Passarono dieci giorni da quella notte insolita.Avevo rivisto Giusy in un paio di occasioni, questa volta a casa mia.Si filava in perfetto amore, devo dire. Giusy era diventata, sotto la mia guida, un’amante instancabile.Trovavo meraviglioso stare con lei: ma sapevo che non avrei potuto permettere che la relazione durasse troppo. Anzi, avrei dovuto troncarla con qualche scusa entro pochi giorni.Si era rifatta viva anche Daniela, telefonandomi. Voleva vedermi, disse che sentiva una certa nostalgia di me. Le risposi che in quel periodo ero molto occupato, e che solamente di lì ad un mese avrei potuto farmi vivo con lei.Lessi la notizia sul giornale prima di quanto prevedessi. La cronaca del fatto, sulla pagina cittadina, occupava soltanto poche righe, quanto viene normalmente dedicato alle disgrazie domestiche. In pratica, diceva che “Una giovane donna aveva perduto la vita in circostanze inconsuete, fulminata da una scarica mentre inseriva una spina nella presa di corrente. La ragazza, appena tornata da un viaggio per mare, non appena giunta a casa aveva fatto una doccia per rinfrescarsi. Poi, recatasi nella propria stanza da letto, aveva cercato di inserire la spina dell’abatjour. La disgrazia è stata forse causata dal fatto che, si presume, le mani della ragazza fossero ancora bagnate mentre si accingeva a svolgere l’operazione.”Questa volta ero stato aiutato anche dalla fortuna! Non potei trattenere un risolino di soddisfazione.Ed ora, sarei potuto tranquillamente passare alla parte successiva del mio piano.Due ore dopo aver letto il “fattaccio”, ad esequie avvenute, formai un numero al telefono. – Si? – rispose una voce. – Lei è Franco, vero? – chiesi. – Si, sono io. Lei chi è? – domandò perplesso. – Non mi conosce. La cosa, comunque, non ha importanza. Almeno per quello che devo dirle. – feci io. – E cos’è che mi vuole dire, scusi? – domandò. – Penso di sapere qualcosa che forse le farà piacere apprendere, circa la morte di una sua… diciamo, conoscente. – dissi. – Sta parlando di Raffaella? – fece quello, agitato. – Precisamente. So certe cose su quelle che potrebbero essere state le circostanze della sua morte. Ma non intendo parlarne alla polizia: so già che non mi crederebbero. Loro hanno già archiviato la cosa come morte accidentale e… lei conosce la nostra polizia, prima di andarsi a scomodare con un caso del genere… – – Sta cercando di dirmi… Vuol dire che non è stata una disgrazia? – domandò lui sempre più concitatamente. – Precisamente. Ma, come le ripeto, intendo parlarne soltanto con lei. Solo lei può fare qualcosa per dare alla polizia indizi sufficienti a riaprire il caso. Prima, però, vediamoci. Le spiegherò tutto. Non mi va di parlarne al telefono. – – D’accordo, ma certo. – fece lui.Fissai un luogo ed un’ora per l’appuntamento.Non fece obiezioni sul luogo: osservò però che l’ora gli pareva assai tarda. Gli spiegai che non mi era possibile liberarmi prima da certi impegni.Ci salutammo, deposi il ricevitore.Non l’avevo ancora abbandonato con la mano che immediatamente udii squillare il campanello dell’apparecchio. – Sempre in forma, eh? – udii la voce odiosa di Fiorelli. – Effettivamente non sto poi male, e lei? – risposi acido. – Insomma… se si considerano le malattie e le disgrazie che succedono in giro… – dichiarò mellifluo. – Proprio vero. Se ne sentono… – osservai. – A proposito, ha letto il giornale, un paio di giorni fa? – domandò il detective. – Non ricordo, può darsi. – risposi guardingo. – Non mi dica che non ha letto della disgrazia che è capitata ad una sua… diciamo amica?! – fece lui, calcando sul “diciamo” in modo irritante. – A chi? – domandai fingendo sorpresa. – Chi intende dire? – – Su, su, da bravo, non racconti bugie! Non mi dica che non sa ancora niente di quello che è successo alla sua amica Raffaella?! – fece lui ironico.Tacqui per i cinque secondi che mi parvero necessari. – No!! – gridai esterrefatto. – Senta, lei sta giocando un gioco particolarmente pesante, e abbastanza… oscuro, non so se le va il termine. Ma sappia una cosa, io questo gioco lo scoprirò. Stia attento. – fece Fiorelli, irritato. – Ma se ha detto lei che è stata una disgrazia! Dico, ma è matto o semplicemente ce l’ha su con me? – feci io, indignato. – La saluto, signore. Ricordi quello che le ho detto. Lei è una persona intelligente, ma io non sono uno stupido. Comincio a vedere in queste sue azioni da folle qualcosa di stranamente razionale. Ancora mi sfugge qualche particolare: ma non appena anche questo mi sarà chiaro, lei potrà considerarsi finito. Buona sera, signore. – ripetè.Appese. – Buona sera. – mormorai nell’apparecchio muto. Sorrisi.Altro squillo. Questa volta il campanello d’ingresso.Andai ad aprire, e non fui troppo stupito trovando sulla porta Giusy. – Ciao amore! – feci con trasporto. – Amore un corno! – disse lei entrando come una furia. – Dov’è? – – Dov’è?? – la guardai stupito. – Dov’è chi? -Giusy in trenta secondi aveva già ispezionato buona parte del piccolo appartamento, non esclusi gli armadi. – Dov’è? – ripetè, guardandomi negli occhi come per fulminarmi. – Ma Giusy! Che cavolo cerchi, insomma? – feci io, nervoso. – Dov’è la tua amante! Dove la tieni? – mi gridò lei infuriata. – Qui, la tengo! – dissi, aprendo un cassetto.Mi guardò in un certo modo: poi, il suo sguardo lentamente andò addolcendosi. – E allora perchè? – mi chiese. – Hai ragione amore, sono un mostro. Ma ho un sacco di cose da fare, veramente, sono preso fino al collo. Non è colpa mia, credimi! – dissi con aria supplichevole. – Come, un sacco di cose da fare! Se vengo qui e ti trovo bello tranquillo con le mani in tasca! – osservò lei.Già, che scusa cretina! Non potevo darle torto. – Senti Giusy: in questi giorni ho la testa presa con un sacco di storie. Vedrai finirà presto. E poi potremo stare insieme finchè ci pare. – dissi queste parole in tono dolce e calibrato; avevo deciso che, dopotutto, mi sarebbe bastato tenerla alla larga per quegli ultimi giorni cruciali. Poi, si sarebbe visto; dipendeva da come sarebbe andata una certa cosa.Lei mi guardò con amore: pensai che mi ero fatto incastrare un’altra volta come un imbecille. – Non hai un minutino nemmeno adesso, per me? – domandò facendo le smorfiette che mi piacciono tanto e stringendomisi addosso.Era diventata un’affamata di sesso e non potei fare altro che trascinarla in camera, e cadere con lei sul letto.Ne avevo voglia, dannatamente voglia: una di quelle voglie esasperanti, distruttive. Avrei dovuto frenare l’impulso esagerato che mi sentivo crescere dentro in quel momento: non volevo farle del male. – Questa sera voglio farti provare qualcosa di nuovo, sai? – le sussurrai all’orecchio. – Tutto quello che vuoi, lo sai. – mi rispose, abbandonandosi completamente nelle mie braccia. – Ma hai capito cosa voglio fare? – chiesi. – Forse si… non lo so. Ma non m’importa. Tutto quello che tu vuoi fare di me, puoi farlo. – disse cercando la mia bocca con la sua.Ci baciammo in modo furioso: le nostre lingue rotearono instancabilmente per infiniti minuti, cercandosi, allacciandosi, lambendosi.Ci spogliammo a vicenda, con furia, strappandoci quasi gli abiti di dosso.Corsi subito con la mano ad occupare simbolicamente la zona che intendevo prepotentemente possedere di lì a poco. – Voglio questo, hai capito? – le sibilai all’orecchio. – Se lo vuoi, amore, lo sai, puoi fare di me quello che vuoi. Non mi farai male, vero? – disse lei. – Cercherò di non fartene troppo, ma un po’ di male lo sentirai. Se tu mi aiuterai la cosa sarà più sopportabile. D’altronde anche davanti, la prima volta, non sono state solo rose e fiori, no? – cercai di rabbonirla.Scesi, lentamente con la bocca, coprendo di un lungo bacio interminabile tutto il suo dorso, e poi i suoi fianchi, le natiche nervose, piccole ma rotonde.La mia lingua trovò lo stretto orifizio circondato da pochi, sottili peli castani, penetrò in esso forzandolo leggermente, lo cosparse di un velo umido, roteò dolcemente in esso provocando un sussulto nei fianchi di Giusy.Le cosce aperte, che stringevo con forza tra le mani, ebbero un guizzo e s’irrigidirono quando sostituii la lingua con un dito esploratore. Il muscolo si serrò di scatto attorno al mio dito. – No, non così – sussurrai – rilassati. Non ti farò male. -Introdussi il dito ancora più a fondo e lei gridò, inarcandosi. La via mi appariva assai stretta: compresi che non avrei potuto forzarla senza provocarle un dolore cocente.Nondimeno, decisi che avrei tentato.Bagnai di saliva l’apertura di quel tempio, fino a sentirmi la bocca divenire secca. – Ora bagnami un po’ tu. – dissi risollevandomi.Giusy chinò il viso e subito sentii il bruciante contatto delle sue labbra: la sua saliva cosparse abbondantemente il mio pene. Vidi, quando la bocca lo ebbe liberato, rivoletti lucenti scendere con lentezza lungo la sua superficie. – Mettiti in ginocchio, ora. Ecco, così. Adesso tieniti aperte le natiche con le mani, ecco, più aperte che puoi. – la mia voce era roca per l’emozione.Vidi la pelle delle natiche di Giusy sbiancare tanto tenace e nervosa era la stretta di quelle dita che le tenevano divaricate. L’apertura appariva ora più ampia, la pelle più scura che la contornava la faceva quasi apparire come un capezzolo rovesciato; una piccola crespa ne determinava il margine inferiore. Avvicinai la punta del mio pene a quella bruna rosellina, e cominciai a spingere. Pensai che le avrei fatto sicuramente male, anche se avevo intenzione di introdurlo lentamente, sarebbe stata ugualmente una lenta tortura. – Amore mio, ti amo – mormorò Giusy. – Ma ti supplico! Ti scongiuro! Non farmi male!… – – Mi spiace tesoro – le dissi di rimando – ma credo che sentirai un po’ di male. Sei molto stretta, sai? -Spinsi e Giusy iniziò a gridare. Affondò la faccia nel cuscino per soffocare le sue urla, ma le mani sulle natiche non mollarono la presa.Era duro penetrare così. Ad ogni spinta sentivo lo sfintere dilatarsi di poco, rispetto all’enormità che doveva inghiottire. Ad ogni piccola dilatazione il corpo sotto di me sussultava, emetteva urla soffocate. Le gambe della ragazza si agitavano convulse sul letto. – Prova a spingere, Giusy. – le consigliai. – Come… come, spiegami… – gemette lei, con voce soffocata. – Come se fossi al gabinetto, hai capito no? – chiarii.Lei respirò forte, e d’improvviso sentii l’ostacolo cedere un poco, allentare la stretta. Sentii lo sfintere come una bocca avvilupparmi il glande. Giusy urlante si inarcò e si tese come un arco.La sentivo piangere e tremare, forse dovevo averle provocato delle lacerazioni ed anche se il più era fatto, la vedevo scossa dal dolore ad ogni mia piccola avanzata. Lo introdussi con una lentezza estenuante, per non farle troppo male, ma forse ottenni il risultato opposto osservando i suoi contorcimenti spasmodici e ascoltando i muggiti che provenivano dal cuscino.Aveva il volto ormai completamente rigato di lacrime, quando sentii la massa fresca delle sue natiche, premuta contro i peli del mio pube. – Ora cerca di rilassarti più che puoi. Vedrai che il male sparirà presto. – consigliai a Giusy.Restai immobile dentro di lei per qualche secondo, poi iniziai a muovermi con lentezza studiata, pensando che lei stava provando una sofferenza infernale mentre le dilatavo l’intestino in maniera incredibile, il dolore all’ano allargato a dismisura doveva essere veramente forte. – Ti piace? – le chiesi. – Si… mi piace. Ma sto morendo di dolore… Toccami, fammi qualcosa. – implorò.Trovai con la mano il suo pube ricciuto ed affondai le dita nella morbidezza aperta e bagnata della vulva.Il movimento dei miei fianchi era compensato dal movimento ondulatorio dei fianchi di lei; le mie dita iniziarono a giocare con il mobile clitoride di Giusy, scendendo lungo le sue lisce pareti per subito risalire, sempre più velocemente.Le sue dita continuavano a tener dilatato quel martoriato buchetto, ne percepivo le nocche tese contro il mio ventre.Ora i gemiti di Giusy suonavano alle mie orecchie ben diversi da quelli che le erano sfuggiti durante l’introduzione. Coordinai il movimento dei miei fianchi a quello che le mie dita andavano esercitando sul suo clitoride, ed anche i fianchi di Giusy mutarono andatura, prendendo un moto rotante ed agile, che mi fece comprendere quale buona allieva avevo trovato in quella ragazza.L’orgasmo crebbe lentamente nelle mie e nelle sue viscere, fino ad esplodere in una convulsa corsa finale, durante la quale non risparmiai di colpi le sudate natiche della ragazza. – Non fermarti… non fermarti… vengo… – gridò, e compresi che avrei dovuto iniettare senza risparmio tutto il mio sperma in quel delizioso piccolo culetto. – L’ho sentito, sai? – mi disse dopo, mentre riposavamo abbracciati. – L’ho sentito entrare, bagnarmi dentro. E’ strano, sai? Quando mi entra davanti, lo sento caldo. Quando invece, come prima, lo spruzzo entra dietro, è freddissimo. Non sapevo che avrei provato una sensazione tanto meravigliosa. Sai, Marzia mi aveva sempre messa in guardia su questo modo di fare l’amore. Lei è ancora vergine da quella parte e non vuol saperne assolutamente. Non sa cosa si perde! – Giacemmo abbracciati per parecchi minuti. – Ora devo andare – disse lei ad un certo punto – Marzia mi sta aspettando. – – State sempre da quel simpaticone? – domandai. – Si, finchè non si rompe le scatole e ci sbatte fuori. – rispose lei. – Ma con Marzia, ci fa l’amore, lui? – domandai. – Vorrebbe. Ma lei, niente. Così lui si accontenta di spiarci mentre facciamo l’amore io e lei. Dice che si accontenta anche così. – disse lei ridendo. – Senti Giusy, ora ci credi che non ho altre donne, vero? – le chiesi improvvisamente. – Non lo so. Ti amo tanto che avrei paura anche se tu me lo giurassi mille volte. Perchè? – rispose. – Perchè ho bisogno di stare solo, capisci, senza poterti vedere insomma, per qualche giorno; e voglio che tu non creda che io, in questo periodo, ti stia magari tradendo con chissà chi. Capito? – dissi fingendo una severità che mi sarebbe stata impossibile con quel tesoro. – Ma proprio non puoi dirmi cosa devi fare di tanto importante? – chiese lei. – Forse potrò dirtelo, più tardi. – feci io, pensando che avrei dovuto ingegnarmi per trovare una scusa valida da dirle in seguito. – Ma quando, più tardi? – implorò. – Dopo, insomma. Quando tutto sarà finito. – troncai deciso. – Ho capito. Va bene, tesoro, come vuoi tu. – si rassegnò.Si vestì rapidamente, quindi venne a posarmi un bacio sulla punta del naso. – Mi telefonerai, vero, quando potremo rivederci? – mi chiese. – Contaci. – dissi io.Se ne andò.Venne il giorno stabilito per l’appuntamento con Franco. Mi stupii di non essere per nulla agitato. Evidentemente, ci avevo preso la mano.All’una di notte uscii di casa per recarmi sul luogo prefissato. L’appuntamento era per le due, ma considerai che avrei dovuto recarmi a piedi fino al luogo stabilito.Non volevo lasciare la minima traccia dietro di me.Camminai senza affrettarmi, con passo sicuro. Fui contento di poter affrontare la cosa dopo una passeggiata tanto distensiva: mi sentivo decisamente bene.Quando giunsi sul luogo, i fari di una vettura si accesero di colpo: ebbi paura per alcuni irragionevoli secondi.Dall’auto scese un ragazzo giovane, sui venticinque anni. – E’ lei che mi ha telefonato? – mi chiese. – Esattamente. Come sta? – feci io. – Grazie, starò meglio quando lei mi avrà parlato di quella faccenda cui mi ha accennato… – disse – Certo, certo. Stia tranquillo. Prima però ho bisogno che lei mi chiarisca qualche particolare. Quali erano, esattamente, i suoi rapporti con Raffaella? – domandai. – Intende dire se andavamo a letto insieme? Certo, lo facevamo. Ma che importanza può avere, questo? – domandò perplesso. – Lo facevate in modo… soddisfacente? – chiesi, ignorando la sua domanda. – Credo di si, per me almeno, si. – disse confuso. – E per la ragazza? – insistetti. – Sa, lei diceva che fare l’amore era stendersi, aprire le gambe, e sentirsi qualcosa entrare dentro. Mi scusi, sa, l’espressione. Insomma, lei non partecipava molto, era un po’, come dire, un po’ frigida. – confessò. – E se le dicessi che con me, invece, ha goduto? – domandai a bruciapelo.Mi guardò attonito. – Ma… chi è lei? Come può affermare… – balbettò. – Io? Niente, una volta. Poi sono stato l’uomo che ha saputo dare alla “sua” ragazza il piacere. L’unica volta della sua vita. – dissi. – Ma lei… – mi guardò spaventato. – Si, io. – dissi con forza, facendo scattare la lama del coltello.Lo immersi per cinque volte nello stomaco del giovanotto.Cadde a terra con un gemito sordo. Mi chinai su di lui: respirava ancora, debolmente, ma respirava.Feci scorrere, premendo leggermente, il filo della lama tutto intorno alla sua gola.Ripulii la lama nell’erba; rimisi il coltello in tasca.Prima di andarmene, spensi i fari della macchina. Se no, pensai dentro di me, si scarica la batteria.La passeggiata di ritorno fu all’inizio abbastanza angosciosa; giunto che fui però a metà percorso, devo dire che mi sentii molto, ma molto bene. Sapevo che questa volta lui non avrebbe telefonato.Sapevo che avrebbe preferito, questa volta, dirmi direttamente quello che pensava di aver capito.Sapevo anche che avrebbe immaginato che i delitti non potevano essere terminati con quello consumato quella notte. Avrebbe anche immaginato che gli sarebbe stato possibile impedire che una quarta persona venisse uccisa.Immaginai la faccia di Fiorelli in quel momento: lo vedevo tracciare linee fuori e dentro di se, il volto aggrottato. Guardai l’orologio. Non mancava molto. Ancora due ore, e mi sarei dovuto recare all’ultimo appuntamento.Il giornale recava con grande evidenza la notizia del delitto commesso la notte prima in quel giardino deserto. Fotografie raccapriccianti mostravano il cadavere insanguinato ritratto in diverse angolazioni.In due righe, l’articolista notava incuriosito, come la tragedia si fosse abbattuta in così breve lasso di tempo sopra i due fidanzati, ricordando che la ragazza era rimasta uccisa giorni prima in una disgrazia “domestica”.Niente di più. Data la zona, la polizia riteneva che si fosse trattato di un delitto maturato nell’ambiente degli omosessuali, pur mostrando qualche perplessità per il fatto che l’ucciso pareva non aver dimostrato certe tendenze, in vita.Perfetto.Quando fu l’ora, misi in tasca l’automatica ed uscii.Anche questa volta mi recai a piedi sul luogo che avevo scelto, con cura, già da diverso tempo.Sapevo che avrei dovuto attendere qualche ora, ciononostante mi affrettai: preferivo, infatti, attendere che essere atteso.La villa, lo sapevo, era disabitata da diverso tempo. Il parco, non grande, doveva essere stato bellissimo, una volta. Ora si umiliava in un abbandono che mostrava feroci ferite: sterpi ed erba alta ovunque, ortica, erbacce.Penetrai nel parco attraverso un foro praticato nella rete di recinzione da qualche monello che, evidentemente, vi si recava per giocare durante il giorno.Raggiunsi con passo svelto la scaletta che discendeva nello scantinato della villa, e mi sistemai comodamente seduto ad attendere che qualcosa succedesse. Da dove mi trovavo, grazie ad un muretto che mi proteggeva parzialmente, potevo dominare buona parte del parco, e nel contempo essere sicuro di non poter essere veduto da chiunque fosse penetrato da dove ero penetrato io.I minuti trascorsero lentissimi.Quando vidi la figura di un uomo penetrare cautamente attraverso il foro, nel parco, attendevo già da circa mezz’ora. Mi congratulai con me stesso per essere stato abbastanza prudente da anticipare i tempi più di quanto avesse pensato di fare il mio antagonista.L’uomo, che vedevo ora camminare cautamente, guardandosi attorno ad ogni passo, parve cercare con lo sguardo un luogo nel quale potersi nascondere.Lo trovò, vidi, in una specie di cascinotto di legno, senza porte, a circa cento metri dal luogo ove mi trovavo.Non appena l’uomo fu scomparso all’interno della piccola costruzione, mi mossi.Uscii cautamente dal mio nascondiglio e, tenendomi rasente il muro, presi ad aggirare la villa. Quando ebbi compiuto intorno a questa una specie di mezzo giro, mi resi conto che i miei calcoli risultavano esatti: ero infatti sbucato su di un piccolo spiazzo di terra battuta, proprio sul retro del cascinotto nel quale l’uomo si era nascosto.Mi avvicinai furtivamente, cercando di non causare il minimo rumore; ed ebbi fortuna, perchè dall’apertura che si apriva sul retro della baracca, vidi l’uomo, inginocchiato presso la porta opposta, turare con la sua sagoma quel punto interrotto della recinzione.Mi voltava le spalle, e si girò verso di me soltanto nel momento preciso in cui lo colpivo decisamente al capo con il calcio della pistola.Fiorelli cadde tramortito, lasciandosi sfuggire di mano il revolver che stringeva.Attesi pazientemente che tornasse in se. – Mi ha fregato. – furono le sue prime parole. – Esatto. E mi stupisce non poco che tutto sia stato così facile, per me. – dissi. – Come lo sapeva? – domandò. – La facevo più sveglio, sa? – chiesi, di rimando. – Perchè? Io sapevo perfettamente che, a una certa ora, lei avrebbe ucciso ancora; e sapevo che l’avrebbe fatto in questo luogo. – disse Fiorelli, massaggiandosi la testa. – Bravo! Ma non sapeva, non aveva intuito, che la persona che avrei ucciso sarebbe stato lei. – dissi sogghignando.Fiorelli mi guardò in un certo modo. – Ha ragione. Ci sono cascato come uno stupido. – disse mestamente. – Uno stupido? No. Lei è, al contrario, una persona molto intelligente. Troppo. E’ per questo che ora si trova qui, ed è per questo che io fra qualche minuto la ucciderò. -Fiorelli mi guardò fissamente per diversi secondi: sembrava quasi che volesse trapanarmi il cervello, con quello sguardo, per capire cosa ci fosse dentro. – Ho capito – disse ad un certo punto – ho perso, ed ammetto la sconfitta. Ma lei mi deve spiegare le cose che non sono riuscito a comprendere. – – E’ giusto – ammisi – le spiegherò tutto quello che lei vorrà. – – Perchè il primo delitto? – mi chiese a bruciapelo. – Quello non lo consideri: fu un raptus. Un raptus meditato ma pur sempre determinato da uno o più fattori incontrollabili. Da anni mi sentivo… non so come dire, defraudato. Avevo molto amato una persona, e per la prima volta in vita mia mi ero sentito ripagato di ciò che prima avevo avuto soltanto in modo molto imperfetto. Ma questo amore non bastava; me ne accorsi ad un certo punto, e compresi che in ogni caso non sarei stato in grado di troncare io la relazione. Ci pensò lui. Ed io fui libero, capisce? Straziato dentro, ma libero. Odiai entrambi, ma nello stesso tempo fui loro grato. Finalmente potevo dedicarmi a soddisfare tutte le mie naturali tendenze senza avere più al piede la palla pesante costituita da quella donna. Ma dopo qualche tempo mi accorsi che la sfrenatezza che ero riuscito a raggiungere non mi soddisfaceva che in modo molto incompleto. Mancava qualcosa, insomma. Una mattina, nel dormiveglia, misi a punto un piano per uccidere quella persona che ritenevo responsabile del mio stato di prostrazione e, se vuole, di squilibrio. – – E così uccise Walter. – fece Fiorelli. – Esatto. E la cosa sarebbe forse finita lì se non fosse intervenuto lei. Compresi immediatamente che non avrei potuto vivere tranquillo finchè lei avesse continuato a credere nella mia colpevolezza. Un giorno o l’altro, lo sapevo, sarebbe riuscito ad incastrarmi. Così studiai il piano. Mi ero accorto subito della sua notevole perspicacia: decisi di utilizzarla a suo danno. Così misi in atto il secondo delitto. Non fu difficile. Oltretutto, mi servì da scusa con me stesso per approfondire un po’… diciamo lo studio di certe mie manie. Raffaella fu eliminata per due motivi: in primo luogo perchè era una delle pedine che mi avrebbero portato ad uccidere lei. Secondo, il suo mito, la venerazione maniacale che continuavo ad avere nei suoi confronti erano crollati nello stesso momento in cui ero riuscito a possederla in modo totale e soddisfacente. Immagino che lei non conoscesse questo risvolto della vicenda, vero? – – Forse non perfettamente, ma conoscevo molte cose su di lei, relativamente alla ragazza. Quando lei la uccise, compresi che qualcosa dovesse essere accaduto prima, fra di voi. – fece l’uomo. – Bene, e ora potrebbe benisimo parlare lei. – dissi. – No, forse non ancora. A quel punto non avevo ancora sufficienti elementi. – confessò. – Non aveva ancora deciso di prendere in mano una pianta della città, allora. – feci io. – No, confesso. Compresi dopo che, se l’avessi fatto, avrei notato senz’altro la strana linea perfettamente orizzontale che collegava i due luoghi delle uccisioni. – disse lui. – Le detti comunque tutti gli elementi immediatamente dopo, vero? – domandai gentilmente. – La ringrazio, per questo. – fece lui compito. – Si figuri. Comunque, compiuto il terzo delitto, compresi che lei era spacciato. Perchè non sarebbe stato possibile che un uomo acuto come lei non avesse osservato che i tre punti, collegati, formavano ora un perfetto angolo di novanta gradi. – – Me ne resi immediatamente conto, infatti. E un po’, devo ammettere, me ne pento. – disse Fiorelli. – Non esageri, suvvia, non è mica la fine del mondo! Comunque, dicevo, lei notò l’angolo di novanta gradi formato dalle linee tirate sulla pianta della città da un luogo all’altro e all’altro ancora. Così come notò che la distanza fra il luogo del secondo delitto dal primo era perfettamente uguale a quella esistente fra il luogo del secondo delitto e quello del terzo. Comprese anche che non avrei senz’altro costruito due rette ad angolo se non avessi avuto l’intenzione di completare la figura. Lei comprese che io intendevo costruire un quadrato, e comprese che ci sarebbe stata una quarta vittima. – – Infatti – fece l’uomo – ma immaginavo che la cosa servisse unicamente per sfidarmi, per prendersi gioco di me e delle mie capacità. – – Anch’io immaginai che lei avrebbe ragionato in questo modo. Per questo la invitai così sfacciatamente ad essere presente sulla scena del mio quarto omicidio. Sapevo che difficilmente lei avrebbe capito di essere le vittima predestinata. Come uomo al servizio della legge, non poteva supporre che io sarei stato tanto sfrontato da sfidarla apertamente e personalmente. Ma ha fatto male i suoi conti. Almeno questi. Gli altri, invece li ha azzeccati. Anche l’ora in cui avrei commesso l’ultimo omicidio. – – Infatti. Mi saltò subito all’occhio – mi interruppe Fiorelli – come il numero dei mesi trascorso fra il primo e il secondo delitto fosse uguale al numero dei giorni trascorsi fra il secondo e il terzo. Capii che questa volta il conto si sarebbe fatto sulla base delle ore. – – Lei è stato fortunato – gli risi in faccia – avrei potuto calcolare la distanza in settimane. – – Non sarebbe stato logico – fece lui – lei era preso dalla frenesia. Sapevo per certo che avrebbe ristretto i tempi, e non avrebbe desiderato dilatarli. Sapevo che il conto l’avrei dovuto fare in ore. – – Bravo – lo interruppi – e così lei ha pensato di prevenirmi venendo qua con un paio d’ore di anticipo. Ma forse io sono stato più bravo di lei, visto che ho saputo prevenirla. -L’uomo mi guardò con sguardo cattivo. – Non penserà di cavarsela, vero? – disse. – Perchè no? Fiorelli, lei sta giocando il tutto per tutto, e non mi sento di impedirglielo. Ma non pretenda che io possa intimorirmi da ciò che mi dice. In primo luogo, la polizia non è a conoscenza di questa faccenda, altrimenti mi avrebbero già arrestato da un pezzo. Per rilasciarmi subito, magari, ma lo avrebbero senz’altro fatto. Secondo, lei di tutto questo non ha parlato con nessuno. Ho fatto anch’io le mie brave indagini, sa? e ho saputo che lei non tiene archivio. Il suo archivio, come lei ama dire, è la sua testa. Mi è stato detto perfino che, da quando suo padre si è ritirato, lei è tanto pignolo da non parlare neppure con lui dei casi che ha in corso d’indagine. Terzo, ci sarebbe stata un’unica persona che avrebbe potuto mettere la polizia sulle mie tracce, una volta completato il mio “quadrato”: la madre di Walter, che le aveva fatto certe rivelazioni sul mio conto. La poveretta, purtroppo, è ospite di una casa di cura già da qualche mese: la sua ragione non ha retto al colpo della morte del figlio. Come vede, pur non essendo mai stato un professionista, non sono nemmeno uno sprovveduto dilettante. Cosa ne pensa? – – Devo ammettere che se esistessero in circolazione altri criminali come lei, non ci sarebbe da fidarsi a scendere in strada. – borbottò Fiorelli mestamente. – La ringrazio del complimento. Vede, a questo punto potrei lasciare ancora una sola traccia, se fossi stupido: ucciderla con la mia pistola, che ha già ucciso. Sarebbe troppo facile. La ucciderò invece con la sua calibro nove, non le pare un particolare geniale? – chiesi.L’uomo rimase in silenzio. – Manca ancora un minuto. Lei è stato ancora una volta fortunato, come vede. Se per caso fosse arrivato più tardi, forse non avrei avuto il tempo di spiegarle tutti i particolari che ancora non aveva compreso. Vede, era inevitabile che lei ci cascasse. Un quadrato, è stato detto, è un labirinto. E lei, in questo labirinto ci si è perso. Mi dispiace, Fiorelli, ma è già ora. – dissi.L’uomo mi guardò rabbioso. – E’ pronto? – domandai puntando il revolver.Fece per precipitarsi su di me, in un ultimo, disperato tentativo. Sparai cinque colpi in rapida successione.Fiorelli cadde a dieci centimetri dai miei piedi.Puntai il revolver, feci fuoco di nuovo, altre due volte, centrandogli la nuca. Mi scansai per non essere investito dallo schizzo di materia cerebrale mista a sangue.Ripulii con il fazzoletto l’impugnatura del revolver dalle mie impronte. Gettai l’arma a terra, a fianco del cadavere, ed uscii dal cascinotto.Mi complimentai ancora una volta con me stesso per aver saputo scegliere quel luogo. Nessuno aveva senz’altro inteso gli spari: le case più vicine si trovavano a circa ottocento metri dalla villa.Inoltre, l’ora da me prescelta era un’ora perfettamente tranquilla. Fra due o tre ore, probabilmente, il luogo si sarebbe popolato di ragazzini usciti furtivamente di casa per recarsi a giocare in quel luogo abbandonato e semi selvaggio. Avrebbero trovato il cadavere. Si sarebbero spaventati, poi avrebbero dato l’allarme.Immaginavo che la polizia, in ogni caso, non sarebbe potuta venire a conoscenza della cosa prima di quattro ore circa. In quattro ore si fanno tante cose.Si riesce perfino a trovare un alibi.Non si sa mai: nonostante la mia apparente spregiudicatezza non avevo mai abbandonato la mia naturale dose di prudenza.Mentre camminavo nella strada polverosa, considerai che, tutto sommato, ero un uomo fortunato.Fortunato perchè non sarei stato più tormentato da vecchi fantasmi. I fantasmi dei morti non mi hanno mai fatto tanta paura quanto quelli dei vivi, infatti.Fortunato poi perchè ora credevo di aver ritrovato, in quella piccola, tenera Giusy, quella parte di me che per tanto tempo era rimasta in volontario letargo.Fortunato, infine, perchè avevo un’amica abituata a dormire in orari impossibili.Sapevo già dove recarmi per procurarmi il necessario alibi.Arrivai dopo un’ora circa sotto l’abitazione del mio alibi. Salii le scale con una certa sicurezza. Non volli neppure considerare la possibilità che lei non ci fosse, o fosse in compagnia di qualcuno.Introdussi la chiave nella serratura e la feci girare silenziosamente.Camminai in punta di piedi, percorrendo il corridoio. Mi spogliai in bagno, per essere certo di non destarla.Entrai nudo nel letto.Daniela continuò a russare tranquillamente per almeno altri venti minuti. Poi decisi che avrei potuto tranquillamente destarla.Il solco lasciato dal mio corpo nel letto era caldo abbastanza da non insospettire neppure un poliziotto.Le soffiai delicatamente sui capelli.Non reagì.Le soffiai sulle palpebre chiuse.Mosse una mano, l’agitò come per scacciare una mosca.Soffiai più decisamente, e questa volta si svegliò. – Oh, ciao, chi si rivede. – fece sbadigliando. – Grazie, sai. – feci io imbronciato. – Sono due ore, esattamente due ore, capisci, che aspetto che sua signoria decida di svegliarsi. E sai che ora è adesso? -Daniela guardò assonnata l’orologio. – Ma è prestissimo! – disse.Non le diedi il tempo di dire altro.

