I miei si erano trasferiti a Livorno e lì conobbi Gabriela, senza la doppia l, ci teneva a dire.Era giovanissima ed aveva un temperamento pazzo. Sapeva essere amante sapiente come donna fatta: mi bruciava il sangue con carezze mutevoli, con i colpi delle piccole mani, con mille stupendi artifici del suo giovane corpo. Sapeva leggermi come si legge un libro: i punti precisi della voglia e dell’ansia, del piacere e della foia; interpretava i misteri dell’amore come una donna esperta. Era serena, con un faccino perfetto nelle proporzioni, una pelle che ricordava i petali delle gardenie lavati dopo un temporale. Aveva i capelli nerissimi e la bocca rossa come certe rose che sbocciano in giugno. Una sera, ch’ io volli baciarla stupidamente sulla fronte, tremò tutta. Io, lì per lì, non capii. Lei si guardò attorno, per vedere se nessuno ci stesse controllando, mise un dito sulle labbra, e poi tolse il dito per offrirmi quella bocca giovane e viva che si fece prepotente, nel mordere, nel succhiare, nel penetrare dentro la mia, come sotto le sferzate di una voglia pazza. Forse lei non mi baciò: piuttosto mi morse a lungo, poi sciolse la sua tenerezza penetrando con la lingua fra i denti e le labbra passandomi quel guizzo demoniaco sulle gengive, sulla lingua, e ancora più in fondo nella mia bocca. Ero sbalordito e inebriato. Il mio sesso si era indurito e mi faceva male per le costrizioni degli slip e dei calzoni. I testicoli mi dolevano tanto era il desiderio represso. Finalmente staccò le sue labbra. Allontanò il viso, scrollò i capelli, rovesciò la testa all’indietro e rise:”Ma tu non sai baciare…o molto poco…». Mi mise la mano sulla patta dei pantaloni e, apertala, vi entrò e si perse entro i miei slip a rovistare, accarezzare, strofinare, strizzare il mio organo fino a quando non eruttai così violentemente tali e tanti fiotti di semenza che, presa alla sprovvista, s’invischiò tutta. Mi aiutò abbassandomi i calzoni e, vista la cappella ancora dura e dritta, si chinò per gustare con la lingua le stille di gocce che ne fuoriuscivano. Io la tenevo in quella posizione perchè mi eccitava ancora. Con una mano massaggiava dolcemente i testicoli, ora sdilinquiti e morbidi, poi li leccava e li baciava. Nonostante la violenta passione che mi aveva preso l’anima, non mi ero perso l’occasione di alzarle la minigonna per sentirla, prima attraverso le mutandine di cotone il cui solo ricordo mi eccita ancora, poi, sistematele a mezza gamba, per bearmi di quella pelle morbidissima del ventre, di quella leggera e morbida peluria che era ancora rada, se non fosse stato per il cespuglietto proprio sopra il suo bocciòlo che si ergeva con forza per cogliere le mie carezze. Con delicatezza le toccavo la stretta vagina tutta umida e stuzzicavo la rosetta dell’ano che pareva darle delle scosse violente. Estraevo le mie dita per odorarle con avidità ed aumentare, con tale afrodisiaco, la mia già immensa libidine. Si sentiva bagnata fino alle ginocchia e continuava a godere rantolando e mugolando. Oggi posso dire, a ragion veduta, che l’amore non ha età. Si nasconde e sguscia già con furbizia fra i giochi dei bambini. S’infiltra, insidiando con i primi formicolii erotici, nei corpi appena in boccio dei ragazzi: nelle notti solitarie, li fa impazzire quando dalle finestre spalancate arriva il tepore della primavera a vellicare le cosce, i capezzoli appena accennati, le ascelle cosparse di peluria dolcissima, l’incavo delicato del pube dove il maschio scopre le prime polluzioni e la femmina non comprende perché sia così umida tra le labbra della sua piccola vulva. Domina senza remore la vita degli adulti nelle molteplici varianze e forme. Assale ribaldo anche chi ha passato la boa della terza età e non può più esternare il suo desiderio, per salvaguardare la forma e le convenienze. L’amore scoppia ed irrompe all’improvviso.. Perchè negarlo? Non è altro che verità. Il fatto è che fa male ricordare. Preferiamo distrarci, non pensare, non meditare su quanto noi stessi abbiamo sofferto, goduto, fatto o detto e ci accorgiamo che ormai tutto è inesorabilmente trascorso. Gabriela mi disse, dopo l’amore:”Non dirlo a nessuno, bada che non lo sappia nessuno. L’ho fatto solo con te, perchè ora ci siamo conosciuti e piaciuti subito. Perchè secondo me basta un bacio vero per conoscerci e comprenderci. Tutti quelli che si comprendono hanno la stessa età, appartengono alla stessa generazione». Oggi so che non è vero.Continuò: “Nessuno sospetta che io sappia come si ama. Nessuno mi ha insegnato nulla; è stato come se io mi fossi sempre trovata vicina alla fonte della vita. Posso contare i miei ricordi sulla punta delle dita dato che sono giovane. Eppure, riesco già a ricordare come fu che……..” “Ero piccola, molto piccola… mi lasciavano dormire nello stesso letto grande con i miei fratelli e con i miei cugini. Noi spasimavamo già, ma di uno spasimo strano, incomprensibile….., un desiderio e un’ansia che non sapevamo spiegare. E allora, l’uno con l’altra, ci si tormentava con le mani, si frugava estasiati or il sesso dell’uno or quello dell’altra, mai sazi di conoscere, col cuore a mille e congiungevamo le bocche che sapevano di fresco. Ci baciavamo dappertutto, perché tutta la superficie era elettrizzata e trasmetteva piacere, felici di ogni scoperta, Quando toccava a me, io mi stendevo a gambe e braccia larghe, chiudevo gli occhi, e non pensavo più a niente…” “Erano così dolci le nostre carezze, nei letti tiepidi, sotto le coperte ben rimboccate.., era bello sfiorare con le labbra il corpo degli altri, sentire la pelle fresca del petto, dell’ombelico, in mezzo alle gambe. Erano struggimenti lunghissimi. Non sapevamo che cosa fosse quella sensazione tanto strana e tanto nuova” . «Quando non ci lasciarono più dormire con i maschietti, io e Lisa – mia sorella – continuammo a giocare tra noi: io facevo la parte del maschietto e lei quella della femmina… Io e Lisa ci vogliamo molto bene. Anche adesso, quando nostro padre non ci lascia uscire, ci accarezziamo fra noi. E specialmente la sera, ci accarezziamo sotto le camice, e si gode di dolcezza sfregando fino allo sfinimento una contro l’altra le nostre vagine”. Gabriela, parlando, faceva il visetto triste senza una ragione precisa. Ma gli occhi lucidissimi erano felici ed estasiati: “Nessuno sa che io so”, disse. “Ma noi ragazzi viviamo già da tanto tempo nella vita dei grandi. Come loro. Io ho tanti corteggiatori, sai? Quello che preferisco è bello e intelligente. Si chiama Renato e fa il ginnasio. Qualche volta però mi piace tradirlo, e lui mi mena. Io sono contenta che lui mi picchi, e vado a piangere da mia sorella, con la faccia tra le sue cosce, e lei intanto mi bacia e mi acquieta. Allora io godo, e le sorrido. Sai, anche noi ragazze siamo volubili. Io però faccio all’amore solo per amore” . Fissando gli occhi nel vuoto, Gabriela tacque. Forse vedeva le scene. E io rivedevo e rivivevo con lei i miei ricordi scolastici. Gabriela, aveva conosciuto tutte le gioie e tutte le miserie della vita degli adulti: l’amore, il lesbismo, l’adulterio, la gelosia, la violenza. Quando si guarda attraverso buone lenti, anche se il cannocchiale è rovesciato, la vita offre sempre gli stessi aspetti. Fu con lei, che, tenendoci per mano, ci addentrammo nel mondo dei ragazzi, degli adolescenti: un mondo fatto di angoli bui, di frasi sussurrate, di misteri, di forti desideri inespressi. Gabriela mi ha rivelato questo mondo, sollevando il sipario sul grande teatro della vita. Oggi anch’io penso che l’amore sia nato in me, con me. Anche a me nessuno l’ha insegnato.Conobbi a Livorno anche Rossana, una compagna di seconda media. E’ stata la mia prima fidanzata. Era figlia di un medico e di un’insegnante.. Ricordo la prima volta che ci incontrammo. L’invitai a casa nostra, per regalarle qualche fiore del nostro giardino. In mezzo al giardino, ci guardammo. Tutti e due un po’ timidi, ma io più timido di lei. Le donne sono sempre più audaci di noi. Tra un maschietto e una bambina, la più intraprenderne è sempre la bambina. Inutile negare. E la stessa cosa avviene quando si è adulti. E’ sempre la donna che fa quello che vuole, e che fa fare quello che vuole. Nonostante le leggi, i costumi e i pregiudizi. Nonostante che gli uomini abbiano imposto alle donne, da secoli, un sacco di vincoli come essere pudiche, scontrose, sempre sulle difese. La donna ha sempre odiato la virtù cui è stata costretta. E noi uomini ci siamo illusi che la donna fosse veramente quella creatura che abbiamo immaginato nella nostra fantasia. Abbiamo sempre paura di mancarle di rispetto; e la donna si accorge che con quel nostro contegno le imponiamo ancora di essere virtuosa. La donna odia la sua virtù.Rossana, pur giovanissima, queste cose le sapeva già. Vicino a un’aiuola, con tre ciuffi di fiori fra le dita, mi sorrise tranquilla. Io abbassai gli occhi, e le parlai di fiori: “Vuoi anche qualche rosa? Vuoi delle viole? Guarda laggiù, come sono belle. Vieni» . E andammo per il giardino. Le diedi tanti fiori che lei non sapeva più dove metterli. Io avevo parlato più di lei, soltanto per non guardarla in faccia: per distrarmi, per stordirmi. Lei invece aveva sempre tenuto i suoi occhi di acquamarina arditamente fissi su di me. E sorrideva. Diventammo amici più tardi. Io entrai nella sua compagnia, dimenticando le raccomandazioni di mia madre. E così facemmo scorribande nell’entroterra che raggiungevamo in bici per raccogliere le more, per dare la caccia alle talpe, e per pericolose ascensioni sugli alberi in cerca di nidi. Questa era l’amicizia. Come nascesse il nostro amore, il vero nostro amore di ragazzi già grandi, non so. Non riesco a ricordare, ma penso che fosse il caldo a farlo scoppiare. Il nostro amore deve essere stato figlio del caldo di luglio e di agosto. Ma ricordo un’altra cosa, stranissima. Non l’ho mai baciata sulla bocca. Due ragazzetti che riescono a nascondersi per fare all’amore, non si baceranno mai sulla bocca: il bacio sulla bocca, io penso che sia una menzogna convenzionale, una ipocrisia nata con l’educazione. Il bacio che la natura comanda è quello sull’altra bocca della femmina: è quel bacio feroce e ubriacante che gli imbecilli ritengono perverso. Sono sicuro che io e Rossana non ci siamo mai baciati sulla bocca. So che ci piaceva restare soli, lontani dagli altri, per godere il contatto agro dei nostri corpi nudi. Andavamo spesso lungo i fossi dove correva un filo d’acqua. C’era ombra e frescura. Si andava fra siepi alte d’acacia e di biancospino per trovare una tana d’ombra e di mistero, un nascondiglio. E là, rintanati, senza dire una parola, un po’ tremanti e quasi vergognosi, noi recitavamo come i grandi la commedia dell’amore, felici. Io avevo uno o due anni più di lei. Eravamo già consci che i grandi condannavano senza remissione il nostro bellissimo gioco. Più tardi ho saputo che in tutto il mondo quel gioco di esplorazione e conoscenza è praticato, ma lecito solo presso certe popolazioni africane. E l’esploratore è sempre il maschio, l’esplorata sempre la femmina. Solo oggi posso affermare che quel gioco d’allora era amore. E soprattutto oggi mi meraviglio come la natura mi avesse già insegnato tanto, e che tutte le donne, dopo, abbiano aggiunto poco a quella naturale malizia. Rivedo ancora Rossana, bionda, dritta nel sole delle stoppie, con la sottana di rigatino e un nastro rosso nei capelli. E la prendo per mano correndo verso il nostro amore occulto. La ricordo felice sotto di me, con il vestito tirato su, che si lascia guardare e toccare. Io la curiosavo tutta, le mie dita la sfioravano sul dorato rigonfiamento del pube, una dolcezza strana si concentrava in quel punto morbido e dolce, con un profumo tutto nuovo per me ed inebriante come una droga. La baciavo lì, con uno strano ardore e, con la punta della lingua, penetravo delicatamente in lei trasmettendole la mia eccitazione: ricordo come spalancasse le gambe per permettermi di raggiungerla più in profondità. Lei ansimava e sorrideva con gli occhi che si velavano per il piacere fino al momento in cui con uno strano sospiro sembrava svenisse tremando tutta. Non era egoista, così mi pareva allora, perché, tanto più io mi accanivo su di lei, tanto più lei dedicava attenzioni al mio sesso che già presentava, eretto, un suo fascino evidentemente molto apprezzato. Frugando con la mano nei miei pantaloncini lo estraeva, lo accarezzava, ne saggiava la consistenza, soppesava i testicoli, che, rotondi, gonfi e appena velati di peluria, avevano per lei un fascino particolare perché s’era accorta che una prolungata e continua azione su di essi favoriva l’emissione di sperma che colava abbondante sulla sua mano fuoriuscendo dalla sommità in grosse gocce e zampilli che l’affascinavano. Anche lei si raccomandava l’assoluto silenzio, anche con gli amici, sulle nostre attività, soprattutto dopo che, con naturalezza, non paghi dei baci e dei toccamenti veniva spontaneo congiungerci, ventre contro ventre, a strofinarci reciprocamente i sessi fino alla naturale penetrazione che avveniva con dolcezza infinita assistiti dal calore dell’aria e dal ronzìo degli insetti. Le prime volte ero stranito, incerto, ma lei mi aiutava a penetrarla aprendosi con le mani quella deliziosa bocca rosata e venendomi incontro col bacino. L’apice del godimento, per la novità e l’eccitazione spasmodica, per me giungeva subito; ma lei pazientemente aspettava che riprendessi ardore e così poteva appagarsi. Qualche volta parlavamo dei pericoli sentiti enunciare dai genitori ma, irresponsabilmente, ne ridevamo.Lei non aveva paura, io non sapevo che fosse. Non era mai sazia di godere: per lei non era mai abbastanza. Era sempre lei che voleva ricominciare. Inesauribile. Eravamo appena alle soglie della vita. Nessuno ci aveva mai insegnato nulla. Non sapevamo che cosa fosse la morale. Per questo eravamo tanto felici. Eravamo innocenti.
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