cambiato niente. Spesso, molto spesso, doveva accogliere nel suo letto le consorelle più anziane e potenti: per lei, che non poteva neanche aspirare al grado di novizia, stante la sua assoluta povertà, già una semplice suora era un’autorità. Il suo acerbo ma già ben sviluppato corpo, fu presto fatto segno delle attenzioni dell’allora Istitutrice delle Novizie, che la prese sotto la sua protezione. Con il suo aiuto e l’intelligenza di cui era naturalmente dotata, poté studiare, migliorare i suoi modi ed il suo linguaggio, fino ad accedere, entro soli quattro anni, all’incredibile rango di suora. Rimase, comunque, l’instancabile lavoratrice di sempre, e questo, unito alla scaltra gestione delle sue grazie, contribuì a renderla benvista da tutte ed a farle salire, lentamente, ma costantemente, tutti i gradini della scala gerarchica. Il massimo cui poteva aspirare lo aveva raggiunto quel giorno: il giorno più bello della sua vita. Finalmente faceva parte del Capitolo. Finalmente partecipava alle riunioni in cui si prendevano le importanti decisioni per la vita del monastero. Finalmente era investita del diritto – dovere di rimproverare e punire tutte le sue sottoposte; di partecipare in veste di punitrice e non in quella di penitente, alle “redenzioni” che si effettuavano nei sotterranei. La sua vita da sottomessa era finita, adesso, finalmente, poteva vendicarsi di tutta una vita di soprusi; ed aveva la fortuna di poter cominciare quella notte stessa. Anche per questo non aveva delegato nessuna diretta sottoposta a far rientrare le consorelle nelle loro celle: aveva fretta che quella notte cominciasse; sarebbe stata una lunga, appagante notte. Tutte sapevano cosa stava per accadere. Come le altre volte in cui qualche suora era stata condotta nella “Cappella del sotterraneo”, anche quella notte ben poche consorelle avrebbero dormito. Pur se attutite dalle spesse mura, le grida delle sventurate avrebbero riecheggiato fin nei corridoi del dormitorio, impedendo, agli animi più sensibili, di dormire. Appena chiusa la porta del “Dormitorium”, la Badessa, seguita dalle altre tre suore appena promosse, si avviò verso i sotterranei.Quasi non si accorse del lungo e tortuoso percorso che stava compiendo: la sua mente era tutta concentrata sul piacere che il giorno seguente le avrebbero dato i giovani e acerbi corpi delle novizie. Quella notte, intanto, doveva fare i conti con le traditrici. Le tre donne che avevano così mal ripagato la sua fiducia. Per godere delle loro sofferenze, non avrebbe dovuto inscenare nessuna commedia, come invece sarebbe stato necessario la mattina seguente con le novizie: quelle tre erano colpevoli soltanto verso di lei; e competeva soltanto a lei punirle nel modo che più le aggradava.Alla fine del tetro corridoio, fiocamente rischiarato dalla debole luce di poche lampade votive, si ergeva la massiccia porta della “Cappella del sotterraneo”.La Cappella del sotterraneo: mai una un ambiente fu chiamato in modo più eufemistico. Per un lungo periodo, nel pieno della repressione dei movimenti cosiddetti eretici, il monastero era stato sede del Tribunale della Santa Inquisizione e quasi tutti i processi per eresia e stregoneria impiantati nella regione, si erano svolti tra quelle mura. Considerati colpevoli a priori, gli eretici e le streghe portati in giudizio dall’Inquisitore, avevano ben poche possibilità di salvezza. Per estorcere la confessione, ritenuta indispensabile segno di pentimento, il tribunale si era dotato di tutte le attrezzature e strumenti di tortura che la tecnica dell’epoca offriva. Quei derelitti, giustamente o ingiustamente accusati, avevano un solo modo certo per dimostrare la loro innocenza: sottoporsi al “Giudizio Divino”. Anche in questo caso, però, non c’era scampo. Il Giudizio Divino era una prova mortale e l’innocenza era dimostrata soltanto dalla morte stessa. La sopravvivenza alla prova, era considerata sintomo di protezione da parte delle forze del male, e quindi inequivocabile segno di colpevolezza.Negli annali dei processi, non c’è descritto un solo caso in cui uno degli imputati fu riscontrato innocente. L’anima più pura, lo spirito più incolpevole, la fanciulla più casta, tutti confessarono le più orrende nefandezze pur di far cessare i tormenti delle torture o del “Giudizio Divino”. La pantomima dell’esortazione al pentimento, sadismo puro mascherato da intenti sacri e caritatevoli, veniva rappresentata nei sotterranei di quello stesso monastero, in una enorme, lugubre stanza, perfettamente attrezzata per tutte le torture più sadiche e perverse che la mente umana avesse mai escogitato; nella sala chiamata: Cappella del Sotterraneo. All’apparire della Badessa, il sangue delle tre suore si fece acqua. Suor Guendalina, obbedendo all’ordine della Badessa, le aveva lasciate sole, incatenate ad uno dei tantissimi anelli che adornavano le pareti del vasto e tetro salone. Mossa da un senso di commiserazione e pietà per la loro sorte, non aveva voluto infierire più del necessario. Le catene che imprigionavano le tre donne erano abbastanza lunghe da permettere qualche passo; ed in più, uscendo, fece finta di dimenticare, accesa, la grossa lampada ad olio che rischiarava gran parte dell’ambiente.Nella lunga attesa, le tre donne si erano strette una con l’altra, cercando di rincuorarsi a vicenda; ricordando, una all’altra, tutti i servizi resi nel tempo, le dimostrazioni di amicizia e di benevolenza di cui avevano goduto da parte della Badessa. Anni di fedele servizio non potevano essere cancellati da quella sciocchezza. Sicuramente le avrebbe perdonate. Bastò uno sguardo per capire che avevano sperato invano. Con angoscia, avvertirono il tonfo della pesante porta che si richiudeva alle spalle del gruppetto appena entrato. Scioccate e con il cuore ricolmo di terrore, videro avvicinarsi coloro che avevano occupato i loro posti. I loro occhi, abituati alla penombra, furono quasi accecati dal chiarore che emanarono tutte le lampade ad olio repentinamente accese. Più che vedere, sentirono le loro caviglie liberate dalle catene e le mani delle tre neo promosse strattonarle per portarle al cospetto della Badessa che, sganciata dal muro, a fianco della porta d’ingresso, un gatto a nove code, si era diretta, facendo schioccare nell’aria le terribili strisce di cuoio, verso la “Delizia delle Streghe”: la poderosa colonna centrale che sorreggeva le volte del salone. La superficie laterale di quella colonna, fino all’altezza di circa due metri, era irta di piccoli ed acuminati aculei; alla base ed in alto, oltre gli aculei, erano saldamente infissi parecchi anelli di ferro da cui pendevano catene di varia lunghezza terminanti tutte con bracciali dalla chiusura a scatto. Di solito, nel periodo di maggiore attività dell’inquisizione, quello era l’inizio del cammino di redenzione e pentimento. Molte volte, negli ultimi anni, le tre sventurate avevano collaborato con la Badessa, molto spesso con smodata ferocia, alle sevizie cui venivano sottoposte le consorelle colpevoli di inosservanza alla Regola. Adesso, loro stesse avrebbero sperimentato, sulla loro pelle, quello stesso percorso di pentimento e redenzione. Suor Chiara Paola, la più giovane delle tre, fino a quella mattina altezzosa ed onnipotente istitutrice delle novizie, crollò, letteralmente, ai piedi della ex protettrice, implorandone il perdono.- Tu, proprio tu, pezzente stracciona su cui facevo tanto affidamento, tu ora osi chiedere il mio perdono. Quando ti ho accolta in queste sante mura, non sapevi fare altro che mungere le capre. Ti ho istruita, ti ho fatto studiare, ti ho innalzata al rango di istitutrice delle novizie, e così ripaghi la mia benevolenza? – Le corregge di cuoio del gatto a nove code, si abbatterono all’improvviso sulla schiena della donna inginocchiata. Fortunatamente per lei, il ruvido tessuto del velo ed i pesanti abiti, attutirono notevolmente l’inaspettato e violento colpo. – Spogliala completamente e appendila alla colonna, faccia al muro. – ordinò a suor Benedicta, la nuova istitutrice delle novizie, mentre, come una furia, si dirigeva verso un lato del salone in cui troneggiavano alcune sinistre strutture in legno – Di lei ci occuperemo tra poco; intanto potrà meditare sulla virtù della riconoscenza. Geltrude, Maddalena, – ordinò alle altre due neo promosse – portatemi qui quelle altre disgraziate. -Strattonate e spintonate per vincerne la comprensibile riluttanza, le due sventurate furono poste di fronte alla Badessa. – Maria Chiara, il mio braccio destro. – l’ex Priora abbassò il capo in silenzio, sapeva che per lei sarebbe stato molto peggio che per le altre – Come ho fatto a sbagliarmi così? Da quanto tempo tradisci la mia fiducia? Zitta, risparmiami almeno le tue bugie. – la zittì appena vide un accenno di risposta, poi, indicando le catene che pendevano da due carrucole distanti un paio di metri una dall’altra, ordinò di sollevarla appesa per i piedi.Uno spettacolo osceno ed altamente erotico. La gonna del saio, trattenuta in vita dalla cintura di corda, era scivolata in basso lasciando gambe e bacino completamente scoperti. Soltanto le calze di lana grezza, legate sul ginocchio da una sottile striscia di tela, interrompevano quella superba nudità. Gli agi e la decente alimentazione del convento avevano contribuito a mantenere in perfetta forma quella notevole quarantenne. Dall’incrocio delle gambe spalancate, emergeva un nero ciuffo di peli, mentre le natiche, frementi per lo sforzo sostenuto dalle braccia per alleviare il dolore che procuravano le legature ai piedi, si mostravano nella loro munifica rotondità. Uno, due, tre, quattro colpi di flagello piombarono improvvisi e violenti esattamente al centro delle cosce, strusciando, nella loro rincorsa, nel solco delle natiche. Si udì un unico urlo atroce, attutito dagli indumenti che le coprivano il capo, prima che la frusta si abbattesse nuovamente, altre quattro volte di traverso sulle natiche lasciando innumerevoli striature rosse. Ormai la donna, perso l’appoggio a terra delle mani, oscillava come un pendolo ululante inumane grida di dolore.- Geltrude, tira quella corda e alzala ancora un po’. Poi toglile la tonaca. Finché non avrà finito la sua penitenza, non è degna di indossare questo santo abito. -Aiutata da suor Maddalena, Geltrude sollevò il corpo della ex Priora finché le braccia non poterono più toccare terra, poi, quasi infilandosi sotto la tonaca pendente, sciolse la cintura. Non più sorretto in vita, il saio cadde a terra sfilandosi dalle braccia della donna protese verso il basso. Oltre alle calze, adesso le erano rimasti indosso soltanto la fascia che le contornava il torace all’altezza del seno ed il soggolo di candido lino inamidato. Altre quattro volte il flagello si abbatté sulle carnose natiche della suora. Le sue grida, questa volta, arrivarono in tutta la loro pienezza all’orecchio della Badessa che guardò compiaciuta le lunghe strisce rosse che si erano formate sul corpo della sventurata, evidenziando i punti su cui si erano abbattuti i flagelli della frusta. A gesti, più che a parole, la perfida Badessa ordinò a Geltrude e a Maddalena di munirsi di due robuste stecche di legno posate su un bancone lì vicino. Le pose una avanti ed una alle spalle della sventurata, ad un paio di metri di distanza da quel corpo appeso, ed ordinò di colpire.Ben presto le due aguzzine trovarono il giusto ritmo: colpivano quel pendolo umano, all’apice di ogni oscillazione: una sulle natiche o sulla schiena; l’altra sulla pancia o sui seni. Sembrava che Suor Chiara, l’ex potentissima Priora, stesse andando in altalena, soltanto che le urla che emetteva ad ogni “spinta”, non erano certo gridolini di gioia e di divertimento.Come inizio, la Badessa non aveva di che lamentarsi: Suor Chiara Paola, appesa nuda alla colonna centrale, tentava tra innumerevoli lamenti, ma con scarsi risultati, di non appoggiarsi alle punte acuminate degli spuntoni che le martoriavano il seno, la pancia, le cosce; suor Maria Chiara appesa per i piedi, metteva in evidenza un culo veramente degno di nota, che sembrava chiedere, nel suo scomposto agitarsi, colpi sempre più vigorosi per mantenere inalterata la terribile oscillazione che i colpi stesso le imponevano.Restava suor Beata della Natività, l’imponente ex Madre Portinaia. Per lei, la Badessa aveva riservato un trattamento molto particolare. Le altre volte che il vecchio Capitolo si era riunito nella Cappella del seminterrato per far percorrere ad altre disgraziate la strada del pentimento e della redenzione, la Badessa aveva avuto modo di notare che per la Madre Portinaia, la strada del pentimento aveva un percorso ben preciso: le mammelle delle penitenti.Suor Beata aveva una predilezione particolare per quella parte del corpo. Per quanto tutte tendessero a mantenere il più stretto riserbo su quanto avveniva nella Cappella, alla lunga, la voce era circolata: tutte le suore sapevano che avere un bel seno significava incappare molto spesso nelle attenzioni della Madre Portinaia e le novizie con i seni più sodi e prosperosi, avevano dovuto ben presto sperimentare la sua ferocia, il suo sadismo nell’infliggere torture a quegli organi tanto delicati e sensibili.La Badessa si era chiesta più volte il perché di quella particolare predilezione, che, a ben vedere, non rientrava molto nei canoni della punizione corporale in uso in quell’epoca. La spiegazione più verosimile cui era giunta, era quella che voleva suor Beata gelosa della bellezza e forse anche della grandezza del seno delle consorelle. Lei stessa, infatti, era dotata di un paio di tette talmente notevoli, che neanche la stretta fasciatura che le suore erano tenute a portare intorno al torace, riusciva a mascherare. Là, proprio sulla parte del corpo da lei prediletta, si sarebbe abbattuta la punizione della Superiora.Quando la Badessa decise che era giunto anche il suo momento, negli occhi di suor Beata si poteva leggere tutto il terrore che provava nell’essere strattonata verso il tavolaccio, dalle tre consorelle neo promosse. All’ordine della Superiora di denudarla fino alla cintola e legarle gli arti alle carrucole di tiraggio, l’ex portinaia comprese che stava per subire lo stesso trattamento che lei stessa aveva tanto amato dispensare alle consorelle che avevano avuto la sventura di essere affidate a lei per il percorso di redenzione.Sorella Benedicta, la giovane neo istitutrice delle novizie, si mostrò particolarmente zelante nell’eseguire l’ordine ricevuto, forse perché, pochissimi anni prima, durante il noviziato, era stata lei stessa oggetto “dell’aiuto al pentimento” da parte della più anziana consorella. Prendendo in mano la situazione, la giovane si era piazzata davanti alla rea, strappandole dal capo: velo, soggolo e pettorina. La folta capigliatura della donna, non più sorretta e nascosta dal sottovelo che le incorniciava il volto, le ricadde fluente sulle spalle denunciando un’altra grave infrazione alla Regola: il mancato taglio dei capelli. Fu proprio afferrandola per la lunga chioma corvina, che suor Benedicta impose la sua volontà alla consorella molto più prestante di lei. Strattonandola violentemente, la costrinse a sciogliere i lacci, fino allora nascosti dalla lunga pettorina, che chiudevano il saio sul davanti. Agevolmente, le altre due consorelle fecero scivolare l’indumento dalle spalle, mentre la stessa Superiora provvedeva a srotolare la fascia che le copriva e comprimeva il seno veramente eccezionale. Più che tette, alle donne che la guardavano meravigliate, sembrarono due otri pieni; due grossi, candidi cocomeri. Le areole, particolarmente scure, spiccavano enormi su quel candore: erano più grandi del palmo di una mano, ed al centro, sporgevano i capezzoli, eretti e duri, spessi come pollici di un contadino.Con la morte nel cuore, la giunonica donna si sdraiò sul tavolo. Le afferrarono le mani facendole stendere le braccia al di sopra della testa. Quattro cinghie di cuoio bloccarono agli angoli del tavolaccio, gambe e braccia: ora la donna era veramente impossibilitata a muoversi.In quella posizione le grosse mammelle si erano espanse sul torace sembrando ancora più enormi.Guardando con ferocia quelle gelatinose colline, la Badessa si avvicinò al muro di pietra, sganciando da un anello una spessa striscia di cuoio munita di una corta impugnatura di legno.Avvicinandosi al tavolo ebbe cura di far dondolare l’attrezzo davanti agli occhi della donna distesa. Grosse gocce di sudore stillarono dalla fronte di Suor Beata: stava per sperimentare i medesimi “piaceri della redenzione” che tante volte lei stessa aveva elargito alle consorelle.Il primo colpo, forte, feroce, si abbatté su quel grandioso seno appiattendolo. L’urlo che eruppe dalla gola della donna esprimeva tutta la sua angoscia ed il suo dolore. La bocca spalancata stentava a far rientrare nuovamente l’aria nei polmoni. Colpire liberamente e con estrema ferocia quelle enormi mammelle, aveva portato la Badessa ad uno stato di eccitazione raramente provato in passato. Sentiva il sangue pulsarle nelle vene come nei bei momenti in cui riusciva ad eccitarsi tra le braccia delle sue amanti. Un piacevole calore cominciò ad espandersi dalle sue viscere per fermarsi, potente e piacevole in mezzo alle sue cosce. Ogni volta che con la cinghia colpiva quegli enormi capezzoli, una potente pulsazione contraeva i suoi muscoli vaginali. Capiva, dal senso di bagnato che avvertiva in mezzo alle cosce, che l’inizio degli orgasmi a raffica che di solito la gratificavano in quelle circostanze, non era molto distante.Le urla si susseguivano incessanti come i colpi che piombavano inesorabili su quel torace indifeso. – Allora, pensi ancora di essere tanto indispensabile da potermi tradire impunemente? – Non era una domanda fatta per ottenere una risposta. Suor Beata lo sapeva bene. Non pensò neanche lontanamente di rispondere. Conosceva troppo bene il modo di fare della Badessa per pensare che il suo supplizio stesse per terminare. I colpi, infatti, erano cessati, ma l’ex Portinaia sapeva che non poteva permettersi di rilassarsi: il peggio doveva ancora arrivare ed arrivò, infatti, molto presto. Con gli occhi serrati, in attesa che la fustigazione riprendesse, suor Beata della Natività avvertì uno strano movimento attorno a lei. Spalancò, terrorizzata, gli occhi appena in tempo capire quello che stava succedendo: la Badessa era salita sul tavolaccio con le gambe divaricate ai lati della sua testa e si stava accosciando avvicinandole la vagina alla bocca. La perfida donna si era alzata il saio fino sul ventre ed ora premeva il suo sesso grondante di umori, sul viso della sventurata. – Già mi hai deluso in modo incredibile con il tuo silenzio; vedi di usare bene la tua lingua almeno adesso; non deludermi ancora di più se non vuoi diventare vecchia in una delle segrete. -Suor Beata quasi non riusciva a respirare: la vagina della Badessa premeva sulla sua bocca strofinandosi come in una lasciva masturbazione. Improvvisamente le mani dell’aguzzina artigliarono i due grossi seni, stringendoli e strizzandoli con ferocia.- Avanti, cosa aspetti a cominciare a leccarmi la fica? Forza, datti da fare. -Più che schiaffi, ora su quelle mastodontiche mammelle piovevano veri e propri pugni; cattivi, dolorosi, mirati con malignità sul tessuto spugnoso più sensibile ai maltrattamenti. La perfida Badessa si accaniva così, su quegli splendidi globi, istigando con ferocia la vittima a penetrarla sempre più a fondo con la lingua; a succhiarle il clitoride finché, appagata, non scaricò in quella bocca tutto il suo piacere, tutta la sua lussuria. Le grida delle due donne per un attimo si mescolarono innalzando un unico coro di dolore e di piacere.Per un attimo sembrò che tutto fosse finalmente finito; che l’ordalia avesse raggiunto il suo apice e con lui la sua conclusione: non fu così.Ancora leggermente stordita dal dolore dei colpi ricevuti, suor Beata avvertì improvvisamente il cigolio di una carrucola al di sopra della sua testa: un cigolio che lei stessa conosceva molto bene. Suor Benedicta stava calando la pesante ghigliottina per i seni: una specie di tagliola che avrebbe morso tra le sue ganasce munite di numerosi aculei lunghi non più di tre centimetri, i seni della ex madre priora. Incominciò a piangere ed implorare nel momento in cui sentì i capezzoli afferrati da due mani e tirati violentemente verso l’alto: conosceva bene l’atroce dolore che stava per invaderla. Avvertì, più che sentire veramente, la ferrea bocca dentata ingoiare i suoi preziosi seni: uno scatto e la molla si richiuse rudemente su di essi. Gli innumerevoli, fini aculei si fecero prepotentemente strada nelle sue delicate carni. L’urlo di dolore che la giunonica suora emise fu distintamente udito in ogni angolo del convento. Il dolore la faceva impazzire. I suoi seni erano martoriati tra le due mandibole di ferro che li strizzavano.La badessa guardò lo spettacolo con un ghigno feroce sulla bocca; doveva ancora tenere serrate le cosce per non abbandonarsi, di fronte alle consorelle, ad una nuova masturbazione; questa volta manuale: non era dignitoso.- – Tirate quella corda, fino a sollevarla dal tavolaccio. Deve imparare cosa significa tradire la mia fiducia -.Suor Benedicta e Suor Maddalena non si fecero ripetere l’ordine una seconda volta; troppi conti in sospeso avevano con l’ex Madre portinaia: afferrarono la corda che reggeva la pesante tagliola e tirarono con tutto il loro peso.Alla povera Suor Beata sembrò che i seni le si stessero staccando dal petto; cercando di vincere l’immenso dolore, tentò di sollevarsi facendo forza sulle mani e sui talloni, ma fu tutto inutile. Finché non videro i suoi arti stesi e messi in tensione, le due suore non smisero di tirare.Suor Chiara Paola, intanto, aveva smesso di lottare per evitare le punture degli aculei infissi nella colonna. Per quanto le catene glielo consentirono, si era gettata all’indietro, evitandone così il contatto con gran parte del corpo. Era terrorizzata dalle urla che sentiva provenire dalle sue spalle. Non sapeva esattamente cosa stesse accadendo alle due sventurate consorelle, e rifiutava anche di immaginarlo. Sapeva bene che la sua dura punizione doveva ancora cominciare. Ad un tratto tutto sembrò calmarsi; la giovane suora udiva soltanto un continuo flebile gemito uscire dalle labbra di Suor Beata; poi, un colpo violentissimo sulle natiche rilassate la spinse violentemente contro la colonna. La perfida Badessa aveva preso una robusta stecca di legno e con quella l’aveva colpita con tutte le sue forze.- Credevi di cavartela con così poco? Per te il bello deve ancora arrivare. Staccatela da questa colonna e legatela, piegata, sul cavalletto basso -.Suor Geltrude si incaricò di staccare la giovane donna dalla colonna mentre le altre due allargavano i lacci posti alle estremità inferiori delle gambe del cavalletto. Poco camminando per suo conto, molto trascinata dalla consorella, Chiara Paola si accostò al suo luogo di tortura. Non aveva idea di cosa la aspettasse. Di solito il cavalletto era usato per punire le corrigende con fustigazioni sulle natiche, ma quella punizione era già stata destinata a suor Maddalena. Difficilmente la Badessa impartiva punizioni uguali in contemporanea: le piaceva variare.Rudemente le consorelle la appoggiarono con il ventre alla parte imbottita del cavalletto, poi la obbligarono a piegarsi finché riuscirono a legarle gli arti ai legacci che avevano predisposto. Ora, piegata quasi letteralmente in due, le sue parti intime erano oscenamente aperte e visibili a tutti. Fu più per la vergogna che per il pensiero di cosa stava per accaderle che la giovane sbottò in un pianto dirotto. – Ora apri la bocca per piangere, – la apostrofò prendendola in giro la Badessa. – soltanto ora ti decidi ad emettere un suono da quella bocca. L’hai voluta tenere serrata fino all’ultimo, ed ora io te la farò aprire in modo che tu capisca che con me devi la devi sempre tenere aperta. Portatemi il divaricatore a cono -.La giovane si sentì morire. Adesso sapeva, e per tante ragioni avrebbe preferito non sapere.Una specie di grossa pinza di ferro fu messa in mano alla Badessa. Era uno degli attrezzi che più veniva usato sulle streghe ai tempi della santa inquisizione: una specie di cono diviso in due parti per il senso della lunghezza ed ogni parte applicata ad una ganascia delle pinze. Allargando i manici delle pinze, si otteneva l’allontanamento delle due parti del cono. La badessa si portò lascivamente alle spalle della sua ex fida consorella, accarezzandole insistentemente le natiche, sempre più verso il centro, fino ad incontrare l’inviolato buco posteriore, nel quale, improvvisamente infilò due dita fino alle nocche. Legata com’era, suor Chiara Paola non poté fare nulla per sottrarsi a quella brutale intrusione. – Allora, mia cara, hai capito? Ti allargherò da questa parte finché non imparerai che con me non devi mai tenere la bocca chiusa. -Senza un minimo tentennamento la badessa accostò la punta del cono al buco del culo della sventurata e lo spinse dentro fino quasi all’orlo superiore.Le grida di suor Chiara superarono di molto quelle lanciate da suor Beata quando le avevano tirato i seni con la tagliola. Scuoteva violentemente le anche tentando di far uscire quel grosso cuneo che le straziava il culo, ma del tutto inutilmente: la Badessa, serrando fortemente l’attrezzo, provvedeva a tenervelo ben saldo dentro. Appena vide la giovane calmarsi un poco, afferrò con le due mani i manici della pinza cominciando ad aprirli. Le due parti del cono si allontanavano man mano che i due manici si aprivano. Suor Chiara Paola sembrò restare senza voce tanto fu alto l’urlo che emise.- Ma sentitelo adesso come canta il mio usignolo; a proposito, sembra che le altre abbiano smesso di cantare. Datevi da fare – ordinò al nuovo stato maggiore – non voglio che pensino che con loro abbiamo finito o che siano venute qui in gita di piacere. -L’ordalia riprese più violenta e indegna di come era cominciata.Per buona parte della notte, risuonarono, appena affievolite dallo spessore delle mura, le grida delle sventurate suore. Per ore, proseguì, implacabile, l’erotica vendetta della Badessa. A turno, le tre donne finirono per subire gli stessi trattamenti in una rotazione orgiastica che non sembrava avere mai fine. Ognuna prese il posto dell’altra finché tutte e tre non ebbero subito gli stessi inumani trattamenti. Quando la Badessa, insieme al suo nuovo stato maggiore, uscì dalla Cappella del sotterraneo, sazia, ed ancora inebriata dai piaceri dell’orgia che si era regalata, lasciò tre corpi nudi, prostrati a terra, distrutti dal dolore e dalle innumerevoli sevizie ed umiliazioni subite. Prima di addormentarsi, distesa sull’ampio letto della sua lussuosa cella, si concesse ancora il piacere di un’ultima masturbazione, riandando, con la mente, ai piaceri che le avevano procurato le tre bocche diverse che avevano avuto il privilegio di succhiare e leccare la sua fica. Venne di nuovo, in un grandioso orgasmo, ripensando alle vibrazioni delle grida lanciate nella sua vagina mentre, seduta su quelle bocche, colpiva, strizzava, frustava quei corpi che le stavano dando tanto piacere.Poche, tra le consorelle più anziane, riuscirono ad ignorare quello che stava accadendo sotto di loro, ed a prendere sonno. Le altre, dormirono a tratti, risvegliate brutalmente da un grido più straziato o più alto. Tutto il restante gruppo delle novizie non riuscì a chiudere occhio. Le indiscrezioni su cosa sarebbe successo quella notte nella Cappella del sotterraneo, bisbigliate furtivamente durante il breve momento della ricreazione dopo il pasto serale, avevano terrorizzato le giovani donne; e le grida straziate che udivano nella notte non servirono certo a rasserenare il loro animo. Elisabetta, Margherita, Caterina e Sara, le quattro novizie incappate nell’ira della Madre Superiora, trascorsero una notte insonne in preda all’angoscia.Ognuna, rinchiusa in una piccolissima cella di segregazione dei sotterranei, ebbe modo di ascoltare tutta la giustizia della Badessa. La vicinanza con la Cappella del sotterraneo, aveva permesso alle ragazze di udire distintamente, oltre le grida, anche il rumore prodotto dagli attrezzi usati per la redenzione.Il terrore che attanagliava i loro cuori, impedì alle giovani ricevere anche il semplice conforto dell’oblio del sonno. Nessuna riuscì a chiudere occhio se non a tratti, e molto dopo l’alba, stremate dalla stanchezza e dalla tensione.
Aggiungi ai Preferiti